Bambini
Sin dalle origini il cinema fece ricorso ai b. come interpreti. Si può addirittura affermare che la nascita del b. attore coincide con la nascita del cinema. Già in L'arrivée d'un train en gare de La Ciotat (1895) dei fratelli Lumière è presente sullo schermo l'immagine di una b. vestita di bianco (la figlia di Louis Lumière), tenuta per mano dalla madre e confusa fra i passeggeri che affollano la stazione. Oppure in Repas de bébé (1895) appare un'altra b. (questa volta interpretata dalla figlia di Auguste Lumière) che sta mangiando con i genitori all'aperto. I b. si rivelano subito dotati di una naturale inclinazione a lasciarsi riprendere e, in un misto di incoscienza e narcisismo, appaiono attratti dall'idea di entrare nell'inquadratura, propensi a mostrarsi sullo schermo con lo stesso istintivo desiderio di esibizione che mostrano nella vita reale. Questo atteggiamento psicologico verrà sfruttato dai registi anche quando inizieranno a utilizzare i b. come veri attori, cioè come interpreti di personaggi che fanno parte dell'intreccio narrativo. Così accade in Rescued from an eagle's nest (1907) di J. Searle Dawley, in cui il piccolo protagonista rapito da un'aquila viene salvato da un montanaro (una delle rare interpretazioni del regista David Wark Griffith). Mentre in The adventures of Dolly (1908) dello stesso Griffith, viene mostrata una b. rapita da uno zingaro e nascosta in una botte. In ogni caso, già in questi primi documenti emerge una caratteristica fondamentale: il b., non ancora preda dei turbamenti, delle crisi e delle contraddizioni dell'adolescenza, si offre alla macchina da presa così com'è, senza alcun filtro. Con le sue emozioni, le sue paure e le sue propensioni ludiche.
Probabilmente fu il film The kid (1921; Il monello) di Charlie Chaplin, dato il grande successo ottenuto anche in virtù del suo piccolo coprotagonista, Jackie Coogan che interpreta il 'monello', che sancì l'appartenenza dei b. attori al nascente star system. Jackie Coogan divenne infatti una sorta di simbolo per gli orfani della Prima guerra mondiale. Caratterizzato nell'abbigliamento da un berretto posto di traverso, pantaloni stracciati e troppo grandi e un maglione rattoppato, divenne una sorta di 'doppio' chapliniano, uno 'Charlot bambino' capace di suscitare con il suo stesso aspetto comicità e malinconia. Quando The kid uscì in sala, Coogan aveva appena sette anni. Con Chaplin aveva già interpretato A day's pleasure (1919; Una giornata di vacanza) e recitava sul palcoscenico dall'età di quattro anni. Fu quindi il protagonista di Oliver Twist (1923) di Frank Lloyd e di Little Robinson Crusoe (1924) di Edward Cline. Ma la sua carriera, nel passaggio dall'infanzia all'adolescenza, subì un inarrestabile declino. Negli anni Trenta infatti fu soprattutto al centro di notizie di cronaca, dall'incidente automobilistico del 1935 (in cui morì il padre) al brevissimo matrimonio con la stella nascente Betty Grable. Proprio la sorte di Jackie Coogan compendia emblematicamente il percorso di molti giovanissimi attori prodigio, destinati a perdere progressivamente il successo una volta superata l'infanzia e, spesso, a cadere in una crisi professionale e privata dalla quale riesce difficile riemergere. Dopo Jackie Coogan, nel decennio successivo, altri giovanissimi attori conobbero un breve, persino fulmineo, periodo di celebrità. Jackie Cooper, nato nel 1922, ottenne i primi ruoli sul grande schermo a sette anni, anche se raggiunse la notorietà con il mélo The champ (1931; Il campione) di King Vidor (nel ruolo di un bambino che cerca di restituire fiducia al padre, un pugile fallito) e con Treasure island (1934; L'isola del tesoro) di Victor Fleming. L'inglese Freddie Bartholomew, dopo aver debuttato a tre anni sulla scena, venne scritturato a undici anni dalla Metro Goldwyn Mayer nel 1935 e si fece notare in David Copperfield (1935) di George Cukor, Anna Karenina (1935) di Clarence Brown e Captains courageous (1937; Capitani coraggiosi) di Fleming. Gli anni Trenta furono però soprattutto caratterizzati dal fenomeno Shirley Temple. La sua gioiosa vivacità, i suoi numeri di danza, le esibizioni canore non solo la trasformarono in una delle star più popolari del periodo, ma il suo volto divenne l'emblema ottimista degli Stati Uniti che stavano appena uscendo dalla crisi economica del 1929. Ebbe al suo fianco partner famosi, ispirò una serie di gadget (abiti, bambole ecc.) e ricevette dai suoi ammiratori fino a sedicimila lettere al mese divenendo una vera miniera d'oro per la Fox. Di lei Adolphe Menjou disse: "Conosce tutti i trucchi del mestiere, mi ruba la battuta, mi rende ridicolo". Raggiunta l'adolescenza, il suo successo svanì: era ormai fisicamente troppo cambiata e il pubblico troppo legato all'immagine di un tempo.Tra gli anni Venti e gli anni Trenta, è difficile rintracciare negli altri Paesi forme precoci di divismo. Rimangono invece indelebilmente fissate sullo schermo immagini di b. in grandi film. Basti pensare alle celebri inquadrature del neonato sulla carrozzina nella scalinata di Odessa in Bronenosec Potëmkin (1925; La corazzata Potëmkin) di Sergej M. Ejzenštejn, il bambino che rifiuta la medicina in On purge bebé (1931) di Jean Renoir, i besprizorniki, cioè i ragazzini sbandati che vivono di furti e rapine in Putëvka v žizn′ (1931; Il cammino verso la vita) di Nikolaj Ekk, le bambine che attirano il maniaco omicida in M (1931; M, il mostro di Düsseldorf) di Fritz Lang, i fratellini che mettono in atto uno sciopero della fame per protestare contro la mancanza di dignità del padre in Umarete wa mita keredo (1932; Sono nato ma…) di Ozu Yasujirō, gli scolari indisciplinati di Zéro de conduite (1933; Zero in condotta) di Jean Vigo, i giovanissimi personaggi del documentario Las Hurdes ‒ Tierra sin pan (1932) di Luis Buñuel.
Anche Judy Garland aveva iniziato la sua carriera da professionista a dieci anni e si era quindi iscritta nel 1932 alla Miss Lawlor's School ad Hollywood per b. professionisti. Ma nel 1939, all'età di diciassette anni, si affermò clamorosamente con il ruolo di una b. in The wizard of Oz (1939; Il mago di Oz) di Fleming. La Garland s'immedesimò infatti in Dorothy, assumendo le sembianze fisiche e i comportamenti di una fanciulla immersa in un universo fiabesco e coloratissimo. Paradossale esempio di un'infanzia perfettamente simulata che porta il successo a un'attrice già cresciuta. Nel gioco delle simulazioni, in The major and the minor (1942; Frutto proibito) di Billy Wilder non è invece l'attrice, ma il personaggio a doversi fingere una fanciulla: nel film infatti una ragazza squattrinata (interpretata da Ginger Rogers) deve travestirsi da dodicenne per ottenere la riduzione sul biglietto del treno.
Con il Neorealismo i b. assunsero sullo schermo un rilievo nuovo. Vittorio De Sica, Roberto Rossellini e, in misura minore, Luchino Visconti scelsero spesso come protagonisti delle loro opere proprio i b., in virtù delle caratteristiche del cinema neorealista che cercava di cogliere l'immediatezza della realtà. La loro macchina da presa catturò l'ansia, il desiderio, il dolore racchiuso nello sguardo dei giovanissimi interpreti non professionisti. E i piccoli attori non furono certamente i protagonisti improvvisati del cinema delle origini ma non acquisirono neanche il peso divistico dei ragazzini statunitensi. In generale la loro celebrità resta legata a un solo film e si tende a ricordare più il personaggio che l'interprete. Il binomio artistico Vittorio De Sica - Cesare Zavattini realizzò il primo ritratto neorealista dell'infanzia con I bambini ci guardano (1944), in cui viene privilegiato lo sguardo e la solitudine di Pricò (interpretato da Luciano De Ambrosis), un b. di sette anni costretto a confrontarsi con una dura realtà familiare (l'adulterio della madre). E se di Roma città aperta (1945) di Rossellini resta emblematica l'immagine finale (un gruppo di ragazzini che si allontana mestamente dopo aver assistito all'esecuzione di don Pietro), altre opere di questo periodo vollero invece raccontare storie private, intime. Rinaldo Smordoni e Franco Interlenghi (destinato poi a una solida carriera da adulto) in Sciuscià (1946) di De Sica interpretano due piccoli lustrascarpe costretti a convivere in un riformatorio; nell'episodio napoletano di Paisà (1946) diretto da Rossellini, Alfonsino Pasca è uno scugnizzo che ruba le scarpe a un soldato di colore; in Germania anno zero (1948), ancora di Rossellini, Edmund Meschke è un ragazzino di tredici anni (quindi anagraficamente già fuori dall'infanzia, anche se i traumi subiti sembrano averne ritardato la crescita) che vive di espedienti per mantenere il padre invalido. Ma forse il piccolo interprete più famoso del Neorealismo è Enzo Staiola nel ruolo di Bruno in Ladri di biciclette (1948) di De Sica. Da citare infine Bellissima (1951) di Visconti, in cui Tina Apicella interpreta la figlia di una popolana che vuol fare della sua b. una star dello spettacolo. Il film di Visconti non solo chiude il Neorealismo ma sembra anche criticare l'illusione creata proprio dai film neorealisti: quella di giovanissime star passate come meteore nell'universo cinematografico.
Nel cinema italiano, inoltre, merita una segnalazione speciale lo sguardo rivolto all'infanzia da Luigi Comencini, indubbiamente privilegiato e ricco di sensibilità, erede dell'attenzione dedicata a quel particolare periodo della vita dal Neorealismo. Numerosi sono stati quindi i piccoli interpreti protagonisti dei suoi film, spesso inseriti in contesti melodrammatici: a partire dagli scugnizzi sbandati del suo primo lungometraggio, di stampo neorealista, Proibito rubare (1948), per arrivare a Giancarlo Damiani di La finestra sul luna-park (1957), Stefano Colagrande e Simone Giannozzi di Incompreso ‒ Vita col figlio (1966), sino ad Andrea Balestri, protagonista del televisivo Le avventure di Pinocchio (1972), Francesco Bonelli di Voltati Eugenio (1980), Santo Polifemo di Un ragazzo di Calabria (1987).
Non mancarono anche in Europa, verso la metà degli anni Cinquanta, esempi di divismo infantile tanto sorprendente quanto fugace. È il caso di Pablito Calvo, protagonista di Marcelino pan y vino (1955; Marcellino pane e vino) di Ladislao Vajda. Il ragazzino, ad appena sei anni, conobbe con questo ruolo un'improvvisa notorietà sia nazionale sia internazionale (in Italia il film fu visto da oltre dieci milioni di spettatori), ma dopo qualche altro film che sfruttò il successo del personaggio di Marcellino (tra cui Totò e Marcellino di Antonio Musu realizzato nel 1958), la sua carriera terminò quando era appena adolescente.
In India anche Satyajit Ray poté rappresentare l'universo infantile con estrema intensità, attraverso il primo film della trilogia di Apu intitolato Pather panchali (1955; Il lamento sul sentiero), anche grazie alla spontaneità del giovanissimo Subir Bannerjee.
Negli stessi anni del Neorealismo, anche in Gran Bretagna numerosi erano stati i b. attori spesso interpreti di figure di origine letteraria. Come i personaggi di Charles Dickens, sospesi tra fiaba e realismo, fatti rivivere da Anthony Wager nel ruolo di Pip in Great expectations (1946; Grandi speranze) e John Howard Davies nella parte dell'orfanello in Oliver Twist (1948; Le avventure di Oliver Twist), opere entrambe dirette da David Lean. Mentre il piccolo Bobby Henrey, Felipe in The fallen idol (1948; Idolo infranto) di Carol Reed, fu chiamato al difficile compito di rendere l'aspetto oscuro e inquietante del mondo dell'infanzia che i registi stavano cominciando a indagare. Dopo questo film, negli anni Sessanta fu proprio il cinema inglese ad approfondire la raffigurazione dell'infanzia come entità minacciosa, inquietante, addirittura aliena, e i piccoli attori dovettero effettuare performances particolarmente impegnative. Si pensi ai bambini di origine extraterrestre di Village of the damned (1960; Il villaggio dei dannati) di Wolf Rilla; o a Martin Stephen e Pamela Franklin nel ruolo di due b. dal comportamento ambiguo che terrorizzano la governante in The innocents (1961; Sus-pense) di Jack Clayton, tratto dal romanzo The turn of the screw di H. James; sino agli interpreti dei fratelli di età diversa (dall'infanzia all'adolescenza) che, dopo la morte della madre, vivono da soli in una casa inquietante nel film Our mother's house (1967; Tutte le sere alle nove) sempre diretto da Clayton.Di tutt'altro tenore è invece il toccante ritratto infantile tratteggiato in quegli anni, in Unione Sovietica, dal piccolo Kolja Burljaev in Ivanovo detstvo (1962; L'infanzia di Ivan) di Andrej Tarkovskij, nel ruolo di un b. che, dopo la morte dei genitori uccisi dai nazisti, vive facendo l'informatore per i russi.
Nella poetica di François Truffaut la purezza dello sguardo del b. coincide con la purezza dello sguardo del cineasta. Di conseguenza, nel cortometraggio Les mistons (1957; L'età difficile) la presenza dei b. non ha solo uno scopo narrativo, ma si rivela una dichiarazione programmatica. Il punto di vista autoriflessivo è ancor più manifesto in Les 400 coups (1959; I quattrocento colpi), ricco di elementi autobiografici, dove il piccolo Jean-Pierre Léaud, è Antoine Doinel, personaggio-alter ego del regista di cui l'attore sarà interprete in altri film, scandendo le tappe di un processo di crescita anagrafica e di simbiosi pressoché totale con Truffaut.
Tra i piccoli divi del cinema statunitense degli ultimi trent'anni, di grande rilievo la figura di Jodie Foster, uno dei rari casi di b. attrice ricca di talento perfezionato e confermato nella maturità. Ma anche da ricordare, per altri versi, Drew Barrymore, erede della Royal family di Hollywoood, che a sette anni venne travolta dal successo ottenuto in E.T. the extra-terrestrial (1982; E.T. l'extra-terrestre) per la sua interpretazione dell'angelica Gertie, la piccola amica dell'alieno, e da seri problemi che segnarono la sua vita prima di ritrovare la serenità e anche il successo negli anni Novanta, ormai giovane adulta. E ancora, Tatum O'Neal, vincitrice nel 1974 dell'Oscar per Paper moon (1973), interpretato al fianco del padre Ryan O'Neal. Il giovanissimo Justin Henry, che diede mostra di un'invidiabile disinvoltura nel rappresentare i contrastanti stati d'animo di un b. costretto a convivere con i genitori separati in Kramer vs. Kramer (1979; Kramer contro Kramer) di Robert Benton. All'inizio degli anni Novanta divenne famosissimo Macaulay Culkin, il ragazzino di otto anni che aveva raggiunto il successo con Home alone (1990; Mamma, ho perso l'aereo), confermato da Home alone 2 (1992; Mamma ho riperso l'aereo: mi sono smarrito a New York), entrambi realizzati da Chris Columbus. Ottenuti ingaggi miliardari e il potere contrattuale di licenziare registi che non erano di suo gradimento, superata l'infanzia ed entrato nell'adolescenza ha visto la sua carriera interrompersi bruscamente. Da ricordare infine il bravissimo interprete di The sixth sense (1999; The sixth sense ‒ Il sesto senso) di M. Night Shyamalan, Haley Joel Osment, scelto poi da Steven Spielberg, regista da sempre sensibile al mondo poetico dell'infanzia, per Artificial Intelligence: AI (2001; A.I. intelligenza artificiale), in cui è uno straordinario bambino-robot che aspira a diventare umano per essere amato.
Il cinema europeo degli anni Novanta ha spesso privilegiato il punto di vista infantile, in quanto prospettiva di grande ricchezza umana e poetica. E quindi molti giovanissimi interpreti hanno offerto prove estremamente convincenti, anche se a volte legate a un unico film. Per restare in Italia, in Nuovo cinema Paradiso (1988), Giuseppe Tornatore ripercorre la sua infanzia e la nascita del suo amore per il cinema attraverso gli occhi di Salvatore Cascio. Anche lo sguardo del piccolo Giosuè (interpretato da Giorgio Cantarini, scelto poi da Ridley Scott per Gladiator, 2000, Il gladiatore) in La vita è bella (1997) di Roberto Benigni risulta fondamentale motivo narrativo del film. Mentre il regista Gianni Amelio in molte delle sue opere ha saputo raccontare il mondo dell'infanzia, penetrandone anche la disperata drammaticità, e valorizzando la ricchezza di sfumature e di umori dei suoi piccoli interpreti (si pensi, su tutti, ai due protagonisti di Il ladro di bambini, 1992, Valentina Scalici e Giuseppe Ieracitano).
In Iran invece sia Abbas Kiarostami in Khāne-ye dust kojāst? (1987; Dov'è la casa del mio amico?) e quindi in Zendegi edāme dārad (1990; E la vita continua), sia Mohsen Makhmalbaf in Sokout (1998; Il silenzio) hanno utilizzato b. attori non professionisti per mantenere l'immediatezza dell'approccio con la realtà. Infine Yi Yi (1999; Yi Yi ‒ E uno… e due…) del taiwanese Edward Yang ha per protagonista il piccolo Yang Yang (interpretato con sorprendente naturalezza dal giovanissimo Jonathan Chang) che fotografa la nuca delle persone per mostrare l'altra realtà delle cose, quella che lo sguardo degli 'altri', cioè di coloro che non sono più b., non riesce a vedere.
G. Grazzini, Dolci pestiferi perversi. I bambini nel cinema, Parma 1995.