BANCA CENTRALE EUROPEA (BCE)
La BCE e la crisi. L’attività della BCE dopo la crisi
La BCE e la crisi. – Istituzione di politica monetaria dei diciannove Paesi dell’Unione Europea (UE) che, al 2015, aderiscono all’euro (Austria, Belgio, Cipro, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogal lo, Slovacchia, Slovenia, Spagna). Ha sede a Francoforte sul Meno (prima nell’edificio Eurotower del quartiere finanziario, dal 2014 nel quartiere dell’Ostend, ex mercato all’ingrosso). La sua attività è stata oggetto di crescenti critiche in relazione alle difficoltà imposte dalla crisi economica che, a partire dal 2008, ha colpito pesantemente anche i Paesi europei causando più di 26 milioni di disoccupati nell’UE (circa 19 milioni nella sola zona euro). La BCE, che insieme al Fondo monetario internazionale e alla Commissione europea costituisce la cosiddetta troika (termine traslato dal cosiddetto triumvirato del governo degli Stati comunisti, composto dai capi del Partito, del Governo e dello Stato), è stata infatti ritenuta responsabile di non aver dato prontamente risposte adeguate all’entità della crisi. Di fatto, la lentezza con cui la BCE ha effettuato interventi di sostegno all’economia è stata causata da fattori che includono, fra l’altro, tanto le sue stesse funzioni istituzionali, quanto l’incompiutezza della costruzione dell’UE, caratterizzata da una parziale unione monetaria, ma dall’assenza di un’unione politica federale e di un adeguato bilancio comune. Obiettivo istituzionale della BCE è quello del mantenimento della stabilità dei prezzi e del potere d’acquisto nell’area dell’euro che, soltanto indirettamente, influisce sugli aggiustamenti delle altre determinanti economiche reali (produzione e occupazione) e tecnicamente la BCE lo ha conseguito correttamente mantenendo l’inflazione intorno al 2%.
L’attività della BCE dopo la crisi. – La drammaticità della crisi economica ha spinto verso un nuovo corso più interventista con l’insediamento alla presidenza della BCE dell’italiano Mario Draghi, succeduto al francese Jean-Claude Trichet dal 1º novembre 2011. A partire da questa data, applicando una nuova strategia (un mix tra l’impostazione del monetary targeting, controllo dell’inflazione e dell’attività economica attraverso il tasso di crescita degli aggregati monetari, e dell’inflation targeting, controllo di un certo range di inflazione indipendentemente dagli strumenti utilizzati), la BCE ha cominciato a utilizzare gli strumenti operativi a sua disposizione che includono: operazioni di mercato aperto (acquisto o vendita di titoli in genere a pronti contro termine), operazioni su iniziativa delle controparti (come rifinanziamento marginale e deposito marginale che definiscono il corridoio in cui si muove il livello dei tassi interbancari), modifiche del coefficiente di riserva obbligatorio (percentuale dei depositi di titoli di debito e titoli del mercato monetario con scadenza inferiore ai due anni che le banche devono depositare presso la Banca centrale). Con l’esplicito obiettivo di controllare il rischio di credit crunch (totale stretta del credito a danno di investitori e famiglie), le pressioni contro l’euro, la forte oscillazione degli spread e l’instabilità dei mercati, già dal mese di dicembre 2011, la BCE è intervenuta mediante stanziamento di fondi, con scadenza a 36 mesi, anziché una settimana, tramite aste a tasso fisso e a piena aggiudicazione; operazioni di rifinanziamento (dic. 2011-febbr. 2012) a lungo termine (LTRO, Long Term Refinancing Operation); riduzione temporanea, dal 2 all’1%, del coefficiente di riserva obbligatoria; annuncio di operazioni monetarie dirette (OMT, Outright Monetary Transactions). Tali interventi, seppur nel complesso consistenti, non si sono rivelati in grado di far confluire all’economia reale la liquidità dalle banche (che l’hanno utilizzata piuttosto per lucrare sull’acquisto dei titoli di Stato). La presidenza BCE ha conseguentemente avviato un piano di Quantitative easing (QE, alleggerimento quantitativo), il cui funzionamento è sinteticamente il seguente. Per avere liquidità, gli Stati emettono titoli, acquistati da imprese, cittadini, banche, che fruttano un certo interesse e il cui valore viene restituito a una data scadenza. I detentori dei titoli possono però scambiarli sul mercato prima della scadenza vendendoli soprattutto alle banche che, in tal modo, immobilizzano liquidità per l’acquisto di titoli (con interesse sicuro) senza concederla in prestito. Per sostenere la ripresa dell’economia una banca centrale può quindi proporre alle banche di ricomprare i titoli, a condizioni favorevoli, fornendo in cambio denaro da rimettere in circolazione attraverso il sistema dei prestiti. L’impatto può essere quello di svalutare il valore della moneta (favorendo le esportazioni, ma anche l’aumento del costo delle materie prime importate), di incrementa re spesa pubblica e domanda complessiva e quindi i prezzi (situazione non preoccupante in fasi fortemente recessive), di ridurre il tasso di interesse sui titoli di nuova emissione e su quelli a tasso variabile (contraendo il debito pubblico).
La manovra di QE è stata avviata nel mese di gennaio 2015 attraverso un ampio piano di acquisto di titoli, tra cui titoli di Stato (sulla base della quota dei vari Paesi nel capitale della BCE), subordinato all’impegno nella realizzazione di riforme nazionali strutturali (che riducano il debito pubblico e gli aspetti improduttivi della spesa pubblica). La scadenza dei titoli da comprare varia dai 2 ai 30 anni (bond a breve, a medio e a lungo termine). L’ingente manovra (che punta ad abbattere il cambio dell’euro contro il dollaro fino a 1-1,1), resa ancora più complessa dalle differenze fra i diciannove Stati coinvolti, prevede acquisti fino a settembre 2016 per un valore di 60 miliardi di euro al mese, realizzati secondo un criterio di condivisione del rischio: soltanto il 20% del rischio resterà a carico della BCE, mentre il rimanente sarà a carico delle banche centrali. In tal modo si è sancito per la BCE un ruolo con effetti non più soltanto monetari, ma anche redistributivi e reali.