Banca centrale europea
Origini e organizzazione
La Banca centrale europea (BCE) è stata fondata nel giugno 1998 e ha assunto la piena responsabilità della politica monetaria nell'area dell'euro il 1° gennaio 1999. La sua creazione ha rappresentato un importante passo nel processo d'integrazione fra Paesi europei; l'inizio delle attività ha infatti coinciso con l'avvio della terza fase del processo di realizzazione dell'Unione monetaria europea (UME), delineato, nel 1988-89, dalla Commissione allora presieduta da J. Delors. La base legale su cui poggia la BCE è il Trattato di Maastricht del 1992, di cui lo statuto della Banca e quello del Sistema europeo delle banche centrali (SEBC) sono protocolli. Il SEBC è costituito dalle banche centrali di tutti i Paesi aderenti al Trattato e dalla BCE stessa. I tre organi direttivi della Banca sono il Consiglio direttivo, il Comitato esecutivo e il Consiglio generale. Il Consiglio direttivo, di cui fanno parte i governatori delle banche centrali dei Paesi dell'area dell'euro e i sei membri del Comitato esecutivo, individua e adotta le linee guida e le decisioni (assunte a maggioranza semplice) necessarie all'adempimento dei compiti affidati alla BCE dal Sistema europeo. Lo stesso Consiglio formula la politica monetaria per l'area dell'euro; l'attuazione di tale politica è compito del Comitato esecutivo. Il Consiglio generale, infine, è designato a svolgere compiti di coordinamento e i lavori preparatori necessari per l'ampliamento dell'area dell'euro. Le decisioni della BCE vengono assunte in completa indipendenza dalle autorità politiche nazionali e sopranazionali. La Banca ha un bilancio proprio, distinto da quello della Comunità europea, e il suo capitale è sottoscritto dalle banche centrali dei Paesi dell'area dell'euro. Essa non può effettuare prestiti ai settori pubblici dei Paesi membri. La Banca pubblica un rapporto annuale sulla politica monetaria indirizzato al Parlamento europeo, al Consiglio dell'Unione Europea, alla Commissione europea e al Consiglio europeo. T. Padoa-Schioppa (2004) e H.K. Scheller (2004) forniscono una più dettagliata disanima dell'organizzazione e delle funzioni della BCE, oltre alla ricostruzione storica del processo che ha condotto alla sua nascita.
La strategia della politica monetaria
Il Trattato sull'Unione Europea stabilisce che il compito primario del SEBC e, quindi, della BCE è quello di garantire la stabilità dei prezzi. Subordinatamente alla realizzazione del suo obiettivo primario, la BCE può contribuire alla realizzazione degli altri obiettivi della Comunità (elevata occupazione, crescita, competitività, convergenza economica fra Paesi). La sua strategia ruota intorno alla convinzione di fondo che la moneta è neutrale nel lungo periodo; ciò significa che quando l'economia abbia avuto sufficiente tempo per realizzare tutti gli aggiustamenti derivanti dall'insorgere di shock temporanei, variazioni della quantità di moneta determinano esclusivamente variazioni del livello generale dei prezzi e non variazioni reali (per es., nella produzione o nell'occupazione). Di conseguenza, pur accettando che, nel breve periodo, le decisioni assunte dalla banca centrale possano avere effetti reali, nel più lungo periodo la politica monetaria ha il compito esclusivo di garantire la stabilità dei prezzi. La BCE, basandosi su posizioni teoriche note e consolidate, considera la stabilità dei prezzi come il requisito fondamentale per il funzionamento efficiente e non distorto dell'economia. La valutazione degli effetti della politica monetaria richiede la comprensione del suo meccanismo di trasmissione, che inizia con una variazione dei tassi d'interesse ufficiali da parte della Banca centrale europea. Il sistema bancario richiede la base monetaria necessaria per far fronte alla domanda di contante da parte dell'economia, per il saldo dei conti interbancari e per il rispetto dei vincoli di riserva obbligatoria fissati dalla stessa BCE, la quale, offrendo la base monetaria in condizione di monopolio, è pienamente in grado di determinarne il tasso d'interesse, che rappresenta un costo che le banche ordinarie trasferiscono sulla propria clientela. I tassi d'interesse sul mercato monetario influenzano i tassi a più lungo termine attraverso variazioni delle aspettative sui tassi ufficiali futuri, i quali a loro volta influenzano i tassi a più lungo termine. Questi ultimi sono tuttavia soggetti a un effetto meno diretto della politica monetaria, in quanto dipendono anche dalle aspettative riguardanti la crescita di lungo periodo e l'inflazione. La politica monetaria influenza anche altre variabili; in particolare i prezzi azionari e i tassi di cambio, i quali, a loro volta, incidono su processi decisionali cruciali per l'economia (risparmi e investimenti di famiglie e imprese). I processi appena delineati hanno luogo in un intervallo di tempo lungo, pertanto, la politica monetaria incide sui prezzi con tempi relativamente lunghi. Tali processi sono inoltre caratterizzati da elevata incertezza, poiché gli eventi economici sono continuamente soggetti a shock di diversa natura. Di conseguenza, osserva la BCE, "la politica monetaria […] deve non solo tenere sotto controllo la trasmissione di cambiamenti di politica, ma anche degli altri sviluppi rilevanti per l'inflazione futura, al fine di evitare che essi abbiano un impatto sull'andamento dei prezzi e sulle aspettative nel più lungo termine che sia in contraddizione con la stabilità dei prezzi" (ECB 2004, p. 47). Sulla base di quanto detto circa il ruolo delle aspettative, la BCE considera di centrale importanza la propria capacità di influenzare le aspettative che si generano in seno all'economia. La politica monetaria è maggiormente efficace se riesce ad 'ancorare' (stabilizzare) le aspettative d'inflazione, almeno nel medio-lungo periodo. In tale ottica, la BCE ritiene che una definizione quantitativa della stabilità dei prezzi sia di grande importanza e adotta la seguente definizione: "i prezzi sono stabili se il tasso d'inflazione, nel medio termine, rimane al di sotto, ma prossimo al 2%" (ECB 2004, p. 51). La BCE basa le proprie decisioni di politica su un'analisi degli eventi economici effettuata a due livelli, noti anche come i due 'pilastri' della sua strategia. Il primo pilastro è l'analisi economica, che valuta la dinamica dei prezzi nel breve-medio termine, concentrandosi sulle attività reali e sulle condizioni finanziarie dell'economia. Nel condurre l'analisi economica, la BCE considera variabili quali ltotale, la domanda aggregata, la politica fiscale, le condizioni del mercato dei capitali e di quello del lavoro, un ampio insieme di indicatori di prezzi e costi, l'andamento del tasso di cambio, dell'economia internazionale, della bilancia dei pagamenti e dei mercati finanziari. Il principio su cui si basa l'analisi economica è che pur essendo gran parte degli shock di natura temporanea, alcuni di essi (come, per es., aumenti salariali non in linea con l'andamento della produttività) possono produrre effetti inflazionistici permanenti. Pertanto le risposte di politica monetaria debbono essere differenziate e maggiormente vigorose e decise quando si ritiene che uno shock possa produrre effetti permanenti. Il secondo pilastro è l'analisi monetaria, che riguarda un periodo temporale più ampio ed è incentrata sulla relazione di lungo periodo fra quantità di moneta e livello generale dei prezzi. L'analisi monetaria ha anche la finalità di controllare e valutare, in un'ottica di medio-lungo termine, le indicazioni di breve termine che discendono dall'analisi economica. Alla base di questa impostazione dell'analisi monetaria vi è una versione di medio-lungo termine della teoria quantitativa della moneta (ECB 2004, pp. 62-65). La BCE si pone come obiettivo il controllo dell'aggregato M3 (la somma delle banconote e monete in circolazione, e delle disponibilità detenute da residenti nell'area dell'euro sotto forma di depositi a vista, depositi con durata prestabilita fino a due anni, depositi rimborsabili con preavviso fino a tre mesi, operazioni pronti contro termine, quote e partecipazioni in fondi comuni monetari e titoli di mercato monetario, titoli di debito con scadenza fino a due anni), stabilendone il tasso di crescita compatibile con la stabilità dei prezzi nel medio periodo.
La politica monetaria fra 1999 e 2005
Durante il periodo 1999-2005, il tasso d'inflazione nell'area dell'euro (misurato dalla BCE utilizzando un indice armonizzato dei prezzi al consumo) è rimasto sostanzialmente vicino al 2%, con un picco nel periodo aprile-giugno 2001, quando raggiunse il 3,1%. La politica monetaria della BCE può essere suddivisa in tre fasi: dall'inizio del 1999 al novembre dello stesso anno; dal novembre 1999 al maggio 2001; da maggio 2001 alla prima metà del 2005. All'inizio del 1999, la Banca vide i rischi dell'eccessiva tendenza al ribasso dei prezzi e, conseguentemente, in aprile ridusse al 2,5% il tasso fisso sulle operazioni principali di rifinanziamento (operazioni di mercato aperto in cui la Banca acquista attività sulla base di un accordo di riacquisto da parte del venditore oppure presta contro un collaterale). Tuttavia, rilevando crescenti pressioni inflazionistiche, nel novembre dello stesso anno la BCE riportò il tasso al 3% (il valore iniziale del gennaio 1999). Questo fu l'inizio di un periodo abbastanza lungo di tassi d'interesse crescenti: il tasso sulle operazioni principali di rifinanziamento fu progressivamente innalzato fino a raggiungere il picco del 4,75% dall'ottobre del 2000 all'11 maggio 2001. L'11 maggio del 2001, per la prima volta, il tasso sulle principali operazioni di rifinanziamento fu ridotto di 25 punti base. Successivamente esso subì ulteriori riduzioni, raggiungendo un minimo del 2% nel giugno 2003. Il tasso rimase al 2% fino al 1° dicembre 2005, quando fu aumentato di 25 punti base, per poi essere ancora aumentato di 25 punti base il 2 marzo 2006. La BCE considera l'andamento dell'inflazione nell'area dell'euro durante il periodo della sua esistenza un sostanziale successo delle proprie politiche (ECB 2004, pp. 91-99). Alcuni osservatori, tuttavia, hanno sottolineato che il mantenimento dell'inflazione a livelli intorno al 2% può avere concorso a determinare eccessivi livelli di disoccupazione e scarsa crescita; altri hanno invece sostenuto che, in realtà, la BCE non sia sostanzialmente riuscita a mantenere l'inflazione vicina all'obiettivo prefissato, che dovrebbe essere corretto verso l'alto. (v. .).
Problemi e prospettive
Sia dal punto di vista dell'ispirazione teorica delle proprie politiche, sia dal punto di vista della propria organizzazione, la BCE è sostanzialmente allineata alle altre principali banche centrali occidentali. Tuttavia la natura sopranazionale della BCE è una caratteristica che la rende unica. Le banche centrali dei principali Paesi occidentali sono il risultato di processi economici e storici lunghi e complessi di carattere nazionale; la BCE, invece, nasce in virtù di accordi fra Paesi che non costituiscono una federazione in senso proprio. Pertanto la BCE è un'autorità di politica monetaria che non ha una corrispettiva autorità in materia di politica fiscale. I dodici Paesi dell'euro adottano una politica monetaria unica, ma non esiste una politica fiscale unica, decisa e attuata da un governo federale europeo. La politica fiscale resta essenzialmente prerogativa dei singoli governi nazionali, seppure vincolati al rispetto dei criteri di bilancio stabiliti dal Trattato di Maastricht. Anche se in gran parte degli altri Paesi vi è, dal punto di vista formale e istituzionale, la completa indipendenza della banca centrale dal governo, si hanno tuttavia frequenti contatti e consultazioni fra banca e autorità che sovrintendono alla politica fiscale per l'attuazione di un certo grado di coordinamento e di un'adeguata commistione di politiche fiscali e monetarie. Nel caso dell'area dell'euro ciò non avviene, poiché non esiste un organo collegiale rappresentativo di tutti i Paesi membri che si confronti e si consulti con la BCE in merito alle politiche fiscali e monetarie. D'altro canto, il bilancio della Comunità europea ha dimensioni troppo limitate per costituire l'adeguata controparte della politica monetaria (Padoa-Schioppa 2004, pp. 85-91). Questa asimmetria tra politica monetaria e politica fiscale suscita in diversi osservatori perplessità sull'efficacia e sull'efficienza delle politiche economiche nell'area dell'euro; perplessità che si aggiunge a quelle concernenti le difficoltà insite nel dover attuare un'unica politica monetaria in un'area caratterizzata dalla significativa eterogeneità dei Paesi aderenti. Secondo la tradizionale teoria monetaria, infatti, l'adozione di una moneta unica - e, conseguentemente, di un'unica banca centrale - è giustificata solo se l'area interessata costituisce unvalutaria ottimale. L'area dell'euro è però lontana dall'aver raggiunto un elevato grado di omogeneità fra i Paesi membri. L'ingresso di nuovi Paesi nell'Unione e la loro futura adozione dell'euro, da questo punto di vista, possono accentuare le difficoltà, poiché si tratta di realtà socio-economiche ancor più eterogenee di quanto lo siano gli attuali membri. L'Unione monetaria europea, pur cosciente di queste difficoltà, considera tuttavia la scelta dell'integrazione come un fattore di promozione e di accelerazione della convergenza fra Paesi, piuttosto che come suo semplice risultato.
bibliografia
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C. Giannini, L'età delle Banche Centrali, Bologna 2004.
T. Padoa-Schioppa, L'euro e la sua banca centrale. L'unione dopo L'Unione, Bologna 2004.
H.K. Scheller, The European central bank. History, role and functions, Frankfurt am Main 2004.