Vedi BAMIYAN dell'anno: 1958 - 1994
ΒĀMIYĀΝ (v. vol. I, p. 969)
La posizione geografica di Β., sul versante occidentale della catena dell'Hindukush, nell'Afghānistān centrale, aveva favorito la conservazione della indipendenza politica almeno fino alla seconda o terza decade dell'VIII sec., quando un pellegrino coreano, Huichao, scrisse che gli altri paesi non avevano abbastanza coraggio per invaderla. Tuttavia la storia antica di B. è oscura, specie quella che riguarda il periodo precedente il VII sec., sebbene siano state raccolte alcune monete indo-greche e kuṣāṇa.
La più antica informazione su B. è fornita dal Tang Gaosengzhuan («Biografie Tang di monaci virtuosi», compilate nella prima metà del VII sec. da Daoxuan), dove è detto che un monaco del Gandhāra, Jinagupta, e un monaco dell'India occidentale, Dharmagupta, visitarono il Piede Occidentale delle Montagne Nevose (Daxueshan-xizu), cioè B., rispettivamente nel 555 e nel 580 d.C., diretti dal Kāpiśī al Tokhārestān. Β. è menzionata anche nella prefazione dello Xiyutuji («Memorie illustrate delle Regioni d'Occidente», compilate nel 606 d.C. da Peiju) ove viene collocata tra il quartier generale degli Eftaliti, Baghlan, e il Kāpiśī ; e nel Suishu («Storia della dinastia Sui») dove è detto che è situata 700 li a Ν del Kāpiśī e che un emissario di B. fu ricevuto dal secondo imperatore Sui, Yangdi, nel giorno di capodanno dell'undicesimo anno dell'era Dayi (615 d.C). L'informazione più dettagliata su B. ce la fornisce il primo volume del Da Tang Xiyuji («Memorie delle Regioni d'Occidente dei Grandi Tang», completate nel 646 d.C. da Bianji, al quale Xuanzang aveva fornito i resoconti completi dei suoi lunghi viaggi). Vi si dice che per B., con la capitale situata su un ripido colle, s'intende un distretto che si estende da E a O per c.a 2000 li e da N a S per c.a 300 li e che le lettere dell'alfabeto, le norme ordinarie e il sistema monetario sono gli stessi del Tokhārestān, mentre la lingua è leggermente differente. Secondo il Tangshu e il Tangshu Antico, B. divenne uno stato dominato politicamente dal quartier generale cinese situato a Kučā a partire dalla metà del VII sec. e diviso in cinque distretti, ciascuno con una città principale: Jianna, Silin, Fushifu e Weilasadanna, cui è da aggiungere la capitale Fuli (secondo il Tangshu e il Taipinghuanyuji) o Luolan (secondo il Tangshu Antico e il Tanghuiyao). Circa settanta anni dopo, Huichao riferì che in B. c'era un re di stirpe iranica, buddhista, che con l'aiuto di forti contingenti militari conservava l'indipendenza. Al contrario del Da Tang Xiyuji, che parla soltanto dell'esistenza di due scuole hīnayāna, dei Lokottaravādin e dei Mahāsaṁgika, Huichao ammette l'esistenza di buddhisti sia mahāyāna che hīnayāna, e di norme simili a quelle del Kāpiśī, mentre la lingua era diversa. La storia di B. dopo la metà dell'VIII sec. è nota dalle fonti islamiche. Al tempo di al-Manṣūr (754-775 d.C.), il secondo califfo abbaside, B. fu asservita al potere musulmano da Muzāhim bin Bistām, governatore di Walwariz, che ordinò al proprio figlio, Abū Ḥarb Muḥammad di sposare una figlia di Šir-e Bāmiyān. Nel 792-793 d.C., suo figlio al-Ḥasan prese parte a una campagna militare a Kabul sotto la guida di al-Faḍl bin Yāḥyā bin al-Khālid bin Barmak, un governatore abbaside del Khorasan, e marciò fino a Ghurwand. Al-Ḥsan fu nominato re di B. da al-Faḍ e chiamato come il nonno Šir-e Bāmiyān.
Dopo probabili egemonie di Tahiridi e Samanidi, Alptegin, secondo il Siyāsat Nāma, combattè sulla via di Ghazna contro un amīr di B. chiamato Šir Barik e lo sconfìsse. Durante il dominio ghaznavide B. è politicamente inesistente. Nel 1150-1151 d.C., 'Alā' ad-Dīn Ḥusayn dei Ghuridi conquistò B., dopo aver messo a ferro e fuoco Ghazna, e assegnò il governo di queste regioni, compresi il Tokhārestān e lo Juzjān, al fratello Fakhr ad-Dīn Mas'ūd.
In cinese B. è trascritto come Fanyang in numerose lettere e lo Šir-e Bāmiyān nelle fonti islamiche è Shi-Fanyang. Šir si crede derivi con molta probabilità da šēr (medio-persiano) che ebbe origine forse in šār, che significa «re» nei dialetti iranico-orientali, da xšaθriya (antico-persiano). Il capitolo sulle Regioni d'Occidente del Weishu («Storia dei Wei Settentrionali») stranamente dice che Fanyang si trova al confine orientale del Tokhārestān. Tuttavia in questa fonte Fanyang sembra essere stata confusa erroneamente con Yuantang. Yuantang è la designazione cinese del Badakhsān al tempo della presenza Tang nelle Regioni d'Occidente. Il Beishi («Storia delle Dinastie Settentrionali») fu compilato alla corte Tang alcuni anni dopo l'affermazione della presenza Tang e nel capitolo sulle Regioni d'Occidente Yuantang è considerato il confine orientale del Tokhārestān. In seguito il capitolo sulle Regioni d'Occidente del Beishi fu trasferito in quello del Weishu e Yuantang fu erroneamente scritto Fanyang.
La capitale di B. nelle fonti cinesi è Fuli o Luolan. Le Strange identificò la capitale con al-Lahūm, da lui letta, ma senza certezza, in un testo di Muqaddasī; ma un altro testo nella Bibliotheca Geographorum Arabicorum, III (Leida 1906) dice chiaramente che Ghazna, la cui capitale è una piccola città, ricca, a buon mercato e piena di al-luḥūm (carne), è un paese (raḥba) che produce molti frutti. È dunque assai dubbio che il Luolan delle fonti cinesi corrisponda all’al-Laḥūm delle fonti islamiche. Xuanzang non indica il nome della capitale ma dice che è situata a SO del più occidentale dei Buddha colossali. Poiché in tale direzione non è stato individuato alcun sito, è sorto un problema insolubile sulla localizzazione della capitale, vale a dire della città regia di Bāmiyān. La testimonianza di Xuanzang, secondo la quale essa si trovava su un ripido colle, si può mettere in rapporto con la descrizione dei geografi arabi (Iṣṭakhrī, Ḥawqal e Ya'qūbī) che dicono che la città di B., grande all'incirca metà di Balkh, anziché costituire un ḥiṣār in una piana era situata su un colle prospiciente un fiume, e si può identificare senza dubbio con Šahr-e Zahāk. Le fonti islamiche riferiscono anche di diverse città nella mamlaka («regno») di B., una delle quali è Baz(s)ghurfand, che da alcuni studiosi è identificata con la Fushifu delle fonti cinesi.
Le attività buddhiste in B. sono esaurientemente descritte da Xuanzang, che la visitò nella primavera del 629 d.C. La sentita fede nel buddhismo della famiglia reale e della popolazione locale come pure dei mercanti di lontane contrade era assai più profonda che nei paesi confinanti, e rendeva caloroso omaggio alla religione, dal triratna giù giù fino ai varî spiriti minori. C'erano dieci (o diverse dozzine di) templi buddhistici e parecchie migliaia di monaci. Xuanzang nota anche tre delle colossali statue del Buddha. Un Buddha stante in pietra, alto 140- 150 tangchi (43-47 m), si trovava a NE della città regale; luccicava d'oro con i suoi preziosi ornamenti tanto da abbagliare gli occhi. Un secondo Buddha, disteso nella posizione del nirvāṇa, lungo c.a 1000 tangchi (c.a 300 m), era posto in un tempio a E del primo Buddha. Il tempio era stato costruito dal predecessore del sovrano regnante; quest'ultimo vi aveva praticato il pañca-varṣikāpariṣad, donando tutti i suoi possedimenti, da sua moglie e i suoi figli fino ai tesori del paese, e persino se stesso quando non restava null'altro. In questa cerimonia i suoi vassalli si assumevano sempre la responsabilità di ricomprare dai monaci tutto ciò che era stato consacrato. Una fonte cinese attesta, significativamente, che il Buddha sdraiato era di argilla. Più a E di questo tempio si trovava il terzo Buddha, stante, ovvero l'immagine di Sākyamuni, modellato in toushi (puro rame o ottone, assolutamente non identificabile col bronzo), alto c.a 100 tangchi (c.a 30 m) e formato di più parti unite per formare l'immagine completa.
Due dei Buddha colossali esistenti, alti 55 m e 38 m, scolpiti nel conglomerato all'interno di nicchie tagliate nella roccia, coperte con volte a botte, attrassero l'attenzione sia dei geografi arabi che dei viaggiatori del XIX secolo. Yā'qūt informa che a B. si ergeva fino al cielo un tempio con alte colonne (bayt), dove erano raffigurati tutti i generi di uccelli creati dal Dio Supremo e dove s'innalzavano due idoli colossali scolpiti nella montagna dalla cima fino alla sua base, detti but («Buddha, idolo») rosso (surkh) e but bianco (khink), privi di eguali al mondo. Alla fine del IX sec. sembra che B. sia stata invasa dal Saffaride Ya'qūb bin al-Layth in marcia verso l'India, che inviò al califfo di Baghdad un idolo insieme ai trofei di guerra. Ancora nel X sec. al-Kindī, stando al Fihrist, riferisce che vi erano Indiani che si recavano in pellegrinaggio e sacrificavano con incenso a entrambe le statue, chiamate jun bukt e zun bukt, scolpite sulla fiancata della valle.
Non è sicuro che i colossi visti da Xuanzang e i due giganteschi idoli descritti dagli Arabi siano proprio gli stessi. M. L. Carter (1985) ha sollevato la questione se il colosso esistente di 38 m sia identificabile con lo Sākyamuni di toushi, sostenendo che quest'ultimo sorgeva libero dalla rupe, a E del Buddha di 38 m, e che il Buddha di 55 m fu costruito alla fine del VII sec. dopo che era stato costruito quello di 38 m. Non c'è traccia di metallo sul Buddha di 38 m, né rimane alcuna testimonianza che Xuanzang dica il vero riguardo al metallo.
Oltre ai due colossi scolpiti nella roccia, rimane ancora, intatto, un Buddha stante di 7,7 m, in una profonda nicchia nella valle di Kakrak; sulla parete rocciosa della valle principale di B. restano inoltre sei nicchie, simili per proporzioni a quella della valle di Kakrak, che dovevano contenere grandi immagini. Due si trovano a E e un'altra a O del Buddha di 38 m. Altre tre sono sulla parte O della rupe. La più grande delle sei è alta c.a 13 m e ha una forma simile a quella del Buddha di 55 m.
I rivestimenti in argilla dei due colossi sono diversi uno dall'altro. Nel nucleo di conglomerato del Buddha di 55 m sono infissi regolarmente lungo ciascuna delle linee del panneggio dei cavicchi di legno legati l'uno all'altro da corde e ricoperti di argilla. Il nucleo del Buddha di 38 m, invece, per facilitare una buona adesione dello spesso strato di argilla è forato irregolarmente sull'intera superficie, allo stesso modo dell'immagine seduta in una nicchia a O del Buddha di 38 m. Questa differenza potrebbe far pensare che il Buddha di 55 m sia stato costruito secondo un modello o un disegno dettagliato.
La data esatta dei colossi di B. è oscura, nonostante gli equivalenti di Tapa Sardār a S e di Ajina Tepe a Ν. Importante per la datazione è il fatto che colossi del genere in una piccola e isolata valle di montagna possano essere stati innalzati unicamente durante il periodo di prosperità dovuto alle attività commerciali dei mercanti di paesi lontani che collegavano l'India all'Asia centrale. L'importanza commerciale di B. sembra si sia manifestata intorno alla metà del VI sec., quando le vie carovaniere cominciarono ad abbandonare la strada che passava per il Karakorum-Hindukush per l'altra, più a O, che si dirigeva verso il Tokhārestān via Kāpiśī e B. (Kuwayama 1987).
Le grotte buddhistiche di B. non sono descritte in alcuna fonte cinese o araba, ma dagli anni '20 in poi lo sono state nei particolari, secondo le più moderne discipline, da archeologi francesi, italiani, afghani e giapponesi, che ne hanno esaminato circa un centinaio su più di 900. Sulla rupe Ν nella valle principale vi sono più di 750 grotte, comprese le nicchie di cui si è detto, c.a 80 grotte nella valle di Kakrak e c.a 30 nella valle di Foladi: tra queste, la grotta più comune è quella a pianta rettangolare con copertura a botte o piatta. Ma, fra quelle esaminate più attentamente, 62 sono a pianta quadrata e 24 a pianta ottagonale; generalmente sono coperte da una cupola, in alcuni casi da una c.d. Laternendecke.
Pareti e cupola sono raccordate o da una semplice cornice in rilievo o da una cornice sormontata da un tamburo il quale in alcune delle stanze ottagonali spesso assume la forma di un poliedro di sedici facce. Un sistema usuale per sostenere la cupola è un arco cieco di supporto con funzione decorativa in ciascun angolo sopra la cornice; in alcune grotte l'arco appare addirittura scolpito sul tamburo stesso. La cornice che sporge dall'alto delle pareti negli ambienti a pianta quadrata presenta una curvatura a ciascun angolo. Un simile espediente non è necessario per sostenere una cupola o una tromba ma è tipico della falsa cupola ad aggetti progressivi comune nell'architettura del Gandhāra o, più in generale, caratteristico dell'architettura indiana.
Le grotte a pianta ottagonale, localizzate prevalentemente nella metà orientale della rupe principale e ai piedi di entrambi i colossi, sembrano fornire una chiave per la datazione se paragonate alle altre forme architettoniche ottagonali, quali gli stūpa, che si suppongono caratteristici delle aree sacre buddhistiche più tarde, documentate in diverse regioni (p.es. Šotorak, Tapa Skandar, Tapa Sardār, Haḍḍa e Takht-i Bahi), dove sono associati alla costruzione di grandi santuari e all'ampliamento di quelli esistenti. Inoltre è da notare che la maggior parte delle grotte più importanti coperte da una cupola o da una Laternendecke è localizzata vicino al Buddha di 38 m nella parte E della parete rocciosa principale.
Le pitture di 64 grotte e nicchie sono in parte ancora intatte, ma solo 4 delle grotte rettangolari hanno resti pittorici; poiché si ritiene che la maggior parte di queste ultime grotte siano state usate come abitazioni per i monaci o anche come magazzini, è incerto che tutte fossero dipinte. Le grotte che conservano le pitture sono quindi quelle coperte da cupola o da Laternendecke. Alcune nicchie sono ben note per le raffigurazioni dell'universo buddhista. Occorre sottolineare che tutte le pitture rimaste sono disegnate con contorni vermigli su intonaco biancastro e dipinte con densi pigmenti di varî colori, tra cui appare eccezionale il verde brillante sul fondo blu chiaro o scuro.
I soggetti dei dipinti non hanno rivali in tutto il mondo buddhista. Non vi sono scene narrative tratte dai Jāṭaka o dalla vita di Buddha, a eccezione della scena nel nirvāṇa, rappresentata in cinque grotte e mai associata con altri motivi della vita di Buddha. Grandissima importanza riveste il fatto che a B. la scena del Buddha in nirvāṇa, su una parete laterale, è associata al Bodhisattva Maitreya, reggente una fiaschetta nella sinistra, che occupa la posizione centrale al sommo di una cupola o di una copertura voltata. Il Buddha in nirvāṇa, a B., è sempre assistito da molti personaggi che esprimono il loro profondo dolore gridando con le braccia levate o ferendosi con coltelli, e tra questi Mahāmāyā e Mahākāśyapa, mai rappresentati nei rilievi gandharici. Non sembra dunque essere stato concepito come il Buddha che esperisce il risveglio spirituale, ma come l'estinto, o l'estinzione della Vera Legge, che risorgerà nel paradiso dei Tuṣita dove Maitreya attende che Egli esalti la Vera Legge nel futuro. Su ciascun lato e sopra al Buddha sdraiato, le divinità del sole e della luna sono rispettivamente dipinte in un medaglione.
Di qualsiasi tipo siano i soffitti nelle grotte quadrate e ottagonali, il Bodhisattva Maitreya, generalmente assiso, è la divinità principale tra i soggetti delle pitture di B., dove appare circondato da migliaia di Buddha di dimensioni minori, per lo più seduti in varie mudrā (quasi sempre in dhyāna mudrā), più raramente stanti, con un'aureola a più cerchi. I Buddha più piccoli sono fittamente disposti su diverse file di fasce concentriche, che si irradiano da un Bodhisattva centrale al sommo o anche su ognuno degli archi aggettanti che formano le trombe. In parecchie grotte vi è una grande nicchia in una delle pareti dove si trovava un'immagine di argilla, oggi perduta. Immagini di argilla ora scomparse erano spesso presenti in ciascuno degli archi aperti nel tamburo e/o nella parte inferiore della cupola. La composizione della cupola in fasce concentriche, dipinte o scolpite, ha radici profonde nell'architettura sul suolo indiano, dove le strutture concentriche ad archi aggettanti erano indigene.
La divinità solare che regge una lunga lancia e porta una lunga spada, dipinta sullo sfondo bianco vivo del disco solare, occupa l'intera volta a botte della nicchia del colosso orientale. È stante su un cocchio tirato da quattro cavalli ed è assistita da due guardiani e altri personaggi. Su ciascun lato della parte superiore della nicchia, al di sotto di questa enorme immagine, una fila di personaggi regali, assisi dietro la balaustra insieme con un Buddha seduto tra due Buddha «ingioiellati», è rappresentata nell'atto di eseguire, probabilmente, una cerimonia religiosa. Di una raffigurazione ancor più grande sul soffitto a volta della nicchia del colosso O, restano invece tre di quattro personaggi seduti su una sedia ricoperta con un drappo, con le gambe incrociate e le mani in diverse mudrā. Su ciascun lato di essi, all'attacco della volta, è dipinta una serie di archi semicircolari e trapezoidali formanti una sorta di galleria, in ciascuno dei quali sta un personaggio simile a quelli principali. Tali figure non sono sempre da identificare con Bodhisattva. Giacché in una vasta porzione del soffitto non si conservano pitture, ci si è chiesti quale divinità vi fosse raffigurata. Verrebbe spontaneo pensare all'immagine di Maitreya, considerata la sua presenza in molte delle grotte più importanti. Tuttavia il fatto che nella scena del nirvāṇa la divinità lunare appaia associata con quella solare induce a credere che anche qui fosse raffigurata la divinità lunare, specie dopo aver letto nelle memorie di Xuanzang che un'immagine di argilla del Buddha in nirvāṇa, ospitata in un tempio, era collocata tra i due Buddha colossali.
Bibl.: J. Hackin, Recherches archéologiques à Bamiyan en 1933, in Diverses recherches archéologiques en Afghanistan 1933-1940 (MDAFA, VIII), Parigi 1959; U. Scerrato, A Short Note on Some Recently Discovered Buddhist Grottoes near Bamiyan, Afghanistan, in EastWest, n.s., XI, 2-3, 1960, pp. 94-120; B. Dagens, Monastères rupestres de la vallée de Foladi, in Monuments prê- islamiques d'Afghanistan (MDAFA, XIX), Parigi 1964; Ζ. Tarzi, L'architecture et le décor rupestre des grottes de Bamiyan, 2 voll., Parigi 1977; T. Higuchi (ed.), Bamiyan, 4 voll., Kyoto 1984; M. L. Carter, Hsuan-tsang and the Colossal Buddhas at Bamiyan, in A. K. Narain (ed.), Studies in Buddhist Art of South Asia, Nuova Delhi 1985, pp. 117-125; Sh. Kuwayama, Literary Evidence for Dating the Colossi in Bamiyan, in Gh. Gnoli, L. Lanciotti (ed.), Orientalia Iosephi Tucci Memoriae Dicata, Roma 1987, pp. 703-727; D. Klimburg-Salter, Bamiyan: Recent Research, in EastWest, XXXVIII, 1988, pp. 305-312; ead., The Kingdom of Bamiyan. Buddhist Art and Culture of the Hindu Rush, Roma-Napoli 1989.
(Sh Kuwayama)