Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La moneta è sempre stato uno strumento economico per alimentare la civiltà degli scambi e la circolazione delle merci. Nella storia dell’Europa moneta e produzione sono state sempre più legate fra loro dando vita a quella che viene definita un’economia monetaria di produzione. La nascita delle banche e di un capitalismo di stampo anglosassone, opposto a quello renano di tradizione europea, determinano importanti sviluppi sui sistemi monetari mondiali.
Verso l’economia monetaria di produzione in Europa
Nel XX secolo le nazioni europee ripropongono, al loro interno, un esperimento singolare in materia monetaria. Cercano di ripristinare nel sistema monetario internazionale la parità aurea tra le singole valute, espresse nella moneta legale delle singole nazioni: applicano il sistema del gold standard che aveva retto le sorti dell’economia del Vecchio continente per quasi un secolo, dalla conclusione delle guerre napoleoniche. Uno standard monetario affidabile, in presenza di una pluralità estrema di valute nazionali, è necessario se si vuole dare un contesto di stabilità ai cambi reciproci tra le singole valute e, per questa strada, rendere possibile una ordinata espansione del commercio internazionale. Tornare a un regime aureo delle monete, tuttavia, comporta un’estrema rigidità nella gestione della politica monetaria, privando i governi nazionali di un importante strumento per il controllo dei cicli economici e per la promozione dello sviluppo economico.
I pericoli di questa scelta diventano evidenti quando, negli anni Trenta, la grande depressione, che si propaga ai Paesi industriali tutti, partendo dall’economia degli Stati Uniti d’America, contagia l’economia delle nazioni europee. Il clima di incertezza in cui si propagano gli effetti di quella crisi è reso ancora più pericoloso da due circostanze. Le tensioni sociali che si allargano nelle singole nazioni, alimentando il conflitto tra imprenditori e lavoratori salariati, vengono esasperate dalla competizione che è iniziata con la comparsa di un Paese, la Russia, che ha scelto un ordinamento socialista della propria economia, e gli Stati liberali Europei che rimangono ancorati al paradigma dell’economia di mercato e a una politica di laissez-faire marcatamente liberista. Il conflitto tra le potenze europee, d’altra parte, che ha dato origine alla prima guerra mondiale non si è concluso al termine della guerra medesima. Rimangono, in un clima di acceso mercantilismo, cioè di competizione commerciale tra le grandi imprese delle singole nazioni, ragioni di tensione reciproca, che sono alimentate dalla diffusione di ambizioni egemoniche e di espansione imperiale, che in alcuni dei grandi Paesi europei non tardano a manifestarsi.
Il combinarsi di queste tre circostanze – il riflesso depressivo della crisi americana, una politica economica liberista e una politica monetaria implicitamente restrittiva – congiurano in direzione di un vero e proprio ripiegamento, a partire dagli anni Trenta, verso forme di intervento diretto dello Stato nel controllo della produzione economica nazionale che, a loro volta, creano progressivamente, le condizioni per accentrare nelle mani dei governi la forza di indirizzare l’industria pesante verso il riarmo e la successiva esplosione del secondo conflitto mondiale.
Alcune nazioni europee, insomma, dagli anni Trenta in avanti perseguono progetti singolarmente espansivi ai danni delle nazioni vicine: sia sotto il profilo economico che da un punto di vista strettamente politico. Mentre, nel decennio precedente, che faceva seguito al primo conflitto mondiale, avevano nutrito un’eccessiva fiducia nelle virtù del mercantilismo e della libera circolazione delle merci, trascurando l’esigenza di governare la moneta e le sue delicate influenze sui fenomeni della produzione e dello scambio che alimentavano la vita dei mercati.
La moneta è sempre stato uno strumento economico per alimentare la civiltà degli scambi e la circolazione delle merci. Essa ha avuto origini remote ma la natura e le funzioni di questo strumento sono nel XX secolo, e sono ancora oggi, quelle che ne hanno determinato la comparsa. La moneta, per essere tale, deve svolgere tre funzioni: deve essere l’equivalente generale degli scambi; deve essere capace di conservare nel tempo il suo valore, cioè deve essere stabile il suo potere di acquistare merci nel tempo, perché gli individui devono poterla utilizzare per conservare la propria ricchezza senza investire necessariamente in beni reali: questa caratteristica ci permette di dire che la ricchezza monetaria è liquida, rifluisce nel sistema in ogni momento; deve essere il metro con cui si misura il valore di tutte le merci nel mercato che accetta quella moneta come equivalente generale degli scambi.
Queste tre caratteristiche funzionali sono legate tra loro. Se la moneta non fosse l’equivalente generale degli scambi non potrebbe essere il metro condiviso del valore delle merci. Entrambe queste due funzioni, se la moneta non mantiene nel tempo la propria capacità di acquisto, vengono meno. Per esistere nella sua forma attuale la moneta, come il mercato, richiede che esistano anche istituzioni: regole e organizzazioni, che offrano agli individui la possibilità di scambiare e di produrre merci e servizi. Ogni merce, e ogni servizio, infatti, per poter essere scambiato deve essere scarso e utile, contemporaneamente. Merci e servizi devono anche essere appropriabili; perché ogni individuo può cedere a un altro il diritto di utilizzare una merce o un servizio solo se vanta quel diritto. Lo scambio presuppone l’esistenza del diritto di proprietà, di una regola (la legge) e di un’organizzazione che ne difende l’applicazione (un tribunale, ovvero una corte di giustizia). Infine, se esistono e sono tutelati i diritti di proprietà e le forme basiche del contratto di compravendita, si manifesta la possibilità di produrre merci e servizi non solo per utilizzarne le qualità ma per cedere gli stessi attraverso lo scambio. Nasce da questa opportunità la produzione di merci mediante tecnologie che ne riducono progressivamente i costi e ne alimentano la diffusione in una platea crescente di consumatori che trae il proprio reddito proprio dalla partecipazione attiva nelle grandi organizzazioni, le imprese, che rappresentano i protagonisti di questa evoluzione del capitalismo commerciale nella forma della moderna manifattura.
La moneta veniva offerta alla comunità di riferimento dalle istituzioni che detenevano il potere di governarle. Le prime monete, quelle metalliche, recavano su una faccia l’immagine del sovrano e sull’altra quella della ricchezza. La moneta si presenta sulla scena economica, quindi e alle sue origini, con un valore intrinseco: viene realizzata utilizzando metalli pregiati come l’oro e l’argento. La Bibbia afferma che l’argento (in questo caso considerato come la metafora della moneta) compra l’oro (considerato, invece, la metafora della ricchezza) ma che non sempre si può rivendere l’oro al medesimo prezzo al quale è stato comprato. Il prezzo è la quantità di moneta che bisogna utilizzare per avere una unità della merce o del servizio da acquistare o vendere. Questo genere di prezzo viene definito, nella teoria economica, un prezzo assoluto. Il prezzo relativo, invece, è quello che si esprime confrontando tra loro due merci, senza ricorrere alla moneta.
Una simile economia, nella quale la moneta e la produzione si tengono reciprocamente attraverso la scambio, si chiama economia monetaria di produzione. Essa si è sviluppata progressivamente in Europa, nel trapasso tra il Medioevo e il Rinascimento, e si è progressivamente consolidata con le grandi rivoluzioni tecnologiche, che hanno eccitato la capacità produttiva delle imprese e indotto una radicale trasformazione della organizzazione del lavoro dalle forme artigianali a quelle della moderna manifattura. La moneta legale, cioè lo strumento che nasce con l’affermazione degli Stati sovrani, non ha bisogno di avere un valore intrinseco: come le prime monete coniate in argento o in altri metalli pregiati. Quelle monete erano facili da trasportare perché erano relativamente piccole, rispetto al valore che rappresentavano, ma difficili da riconoscere perché non era sempre chiaro quanto fosse pura la lega con cui venivano fuse. Se l’istituzione che rappresenta il potere in una comunità certifica il valore della moneta, assumendo su di sé la responsabilità della sua consistenza, la moneta assume la sua forma definitiva e non richiede di essere costruita con un materiale dal valore intrinseco. Le prime monete metalliche erano un segno di debito del sovrano, che ne rispondeva verso chiunque le utilizzasse. Ovviamente esse si potevano utilizzare per liberarsi dai propri debiti. La moneta era e resta, ancora oggi, il principale e il migliore strumento di debito.
La nascita delle banche determina ulteriori sviluppi dei sistemi monetari. Alle monete metalliche si affiancano certificati cartacei che possono dimostrare il credito di un individuo verso il banchiere. Un credito che deriva dal fatto che egli ha depositato in quella banca le monete metalliche che erano parte del suo patrimonio. La parte monetaria di un patrimonio si definisce come “liquida” mentre ogni altra componente del patrimonio, da una cambiale rilasciata da un debitore a un immobile, si dice “liquidabile”, ed è tanto più liquidabile quanto minori sono i costi e le formalità necessarie per trasformarla in moneta legale, cioè cederla sul mercato. Il certificato con il quale un banchiere riconosce di avere un debito nei confronti di una persona è tanto più liquidabile quanto maggiore è la reputazione del banchiere che lo ha rilasciato. Quel certificato diventa, con lo sviluppo delle relazioni tra banche, mercanti e cittadini, una banconota: la parola nasce dalla lingua inglese, nella quale note significa “cambiale”, promessa di pagamento. La banconota è la promessa di pagamento, che verrà convertita a semplice sua presentazione in moneta metallica, e che un banchiere ha rilasciato al suo cliente. L’assegno circolare rappresenta una traccia di questa natura monetaria dei depositi mentre la carta di credito è la sua evoluzione tecnologica. Se esiste un banchiere che finanzia il sovrano, inoltre, le banconote che egli rilascia nel sistema, essendo un credito verso il banchiere che è in credito con il sovrano, dovrebbero avere lo stesso valore del debito del sovrano che era rappresentato dalle monete metalliche. Le banconote sono effettivamente liquide come la moneta.
Capitalismo renano e capitalismo americano
La banca e la moneta contemporanee nascono nell’Italia delle repubbliche marinare, migrano verso i Paesi Bassi e l’Inghilterra e danno corso alla nascita, in quel Paese, della prima banca centrale. Migrano, infine, nel Novecento, verso gli Stati Uniti. Si afferma, nel XX secolo, una tecnologia della moneta, degli affari e della finanza che ha avuto origine nell’ambito della common law, che, a sua volta, nasce dal diritto comune dell’impero romano. Questo insieme di regole si rivela nettamente superiore per governare la dinamica della civiltà degli scambi rispetto ai sistemi alternativi europei che si fondano su parlamenti legiferanti. Nasce e si consolida, insomma, nel corso del secolo, la differenza tra un capitalismo renano di stampo continentale e un capitalismo fondato sulla common law che si espanderà progressivamente negli Stati Uniti e, successivamente, nel mondo intero. Il capitalismo renano mantiene i tratti di una maggiore invasività dello Stato nelle decisioni degli attori economici: imprese e consumatori.
L’invasività si giustifica in ragione di una maggiore efficienza che si intende realizzare nella distribuzione del benessere derivante dalla espansione della ricchezza. L’attenzione ai temi della distribuzione del reddito deriva dalla radice che un simile approccio al governo dell’economia trae dalle monarchie illuminate che hanno dato vita ai grandi imperi europei. Per identificare ancor meglio questa finalità di ordine sociale il capitalismo renano viene anche considerato un sistema orientato ai bisogni degli stakeholders, i portatori di interessi diffusi, mentre quello anglosassone viene definito un capitalismo governato dagli interessi degli shareholders, gli azionisti delle grandi società anonime.
Un’altra importante differenza tra i due capitalismi si può leggere nel rapporto che si crea tra le banche e le imprese. Nel Novecento le banche europee tendono a intrecciare stretti legami con i gruppi dirigenti delle imprese industriali e realizzano importanti investimenti nel capitale sociale di quelle medesime imprese industriali. Questo determina un legame tanto stretto che, nel corso della crisi degli anni Trenta, i problemi delle imprese finiscono per generare problemi nella gestione delle banche e si trasferiscono, come in una grande processo di metastasi, fino alla solidità delle banche centrali: le banche delle banche.
La crescita delle imprese americane si fonda su una distinzione di ruoli tra i mercati finanziari, in cui le imprese si provvedono di capitale attraverso il ricorso al risparmio degli azionisti e le banche agiscono piuttosto sui cicli commerciali della vita aziendale e sulla gestione dei trasferimenti di fondi tra gli attori del sistema. Il capitalismo renano si fonda sulla stretta relazione tra banche e imprese, quello anglosassone si sviluppa grazie alla diffusione di relazioni di mercato sia sul mercato delle merci, come accade anche nelle economie renane, ma anche nei mercati dei capitali, con un’attenzione particolare ai mercati internazionali dei capitali, nei quali le banche inglesi detengono ancora oggi primati importanti di competenza e di dimensione.