BANCA, - Le banche nell'antichità
Nel mondo antico banche (τράπεζαι) e magazzini (ϑησπεζαι) nei quali sono depositate prevalentemente merci fungibili, non deperibili, hanno molti caratteri in comune; quindi vanno trattati insieme.
Banche dell'antico Oriente. - Nella civiltà babilonese-assira esistevano tesori sotterranei come quelli descritti da Erodoto (II, 250) a Ninive al tempo di Sardanapalo. I tesori che appartengono al re o ai templi sono piuttosto casse che banche e come tali sono amministrati da funzionarî del re o dei templi fra i quali primeggiano per importanza gli scribi. I tesori, pur continuando ad essere casse dello stato o del tempio, diventano ben presto luoghi di deposito di oggetti varî, metalli preziosi, cereali, suppellettili, ecc., che i privati non sempre possono custodire nelle loro casupole. Così il tempio di Šamaš a Sippar e il palazzo reale (magazzino ieale) diventano grandi centri d'affari.
Le banche babilonesi ricevono depositi regolari ed irregolari, gratuiti ed onerosi, e si servono dei depositi dei loro clienti per fare mutui sia di denaro, rappresentato da metalli preziosi pesati, sia di grano, di lana, ecc. I contratti delle banche sono sempre per iscritto. I documenti di deposito rilasciati dalle banche sono muniti spesso della cosiddetta clausola al portatore, la quale però non è tecnicamente così elaborata come quella che si trova nei documenti greci, greco-egizî e latini dell'alto Medioevo. Nell'antica Babilonia le banche sono semplicemente organi dell'ammimstrazione: nell'età neo-babilonese per contro si fa strada l'iniziativa privata: non è un puro caso se un gruppo notevole di documenti relativi alle banche proviene da una famiglia di banchieri. In quest'età la vita commerciale diviene più attiva: il deposito irregolare diventa sempre più frequente, i documenti di credito assumono un carattere sempre più astratto, la quietanza della banca e il sigillo del depositante permettono senz'altro di prelevare il deposito. Tra i banchieri troviamo anche uomini d'affari che investono i loro capitali nei modi più disparati. Il banchiere babilonese gestisce i suoi affari servendosi di schiavi.
Banche presso gli Ebrei. - Nel Vecchio Testamento si menzionano tesori tanto presso i templi quanto presso il palazzo reale, ma, sebbene si abbiano scarse notizie sul funzionamento dei tesori e dei magazzini degli Ebrei, fortemente influenzati da quelli babilonesi, è certo che il sistema bancario degli Ebrei, nell'antichità, non ha avuto uno sviluppo nemmeno lontanamente paragonabile a quello di Babilonia.
La banca greca. - Come quasi tutte le altre istituzioni commerciali, le banche e i magazzini greci debbono molto ai modelli dell'Oriente. Nei paesi che hanno servito di collegamento fra le civiltà orientali e quella greca troviamo tesori come a Boǧazköy nel regno degli Hittiti, nei palazzi di Cnosso e Festo a Creta, e a Tirinto nella Grecia micenea. Nei poemi omerici sono frequenti gli accenni ai tesori dei principi; piccoli tesori di signorotti feudali, non paragonabili in nessun modo a quelli dei re dell'Oriente. Per quanto la Grecia sia stata il primo paese che abbia fatto uso della moneta coniata, la banca uell'Ellade non ha avuto uno sviluppo paragonabile a quello delle banche dell'Oriente e delle banche ellenistiche per la scarsa ricchezza delle città-stato greche e per la mancanza di sicurezza dovuta alle condizioni politiche delle città. Per mettere al riparo le ricchezze dalle vicende fortunose della politica, gli stati greci istituiscono i loro tesori nei templi sotto la protezione della divinità che conferisce l'asiha alle cose come alle persone. Nei templi in origine si custodivano i doni degli stati alle divinità, poi i beni delle città. Il tempio che custodiva il più antico tesoro greco di cui si abbia notizia è l'Artemisio in Efeso. Anche la cassa delle leghe greche è depositata in un tempio: quella della lega attica prima di essere posta nell'Acropoli sotto la tutela di Atena era custodita a Delo, quella della lega lacedemone si trovava a Delfi. Anche i privati sono ammessi a fare depositi nei templi.
Accanto alle banche dei templi, alcune delle quali, come quelle di Delo, raggiungono il loro maggiore sviluppo nell'età ellenistica, esistono banche private. Ma il tipo di banchiere ateniese del periodo classico è il piccolo banchiere come Pasione, che lavora con fondi proprî e dei suoi clienti e che, se si avventura a far prestiti marittimi, pur non rifugge da piccoli mutui su pegno e da investimento dei suoi capitali in imprese industriali. Nella Grecia prima dell'età ellenistica le somme sono depositate e ritirate davanti a testimoni, i contratti per lo più sono verbali. Le operazioni però sono registrate dal trapezita nel suo libro (γραμματεῖον). Prima dell'età ellenistica non troviamo in Grecia tracce di conti correnti, né di partite di giro. Nei trasferimenti di depositi a terzi questi si legittimano con un segno di riconoscimento (σύμβολον), per lo più un anello col quale il deposito era sigillato. A volte chi ritira il deposito si fa legittimare da un terzo, di solito un πρόξενος suo compatriota, ma residente nella città del depositario. All'atto di deposito assistono due testimoni. Il πρόξενος ha diritto d'ispezionare i libri dei banchieri depositarî. I documenti coi quali si è costituito il deposito devono esser mostrati quando si vuole ritirare il deposito.
L'attrezzatura delle banche è diversa a seconda del loro carattere. In origine le banche erano costituite da un tavolo dietro il quale sedeva il banchiere. Poi le banche diventano edifici saldamente costruiti per tutelare i depositi che erano conservati in vasi, in casse, in borse sigillate, ecc. Alcune banche assumono le funzioni di cambia-valute. Questa funzione in varî luoghi e in varie età è monopolizzata dallo stato che dà le banche in appalto.
Di frequente le banche prendono l'appellativo di δημόσιαι τράπεζαι. Si dubita se si tratti di casse dello stato o di banche dello stato. Casse e banche dello stato sono strettamente connesse, tanto è vero che in varî stati greci il soprintendente alla pubblica finanza si chiamava τραπεζίτης. La δημοσία τράπρζα di Atene era una banca privata che sbrigava i servizî connessi con l'amministrazione finanziaria dello stato. La bauca ellenistica poi assume forme assai diverse nei varî paesi. La banca di Delo, che fa mutui già nel sec. V, diventa uno dei maggiori centri del movimento dei capitali greci nell'età ellenistica. In quest'età i capitali della banca di Delo dovevano affluire da Roma e dall'Oriente.
Le banche si servono del denaro depositato per fare prestiti a stati, a cittadini e a stranieri. A Delo dal sec. III però non figurano come mutuatarî che il comune e gli abitanti di Delo. I mutui, di solito mutui di consumo, sono garantiti per lo più da ipoteca e da garanzie personali. Il tasso d'interesse della banca di Delo è di solito del 10%, che può esser considerato come un tasso d'interesse medio nella Grecia dell'età ellenistica. È vero che nel sec. IV in Atene è frequente nelle banche ateniesi il prestito marittimo a un tasso di interesse assai elevato; ma v'è implicito anche il premio per i rischi della navigazione. Si noti che, a differenza della Grecia, in Roma i prestiti di denaro non passano di regola attraverso le banche, ma sono fatti da capitalisti privati (feneratores), molti dei quali investono i loro capitali nella provincia. I titolari di banche private della Grecia ellenistica vengono infatti dall'oriente e dai paesi della Magna Grecia. Quanto al meccanismo della banca di Apollo, le iscrizioni di Delo non ci dànno elementi sufficienti per ricostruirlo, ma è presumibile che il meccanismo delle operazioni di credito fosse analogo a quello greco-egizio.
Le banche nell'Egitto, sono un istituto ellenico, perché prima di Alessandro l'Egitto non conosceva la moneta e si serviva come mezzo di scambio di metalli pesati e di cereali; tuttavia le banche e i ϑησαυροί greco-egizî conservano non pochi dei loro caratteri orientali. In Egitto i cereali, e il grano in particolare, fungono da surrogati della moneta per il pagamento dei canoni dei terreni e di gran parte delle imposte fondiarie, sicché i magazzini (ϑησαυροί) fungono spesso da vere e proprie banche. I grani depositati erano distinti solo per qualità, onde il depositante poteva ritirare col certificato di deposito la quantità e la qualità di grani depositata. Il deposito (παρακαταϑήκη, depositum) può essere regolare o irregolare. Il deponente ha un'azione contro il depositario inadempiente (δίκη παρακαταϑήκης). Il deposito è tutelato dai παρακαταϑήκης υόμοι. Le banche e i ϑησαυροί servono come intermediarî per i pagamenti di un certo rilievo. L'uso corrente delle banche e dei magazzini per i depositi e l'istituto delle girate di banca permettevano al denaro e ai cereali di circolare senza un trasporto materiale della merce. Chi deposita una determinata quantità di cereali riceve una fede di deposito che ha facoltà di trasferire ad un terzo creditore. Il magazzino toglieva dal conto corrente del depositante la partita destinata al terzo e l'annotava nel conto del terzo. Questi rilasciava allora al debitore un documento nel quale si certificava che il giro era compiuto. Tali partite di giro si estendevano non solo ai clienti di uno stesso magazzino, ma ai magazzini dei varî luoghi. Questo sistema di pagamento si estende anche alle banche. Nell'Egitto ellenistico e romano il sistema delle girate di banche tanto nei magazzini quanto nelle banche vere e proprie è diffusissimo e più usuale di quello per mezzo di documemi analoghi allo chèque. Viene meno solo nell'età bizantina.
I pagamenti in denaro delle banche si effettuano per mezzo di διαγραϕαὶ τραπέζης, che servono a indicare l'operazione di trasferimento nei libri del banchiere. Questi libri dei banchieri greci prendono il nome di τραπεζιτικὰ γράμματα, ὑπομνήματα, ἐϕημερίδες; non sappiamo però quali siano le loro funzioni specifiche. I banchieri scrivono entrate e uscite separatamente. Il cliente del banchiere che vuole effettuare un pagamento ad un terzo prelevando il deposito riceve dal banchiere un documento, che prende il nome di διαγραϕή. Per intendere il significato di questa parola dobbiamo premettere che il banchiere procede alle registrazioni nei suoi libri in tre colonne distinte. Egli annota nella prima colonna il nome del depositante e l'ammontare della somma (γεγραμμένον), nella seconda il nome di colui che deve ricevere il pagamento (παραγεγραμμένον), nella terza la legittimazione dell'accipiente (προσγεγραμμένον). La registrazione della seconda colonna, la παραγραϕή, contiene l'ordine di pagamento che, una volta effettuato, annulla la registrazione della prima colonna. Quando il banchiere ha dato seguito all'ordine di pagamento tira una linea sulla registrazione. Quest'operazione si chiama διαγράϕειν. L'ordine di pagamento è indicato col verbo παραγράϕειν. Il pagamento effettivo predisposto con la παραγραϕή prende il nome di διαγραϕή, praescriptio in Plauto e in Cicerone.
Non sappiamo come fossero tenuti i libri dei magazzini in altri paesi all'infuori dell'Egitto, dove i libri dei ϑησαυροί sorio costituiti: a) dal libro giornale; b) dal libro di controllo. Nel giornale dove sono registrate separatamente e in ordine cronologico entrate ed uscite, giorno per giorno si tiene il conto del magazzino. Il libro dei conti è un estratto del giornale dove si ordinano entrate e uscite intestate ai nomi delle persone. La tenuta dei libri dei singoli magazzini è poi controllata da una camera di conti che risiede uella metropoli del distretto (nomo).
Le varie banche e i varî ϑησαυροί greco-egizî si possono considerare come filiali decentralizzate di una grande banca o di un gran ϑησαυρός di stato. La loro organizzazione permette un sistema di circolazione del denaro basato sulle partite di giro. Tuttavia la banca in Egitto era oggetto di un vero monopolio di stato probabilmente solo per la parte che si riferisce al cambio delle monete, come risulta dalle leggi sulle imposte di Tolomeo Filadelfo. Questo monopolio è abolito nell'età imperiale durante la quale le banche acquistano maggior diffusione. Esiste pertanto una distinzione fra δημόσιαι e ἰδιωτικαὶ τράπεζαι, ma è difficile riconoscere nei documenti quali siano le banche pubbliche e quali le private. La banca divenire anche organo notarile. Anzi in Egitto è un vero e proprio ufficio notarile.
La banca a Roma. - La banca a Roma, dove ne è attestata l'esistenza nel 310 da Livio (IX, 40, 16), deriva dalle colonie dell'Italia meridionale e della Sicilia. A Roma repubblicana le tabernae argentariae si trovavano nella parte meridionale del Foro, mentre più tardi si estendono anche a quella settentrionale e durante l'impero s'impiantano nei varî quartieri. Anche in Roma lo stato compie negozî di carattere bancario, l'erario dello stato fa affari, un collegio di funzionarî, i viri mensarii, dà e riceve a prestito denari dai cittadini. Inoltre lo stato conserva una specie di controllo sulle banche, ma non esiste un monopolio bancario. Nel sec. I a. C. Roma diventa il centro del movimento del denaro nel mondo classico, ma si può dire che, specialmente in Oriente e in Grecia, tutte le città importanti dell'orbe romano possiedono una banca (τράπεζα, mensa) propria. Più tardi, nel sec. III d. C., l'organizzazione delle banche subisce un profondo mutamento a causa della svalutazione della moneta imperiale.
Le funzioni della banca a Roma sono limitate agli affari bancarî, sono quindi più specializzate che nei paesi di cultura ellenistica. Il banchiere, che non di rado è un senatore o un cavaliere, si chiama argentarius. Egli può avere alle sue dipendenze procuratori (institores), nummularii che saggiano le monete, cassieri (mensarii), addetti alla riscossione (coactores). Questi dipendenti sono per lo più liberti o schiavi.
Anche a Roma il banchiere divenne un intermediario dei pagamenti: i suoi libri diventano mezzi di prova nei processi e fan prova davanti ai tribunali dove il banchiere era tenuto a produrli. I libri dei banchieri romani non differiscono sostanzialmente dai libri dei conti del pater familias romano, per quanto le istituzioni bancarie romane siano fortemente influenzate da quelle elleniche. I libri dei banchieri romani erano di tre sorta: a) il libro-giornale (adversarium); b) il codex rationum; c) il codex accepti et expensi. Le entrate e le uscite registrate giorno per giorno nel libro giornale, adversarium o ἐϕημερίς, erano trascritte mensilmente nei codices di cui uno è il codex rationum, il libro di conto corrente dei banchieri, nel quale ogni cliente figura col dare e l'avere, l'altro è il codex accepti et expensi. La trascrizione di un credito (nomen) nella rubrica dell'expensum operato dal creditore col consenso del debitore e dichiarante che tale somma era stata versata (expensilatio), costituiva il nomen transcripticium che è il contratto letterale classico. L'expensilatio a persona ad personam non è accessibile ai peregrini, mentre i giuristi classici disputano se lo sia quella are ad personam.
Il cliente effettua i pagamenti per mezzo di ordini impartiti al suo banchiere (pecuniam relegare o delegare ab argentano), tanto a voce quanto per iscritto. Per pagamenti da effettuare in città lontane dalla sede della banca, il banchiere poteva delegare un suo corrispondente nell'altra città. In Occidente le banche finiscono con lo sparire prima ancora della caduta dell'Impero romano, mentre in Oriente fioriscono anche nell'età bizantina.
Nell'età costantiniana, i banchieri non si distinguono più in argentarii e nummularii, ma si chiamano tutti collectarii. Le banche nell'età bizantina hanno per compito fondamentale il cambio del solido in moneta divisionale (κέρμα), il cui corso è variabile e rimane tale nonostante gli sforzi dello stato per stabilizzarlo.
A Costantinopoli i banchieri (ἀργυροπρᾶται) costituiscono una corporazione coattiva ereditaria.
Bibl.: Oriente: Kohler-Peiser-Ungnad, Hammurabis' Gesetz, I-IV, 1904, segg.; M. Schorr, Urkunden d. altbabyl. Zivil-u. Prozessrechts, Lipsia 1913 (Vorderasiatische Bibliothek, V). - Grecia: Hasebroek, in Hermes, LV (1920), p. 113 segg.; id., in Klio, XVIII (1923), p. 375 segg.; id., Staat und Handel im alten Griechenland, Tubinga 1928, p. 89 segg. - Egitto ellenistico e romano: L. Mitteis, Trapezitika, in Zeitschrift d. Savigny-Stifgung, XIX, p. 1 segg.; E. Preisigke, Girowesen im griech. Ägypten, Strasburgo 1910; P. M. Meyer, Juristische Papyri, Berlino 1920, p. 93 segg. - Roma: M. Voigt, in Abh. d. Sachs. Ak. d. Wissensch., X (1888), p. 515 segg.; E. De Ruggiero, in Diz. Epigrafico, I, p. 659 segg.; R. Beigel, Rechnungswesen und Buchführung der Römer, Karlsruhe 1904, p. 206 segg. - Per una trattazione complessiva: B. Laum, s. v. Banken, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl, Suppl. IV, col. 68 segg.; id., Banken in der Volkswirtschaft (Altertum), in Handwörterbuch der Staatswissenschaften, II, p. 165 segg.
Le banche dal medioevo ai giorni nostri.
1. L'attività bancaria fino al sec. XVI - Nel Medioevo e nei primi secoli dell'età moderna le due funzioni che oggi spettano alle banche, come organi della circolazione e come mediatrici del credito, erano esercitate da persone o da enti diversi. Le operazioni di prestito, che non sono mancate nemmeno nell'alto Medioevo, in un periodo cioè di economia prevalentemente naturale, erano in gran parte esercitate da prestatori d'occasione, principi, ecclesiastici, monasteri, città, e soprattutto da mercanti, che finirono anzi, fra il Duecento e il Cinquecento, per monopolizzare i grandi affari di credito e diventare in alcuni casi potentissimi finanzieri, come i Fugger di Augusta, ma accompagnarono sempre alla loro attività di banchieri quella di mercanti e spesso anche quella di armatori e d'industriali.
Soli professionisti del credito erano piccoli gruppi di stranieri, ebrei, italiani, caorsini, sparsi nelle città della Francia, dei Paesi Bassi, dell'Inghilterra, delle provincie renane, dov'essi ottennero il privilegio di aprire dei banchi o tavole di prestiti, limitando però la loro attività al piccolo credito e non disponendo per questo che del proprio capitale e delle somme affidate ad essi da soci temporanei in partecipazione. Solo eccezionalmente, e non mai nel caso degli Ebrei, questi piccoli banchi privati unirono all'attività creditizia anche quella delle riscossioni o dei pagamenti per conto di terzi, o dell'accettazione di cambiali di loro corrispondenti di altre città.
Del tutto distinta dall'attività dei grandi mercanti-banchieri e anche, nel maggior numero dei casi, da quella dei piccoli prestatori di professione, è quella dei cambiatori, nei quali appunto si devono vedere i precursori delle banche pubbliche dei secoli XVI-XVII. Sull'esempio dell'Italia, anche nel Belgio e in altre regioni dell'Europa occidentale l'esercizio del cambio, almeno dopo il sec. XIII, fu riservato ai cittadini, disciplinato da leggi e da statuti e sottoposto alla vigilanza dei poteri pubblici; ed esso comprese non solo il cambio manuale delle monete, ma il commercio sempre più attivo e lucroso delle lettere di cambio, e in molti casi operazioni di deposito e giro. Nelle città fiamminghe l'esercizio del cambio, che almeno nei primi tempi era compreso nei privilegi concessi ai Lombardi, finì in realtà per separarsene molto presto e per essere assegnato in ogni città, con diritto di monopolio, a persone e famiglie del luogo, le quali molto spesso ebbero nello stesso tempo l'ufficio di cambio e l'appalto della zecca. Anche per questa ragione gli uffici di cambio si guadagnarono la fiducia dei privati, fra i quali si diffuse l'abitudine di affidare a essi i proprî depositi.
La funzione principale dei banchi privati, di agevolare i pagamenti fra mercanti, esercitata periodicamente nelle fiere con la compensazione finale dei crediti, fu poi attuata in forma continuativa nelle maggiori città mercantili dai banchieri, autorizzati a ricevere depositi, col trasferimento di somme da un conto all'altro. Poiché tutti i mercanti avevano i loro conti correnti presso l'uno o l'altro banchiere della città, questo sistema di trasferimenti eliminò in grandissima parte il bisogno della moneta contante, e portò un po' d'ordine nell'anarchia monetaria, diffondendo l'uso della cosiddetta moneta di banca, che non era una moneta effettivamente emessa dai banchieri, ma una moneta di conto usata nelle loro scritture, e si mantenne in rapporto costante con le monete più alte d'oro e d'argento, a corso internazionale, senza seguire le frequenti e arbitrarie modificazioni delle monete correnti all'interno.
È appunto per queste delicatissime funzioni di mediatori dei pagamenti e di veri e massimi organi della circolazione che l'attività dei cambiatori-banchieri fu oggetto della vigilanza e della preoccupazione dello stato, e che ad ogni crisi, determinata dalla partecipazione di essi ad affari commerciali o da eccessive anticipazioni di fondi pretese dallo stato, si prese in considerazione, fin dal sec. XIV, l'idea di sottrarre quell'attività all'iniziativa privata e di considerarla come un servizio pubblico.
Probabilmente da considerazioni di tal genere fu determinata l'istituzione della taula de cambi di Barcellona, avvenuta nel 1401, e d'istituti simili fondati poco dopo in altre città del regno di Aragona, in cui si deve forse vedere il primo esempio di banche pubbliche, rivolte soprattutto allo scopo di agevolare i pagamenti; mentre non si può in alcun modo riconoscere il carattere d'istituti bancarî ai monti del debito pubblico, che si costituirono in alcune grandi città tra il sec. XIV e il XV, e solo in minima parte si può riconoscere tale carattere ai monti di pietà, che sorsero e si moltiplicarono nella seconda metà del Quattrocento, come istituti di beneficenza creati per combattere l'usura degli ebrei, e che esercitarono, in proporzioni modestissime, il piccolo prestito su pegno.
2. I banchieri privati e le banche pubbliche di deposito, giro e cambio nei secoli XVI e XVII. - La creazione di banche di stato, frequentemente invocata nel sec. XIV in seguito ai frequenti e rovinosi fallimenti dei banchieri privati, sembra invece ritardata dal mirabile sviluppo degli scambî internazionali e di alcune industrie di lusso in tutto l'occidente europeo e dai bisogni del tutto nuovi dello stato e delle corti nell'età del Rinascimento. Ai mercanti-banchieri si offrirono in quell'epoca occasioni di allargare in misura del tutto nuova il campo della loro attività e di aumentarne smisuratamente l'intensità, raggiungendo in pochi anni profitti favolosi e ammassando ricchezze immense. Anche questa volta però la fortuna dei grandi banchieri dell'alta Germania, di Genova, di Firenze, ecc., era troppo legata ai principi e alle loro vicende politiche e militari; e la fine del lunghissimo duello tra Asburgo e Valois, con la sospensione dei pagamenti dichiarata nel 1557 dai re di Francia, Spagna e Portogallo, trascinò nella rovina la maggior parte dei banchieri.
Il bisogno di organi che agevolassero i pagamenti, soprattutto i pagamenti internazionali, non era però diminuito, ma anzi in continuo aumento per l'allargamento del campo dei traffici, per l'incremento della quantità e della varietà delle merci in circolazione e per l'insufficienza del medio circolante, non già attenuata, ma quasi aggravata dalle forti importazioni d'oro e d'argento dall'America. È questo infatti il periodo in cui si acuisce in misura estrema il sistema dei principi di far danaro con frequentissime alterazioni delle monete, per cui le monete buone, le sole che siano accettate negli scambî internazionali, si vanno sempre più rarefacendo; s'intensifica sempre più il bisogno di surrogati della moneta; le fiere dei cambî assumono un'importanza mondiale e la cambiale si adatta sempre meglio ai nuovi bisogni con l'istituto della girata.
Tutto questo, se giova al commercio internazionale, non è sufficiente ai bisogni quotidiani dei maggiori centri commerciali, dove, forse anche sull'esempio delle tavole pubbliche aragonesi, che sole avevano resistito alla bufera, trionfa definitivamente il programma di sottrarre ai privati le operazioni di deposito e giro e di creare per questo delle banche di stato, che adempiano al duplice scopo di agevolare i pagamenti con piena sicurezza dei depositanti, e di offrire allo stato un fondo di riserva, a cui esso possa attingere per bisogni straordinarî e urgenti.
L'esempio, dato anche questa volta dall'Italia, con la trasformazione della casa di S. Giorgio in un vero istituto bancario (1586), con la creazione del Banco di Rialto (1587) e del Banco di S. Ambrogio (1593), è presto seguito dalle maggiori città mercantili d'oltr'alpe, dove anzi la maggiore intensità degli scambî internazionali permette ai nuovi istituti di oscurare presto la fama dei loro precursori italiani.
Il più importante di tali istituti è la Banca dei cambî di Amsterdam, istituita nel 1609, col programma di farne un ufficio pubblico di cambio garantito dalla vigilanza dello stato e dalla mancanza di ogni scopo di lucro nell'ufficio stesso, che si trattiene soltanto una piccola provvigione per le proprie spese. Nello stesso tempo la banca deve adempiere alla funzioue che finora in Olanda era stata esercitata dai cassieri dei mercanti: custodire cioè i depositi di questi ed effettuare su loro ordine i pagamenti con semplice trasferimento da un conto all'altro.
Le operazioni di prestito erano escluse dall'attività normale della banca, e solo eccezionalmente essa fece qualche grossa anticipazione alla città di Amsterdam e alla Compagnia delle Indie orientali.
La barica di Amsterdam fece presto scuola. In Olanda sorsero sul suo esempio le banche di Middelburg (1616), di Delft (1621) e di Rotterdam (1635); fuori d'Olanda si costituì sullo stesso modello, nel 1619, la Banca d'Amburgo.
A differenza della più forte consorella di Amsterdam la Banca di Amburgo subì alcune crisi gravi, specialmente nel 1672 e 1755, in seguito ad aperture imprudenti di credito; nel 1766 in conseguenza del peggioramento del tallero; nel 1813, quando il marescialln Davoust ne requisì tutte le riserve. Ma essa riuscì a superarle, e rivelò una vitalità solidissima in stretto rapporto con lo sviluppo commerciale della fiorente città libera. Soltanto nel 1873, quando ormai la sua funzione si è completamente esaurita per il trionfo delle grandi banche nazionali di emissione, essa si lascia assorbire dalla Reichsbank, di cui diventa una delle sedi più importanti.
3. Le banche di emissione in Gran Bretagna dal 1694 al 1844. - La fioritura delle banche pubbliche di deposito e giro, nonostante la sopravvivenza di alcune di esse, si chiude con la fine del sec. XVII. Con la creazione della Banca d'Inghilterra (1694) si apre il periodo delle banche di emissione, che, dopo alcuni tentativi poco fortunati nel sec. XVIII, si affermano dopo il 1800 anche sul continente, e nella forma di società per azioni, privilegiate e controllate dallo stato, acquistano grandissima importanza come organi della circolazione monetaria, ma anche come banche centrali, a cui fanno capo tutte le altre banche, pubbliche e private (v. emissione, istituti di).
4. Le banche ordinarie di deposito e credito (dal 1830 al 1913). - Quando le banche di emissione assumono questa nuova funzione, si è già iniziata una nuova fase nella storia delle banche, per le quali la mediazione del credito diventa l'attività prevalente.
Fino al principio infatti dell'Ottocento, e in molti paesi fino alla seconda metà del secolo, le operazioni di credito d' ogni genere seguitarono ad essere riservate ai banchieri privati, alcuni dei quali poterono salire a un'importanza veramente mondiale.
Ma dopo le guerre napoleoniche lo sviluppo della grande industria, la rivoluzione dei mezzi di trasporto, la trasformazione della stessa agricoltura in senso capitalistico assumono, prima in Inghilterra e pochi decennî dopo sul continente, un ritmo così rapido e proporzioni così grandiose da richiedere anticipazioni di capitali sempre più ingenti per le spese d'impianto, per quelle di esercizio e soprattutto per rendere possibile la conquista dei mercati con larghe agevolazioni del credito. Per questi nuovi bisogni del grande capitalismo non sono sufficienti le forze del singolo banchiere per quanto potente egli sia, e nemmeno quelle di gruppi di banchieri che possano impiegare soltanto i loro capitali o anche i depositi affidati loro da una clientela ricca e fedele, ma ristretta. Ocorre far leva sui risparmî di ogni categoria di cittadini, farli uscire dai loro nascondigli e metterli in circolazione. Ma questo appello ai risparmiatori non può esser fatto con successo che da istituti i quali se ne guadagnino la fiducia con la mole dei loro capitali, con la pubblicità dei loro bilanci, con la vigilanza statale a cui sono sottoposta. È questa la funzione delle banche ordinarie di credito, le quali cominciano a costituirsi in forma di società anonime, appunto in quell'epoca e in quei paesi in cui trionfa il grande capitalismo, e ne sono lo strumento più efficace e l'espressione più genuina.
In Inghilterra le prime grandi banche di deposito sorgono a Londra tra il 1834 e il 1839: la London and Westminster Bank, la London Joint-Stock Bank, la Union Bank of London e la London and Country Bank, alle quali le condizioni e le necessità dell'ambiente in cui sorgono, impongono fin dall'origine quell'indirizzo che rimarrà poi sempre caratteristico del sistema bancario inglese. Poiché infatti Londra è soprattutto un grandissimo centro commerciale, i depositi affluiscono alle banche in massima parte nella forma di conti correnti da persone che intendono di potersene servire in qualunque momento per i loro pagamenti, essendo già diffusissima e tendendo a diffondersi sempre più l'abitudine, e non solo fra i commercianti, di valersi degli chèques a preferenza della moneta contante. Dato questo carattere predominante dei depositi bancarî, diventa presto canone immutabile dell'attività delle banche inglesi la semplicità e la sicurezza degli affari, l'assoluta preferenza data allo sconto di cambiali commerciali o a prestiti garantiti da pegno e a breve scadenza, in modo da evitare ogni immobilizzazione e di poter in qualunque momento far fronte alle richieste dei depositanti. Per maggiore prudenza una parte rilevante degli affari di sconto non è fatta direttamente coi clienti, ma soprattutto nei rapporti fra Londra e la provincia, per mezzo di sensali di sconto (billbrokers), i quali sono responsabili verso la banca e assumono spesso l'importanza di grandi aziende bancarie di mediazione (col nome di "case di sconto"), costituite nella forma della società anonima.
Con una politica così avveduta e prudente le grandi banche di Londra si assicurano presto una fiducia illimitata non solo fra la clientela della capitale, ma anche in provincia e all'estero, e contribuiscono efficacemente a fare di Londra il massimo mercato finanziario del mondo. La grande supremazia del mercato di Londra determina, specialmente nell'ultimo decennio dell'800 e nei primi anni del sec. XX, una forte tendenza all'accentramento. Mentre le grandi banche di Londra crescono di numero e d'importanza (era sorta, fra le altre, la potentissima London City and Midland Bank, che nel 1913 contava 725 agenzie), le banche di provincia, che erano andate crescendo e che nel 1894 salivano al numero di 94, dopo di allora si lasciano rapidamente assorbire, in modo che nel 1913 se ne contano solo 24. Trasformate così in potenti istituti nazionali, che estendono la loro attività in tutta l'Inghilterra, le grandi banche ordinarie di Londra con un capitale azionario relativamente modesto, che tra il 1894 e il 1913 sale da 122 a 132 milioni di sterline, raccolgono invece una massa di depositi veramente imponente. Nel 1890 tutte le banche inglesi, in numero di 104, hanno depositi per 369 milioni di sterline; nel 1914, ridotte a 38, raggiungono invece gli 895 milioni.
In omaggio al canone dell'assoluta semplicità e sicurezza degli affari, le banche ordinarie di deposito non solo hanno sempre evitato ogni intervento diretto nel finanziamento di grandi imprese, che richiedesse una lunga immobilizzazione di capitali, ma si sono anche astenute, fino agl'inizî della guerra mondiale, da ogni espansione alleestero della loro attività, almeno in forma diretta.
In una posizione particolare si trovano le banche coloniali, sorte spesso con l'aiuto del governo, godenti di varî privilegi, fra cui molte volte di quello dell'emissione di banconote nelle colonie dove esercitavano la loro attività.
Nel continente invece, dove è più recente e assai meno avanzato lo sviluppo del grande capitalismo commerciale, dove in generale l'accumulazíone capitalistica fino alla seconda metà dell'Ottocento raggiunge proporzioni assai minori, si sente presto il bisogno di creare accanto alle banche di emissione, che si consideravano allora come "le banche" senz'altro attributo, degli istituti più sciolti che potessero assumere, accanto alle ordinarie operazioni di credito, anche affari più rischiosi, i quali importassero una lunga immobilizzazione di capitali.
In Francia, nel periodo appunto in cui si accelera la trasformazione capitalistica e si moltiplicano soprattutto le richieste di capitali per costruzioni pubbliche e per imprese di pubblici servizî, si costituisce, nel 1852, per iniziativa dei fratelli Pereire e con l'appoggio di Napoleone III, la Société général du crédit mobilier, primo esempio in Europa di un grande istituto di tale genere. Costituito con un capitale azionario di 60 milioni di franchi, il Crédit mobilier aveva per i iscopi principali: la costituzione di nuove imprese industriali, sottoscrivendone una parte o la totalità delle azioni per lanciarle poi sul mercato; il finanziamento d'imprese industriali già costituite, con apertura di crediti a lunga scadenza, assicurandosi per questo scopo forti capitali con l'emissione di obbligazioni fino a 600 milioni; il commercio dei titoli di rendita e dei valori industriali; l'appoggio alla speculazio1ie al rialzo con operazioni di riporto.
Secondo il programma dei fondatori del Crédit mobilier l'attività della banca avrebbe dovuto esercitarsi in due campi nettamente distinti: all'impianto e finanziamento d'industrie e in genere a tutte le immobilizzazioni si sarebbe dovuto provvedere soltanto col capitale sociale e con le obbligazioni; invece i depositi in conto corrente avrebbero dovuto essere impiegati in operazioni bancarie a breve scadenza.
Ma le gravissime difficoltà incontrate nell'emissione delle obbligazioni, ostacolata dagli avversarî dei Pereire e dallo stesso governo, obbligano assai presto l'istituto ad abbandonare questi criterî prudenziali e ad immobilizzare una parte sempre maggiore dei suoi depositi. Di qui la causa prima della sua debolezza, che diventa insanabile dopo la crisi del 1866 e determina il suo crollo nel settembre 1867, in seguito al rifiuto della Banca di Francia di tentarne il salvataggio.
La caduta del Crédit mobilier determinò un movimento assai vivace di reazione contro l'impiego dei depositi in operazioni arrischiate e a lunga scadenza; ma dovettero passare altri vent'anni e si dovette arrivare al crollo del Comptoir d'escompte, perché in Francia si riconoscesse la superiorità del metodo inglese e si attuasse, sebbene con minor rigidezza che nel Regno Unito, una separazione abbastanza netta tra le banche di deposito (Societés de credit) e le banche di credito mobiliare (Banques d'affaires).
Del primo tipo le più importanti sono il Crédit lyonnais, il Comptoir national d'escompte e la Société générale; del secondo la Banque de Paris et des Pays Bas, la Banque de l'union parisienne, la Banque française pour le commerce et l'industrie, e il Crédit mobilier français, successo al vecchio Crédit mobilier, definitivamente liquidato nel 1902.
Sull'esempio inglese si son create anche in Francia delle banche coloniali, di carattere semistatale e autorizzate all'emissione nelle singole colonie, nelle quali ciascuna di esse esercita la sua attività.
Mentre in tal modo la Francia, dopo il 1889, fa un passo addietro e imprime un carattere assai più conservatore e prudente alla sua politica bancaria, la Germania invece insiste decisamente nell'indirizzo in cui si era messa nel 1853, sull'esempio del Crédit mobilier, e anzi, dopo la costituzione dell'Impero, nonostante la gravissima crisi finanziaria del 1873-74, essa imprime a quella politica, intesa a favorire una rapida e grandiosa industrializzazione del paese, un carattere sempre più audace. Alle tre banche d'importanza nazionale, sorte fra il 1853 e il 1897, altre tre se ne aggiungono fra il 70 e l'80, fra cui la più importante è la Deutsche Bank (1870). I sei grandi istituti bancarî, destinati in breve tempo a diventar colossi e a dominare tutta la vita economica tedesca, costituiti in origine con un capitale complessivo di 104 milioni di marchi, lo avevano elevato nel 1910 a 1323 milioni. Di pari passo col capitale aumentano i depositi, i quali però non raggiungono mai le proporzioni colossali delle banche inglesi, e anzi si mantengono per molti anni di poco superiori al capitale.
5. Le banche durante la guerra mondiale e nel dopoguerra. - Le ripercussioni della guerra mondiale sul regime bancario si sono manifestate in forma e misura diversa nei varî stati, sebbene esse rivelino necessariamente alcuni tratti comuni, e, primo fra tutti, che la guerra ben lungi dal recare gravi danni all'attività bancaria, ha impresso ad essa una forza d'espansione del tutto nuova.
In Inghilterra, a differenza di tutti gli altri paesi belligeranti, lo scoppio della guerra non ha determinato alcun mutamento nelle leggi bancarie esistenti. Soltanto, per gli ostacoli opposti alla libera importazione ed esportazione dell'oro e alla facoltà data al tesoro, di creare accanto alla circolazione della banca una circolazione di stato, si arrivò all'emissione di carta-moneta (Currency Notes).
L'inflazione del credito e della circolazione continua anche nei due primi anni del dopoguerra, in modo che i depositi presso le banche ordinarie raggiungono al principio del 1921 la loro massima altezza con un totale di 2527 milioni di sterline, e la circolazione totale sale a 555 milioni. Cominciano allora gli sforzi per ritornare alla vecchia parità col dollaro (discesa allora a un minimo del 70%) e alla base aurea della circolazione, con forti elevazioni del tasso dello sconto, che, mantenutosi quasi costante negli anni di guerra, sale per gradi dal 5 al 7%, e con una rigida economia nel bilancio dello stato. Dopo quattro annui di politica di deflazione lo scopo è raggiunto: il 28 aprile 1925 la Banca d'Inghilterra può riprendere, con qualche limitazione, la conversione dei suoi biglietti in oro; e si stabilisce che le monete di carta emesse per conto dello stato siano a poco a poco riassorbite dalla banca, in modo che entro il 1928 non circolino più che i biglietti della Banca d'Inghilterra.
Del resto, superato il periodo critico dell'inflazione, il bisogno d'una considerevole circolazione di biglietti di banca non era molto vivamente sentito, dato lo sviluppo meraviglioso che avea ottenuto il sistema dei pagamenti senza impiego di denaro. Secondo un calcolo naturalmente approssimativo questi pagamenti con chèques, cambiali o altri surrogati della moneta, che nel 1913 avrebbero rappresentato il 97% di tutti i pagamenti, avrebbero raggiunto nel 1900 la somma di 9 miliardi, nel 1913 di 16,4, nel 1927 di 41,6 miliardi di sterline; e il loro sviluppo gigantesco fu reso possibile dalla rete fittissima di banche, che esercitavano la loro attività in ogni centro del paese. Durante la guerra e nel dopoguerra si accentua appunto la duplice tendenza, comune del resto a tutti gli stati del mondo civile, di moltiplicare le agenzie diffondendole in ogni piccolo centro e in ogni rione delle grandi città, e di concentrare invece la direzione del movimento in pochi istituti colossali. Nel 1900 si contavano in Inghilterra e nel Paese di Galles, oltre alla grande banca di emissione con le sue 11 succursali, 77 banche per azioni con 3757 filiali, e 19 banche private. Nel 1913 il movimento di concentrazione era già abbastanza avanzato essendosi il numero delle banche per azioni ridotto a 43 e di quelle private a 8, mentre le filiali salivano a 5757. Ma nel dopoguerra la tendenza si manifesta in modo molto più deciso: nel 1927 non vi sono più che 17 banche per azioni con 9381 filiali, e soltanto 4 banche private. Ma in realtà il movimento di concentrazione raggiunge proporzioni molto più grandiose di quel che possa apparire da queste cifre, perché effettivamente il mercato bancario inglese è oggi dominato da cinque potentissime banche (the Big five: Barklay bank, Lloyds bank, Midland bank, National provincial bank e Westminster bank), che da sole hanno in loro mano l'80% del capitale sociale e delle riserve di tutte le banche inglesi, cioè circa 135 sopra un totale di 167 milioni di sterline.
Nello stesso tempo si nota un certo mutamento nella politica tradizionale delle banche inglesi, nel senso che le banche di deposito non sono più nettamente distinte dalle casse di sconto, dalle banche private, dai mercanti-banchieri, dalle banche coloniali e per l'estero; esse partecipano talvolta anche ad affari di emissione di azioni, e curano direttamente o indirettamente l'espansione dell'attività all'estero, sia nei Dominions sia in paesi stranieri.
Al di qua della Manica la solidità della Banca di Francia fu messa a ben più dura prova della consorella inglese e poté rendere fin dallo scoppio della guerra servizî preziosi sia all'economia francese, con l'accettazione di più che 3 miliardi di cambiali colpite dalla moratoria, sia al governo, con prestiti a lunga scadenza che raggiunsero alla fine del 1918 la somma di 27 miliardi di franchi. A queste necessità essa dovette provvedere con l'aumento della circolazione che da 5,7 miliardi alla fine del 1913 salì a 27,5 alla fine del 1918, e, tolte brevi pause, continuò a salire anche nel dopo guerra fino a raggiungere il massimo di 56 miliardi nel luglio 1926. S'iniziarono da allora i provvedimenti per la stabilizzazione del franco con la creazione della cassa di ammortamento che si propone soprattutto di liberare la Banca di Francia dal peso eccessivo di rediti verso lo stato, e raggiunge rapidamente lo scopo assicurando alla banca una tale liquidità e abbondanza di denaro da permetterle di abbassare rapidamente il tasso dello sconto al 3%.
Dal luglio 1926 al settembre 1927, mentre le anticipazioni allo stato scendono da 43 a 30 miliardi di franchi, la riserva aurea della banca sale da 3684 a 4144 milioni, i depositi da 4 a 10 miliardi, mentre la circolazione si mantiene costante intorno ai 56 miliardi. Poiché secondo la legge della stabilizzazione il prezzo della sterlina è fissato in 124 franchi, la sola riserva aurea copre più del 40% della circolazione.
In Germania, sospeso, fin dallo scoppio della guerra, l'obbligo della conversione in oro dei biglietti, sospesa la riscossione della tassa sulla circolazione eccedente, le emissioni si moltiplicarono rapidamente, in modo che la circolazione cartacea da 2594 milioni al 31 dicembre 1913 sale a 22.187 milioni al 31 dicembre 1918; e la copertura in oro dal 38% scende al 7%.
Ma le emissioni degli anni di guerra e del periodo 1918-21, sono cifre appena irrisorie in confronto del lavoro del torchio nel 1922 e nel 1923 che condusse al tracollo definitivo del marco. Quel tracollo non travolse però né la Reichsbank, né le banche ordinarie, che seguitarono senza gravi scosse nella loro attività.
Dopo l'istituzione provvisoria della Renten Bank, che doveva preparare il terreno al ritorno alla valuta aurea, e che iniziò le sue operazioni il 15 novembre 1923 (ed è ora in liquidazione), la legge sulla circolazione del 30 agosto 1924 restituì pienamente alla Reichsbank l'antica posizione e in gran parte l'antico ordinamento. Le è concesso cioè il privilegio dell'emissione in regime di quasi completo monopolio, dovendo essa dividerlo, per una parte assai piccola, con le sole banche di Monaco, Dresda, Stuttgart e Karlsruhe. I suoi biglietti devono essere coperti almeno per il 40% dalla riserva aurea, e circolano per ora a corso forzoso, essendo temporaneamente sospesa la convertibilità in oro. La sua circolazione raggiungeva al 31 gennaio 1928 la somma di 4237 milioni di marchi, e la sua riserva aurea era di 1782 milioni. La circolazione invece delle altre 4 banche superstiti raggiungeva appena i 176 milioni.
Nelle maggiori banche ordinarie si manifesta anche in Germauia una decisa tendenza alla concentrazione, sia per mezzo di fusione degli organismi maggiori, sia per assorbimento delle banche minori. Ma se in tal modo la Germania possiede ancora delle banche colossali, fra cui primeggia di gran lunga la Deutsche Bank, essa ha perduto in massima parte la fortissima posizione internazionale che anche in questo campo si era assicurata nell'anteguerra. Non solo infatti le banche tedesche han dovuto chiudere tutte o quasi tutte le filiali che esse avevano creato all'estero, ma han dovuto rinunciare alle forti partecipazioni ch'esse avevano in molte banche nazionali di un grande numero di paesi.
Il terreno perduto dalle banche tedesche ed austriache ed in parte anche dalle francesi, è stato guadagnato, e in misura assai maggiore, dalle banche degli Stati Uniti di America, di cui si può dire che la grande espansione s'iniziò con la riforma del 1913 e con la guerra mondiale.
La solidità e la potenza raggiunta dal sistema bancario nordamericano è rivelata da poche cifre: al 31 ottobre 1927 le 12 banche federali di riserva possedevano 360 milioni di dollari di capitale, e una riserva aurea di 3 miliardi di dollari. Alla stessa data si contavano 7832 banche nazionali con un capitale complessivo di 1474 milioni di dollari, e 20 miliardi di dollari di depositi; e 18.991 banche degli stati con 39 miliardi di dollari di depositi.
Sono cifre che sembrano quasi iperboliche e spiegano in qual modo gli Stati Uniti da paese importatore si siano rapidamente trasformati in paese esportatore di capitali, in modo che gl'investimenti all'estero, valutati ad appena mezzo miliardo di dollari nel 1900 e a 2,6 miliardi nel 1913, hanno raggiunto nel 1927 la cifra approssimativa di 13 miliardi, e come New-York sia già in condizione mediante i suoi grandi banchieri privati, che dominano potenti gruppi di banche per azioni, di contendere a Londra il primato come mercato finanziario mondiale.
Bibl.: P. Rota, Storia delle banche, Milano 1874; M. Fanno, L'evoluzione degli istituti di credito nel periodo mercantile, in Rivista ligure, 1909; id., Le banche e il mercato monetario, Roma 1912; W. Bagehot, Lombard Street, in Biblioteca dell'Economista, s. 4ª, VI; M. Vigne, la banque à Lyon du XVe au XVIIIe siècle, Parigi 1903; Bigwood, Le régime juridique et économique du commerce de l'argent dans la Belgique au M. A., Bruxelles 1921-22; Baas, Holländische Wirtschaftsgeschichte, Jena 1927; A. Andréadès, Histoire de la Banque d'Angleterre, Parigi 1904; Courtois, Histoire des banques en France, 2ª ed., Parigi 1881; A. Huart, L'organisation du crédit en France, Parigi 1913; E. Baldy, Les banques d'affaires en France depuis 1900, Parigi 1922; A. Théry, Les grands établissements de crédit français avant, pendant et après la guerre, Parigi 1921; Jaffé-Edgar, Das english-amerikanische und das französische Bankwesen, in Grundriss der Socialwiss., V Abt., parte 2ª, Tubinga 1915; Die Wirtschaft des Auslandes, 1900-1927, in Einzelschriften zur Statistik des Deutschen Reich, n. 5, Berlino 1928; Statesmans Yearbook 1929; Lansburg e Kalveram, Banken (neueste Entwicklung), in Handwörterbuch der Staatswiss., IV ed., Jena 1929.
Le banche italiane.
Il Medioevo. - L'alto grado di sviluppo economico che l'Italia raggiunse nel Medioevo, precedendo di circa due secoli gli altri paesi occidentali a eccezione delle Fiandre, se fu dovuto in gran parte all'ardimentoso e fortunato traffico delle merci ripreso al tempo stesso della controffensiva cristiana contro i musulmani per restituire al Mediterraneo il carattere e la funzione del mare nostrum dell'epoca romana, fu dovuto anche alla tenacia e all'abilità con la quale i mercatores si dettero alle operazioni finanziarie. Il più delle volte, infatti, la figura del commerciante, e più tardi quella dell'industriale, si sovrapposero alla figura del banchiere creando quel caratteristico tipo italiano che fu detto "Lombardo" in tutti i paesi di là dalle Alpi nei quali lasciò l'impronta - riconoscibile tuttora - della sua opera di pioniere. L'iniziativa italica nel campo economico, attutita durante le dominazioni barbariche, ma non spenta del tutto in alcun luogo della penisola e rimasta anzi vivissima nelle città marittime e soprattutto a Venezia, trovò lo sbocco e l'alimento nelle crociate per le quali approntò navi e capitali. Mentre gli eroi della cristianità agognavano la gloria e un ducato, gl'Italiani, che pur seppero scalare fra i primi, con uno Spizzi di Firenze, le mura della città Santa, preferirono assicurarsi lo sfruttamento dei territorî conquistati dai crociati dei quali si costituivano banchieri, col disegno di riprendere, al ritorno, nelle lor terre i denari mutuati insieme con gl'interessi maturati nel frattempo.
Col Duecento i banchi degl'Italiani si trovano disseminati in tutta l'Europa occidentale, essendo il prestito la loro funzione principale, nella quale si sostituirono agli ebrei dopo una lotta lunga, ma combattuta con armi disuguali. Gli uni, isolati per lo più, erano mortificati da una situazione giuridica e di fatto che li metteva all'arbitrio dei principi e li esponeva alle beffe e talora all'odio delle popolazioni: Gli altri, forti per l'organizzazione in società, erano favoriti dalla benevolenza dei papi e tutelati dal loro comune, la patria lontana ma vigile in tutte le necessità. D'altronde, anche il campo delle operazioni fu differente: ristretto quello dei primi al mutuo su pegno ai privati, ben più vasto quello dei secondi che vantarono a preferenza una ben diversa clientela: furono piuttosto principi, nobili, alti prelati che bussarono alla loro porta, allettandoli con ogni lusinga, accondiscendendo a ogni pretesa: dando loro il diritto di inquartare negli stemmi emblemi sovrani, abdicando nelle loro mani parte delle prerogative regie, quali la percezione dei dazî e delle imposte. Fu in corrispettivo dei prestiti a Edoardo III che i banchieri Bardi e Peruzzi giunsero ad avere il monopolio delle entrate del reame, del quale monopolio il segno tangibile fu la concessione del sigillo della dogana e dello stampo delle monete.
Le operazioni di prestito praticate in Inghilterra furono fatte ugualmente in Francia, dove non minore fu l'abilità finanziaria dei Lombardi, giunti là pure a occupare posizioni di preminenza e di dominio. Del famoso Musciatto Guidi de' Franzesi, tesoriere, col fratello Biscia, di Filippo il Bello, scrive il Compagni che era "venuto su prima da contadino fiorentino a mercatante, poi in Francia da mercatante a cavaliere per via di quelle usure che facevano colà odioso il nome dei Lombardi, cani alla povera gente ma non ai re cristianissimi i quali sfruttavano largamente e senza scrupolo l'oro italiano". Da re Luigi il Santo a Filippo IV tutti i coronati di Francia ricorsero ai capitalisti italiani: e quando la loro forza parve troppa, e troppo gravi apparvero verso di loro gli impegni della corona, seppero cacciarli promettendo la revoca del bando dietro il pagamento d'un grosso riscatto. Famosa la cacciata nel 1277 fatta da Filippo l'Ardito e quella nel 1291 da Filippo il Bello; quella allo scoppio della guerra tra la Francia e l'Inghilterra, nel 1338, era logica e prevista: i banchieri italiani s'erano schierati con Edoardo III, e avevano accettato di dividere con lui le sorti della campagna.
Nei paesi ricordati gli affari più grandi erano con i sovrani e con gli alti dignitarî; ma le cronache del tempo e le insurrezioni popolari contro i Lombardi e i saccheggi dei loro banchi testimoniano anche del mutuo federatizio praticato con tutte le classi sociali. La concessione di prestare pubblicamente a usura era il più delle volte ottenuta con anticipi ai sovrani, quando non era addirittura pagata con la corresponsione di appositi balzelli.
Se il prestito fu l'operazione più generalmente eseguita e in più grande scala, altre operazioni bancarie fecero i Lombardi, prima fra le quali il deposito, che praticarono soprattutto con i pontefici. La chiesa ben presto si servì dei banchieri italiani cui dette incarico di ricevere dai suoi collettori generali o dai subcollettori i versamenti delle varie regioni, di custodirli o di provvedere alla loro trasmissione, di eseguire con essi pagamenti in seguito ad apposito mandato.
Con la metà del Trecento si chiude un periodo nella storia dei banchi italiani: le antiche organizzazioni che avevano raggiunto il massimo splendore alla fine del sec. XIII si dimostrarono inadatte alle nuove esigenze. Il banchiere del Quattrocento fu più cauto e più solido, come più prudente fu il mercante. Per avere la visione del contrasto basta studiare la banca Medici che fu strumento di signoria per una famiglia principesca, e accostare il freddo mercante e banchiere pratese Marco Datini ai tormentati capi delle vecchie ragioni degli Spini, dei Riccardi, dei Frescobaldi, dei Bardi e dei Peruzzi.
Se all'iniziativa privata si dové un così grande numero di banche, a dar vita alle quali concorsero tutte le città d'Italia, e in specie Asti, Chieri, Milano, Piacenza, Venezia, Genova, Pisa, Lucca, Firenze, Siena, Roma, altre istituzioni, ma di carattere pubblico, ebbero da noi origine che soddisfecero esigenze particolari e soprattutto ovviarono alle incertezze e ai danni che al risparmio e al commercio derivarono dall'abitudine dei principi di alzare o abbassare ad arbitrio il valore della moneta, e dall'uso generale di fondere e assottigliare i singoli pezzi. Fu così che si pensò di affidare in deposito il numerario, specificandone peso e titolo, a una pubblica cassa la quale non si sarebbe dovuta limitare alla custodia, ma avrebbe dovuto provvedere anche ai pagamenti per conto dei depositanti a mezzo delle volture. A Venezia le operazioni di deposito e giro presero, almeno dalla seconda metà del Duecento, un grandissimo sviluppo, e i bancherii de scripta, a cui era affidata tale attività delicatissima, furono subito sottoposti alla vigilanza statale; ivi pure assai presto si parla di una moneta di banca e si affaccia, fin dalla seconda metà del Trecento, l'opportunità di sottrarre queste operazioni ai banchieri privati per affidarle a un organo dello stato.
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L'età moderna. - I primi fra i banchi pubblici italiani che ebbero fama e importanza economica furono quelli di Genova e di Venezia. Merita particolare ricordo il Banco di S. Giorgio in Genova.
A Genova il Regolamemo organico delle antiche compere (Regulae comperamm capituli) e varî altri documenti, ci attestano, fin dal 1300, che l'esercizio delle operazioni bancarie era considerato come un ufficio pubblico e sottoposto alla più severa disciplina da parte dello stato, che esercitava la sua autorità per mezzo dell'Ufficio della mercanzia. Quando, nel 1407, fu istituita la società delle compere di S. Giorgio i procuratori della società furono autorizzati a compiere anche operazioni di banca. Ma le profonde perturbazioni monetarie che si verificarono a Genova in questo periodo, specie il deprezzamento delle monete d'argento, persuasero S. Giorgio a "levare li banchi" e la liquidazione della cessata banca fu affidata, nel 1444, a un ufficio di "protettori e procuratori", che da temporaneo, come doveva essere ("donec satisfacto sia integre a li creditori de li banchi e asestà ogni causa dependente da li diti banchi"), divenne invece permanente. Dieci anni dopo la crisi del 1444 una nuova cassa fu sostituita al banco e le operazioni di deposito furono riprese su larga scala, ma s'iniziarono anche altre operazioni, come gli sconti delle paghe, cioè sconto dei dividendi pagati ai luogatari del banco. L'esercizio del banco fu ripreso nel 1586. Essendo cresciuta la mole dei depositi, furono aperte per essa speciali contabilità (cartolarî). Nei cartolarî si scrivevano per specie e per qualità le monete dai depositanti (cartolarî degli scudi d'oro, degli scudi d'argento e cartolario dei reali). Nel secolo seguente il deposito non venne più ricevuto come specie, ma come massa che veniva poi ragguagliata al prezzo corrente o di grida, e i cartolarî cedettero il posto ai registri di moneta o di banco corrente, che furono affidati a un apposito banco, detto di moneta corrente, eretto con decreto governativo dell'8 marzo 1675. Nuovi banchi furono istituiti; l'uno subito dopo, il 26 agosto 1676, un terzo nel 1714 e un quarto nel 1739. La Banca di S. Giorgio e altri banchi pubblici, italiani e stranieri, precorsero la circolazione dei moderni biglietti di banca con l'emissione di speciali titoli di credito, che a Genova presero il nome di biglietti di cartulario. Dal 1675 in poi fu stabilito che i pagamenti dei cambî dovessero soltanto farsi in biglietti di cartulario. Erano fedi di deposito, che potevano essere trasmesse ad altri in pagamento; titoli all'ordine, dunque, e non al portatore, che però, come i nostri biglietti di banca, furono largamente adoperati quale strumento della circolazione, in sostituzione della moneta metallica. Fungevano talvolta da vera moneta, fino dai secoli XIII e XIV, i brevia, le notae, le chartae debiti di Milano e di altre città lombarde; in tempi posteriori le fedi di deposito rilasciate dalle banche venete, come risulta dalle leggi del 1421 e del 1526, le polizze dei banchi napoletani, le cedole emesse dal Banco di S. Ambrogio di Milano, che ebbero persino corso forzoso nel 1601.
I banchi pubblici, sorti in Italia e fuori per infrenare e talora per sostituire l'attività speculatrice dei privati, non rimasero certamente ossequenti ai loro statuti di fondazione, secondo i quali, come si legge nello statuto del Banco Giro di Venezia (approvato dal senato il 28 giugno 1584), il danaro affidato al banco avrebbe dovuto rimanere a disposizione dei depositanti, senza essere mai per uso alcuno adoperato. Il De Viti-De Marco nel suo studio La funzione della banca (in Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, 1908), ha egregiamente messo in luce come questi banchi pubblici consentissero assai spesso le più ardite operazioni di prestito allo scoperto e come ai metodi teoricamente vietati si ricorresse allo scopo di assicurare la stessa funzione dei pagamenti.
Le operazioni bancarie, in questo periodo, subiscono profonde trasformazioni, ma si tratta, quasi sempre, d'una spontanea evoluzione. L'istituto del deposito, nei secoli XVI e XVII, si adatta ovunque, specie in Italia, ai nuovi tempi. Anche là dove il deposito rimane apparentemente senza interesse, i banchi rinunziano al compenso per il servigio prestato (così a Napoli, e in Sicilia). Fino dal 1499 era accaduto a Venezia che i banchi dei Lipomani e Garroni, prossimi al fallimento, per attirare a sé i capitali offrissero ai clienti il pagamento di un frutto. Lungo il sec. XVII, come il Prato ha dimostrato esaurientemente, si afferma in Piemonte la tendenza ad accogliere largamente il deposito fruttifero.
L'emissione, sempre più frequente, di certificati di deposito, buoni di cassa, fedi di credito, fatta dalle banche per agevolare ai depositanti di disporre dei depositi per pagamenti a terze persone, diede origine al biglietto di banca, il quale, come giustamente scrive il Ferraris, sorse dalla trasformazione di quei titoli in una cambiale propria, cioè con promessa di pagamento, tratta dalla banca sopra sé stessa, eseguibile a vista al portatore.
La pratica dell'emissione scoperta è assai antica, ma si fa strada lentamente il principio della libertà di emissione, sebbene rimangano, per lungo tempo, incerte e confuse le idee sulle garanzie della circolazione bancaria. Da molti e a lungo, dallo stesso Law, in un primo momento, si preferì una garanzia sulla terra, poi si fece strada l'idea della copertura metallica dei biglietti, ma regnò fino ai giorni nostri grande indeterminatezza circa i metodi e le funzioni della riserva monetaria e il limite della circolazione, come risulta dalle stesse pagine dei nostri economisti del sec. XVIII, quali il Vasco, il Broggia, il Galiani.
Un punto importante della storia dei banchi pubblici italiani, dal sec. XVI in poi, riguarda le relazioni fra la banca e lo stato. Le banche in Italia, anche quando divennero istituti pubblici, conservarono, quasi ovunque, una larga autonomia. A Napoli i banchi pubblici, in pieno assolutismo, mantennero la loro indipendenza e il Galiani ne magnifica l'esempio, contrapponendosi alla teoria del Montesquieu, il quale, nel suo razionalismo dogmatico e sotto l'impressione dell'avvenimento tragico della Banca di Francia, aveva dichiarato che l'esistenza e la prosperità degli istituti bancarî non era compatibile con l'assenza di garanzie e controlli nelle monarchie assolute. Le stesse banche di giro veneziane non furono veri istituti governativi, almeno da principio, sebbene carattere governativo più accentuato assumesse il Banco della zecca, sorto nel 1619, per sostituire il Banco pubblico della Piazza di Rialto. A Genova il principio dell'autonomia bancaria prevalse nel 1675 con la riforma della Banca di S. Giorgio.
I banchi però godettero di larghi e svariati privilegi. Ce ne offre molteplici esempî S. Giorgio, i cui crediti erano parificati a quelli del comune e perciò godevano di un'ipoteca speciale privilegiata, in confronto con quelli di qualsiasi creditore. Lo stesso S. Giorgio ci offre, nel 1675, un antico esempio di applicazione del corso forzoso, quando ordina che tutti i pagamenti di lettere di cambio e altre rimesse non possano avvenire che mediante trasferte sopra i suoi libri. Non meno importante è il privilegio di piena giurisdizione civile e criminale, accompagnato persino al diritto di far pubbliche leggi civili e sociali (v. anche monte di pietà).
Le banche dopo la costituzione del regno. - Nel periodo che precede come in quello che segue immediatamente la costituzione del regno, l'attività delle banche pubbliche in Italia si riassume quasi esclusivamente nelle banche di emissione. Accanto ad esse i soli istituti di credito che si sviluppino fin dal terzo decennio del secolo e si moltiplichino, più o meno, in tutte le regioni sono le Casse di risparmio, le quali però, nei loro primi cinquant'anni di vita non raccolgono che una somma assai modesta di depositi. Soltanto dopo il 1860 sorsero le prime banche popolari (v. emissione, istituti di; casse di risparmio; v. anche p. 46 segg.).
Le sole banche, le quali escano dai limiti della loro regione per acquistare un carattere nazionale sono la Società generale di credito mobiliare, sorta nel 1863 con un capitale di 50 milioni, sull'esempio dell'omonima banca francese dei fratelli Perere, e poco dopo e sullo stesso tipo la Banca generale (50 milioni). Le due banche, che si proponevano soprattutto lo scopo dell'emissione e collocamento di azioni e del finanziamento d'imprese industriali, dovettero subito lottare contro la difficoltà dell'assorbimento di tali titoli sul mercato italiano; ma riuscirono tuttavia ad assicurarsi i capitali necessarî con l'emissione di obbligazioni, ed ebbero un periodo di relativa floridezza che durò fino al 1887. La crisi cominciò a manifestarsi dopo quell'anno per le peggiorate condizioni dell'economia nazionale, per il crollo del Banco tiberino, del Banco sconto e sete di Torino, e della Banca dell'Esquilino, troppo impegnate nella speculazione edilizia (1888) e soprattutto per la grave crisi delle banche di emissione (1891), e per la politica più restrittiva che ad esse dovette essere imposta. Nel 1893 la Società generale di credito mobiliare e la Banca generale dichiararono fallimento, e furono poste in liquidazione.
Ma appunto da quello che parve il crollo di tutto il nostro sistema bancario, comincia la nuova storia delle banche italiane, che si avviano lentamente ma sicuramente verso un più sicuro avvenire. Come dal crollo della Banca romana s'inizia il risanamento dei nostri istituti d'emissione, così sulle rovine del Credito mobiliare e della Banca generale, sorgono con l'aiuto del capitale straniero, soprattutto tedesco, le maggiori e-più solide fra le nostre banche ordinarie: la Banca commerciale italiana e il Credito italiano. Le due banche sorte rispettivamente nel 1894 e 1895, con sede a Milano e a Genova, seguendo l'esempio delle maggiori banche germaniche, esercitano contemporaneamente le ordinarie operazioni di deposito e sconto commerciale, e le operazioni a più lunga scadenza di credito industriale. Molto prudenti nei primi tempi, come lo richiedevano le condizioni del paese appena uscito da una gravissima crisi finanziaria, esse si espandono rapidamente dopo il 1898 e specialmente negli anni migliori dell'economia italiana, fra il 1903 e il 1907, aumentando in varie riprese il loro capitale, che nel 1906 e 1907 raggiunge rispettivamente i 105 e i 75 milioni, e moltiplicando le loro filiali e agenzie in ogni regione d'Italia.
Carattere analogo ma minore solidità rivelano la Società bancaria italiana, sorta a Milano sulla base della vecchia ditta WeillSchott, che subisce gravi perdite nella crisi del 1907 e dev'essere messa in liquidazione; e il Banco di Roma, che è il più antico di tali istituti, essendo sorto fin dal 1880, ma che soltanto dopo il 1900 estende la sua azione fuori del Lazio e comincia a esercitare anche il credito mobiliare. Il Banco di Roma è anzi il primo fra gl'istituti di credito italiano che tenti l'espansione all'estero, specialmente lungo le coste del Mediterraneo e nei paesi di Levante. Ma appunto per questa sua espansione, la guerra di Tripoli e le guerre balcaniche lo espongono ad una crisi che esso riesce a superare attraverso gravissime difficoltà.
Dalla fusione della Banca di Busto Arsizio, trasformatasi nel 1911 in Società italiana di credito provinciale, con la Società bancaria in liquidazione, sorge il 30 dicembre 1914 la Banca italiana di sconto, con sede a Roma, che fu chiamata a esercitare nell'immediato periodo di guerra una funzione importantissima, come sovventrice e promotrice di molte fra le più importanti industrie belliche. Ma appunto le eccessive immobilizzazioni, notevolmente aumentate nei primi due anni del dopoguerra, crearono alla banca gravissime difficoltà facendo salire il suo debito verso la Banca d'Italia a 1300 milioni nel giugno 1921 e a 1700 milioni nel dicembre dello stesso anno. Ne derivò il decreto del 29 dicembre 1921 per la moratoria dell'istituto e successivamente la sua liquidazione. Al suo posto subentrò nel 1922 la Banca nazionale di credito, la quale ai primi del 1930 si è fusa con il Credito italiano, pur differenziandosi nella natura delle operazioni.
Bibl.: E. Lattes, La libertà delle banche a Venezia dal sec. XIII al XVII, Milano 1869; V. Cusumano, Storia dei banchi della Sicilia, II (I banchi pubblici), Roma 1892; Ferrara, Gli antichi banchi di Venezia, in Nuova Antologia (1871); idem, Documenti per servire alla storia dei banchi Veneziani, in Archivio Veneto (1871); P. Rota, Storia delle banche, Milano 1874; E. Tortora, Il banco di Napoli, Napoli 1883; E. Sieveking, Studî sulle finanze genovesi e in particolare sulla Casa di S. Giorgio, a cura della Società Ligure di Storia patria; M. Pantaleoni, La caduta della Società Generale di Credito mobiliare italiano, in Gior. degli Economisti, 1895; Marengo, Manfroni, Pessagno, Il banco di S. Giorgio, Genova 1911; G. Prato, Problemi monetarî e bancarî nei secoli XVII e XVIII, Torino 1916; V. Porri, L'evoluz. econom. italiana nell'ultimo cinquantennio, Roma 1926.
Nozioni giuridiche.
La nozione di banca, come ogni nozione empirica, ha variato col variare delle condizioni di tempo e di luogo che l'hanno determinata. In rapida sintesi si può dire che la banca, alle origini, non fece che svolgere attività ausiliaria o intermediaria nei pagamenti, operando il cambio manuale delle diverse specie monetarie, o agevolandone il trasferimento da luogo a luogo, o l'una cosa e l'altra insieme; ma con il sorgere e l'estendersi delle operazioni a credito, essa si è mutata a grado a grado in intermediaria nel credito.
Nella vita odierna dei popoli civili essa è infatti intermediaria nel credito; e se compie inoltre funzioni relative ai pagamenti, queste sono sempre secondarie, accessorie, e tali che, esercitate da sole, non attribuirebbero al soggetto il carattere di banca; così appunto il mero cambiavalute non è oggi considerato banchiere, mentre la banca compie, tra le sue molte funzioni accessorie, anche quelle del cambiavalute.
Come intermediaria del credito la banca si distingue da quegli istituti che esercitano il credito esclusivamente con capitali proprî, e ai quali da taluno si è dato il nome di società finanziarie. Nella loro figura tipica queste società, astenendosi dal raccogliere capitali altrui, si limitano a cedere a credito i capitali proprî. Tali società si debbono quindi costituire con capitali molto elevati, se vogliono poter operare in un largo campo d'azione; mentre le banche vere e proprie possono conseguire lo stesso scopo, attraverso uua savia organizzazione e un lungo, onorato esercizio, con capitali proprî molto più limitati e talvolta minimi. Le società finanziarie si possono, meglio delle ordinarie banche, dedicare a operazioni più rischiose, di più lungo impiego, e quindi di regola più redditizie; in particolare ai cosiddetti finanziamenti (donde il loro nome) per sostenere industrie nascenti o per stimolarne lo sviluppo o la trasformazione, partecipando lautamente ai loro profitti. Società finanziarie vere e proprie in Italia non ce ne sono; esistono invece alcune banche, fra le più importanti, che hanno un forte capitale proprio, e che perciò si avvicinano per i loro caratteri e le loro funzioni alle società finanziarie; ma nessuna di esse ha mai rinunziato a operare con capitali altrui, raccolti con gli stessi mezzi delle banche ordinarie.
In connessione a quanto sopra si può dire che dal lato giuridico ciò che distingue e caratterizza la banca è l'acquisto temporaneo (cioè con l'obbligo di restituirlo) di danaro con l'intenzione di alienarlo, e l'alienazione temporanea (cioè con il diritto a ripeterlo) del danaro così acquistato. In questo appunto si concreta la funzione d'intermediaria nel credito, caratteristica della banca. Questa nozione non risulta da alcun testo positivo di legge, ma il giurista la deve attingere dai rapporti concreti della vita, dalla realtà; come alla stessa fonte la deve attingere la scienza economica; sicché non è da meravigliare se la nozione giuridica e quella economica di banca sostanzialmente coincidano.
L'attività bancaria può essere esercitata tanto da una persona fisica, quanto da una persona giuridica; e tanto da una persona giuridica privata, quanto da una persona giuridica pubblica. Può darsi anche che lo stato stesso eserciti funzioni bancarie; a tal uopo può o costituire una persona giuridica autonoma distaccandola dalla sua personalità, o affidare la gestione a un proprio organo o ufficio privo di personalità giuridica. È questo il caso in Italia della Cassa depositi e prestiti, che è un ramo dell'amministrazione dello stato (una direzione generale del Ministero delle finanze) cui sono affidate tipiche e importantissime operazioni di banca.
Il banchiere, persona fisica, in quanto compie professionalmente operazioni di banca, è un commerciante; sottostà quindi a tutte le norme che riguardano i commercianti, e, in caso di cessazione dei pagamenti, cade in fallimento.
La banca, persona giuridica privata, è di solito una società commerciale, e particolarmente un'anonima; può essere però anche una società in nome collettivo, o una società in accomandita, semplice o per azioni. Come società commerciale potrà essere tanto società commerciale ordinaria, quanto società cooperativa. In Italia, di regola le cosiddette banche popolari sono società anonime cooperative, e le cosiddette casse rurali sono società cooperative in nome collettivo. La Banca d'Italia, a cui lo stato ha concesso il monopolio dell'emissione dei biglietti di banca, è anch'essa una società anonima ordinaria; e per molto tempo, appunto in relazione a questa sua forma, le è stato riconosciuto il carattere di persona giuridica privata; ma, avuto riguardo alle sue funzioni, la dottrina e la giurisprudenza più recenti le attribuiscono invece il carattere di persona giuridica pubblica. Le altre banche, persone giuridiche pubbliche, sono normalmente delle fondazioni: tali il Banco di Napoli, il Banco di Sicilia e con qualche particolare deviazione anche le casse di risparmio. A quest'ultime la dottrina e la giurisprudenza più recenti, dopo qualche esitazione, hanno riconosciuto il carattere di enti pubblici. Come enti pubblici esse non sono commercianti, e non possono cadere in fallimento. La legge speciale sulle casse di risparmio esclude infatti l'applicazione del fallimento, e crea per esse una speciale liquidazione. Ma anche per le altre banche enti pubblici analogo principio si può desumere dall'art. 7 del vigente codice di commercio, che, se riguarda espressamente lo stato, le provincie e i comuni, si deve però estendere per analogia a tutte le altre persone giuridiche pubbliche.
Le banche persone giuridiche private sono invece soggette al fallimento, qualunque forma abbiano assunta; ma anche per esse, quando abbiano raggiunto un'importanza notevolissima, potrà accadere che, per ragioni d'interesse pubblico, un provvedimento speciale le sottragga nel momento critico alla procedura fallimentare: così avvenne per il dissesto della Banca italiana di sconto.
Delle operazioni di banca si sono fatte e si possono fare diverse classificazioni. Ma la più importante è quella che si desume dalla natura stessa delle funzioni della banca. In base a tale criterio si distinguono: a) le operazioni passive; b) le operazioni attive; c) le operazioni accessorie.
Appartengono al primo gruppo tutte le svariate operazioni, con le quali le banche raccolgono capitali; al secondo quelle con cui tali capitali, così raccolti, vengono distribuiti alla clientela. Questi due gruppi riuniti insieme e contrapposti al terzo, costituiscono le cosiddette operazioni caratteristiche o fondamentali della banca, quale intermediaria nel credito. Le operazioni del primo e del secondo gruppo debbono essere svolte congiuntamente, senza di che non si avrebbe la funzione tipica dell'intermediazione nel credito. Debbono inoltre essere combinate in modo armonico, nel senso che a operazioni passive a breve scadenza debbano corrispondere operazioni attive analoghe, e così via; senza di che la banca, pur avendo un passivo (ammontare dei capitali raccolti) uguale o superiore all'attivo (ammontare dei crediti coneessi), potrebbe giungere al fallimento, per l'impossibilità di liquidare i suoi crediti in tempo utile e di far fronte ai suoi debiti. È questo senza dubbio il canone di tecnica bancaria di maggiore importanza, la cui violazione è stata sovente causa di rovine.
Appartengono al terzo gruppo tutte le altre operazioni, che sono estranee a tale funzione tipica e che, diversamente dalle fondamentali, non varrebbero mai, se esercitate da sole, ad attribuire al soggetto il carattere di banca. Ma la banca, che è tale in virtù delle operazioni fondamentali, assume anche queste accessorie, perché la sua speciale organizzazione le dà modo di adempierle facilmente e bene, con vantaggio della clientela e proprio.
In merito ai due primi gruppi, si deve notare che la denominazione di operazioni attive e passive deriva dalla pratica contabile, in quanto le prime, nelle quali la banca si costituisce creditrice, vengono iscritte nell'attivo del bilancio, mentre le seconde, nelle quali la banca si costituisce debitrice, vengono iscritte al passivo.
Tra le passive hanno speciale importanza l'emissione di biglietti di banca, l'emissione di cartelle fondiarie, i depositi, anche perché queste tre specie di operazioni passive caratterizzano tre diversi e importanti tipi di banca. In relazione infatti a quel canone di tecnica bancaria sopra ricordato, per il quale a operazioni attive a breve scadenza devono corrispondere operazioni passive per un tempo corrispondente, le banche sono indotte a specializzarsi, proponendosi un determinato campo d'attività, per il quale l'una o l'altra di quelle operazioni passive apparisca la più appropriata. A questo proposito si possono dare due ipotesi: o la banca sorge per esercitare una data specie d'impiego di capitali (credito agrario, sconto di effetti commerciali, ecc.) e allora a quella specie di operazioni attive deve conformare la sua attività nel campo delle operazioni passive; oppure sorge per l'esercizio di una data specie di operazioni passive (ad es. l'emissione di biglietti di banca) e allora deve compiere operazioni attive che possano armonizzarsi con quelle.
L'emissione dei biglietti di banca è oggi, in moltissimi stati civili, un privilegio o monopolio dello stato, perché da essa dipende in gran parte l'atteggiarsi di tutte le economie, private e pubbliche, e la loro stessa fortuna; sicché è funzione che non può essere abbandonata al giuoco delle iniziative individuali, ma deve essere diretta e guidata dallo stato. Lo stato può creare una banca di emissione propria, o affidare la delicata funzione a una banca sorta per iniziativa di privati e da essi amministrata, ma sotto la sua diretta vigilanza. Si è riconosciuto, attraverso l'esperienza, che una banca unica di emissione meglio risponde allo scopo, sia per il genere di attività che deve svolgere, sia per il controllo cui dev'esser soggetta. In Italia, solo di recente si è arrivati alla banca unica di emissione.
Il biglietto di banca è un debito a vista e al portatore; sicché la banca è debitrice a vista verso gl'innumerevoli portatori per l'intero ammontare della propria emissione; donde la necessità che le operazioni attive siano tutte a brevissima scadenza e di sicurissimo impiego. Per altri particolari, v. circolazione monetaria.
La banca di emissione sorge per attuare una tipica operazione passiva, in vista della quale disciplina tutto il suo ordinamento e in particolare le sue operazioni attive. Invece gl'istituti di credito fondiario sorgono per attuare un'operazione attiva, in vista della quale debbono coordinare la loro attività rivolta a procacciarsi i mezzi necessarî, cioè alle operazioni passive. E poiché il credito agrario si opera con investimenti a lunga o a lunghissima scadenza, le operazioni passive debbono lasciare alla banca un altrettanto lungo respiro. A questo scopo si sono ideate le cartelle di credito fondiario, rimborsabili per sorteggio in un lungo periodo di anni. Anche qui per i particolari, v. credito fondiario.
I depositi costituiscono una categoria di operazioni passive meno omogenea delle precedenti; il rimborso può avvenire o a vista, come per i biglietti di banca, o con un certo preavviso, di regola brevissimo, o a scadenza fissa, ma non mai così lontana come per le cartelle di credito fondiario; anche nel caso in cui la scadenza è a vista, il deposito rappresenta però sempre un impiego provvisorio di capitali, mentre il biglietto di banca è, nelle mani di chi lo possiede, un mero strumento di pagamenti; donde la conseguenza che anche nei depositi a vista la banca può contare, in condizioni normali, su una relativa stabilità dei medesimi.
La varietà dei depositi si riflette sulla varietà dei titoli che li rappresentano (buoni a scadenza fissa, libretti di risparmio, libretti in conto-corrente con disponibilità per mezzo di assegni bancarî) e sulla varietà dei rapporti giuridici che essi creano (mutui, depositi irregolari).
Le banche di depositi, appunto per tale varietà, non sono tutte soggette agli stessi criterî di ordinamento e di gestione; ma questi debbono variare secondo la specie dei depositi. Per tale ragione è difficile disciplinarle, ed è difficile sorvegliarne l'andamento; causa indiretta di dissesti, con gravi e vaste ripercussioni sul ceto dei risparmiatori; mentre tutte le garanzie invocate, e talvolta attuate, a favore dei depositanti non raggiungono facilmente lo scopo, o lo raggiungono troppo, inceppando l'attività della banca. In Italia sono soggette a un particolare regime, a garanzia dei depositanti, le casse di risparmio; e sebbene anche tra esse qualcuna abbia tralignato e sia caduta in dissesto, nella generalità peraltro hanno risposto egregiamente allo scopo, meglio delle società ordinarie e delle banche cooperative; tanto che il governo di recente ha creduto opportuno di sottoporre anche queste alla vigilanza dell'istituto di emissione.
Un'altra diversità fra la banca di deposito e la banca di emissione è che la prima deve raccogliere i capitali per poi impiegarli, sicché le operazioni passive precedono nel tempo le attive; mentre la banca di emissione compie in ogni singolo atto di emissione contemporaneamente un'operazione attiva e passiva: attiva in quanto la banca si costituisce creditrice di colui al quale fa lo sconto o l'anticipazione, passiva in quanto al medesimo non dà danaro in specie metalliche, ma dà una promessa, con la quale si costituisce debitrice; sicché l'effetto utile dello sconto o dell'anticipazione a favore del cliente non si verifica con il ricevimento dei biglietti, ma con la spesa che egli successivamente ne faccia; e solo da questo momento si verifica la funzione intermediaria della banca. Nelle banche di credito fondiario potrebbe in astratto verificarsi l'una cosa o l'altra, secondo che la banca collochi prima le cartelle ricavandone il danaro da mutuare, o dia allo stesso mutuatario le cartelle, che il mutuatario negozierà, ricavandone il danaro. Quale in concreto sia l'ordinamento del credito fondiario in Italia, non è qui il caso di dire, rinviandosi all'apposita voce.
Le tre suaccennate sono le più importanti, ma non le uniche operazioni passive: ogni altro mezzo, con il quale la banca si procura la disponibilità di capitali, è un'operazione passiva: così il mutuo ordinario, con garanzia reale o senza; così il risconto degli effetti in portafoglio.
Una menzione particolare merita l'assegno circolare entrato da poco nella pratica italiana e regolato con legge speciale (r. decreto 7 ottobre 1923, n. 2283) dopo il dissesto della Banca italiana di sconto. Rientra fra le operazioni passive, perché per esso la banca riceve in anticipazione la somma della quale si costituisce debitrice, analogamente a quanto avviene nel deposito; e al creditore rilascia l'assegno circolare, che servirà a lui come mezzo di pagamento. Da quest'ultimo punto di vista l'emissione degli assegni circolari ha analogia con l'emissione dei biglietti di banca; donde la necessità di un regolamento giuridico che tuteli i proprietarî degli assegni verso la banca, e tuteli lo stato, sia nel riguardo fiscale, sia riguardo alla concorrenza coi biglietti di banca e all'inflazione che ne può derivare. Dal punto di vista formale e giuridico l'assegno circolare è molto vicino al pagherò o vaglia cambiario, differendone solo in qualche requisito.
L'assegno limitato o vade-mecum, anche di più recente introduzione nella nostra pratica, e l'assegno turistico o travellers' cheque, che ci vieue d'oltremare, dal punto di vista formale e giuridico, sono assegni bancarî, ma nella sostanza sono simili agli assegni circolari. Sicché, ove l'uso se ne diffondesse, lo stato dovrebbe intervenire a regolarli, per evitare frodi fiscali e impedire l'inflazione oltre che per estendere a essi le garanzie disposte a favore dei proprietarî degli assegni circolari.
Le operazioni attive si distinguono anch'esse, come le passive, secondo la diversa natura dell'impiego, e la durata correlativa.
Per gli impieghi a breve scadenza, richiesti particolarmente da chi esercita il commercio di merci o di valori, servono le anticipazioni su merci o su valori, lo sconto di effetti commerciali di ogni specie, la creazione di mutui diretti in forma di pagherò o vaglia cambiarî. A questa specie di operazioni possono ricorrere anche l'industriale e l'agricoltore, ma solo per gl'impieghi brevi, di esercizio. Per gl'impieghi più lunghi, d'impianti industriali e di migliorie fondiarie, essi debbono ricorrere a operazioni di più lungo respiro. Servono a questo scopo, come vedemmo, nel campo dell'agricoltura gl'istituti di credito fondiario e gl'istituti di credito agrario per le operazioni di miglioria. Dovrebbe servire a questo scopo, nel campo industriale, l'emissione delle obbligazioni regolata dal codice di commercio. Ma le obbligazioni, forse per lo stesso regolamento legislativo, forse per ragioni fiscali, non hanno trovata estesa applicazione; e in ogni caso non possono essere emesse dalle imprese individuali e dalle società in nome collettivo e in accomandita semplice. Sopperiscono spesso a questo bisogno gli stessi aumenti di capitale azionario; spesso la trasformazione delle imprese (individuali o sociali) in società per azioni con conseguente aumento di capitale; spesso ancora il diretto finanziamento delle banche.
Questo intervento delle banche nel campo industriale, con l'assunzione di obbligazioni e di azioni e la costituzione di appositi sindacati, o addirittura con il finanziamento diretto, ha assunto via via importanza sempre maggiore. È questo il terreno più difficile e insidioso dell'attività bancaria; e dovrebbero cimentarvisi soltanto le societb finanziarie vere e proprie, di cui sopra si è detto, o le banche fornite prevalentemente di proprio capitale azionario; e in ogni caso occorre un personale dirigente specializzato anche nei problemi dell'industria. Invece troppo spesso vi si abbandonano le banche di deposito, senza nessuna esperienza e in aperto contrasto con la natura e le esigenze delle loro operazioni passive.
Un altro campo d'impieghi dei capitali a non lunga scadenza, è quello dei riporti. Qui l'attività delle banche s'intreccia con quella delle borse e degli operatori di borsa; e serve, o dovrebbe servire, a rendere più facili le liquidazioni. Il riporto non è peraltro sempre un'operazione attiva; può anche essere, per la banca impegnata in operazioni di borsa e in riporti, un'operazione passiva, in quanto serva ad alleggerire la sua posizione e a farla rientrare nella disponibilità del danaro liquido.
Molto numerose, e varie più che mai, sono le operazioni accessorie. Per esse le banche escono dalla loro funzione caratteristica, d'intermediarie nel credito, e assumono le più svariate attività, proprie dei commissionarî, degli agenti di commercio, degli uffici di affari, degli uffici d'informazione, dei cambiavalute, dei custodi di valori. Esse le assumono perché la loro organizzazione è già idonea per sé stessa a tali servizî, sicché non hanno bisogno di nuovi locali e di nuovi impianti per soddisfarli; perché la loro forza economica, il largo nome di cui godono, le pongono in una posizione di favore di fronte agli stessi commissionarî, cambiavalute, custodi di professione; perché hanno così il modo di soddisfare alle diverse esigenze della propria clientela e di maggiormente legarsela; perché le operazioni accessorie sono sovente il tramite per le vere operazioni di banca, di raccolta e d'impiego dei capitali.
Tra le operazioni di commissione ha speciale importanza quella di compera o di vendita di titoli per la propria clientela. Tra le operazioni di cambio, oltre l'antichissimo cambio manuale di monete, l'acquisto e la vendita di divise estere. Non di rado le banche si costituiscono garanti dei loro clienti (fideiussioni, avalli).
Nei depositi bisogna distinguere i depositi chiusi dai depositi in amministrazione. Nei primi si consegna alla banca una cassetta chiusa, un involucro sigillato con dichiarazione di valore: ed è un ordinario deposito regolare retribuito. Nei secondi si consegnano dei titoli aperti, che la banca deve amministrare, staccando cioè a suo tempo le cedole d'interessi o di dividendi, esercitando le opzioni, verificando le estrazioni, e via dicendo. Qui al vero deposito regolare, che si attua mediante individuazione dei titoli (serie, numeri, ecc.), si aggiunge un rapporto accessorio di mandato (nei titoli nominativi, e con le debite autorizzazioni) o di commissione (nei titoli al portatore; tali sono quasi sempre le cedole, anche se annesse a titoli nominativi).
Quando i titoli sono consegnati alla banca senza individuazione e con l'autorizzazione, implicita o esplicita, di servirsene, allora siamo di fronte, non più a un'operazione accessoria, ma a una vera operazione passiva di banca: un'operazione cioè con la quale la banca si costituisce debitrice di altrettanti titoli della stessa specie e si procura capitali (in quanto può alienare i titoli ricevuti o può darli in pegno per ottenere anticipazioni). Questa specie di operazioni ha dato luogo, in occasione del dissesto della Banca italiana di sconto, a numerose decisioni di magistrati, nelle quali è prevalso il concetto di riconoscere in tali operazioni, quando ricorrano i presupposti suddetti, dei contratti di deposito irregolare (o, come altri ha preferito dire, di mutuo).
Un servizio bancario, accessorio ma di notevole importanza, è quello delle cassette-forti (o cassette di sicurezza). Le banche costruiscono appositi locali corazzati, con speciali accorgimenti tecnici, che li rendono sicuri, o quasi, dall'incendio, dalle inondazioni, dai furti; o adibiscono a tale servizio una parte del proprio tesoro, costruito nel modo anzidetto per la custodia dei proprî valori; sorvegliano l'ingresso di questi locali e lo controllano con impiegati di fiducia; cedono infine per un dato prezzo le cassette di varie dimensioni situate nei detti locali, perché il cliente se ne possa servire per depositarvi valori e altre cose. L'organizzazione del servizio non è sempre identica e varia spesso da banca a banca, specialmente per il modo di chiusura delle cassette, secondo che vi partecipi o no anche la banca; e secondo che questa abbia o no il diritto di vigilare su ciò che si colloca nella cassetta. Molto si è discusso sulla natura giuridica di questo servizio. Taluni vi scorgono un contratto di locazione di cosa (mobile o immobile); taluni un contratto di deposito, taluni un contratto di locazione di cosa e di deposito, successivi nel tempo; taluni un contratto innominato, ma simile al deposito.
Sulla natura, civile o commerciale delle banche, già s'è detto. Sulla natura, civile o commerciale, delle operazioni di banca, non c'è molto da dire: chi ne scrisse, ne trasse piuttosto argomento per divagazioni importanti sul tema generale degli atti di commercio, che non per studî speciali su quello particolare delle operazioni di banca.
Se la banca è commerciante, le operazioni sue sono commerciali in forza dell'art. 4 cod. comm. (atti di commercio cosiddetti subiettivi). Ma anche se non è commerciante, le operazioni stesse sono commerciali in forza dell'art. 3, n. 11 (atti di commercio cosiddetti obiettivi). Quest'ultimo testo dichiara commerciali senz'altro le operazioni di banca, quindi tutte, senza distinzione; e cioè tanto le fondamentali o caratteristiche, quanto le accessorie; le prime in quanto costituiscono veri atti d'intermediazione, analoghi per questo verso alle compre-vendite dei numeri 1 e 2 dello stesso articolo; le seconde, sia in quanto poste in essere da un'impresa (ché tale è normalmente una banca), sia in quanto collegate nell'organizzazione stessa dell'azienda alle operazioni fondamentali (principio della commercialità per riferimento o per accessorietà in senso lato).
Bibl.: Sulle banche e sulle operazioni di banca dal punto di vista giuridico si vedano i trattati di diritto commerciale; C. Vivante, Trattato di diritto commerciale, 5ª ed., I, Milano 1922-26; A. Rocco, Principî di diritto commerciale, Torino 1928, n. 45; U. Navarrini, Trattato di diritto commerciale, Torino 1919-26, I, nn. 145-46, e i commentarî al codice di commercio coordinato da L. Bolaffio, I, 5ª ed., Torino 1922 segg., art. 3, n. 11; L. Franchi, 9ª ed., Milano 1926, nn. 54-55. Per questioni singole v.: P. Coppa-Zuccari, La natura giuridica del deposito bancario, Modena 1902; A. Arcangeli, La natura commerciale delle operazioni di banca, in Rivista di diritto commerciale, 1904, I; id., Il servizio bancario delle cassette-forti di custodia, in Rivista di diritto commerciale, 1905, I; I. La Lumia, I depositi bancarî, Torino 1913; id., Diritto bancario, fasc. i, Roma 1920; V. Angeloni, I sindacati finanziarî, Milano 1909; id., Lo sconto, Milano 1915; A. De Gregorio, Il problema della tutela dei depositi bancarî, in Archivio giuridico, XCV, p. 2; id., La legislazione italiana sulla tutela del credito e del risparmio, in Rivista di diritto commerciale, 1929; A. Scialoja, I nuovi mezzi di conclusione dei depositi presso banche, in Saggio di vario diritto, I, Roma 1927; F. Messineo, Operazioni di borsa e di banca, Roma 1926.
Banche ordinarie di credito.
Due concetti, che si possono sintetizzare con le espressioni banca cassiera e banca intermediaria, contribuiscono particolarmente a caratterizzare la funzione della banca ordinaria.
Il primo concetto trova il suo fondamento nella consuetudine invalsa tra gl'imprenditori, diffusasi poi nei paesi capitalisticamente più evoluti tra le più varie sfere della popolazione, di affidare alla banca disponibilità che possono occorrere nei rapporti ordinarî d'affari o su cui, comunque, si desidera poter fare assegnamento a ogni occorrenza. I depositi, in tale ipotesi, non sono somme cui il cliente rinunci in vista di un frutto futuro, ma semplicemente somme che egli affida alla custodia della banca: di esse, mercé la pratica degli assegni, egli ha una disponibilità continua e completa. La banca inoltre può assumersi il compito di riscuotere per lui cambiali, assegni, cedole, interessi, ecc.; di trasferire nello spazio mezzi di pagamento o anche di eseguire per lui pagamenti a terzi, all'interno o all'estero. In tale sua attività la banca è in parte in concorrenza con enti pubblici o semipubblici, quali uffici postali, ecc. L'incremento di certe categorie di tali depositi può derivare dal fatto che nuovi elementi della popolazione si valgono dei servizî bancarî, ma può (come, per es., in Francia e in Inghilterra nel 1926) essere un indice di una crisi industriale o commerciale che rende inutilizzati risparmî destinati a un eventuale impiego produttivo in investimenti vecchi o nuovi.
Il secondo concetto trova il suo fondamento nell'opera di mediazione che la banca compie, mettendo in relazione tra di loro risparmiatori e imprenditori, costituendosi debitrice verso i primi e creditrice verso i secondi. I primi affidano alla banca depositi assai tenui, che non possono o non vogliono impiegare essi stessi: la banca li fa fruttare con mezzi che non sono alla loro portata o di cui non osano valersi, ed essi si riservano il diritto di poterli ripetere a vista o con breve preavviso. La banca, oltre a fare assegnamento su una certa giacenza media dei depositi ricevuti, fa assegnamento sul flusso futuro dei depositi nei limiti in cui questo può essere oggetto di previsioni. Un certo grado d'incertezza è inerente al carattere stesso della sua attività. In considerazione della necessaria liquidità in cui la banca deve tenere tali risparmî, sia pur regolandosi in base alla psicologia e alle esigenze della propria particolare clientela e alla mutevole situazione economica, la teoria tradizionale presume che essa impieghi i depositi in investimenti a breve termine quali prestiti sotto forma di sconti di effetti di non lontana scadenza, di conti correnti attivi o di anticipazioni su merci e valori facilmente realizzabili senza notevoli alee o, quanto meno, raccomanda tali investimenti come una saggia e onesta norma di condotta. Pur con tali limitazioni, rarissimamente osservate nella maggior parte dei paesi in cui la banca è strettamente connessa all'organismo industriale, l'importanza della banca ordinaria è assai notevole. I varî attriti del mercato di natura tecnica, economica, politica, etnica, ecc., che portano a disuguaglianze nei tassi netti dei varî rami dell'economia produttiva, di continuo le schiudono nuovi campi d'azione: essa con sensibilità economica, acquisita e affinata da un'esperienza quotidiana, mutuando dagli uni e prestando agli altri (e ciò attraverso a multiformi e mutevoli differenze di tassi), ponendo in intimi rapporti i mercati e facilitando la trattazione degli affari, contribuisce ad avvicinare la realtà contingente agli schemi tendenziali della teoria pura, che tale realtà abbraccia e nello stesso tempo trascende, presupponendo stati di concorrenza universale e perfetta, e mercati perfezionati. È ben noto, ad es., come scontando certe cambiali a preferenza e a migliori condizioni di altre, preferendo certi creditori e determinate forme di garanzia o modalità contrattuali, essa eserciti un'influenza mediata sugl'investimenti a lunga scadenza, tendendo in genere a favorire i più produttivi. D'altra parte essa può, per un altro verso, contribuire a mantenere determinate situazioni che forze economiche o politiche tenderebbero a eliminare, diffondendo, ad es., in certe classi della popolazione la consuetudine di accontentarsi dell'interesse da essa corrisposto sui depositi o, in genere, tentando di mantenere l'interesse dei prestiti superiore a quello dei depositi, o valutando determinate ricchezze con criterî divergenti dalle nuove tendenze del pubblico mercato o esigendo tassi elevati per le proprie concessioni di credito nelle regioni economicamente arretrate o, in genere, variando i tassi dei prestiti pur fra categorie di mutuatarî che dànno pari affidamento oppure permettendo la sussistenza d'industrie, che non remunerano transitoriamente i capitali impiegati. Si noti che nella detta ipotesi, se non altro, l'industria è finanziata col risparmio spontaneo dei depositanti anziché con ricchezze sottratte ai contribuenti o ai consumatori con l'imposizione di tributi, dazî o premî.
La teoria bancaria, ove ben si consideri, non è che un corollario - di economia applicata - della teoria dell'interesse: la norma di rifuggire da immobilizzazioni può tradursi nell'altra per cui compito essenziale della banca è quello di anticipare mezzi a coloro che ne mancano temporaneamente, in ragione del reddito di cui periodicamente godono: vi è chi si spinge ad affermare che essa dovrebbe anticipare mezzi ai soli commercianti, non agli industriali, in considerazione della maggior brevità del loro ciclo produttivo e del maggior bisogno che quelli hanno di capitali circolanti. La banca di continuo deve rinnovare tali impieghi per avere i capitali durevolmente investiti: in tal senso il capitale circolante, a differenza del fisso, di continuo muta la propria forma in base a considerazioni particolari di convenienza; in tal senso più intima e continua è la dipendenza sua dal movimento economico internazionale.
Due sono essenzialmente le categorie di mutuatarî. Gli uni sono privi effettivamente di ricchezza tecnicamente formata, come nel caso d'un imprenditore che paga un proprio creditore con una cambiale che egli potrà estinguere a compimento effettuato del proprio ciclo produttivo: la banca, pagando la cambiale al creditore o a un giratario che la presenta, anticipa nel suo valore attuale tale ricchezza, per tutto il periodo che manca alla scadenza o per un periodo minore se, a sua volta, risconta l'effetto presso un'altra banca. Lo scontatario, anziché un imprenditore può essere un professionista o un salariato che, in definitiva, da quello riceverà, in quote variamente ripartite nel tempo, la propria rimunerazione, direttamente sotto foma di parcelle o di salarî oppure mediatamente sotto forma d'imposte. Anziché di sconto di cambiali e d'intromissione della banca in un rapporto di credito già esistente, e cui altri soggetti hanno dato vita, può trattarsi di un'apertura di credito effettuata sotto altra forma (ad es. un credito per acquisti, spesso stagionali, di materie prime o semilavorate, estinguibile quando i prodotti ulteriormente elaborati o finiti saranno ceduti ad altri imprenditori o ai consumatori): ogni accreditamento presuppone una valutazione dello stadio della formazione tecnico-economica dell'unità di prodotto o dell'epoca in cui questo sarà venduto oppure del periodo di tempo in cui il professionista o il salariato disporrà della propria remunerazione: tale disponibilità futura, ai fini della concessione di credito, assume un valore attuale. Altri mutuatarî non mancano di ricchezze, ma queste sono fruttifere a lunga scadenza e non si prestano a soddisfare un determinato sistema di bisogni che si presenta in un determinato istante. Può trattarsi di spese non ammortizzate, sorgenti in relazione a bisogni ordinarî di determinate economie (ad. es. nel caso degl'industriali per le spese di esercizio quali - soprattutto - quelle generali inerenti al pagamento dei salarî) o in relazione a bisogni straordinarî (ad es. in causa della congiuntura, buona o avversa, che richiede l'apprestamento di mezzi prontamente utilizzabili per scopi consuntivi o produttivi). A tali ipotesi è, in certo senso, da equiparare quella dello speculatore o dell'investitore che, non potendo soddisfare integralmente ai proprî impegni, si fa riportare a una scadenza successiva i titoli acquistati. Tutte queste persone ed enti hanno "ricchezze" talora ingenti, quali edifici, macchinarî, clientele o titoli di credito, ecc., che non possono realizzare senza gravi perdite: l'alienazione, non conveniente, date le condizioni interne dell'economia o quelle esterne del mercato, non è spesso neppur compatibile con la prosecuzione d'un dato ramo d'affari. Tali prestiti a breve scadenza rendono appunto possibili agl'industriali gl'investimenti a lunga scadenza; senza di essi l'attuale organizzazione produttiva non sarebbe possibile, non bastando ai bisogni dell'industria e del commercio i prestiti a breve termine, che possono talora essere concessi dai privati redditieri o le riserve che si possono sottrarre al capitale attivo dell'imprenditore. Un industriale che dovesse tenere costantemente liquida una cospicua parte del suo capitale, sottraendolo all'impresa, lo immobilizzerebbe non meno della banca che tenesse costantemente e durevolmente impiegata una cospicua parte del proprio capitale. I depositanti, per difetto di capacità e di conoscenze, non sono in grado di accordare tali prestiti: in tal senso la banca trasforma il loro risparmio, il quale in definitiva anziché essere offerto a determinate condizioni è offerto ad altre: operazione questa, che assume un'importanza particolare per la concessione del credito a breve termine, atta anche per tali ragioni a caratterizzare il lato essenziale dell'attività bancaria. La banca è in certo modo un imprenditore: perciò si suole considerare l'ipotesi limite, pur così lontana dalla realtà, della banca priva affatto di capitali proprî, semplice intermediaria tra risparmiatori e imprenditore, così come quest'ultimo è concepito come semplice intermediario fra capitalisti e lavoratori: concezione questa che trova in certo modo riscontro nel pensiero di Ricardo e dei moderni giuristi, in specie inglesi, che ritengono che l'impiego di capitali "altrui" costituisca elemento essenziale a caratterizzare l'attività bancaria.
Si è finora supposto che la banca ordinaria trovi nei depositi o in genere nelle ricchezze di cui effettivamente dispone un limite alla propria attività. Così per vero afferma qualche scrittore, ma è opinione contraddetta dalla più elementare osservazione del mondo circostante, come ora riconosce la maggior parte degli studiosi. La emissione di un assegno non fondata su di un effettivo deposito già effettuato, ma su di un conto corrente attivo che una banca apre a favore di Tizio si risolve in una creazione di credito, immediatamente utilizzabile per scopi consuntivi o produttivi, atta a regolare passati o nuovi rapporti interindividuali o interaziendali: rappresenta una nuova disponibilità creata dalla banca, la quale, in assenza di disposizioni legislative o contrattuali, appare perfettamente libera nell'opera sua di creazione di mezzi di pagamento. Analogamente la banca può scontare cambiali senza consegnare disponibilità avute dai depositanti, accreditando semplicemente la somma a favore dello scontatario onde egli può giovarsi nei suoi rapporti d'affari d'un credito bancario dietro cui può non esistere risparmio effettivo. Varia può essere la durata del credito concesso e vario lo scopo, noto alla banca oppur no: l'assegno, che nella detta ipotesi più che un semplice mezzo di pagamento appare un titolo rappresentativo di un'effettuata concessione di credito (e solo talora rappresenta una semplice partita di giro), si distingue essenzialmente da un credito creato sotto altra forma per la brevità della sua esistenza. Anche qui si può parlare di anticipazione di una ricchezza futura, garantita o no, per quanto si possa presumere che sia per lo più accordata a clienti solidi con i quali si svolgono cospicue operazioni. Tale condotta, che è seguita in special modo da qualche banca, interessa particolarmente per i rapporti delle banche tra di loro; in quanto tende in un determinato periodo di tempo a essere seguita con una certa intensità da tutto l'organismo bancario, assume una notevolissima importanza per la situazione economica generale. Ciò riconoscono autorevoli studiosi quando, per es., osservano come molti assegni, per quanto pagabili in. oro a ogni eventuale richiesta, abbiano nella maggior parte per contropartita accreditamenti annullati poi dalle banche col meccanismo delle compensazioni; oppure quando osservano essere erroneo calcolare integralmente i depositi bancarî (tale espressione va qui intesa in senso lato per comprendere i cosiddetti depositi fittizî quali, per es., quelli corrispondenti ad accreditamenti di cui il cliente non si è valso) nell'inventario della ricchezza che un paese possiede in un determinato istante di tempo, rappresentando essi per un ammontare difficilmente precisabile puri accreditamenti (di cui comunque il cliente può disporre a suo piacimento). L'intelaiatura del credito è così poderosa che può celare per un certo periodo di tempo un intervenuto rallentamento nella formazione del risparmio (la quale, a quanto ci rivelano le statistiche dei varî paesi, e l'osservazione del mondo circostante, è assai irregolare) e può permettere di godere i frutti di un risparmio non ancora formato. Se tale risparmio si forma con una certa prontezza, nulle o minime sarann0 le ripercussioni di tali creazioni di credito sul livello dei prezzi, sì che può dirsi che la società tutta riesce a trasferire nel futuro, sia pure in un futuro non molto lontano, il costo inerente alla formazione del risparmio. In genere però i prezzi tenderanno a crescere, in seguito all'addizionale potere d'acquisto creato, per il diminuito potere d'acquisto della moneta.
L'eccessiva creazione di credito da parte delle banche finisce col trovare, in condizioni normali, un naturale correttivo nella conseguente elevazione del saggio dell'interesse. I prestiti concessi dalle banche sono stati originati dalle intense richieste di certe classi della popolazione: il sorgere di nuovi bisogni, il subitaneo deprezzamento dei beni futuri anteposti ai presenti in misura più notevole del normale (l'aggettivo "normale" ha qui un semplice significato empirico-statistico, non razionale), la più intensa attività che aumenta il valore produttivo unitario delle disponibilità per nuovi impieghi devono, per forza di cose, risolversi in un aumento del saggio dell'interesse, che, oltre a ridurre i valori capitali, pone un valido freno alle richieste di credito e un incentivo all'offerta di risparmio interno ed estero. Se tale creazione di credito si è verificata in particolar modo in un dato paese, l'aumento dei prezzi tende pure a essere eliminato dall'intensificata concorrenza estera (le maggiori importazioni diminuiscono i profitti degl'imprenditori e, in genere, in difetto di clausole contrattuali o d'imposizioni legislative, diminuiscono le remunerazioni tutte che dal profitto di quelli direttamente o mediatamente derivano, e, quindi, diminuiscono le capacità produttive e consuntive di coloro cui spettano tali remunerazioni).
Si è finora supposto che, in un'evoluta economia creditizia, le banche ordinarie, complessivamente considerate, possano estendere, in condizioni normali, le loro creazioni di credito senz'altro limite che quello determinato dalle forze primordiali dell'organismo economico. Tale supposto tuttavia non corrisponde alla realtà: in ispecie nei paesi capitalisticamente più evoluti in cui i mercati meno divergono dalla perfezione e sensibilità postulate dalla teoria, la banca di emissione, direttrice suprema del mercato monetario, previene gli eccessi creditizî manovrando di continuo il saggio dello sconto (o, talora, il tasso d'interesse da essa corrisposto sui depositi effettuati dalle banche).
Il concetto tipico della banca ordinaria è quello d'un ente che riceve depositi dai singoli e li presta a breve termine alle persone o agli enti a cui occorrono disponibilità in ragione della propria attività produttrice o speculativa: a tal compito si aggiunge quello di provvedere all'emissione degli assegni, i quali rappresentano trasferimenti di depositi tenuti in conto corrente o trasferimenti di crediti concessi dalle banche stesse. Tale concetto s'è concretarnente realizzato nella sua integrità soltanto in Inghilterra - specialmente a Londra - e, in più tenue misura e limitatamente a qualche istituto, in Francia. In Inghilterra la banca di deposito è al centro di un organismo complesso e molto differenziato che non ha riscontro altrove: la sua attività è rigidamente limitata in quanto non ha partecipazioni industriali vere e proprie, e in quanto ai finanziamenti a lungo termine, al commercio dei cambî e dei metalli preziosi, alle operazioni su merci e titoli esteri, ecc. provvedono enti particolari.
Accenniamo ora più particolarmente alle operazioni bancarie e, innanzi tutto, al deposito, tipica operazione passiva della banca ordinaria. Le varie classificazioni dei depositi si aggirano soprattutto attorno ai concetti di banca cassiera e di banca intermediaria. Lo scopo puro e semplice della custodia prevale nei depositi a vista o rimborsabili previo breve preavviso: si congiunge variamente a quello del servizio di cassa nei deposità in conto corrente. Questi ultimi, spesso assai ingenti, sono tenuamente remunerati o non remunerati affatto e, talora, gravati dall'onere di provvigioni; il cliente ne dispone con assegni e affida alla banca il compito di effettuare riscossioni e pagamenti a terzi, in parte risolventisi in pure partite di giro. Ai depositi in conto corrente si accostano i depositi di titoli a lunga scadenza, traslativi di proprietà, per quanto miranti a tutt'altro fine, a quello cioè di ritrarre dal titolo un frutto maggiore di quello che esso naturalmente produce e ciò assorbendo parte dei lucri che dall'uso del titolo stesso possono derivare alla banca (cosiddetti, erroneamente, comodati, sulla cui natura economico-giuridica molto si discusse in seguito al dissesto della Banca italiana di sconto). Quanto ai depositi in conto corrente si noti come per mezzo di essi la banca possa, talora, controllare la posizione del cliente il quale, spesso, è contemporaneamente suo debitore o si appresta a divenirlo. L'uso degli assegni, di cui tanto si propugna lo sviluppo e che si tenta di diffondere con misure legislative, costituisce in molti paesi una cospicua fonte di lucro per le banche. Uno sviluppo dell'uso degli assegni è indubbiamente giovevole all'economico svolgimento delle transazioni, pur se non conviene esagerarne i vantaggi argomentando per analogia da quanto si verifica in Inghilterra e negli Stati Uniti, dove essi permettono ampie compensazioni, sostituendo effettivamente la moneta, il che ovviamente ha la propria base su di un'economia e su di una struttura creditizia notevolmente diverse da quelle italiane. Come ben fu messo in evidenza, un maggior senso reciproco di fiducia ne può agevolare la diffusione; il rischio si attenua quando la riscossione non può essere effettuata che da un banchiere (assegno sbarrato: regolato in Italia dall'art. 6 del r. decreto-legge 7 ottobre 1923, n. 2283); in Italia si ricorse e si ricorre ai più diversi mezzi per diffonderne l'uso, e varie forme sono state adottate, dall'assegno circolare firmato dall'istituto emittente agli assegni vade mecum e limitati, introdotti di recente rispettivamente dalla Banca commerciale italiana e dal Credito italiano, i quali tendono a eliminare il pericolo degli assegni a vuoto. Come fu già ricordato, gli assegni possono anche rappresentare crediti concessi dalle banche stesse, che, venendo depositati presso l'istituto emittente o presso altro istituto, dànno origine ai cosiddetti depositi fittizî. Caratteristica è l'assenza di ogni scopo di risparmio in tali depositi, scopo che può assumere invece una certa importanza nei depositi semplici rimborsabili a lungo preavviso e nei depositi a scadenza fissa, i quali ultimi dànno origine a buoni fruttiferi, che impegnano la banca a rimborsare al termine pattuito le somme ricevute, oltre gl'interessi. In un mercato perfezionato il loro saggio tende a mantenere un rapporto costante con quello ufficiale di sconto. Tali depositi possono essere costituiti da risparmio di nuova formazione in attesa di futuri impieghi produttivi o consuntivi oppure dall'importo di capitali già investiti, resisi disponibili in seguito all'esaurimento di un determinato ciclo produttivo: si tratta comunque di fondi temporaneamente inutilizzati, che possono abbondare in epoche di intense trasformazioni di capitali o in epoche di crisi. Il carattere dell'impiego a lunga scadenza prevale invece nei depositi più propriamente a risparmio, in quanto in notevole parte effettivamente costituiti da risparmio di nuova formazione, per cui il deposito, impiego fruttifero di durata indefinita, è fine a sé stesso. Tali depositi sono contraddistinti dall'interesse relativamente elevato corrisposto, dalla tenuità dei limiti minimo (talora anzi inesistente) e massimo, e talvolta dai forti preavvisi necessarî per i prelievi. È questa la forma d'impiego che più si raccomanda alle classi meno abbienti, onde favorirne il risparmio, per la sicurezza che dovrebbe offrire (pur permettendo alla banca, meglio degli altri depositi, investimenti a più lunga scadenza), compatibilmente con la scarsa educazione economica dei minori redditieri, oltre che per tradizioni di classe. Indubbiamente le varie categorie di depositi, pur potendo spesso corrispondere a diversi bisogni, contemporanei o successivi delle stesse economie, derivano, per notevole parte, dalle disponibilità di classi diverse della popolazione e il loro vario incremento può assumere diverso significato: indice prezioso per la banca in ispecie, se pur non sempre di facile interpretazione.
I depositi, unitamente col capitale proprio delle banche (sempre più ampio in valore assoluto nei principali paesi per il continuo movimento di concentrazione) e con eventuali debiti obbligazionarî, costituiscono gli unici valori utilizzabili dalle banche, complessivamente considerate, per le proprie concessioni di credito, le altre forme d'indebitamento per provvista di fondi risolvendosi in rapporti di credito interbancarî, spesso neppur risultanti dai bilanci in quanto il loro importo è detratto dalle corrispondenti poste dell'attivo (assegni, riporti e anticipazioni passive, risconto, alienazione di cambiali, ecc.).
L'operazione attiva tipica, nella maggior parte dei paesi, è lo sconto, di cui già si accennò schematicamente la natura. Lo sconto di titoli originati da transazioni effettive, munite di firme che diano pieno affidamento, e inoltre di non lontana scadenza, è uno dei migliori impieghi delle banche per la sicurezza sua e per la pronta realizzabilità. La grande estensione che il commercio delle cambiali assume nella maggior parte dei paesi spiega come l'influenza del saggio medio dello sconto sia fondamentale per gl'investimenti tutti, in specie a breve scadenza. Operazioni di sconto si considerano anche le operazioni su determinati titoli al portatore emessi a breve scadenza, quali i buoni del tesoro (che, assumendo una certa importanza in periodi bellici, tendono a fungere da strumenti regolatori del mercato), o comunque di prossima scadenza (titoli sorteggiabili, cedole). Il saggio massimo cui lo sconto può ascendere appare segnato dalla produttività economica dell'impiego cui si destina il capitale ottenuto col prestito (le banche provinciali possono più agevolmente sfruttare le capacità del cliente); è dubbio se si possa parlare di un saggio minimo e da quali elementi possa derivarne la determinazione. Se la cambiale o, in genere, il titolo ammesso allo sconto non ha la propria base su di una reale transazione già avvenuta, l'operazione si risolve in una comune concessione di credito assicurata spesso da garanzie reali oltreché personali che può portare talora a vere immobilizzazioni o a perdite per la banca, servendo a scopo speculativo o, addirittura, puramente improduttivo (cambiali fittizie o di comodo). Le banche stesse dànno vita, sia pur con una certa cautela, alle cambiali con proprie accettazioni o le garantiscono costituendosi condebitrici come avallanti. Al commercio internazionale le banche cooperano inoltre intensamente accettando o estinguendo cambiali accompagnate da documenti, oppure libere, a favore dei compratori; al commercio interno in molti paesi (Austria e Germania), scontando crediti non rappresentati da titoli.
L'altra grande categoria di operazioni attive è costituita dalle anticipazioni su merci o valori, di cui il riporto è una particolare categoria. Le caratteristiche economiche d'ordine generale di tale operazione, che la distinguono dallo sconto, sono attinenti, sia ai mutuatarî, sia alla specifica forma della garanzia, costituita, talora, da ingenti ricchezze investite a lunga scadenza, quali fabbriche, edifici e via dicendo. Una figura intermedia tra le operazioni di sconto e quelle di anticipazione è data dal prestito diretto su cambiali (sovvenzioni cambiarie), basato per lo più non su di un credito attivo del richiedente, ma su di una semplice promessa di pagamento. Le banche per lo più mettono a disposizione dei loro clienti una determinata somma perché se ne valgano nel modo ch'essi ritengano più conveniente. La garanzia può essere costituita da titoli o da altri valori rappresentativi di capitali o di merci: come fu già ricordato, la banca, anteponendo certe forme di garanzia o modalità contrattuali a certe altre, favorisce lo sviluppo di dati rami dell'attività industriale-commerciale a preferenza di. altri, promuovendo altresì implicitamente la formazione o lo sviluppo di determinate intraprese. Tale operazione si distingue dallo sconto di carta commerciale soprattutto perché, mentre la carta scontata può essere girata ad altre aziende di credito in qualsiasi momento, onde tipicamente si parla di mobilizzazione di crediti, il credito derivante dall'anticipazione, almeno in molti paesi, non è facilmente cedibile se non in seguito a costose e lunghe pratiche legali, non potendo la banca disporre senz'altro, dei valori di cui è semplice depositaria, ma potendo unicamente chiedere a sua volta sconti o anticipazioni, su valori di cui possa disporre, ad altre banche, banca d'emissione compresa. La garanzia, prudenzialmente valutata eccedendo in misura notevole (che tende a fissarsi attorno a determinate costanti o scarti) il credito concesso, deve ovviamente avere un carattere impersonale per poter essere facilmente alienata nell'ipotesi di mancata estinzione del debito alla scadenza. La minor sicurezza che l'anticipazione può offrire nei confronti dello sconto, sia per quanto concerne l'attività del mutuatario, sia per quanto concerne le oscillazioni del valore delle garanzie e la conseguente riluttanza di molte banche a dare un grande sviluppo a tali operazioni, oltre che la possibilità da parte della banca di offrire patti più gravosi a clienti, già proprietarî di valori capitali, contribuisce a spiegare come, in linea generale, il saggio delle anticipazioni tenda a essere superiore, spesso in misura costante, a quello dello sconto. Un'anticipazione a lunga scadenza su titoli di determinate intraprese si risolve di per sé in una forma indiretta di partecipazione della banca all'industria. Anticipazioni si fanno del pari, a favore ora del produttore, ora dell'acquirente, su fedi di deposito (warrants) comprovanti l'esistenza di una determinata merce in magazzino e anche, per certi prodotti, previa consegna alla banca della merce stessa. Analoghe, in parte, a tali operazioni sono il prestito a cambio marittimo, garantito sulla nave o sopra una sua parte o anche sul carico, e le anticipazioni sopra noli marittimi, garantite non su merci, ma sui noli che saranno corrisposti per il trasporto, i quali, com'è noto, tendono spesso, al pari delle merci tipo, a risentire con una certa prontezza delle vicende dei varî mercati.
Accenniamo al riporto, che già fu ricordato come categoria particolare della classe delle anticipazioni. Concezione esatta limitatamente all'identità della figura generica del mutuatario e delle garanzie e alle forme d'indiretta partecipazione all'industria, in cui sia l'anticipazione su titoli, sia il riporto possono risolversi; ma essa fa astrazione da una caratteristica economico-giuridica essenziale: la traslazione di proprietà, sempre accompagnata dall'effettiva consegna del titolo, tipica del riporto, si risolve per la banca in una vera mobilizzazione del credito, conveniente per essa per i vantaggi che le può arrecare nei rapporti con altre aziende di credito o con l'industria. Il mutuatario (riportato), che può essere anche un'azienda di credito, mira genericamente alla provvista di disponibilità, sia che egli si trovi obbligato a ricorrere a tale espediente ai fini della normale prosecuzione della propria attività, sia che speri, evitando una definitiva alienazione dei titoli, di evitare una perdita o di conseguire un lucro in relazione alle future vicende del mercato (esempio tipico: il compratore a termine che in tal modo ottiene la proroga di un'operazione ch'egli ritiene non gli convenga liquidare), sia che in genere speculi sulle differenze fra il frutto portato dal titolo al prezzo corrente e il saggio dei riporti, saggio che è inferiore normalmente a quello delle anticipazioni e sensibilissimo alle vicende del mercato, sì da costituire con le sue oscillazioni uno dei primi sintomi dei nuovi orientamenti del mercato. Se il prezzo di vendita a termine è minore di quello di compera a pronti (il che si verifica in seguito a un aumento dei corsi, contrario alle previsioni di molti speculatori) l'operazione è spesso denominata deporto.
Altri elementi importanti della parte attiva di un bilancio bancario sono costituiti dai titoli di proprietà dell'azienda, siano essi considerati prevalentemente come investimenti di una certa durata, siano essi invece considerati prevalentemente come mezzo di speculazione. Si tratta comunque d'un impiego in concorrenza con gli altri, la cui convenienza varia in relazione al complessivo andamento del mercato monetario: può assorbire il patrimonio proprio dell'azienda e, in minor misura, certe categorie di depositi, risolvendosi, salvo che si tratti di titoli agevolmente realizzabili senza notevoli alee, in una, talora rischiosa, concessione di credito a lunga scadenza. La speculazione può essere saltuaria o sistematica, operata isolatamente oppure compiuta con altre banche, più o meno indipendenti. E sono qui da ricordare, in genere, le partecipazioni, cospicua fonte di lucri e, talora, di perdite, le quali hanno carattere temporaneo in occasione dell'emissione e del collocamento di dati titoli e rappresentano un investimento a lunga scadenza, che aumenta il prestigio della banca, la quale tende a dominare i mercati e a divenire il centro di tutta l'organizzazione industriale.
Dopo avere accennato alle operazioni tipiche delle banche ordinarie è bene ricordare come, in relazionie alle direttive dell'attuale regime, l'attività bancaria sia ora regolata in Italia da particolari disposizioni. Tali aziende di credito - assoggettate alla continua vigilanza della Banca d'Italia - devono essere iscritte presso il Ministero delle finanze; non possono iniziare operazioni, né fondersi, né aprire filiali senza l'autorizzazione governativa, né costituirsi senza un capitale minimo; il loro patrimonio non può essere inferiore a un ventesimo dell'importo dei depositi; sono tenute a formare riserve fino all'importo del 40% del capitale e a non concedere fidi a uno stesso obbligato per un importo superiore al quinto del capitale versato e delle riserve (r. decreto-legge 7 settembre 1926, n. 1511; 6 novembre 1926, n. 1830).
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Opere moderne: a) italiane: Oltre ai nostri migliori trattati: Cours d'économie, di V. Pareto (Losanna 1896-97); Lineamenti, di E. Leone (2ª ed., Bologna 1920); Trattato, di U. Gobbi (2ª ed., Milano 1923); Principii di politica commerciale e Scambi internazionali e politica bancaria ecc., di A. Cabiati (Genova 1924 e Torino 1919); Istituzioni di economia politica, di A. Graziani (4ª ed., Torino 1925); Corso, di A. Loria (2ª ed., Torino 1927), vedi principalmente: T. Martello e A. Montanari, Stato attuale del credito in Italia e notizie sulle istituzioni di credito straniere, Padova 1874; A. Garelli, Le banche, in Bibliot. dell'economista, s. 3ª, VI, e Napoli 1872; P. Rota, Principî di scienza bancaria, 2ª ed., Milano 1885; C. F. Ferraris, principî di scienza bancaria, Milano 1892; M. Pantaleoni, La caduta della Società generale di credito mobiliare italiano, Roma 1897, e in Scritti varî d'economia, voll. 2, Palermo 1904-1909; A. De Viti-De Marco, La funzione della banca, in Rendiconti dell'Accademia dei lincei, 1898; A. Loria, Il valore della moneta, 2ª ed., Torino 1901; C. Supino, Il mercato monetario internazionale, Milano 1910; G. Del Vecchio, Teoria dello sconto, Roma 1915; G. Prato, Problemi monetarî e bancarî nei secoli XVII e XVIII, Torino 1916; Banca Commerciale Italiana, La Banca Commerciale Italiana (1894-1919), Milano 1920; P. D'Angelo, Trattato di tecnica bancaria, 3ª ed., Milano 1921; A. Betti e F. J. Weber, Trattato di banca e borsa, 3ª ed., Milano 1922; E. Tucci, Le banche di depositi, Roma 1923; G. Miraulo, Ordinamento bancario e tutela dei depositi, Roma 1927; R. Bachi, La politica della congiuntura, Roma 1929.
b) Inglesi: J. W. Gilbart, History, principles and practice of banking, ultima edizione riveduta da E. Sykes, Londra 1922; E. D. Macleod, La teoria e la pratica delle banche (trad. in Bibl. dell'econ., s. 3ª, VI); I. Palgrave, Notes on banking, Londra 1873; B. Price, Currency and banking, Londra 1876; H. Withers, I. Palgrave e altri, The English banking system, Washington 1910; E. Sykes, Banking and currency, Londra 1918; H. Withers, The business of finance, Londra 1918; W. Thomson, Dictionary of banking, Londra 1926; R. G. Hawtrey, Currency and credit, Londra, 1ª ed., 1919, ed. successive 1923 e 1927; J. R. Paget, The banker's library, Londra 1920 segg.; W. Y. Weston e A. Crew, Pitman's Dictionry of economic and bank terms, Londra 1920; F. Lavington, The English capital market, Londra 1921; A. Marshall, Money, credit and commerce, Londra 1923, II, cap. III e appendice E; L. Le Marchant Minty, American banking methods, Londra 1923; id., English banking methods, 3ª ed., Londra 1926; T. E. Gregory, The present position of banking in America, Londra 1925; H. Withers, The meaning of money, Londra 1926; E. Sykes, The amalgamation movement in English banks, 1825-1924, Londra 1926; C. H. Robertson, Banking policy and the price level, Londra 1926; A. C. Pigou, industrial fluctuations, Londra 1927, cap. XIII.
c) Americane: Oltre ai migliori trattati americani dai Principles di E. R. A. Seligman (1ª ed., Londra 1905, iiª ed., 1927) ai Principles di F. W. Taussig (1ª ed., New York 1921, 3ª ed. riv., 1928-29) e agli Elementary Principles di J. Fisher (New York 1913), vedi principalmente: H. MacCulloch, Men and measures of half a century, New York 1888; C. F. Dunbar, Laws of the United States relating to currency, finance and banking, Boston 1891; M. Muhleman, Monetary and banking systems, New York 1908; National Monetary Commission, Financial laws of the United States 1778-1909, voll. 2, 61 st. Cong. 2ª sess. (1910), Senate documents n. 580; A. MacFarland Davis, A. D. Noyes e O. M. W. Sprague, The national banking system, New York 1911; J. Fisher, The purchasing power of money, New York 1911; S. S. Pratt, The work of Wall Street, New York 1915 e American banking, Chicago 1916; E. W. Kemmerer, The A. B. C. of the Federal Reserve System, 8ª ed., Princeton 1929; Pratt's Digest, 1920; Laws relating to banks, specially Federal Reserve Bank; C. A. Philips, Readings in money and banking, New York 1920; H. G. Moulton, The financial organization of society, Chicago 1920; R. B. Westerfield, Banking principles and practice, New York 1921; T. J. Kavanaugh, Bank credit methods and practice, New York 1923; W. H. Kniffin, Commercial banking, New York 1923; H. F. Grady, British war finance, New York 1927; H. Parker Willis e altri, Foreign banking systems, Londra 1929.
d) Tedesche: C. Knies, geld und Credit, Berlino 1879; H. Sattler, Die Effektenbanken, Lipsia 1890; Argentarius, Briefe eines Bankdirektors an seinen Sohn, Berlino 1910; E. Jaffé, Das englische Bankwesen, 2ª ed., Lipsia 1910; Heilfron, Geld-, Bank- und Börsenwesen, 2ª ed., Berlino 1910; I. Riesser, Die deutschen Grossbanken, 4ª ed., Jena 1912; W. Prion, Die deutschen Kreditbanken im Kriege und naccher, Stoccarda 1917; W. Lexis, Das Kredit- und Bankwesens, Berlino 1920; W. Conrad, Technik des Bankwesens, 2ª ed., Berlino 1920; A. Buchwald, Die Technik des Bankestriebes, 8ª ed., Berlino 1924; F. Leitner, Das Bankgeschäft und seine Technik, 4ª ed., Francoforte 1920; G. Obst, Geld-, Bank- und Börsenwesen, 13ª ed., Stoccarda 1920; P. Rozumek, Das Kreditgeschäft im Bankbetriebe, Berlino 1923; Lohr, Dad deutsche Bankwesen, Monaco 1921; A. Weber, Depositenbanken und Spekulationenbanken, 3ª ed., Monaco 1922; R. W. Goldschmidt, Das deutsche Grossbankkapital, Berlino 1928.
e) Francesi; R. G. Levy, Qu'est-ce qu'une banque?, Parigi 1918; A. Théry, Les grands établissements de crédit français avant, pendant et après la guerre, Parigi 1921; L. Duforq-Lagelouse, Les banques étrangères en France, Parigi 1922; J. Ruotte, Opérations et travaux de banque, iiª ed., Lione 1922; J. G. Courcelle Seneuil, Les opérations de banque, 12ª ed., Parigi 1922; H. Terrel e H. Lejeune, Traité des opérations commerciales de banque, 5ª ed., Parigi 1926; F. Cabanes, Traité de banque, théorie et pratique, Parigi 1923; C. Lejeune, Traité des opérations de banque, Parigi 1923; R. Delaporte, la banque, ses opérations, son organisation, son exploitation, etc., Saint-Didier 1924; H. Montarnal, Manuel des opérations comm. et fin. de banque et de bourse, Parigi 1924; Ch. D'Orléans, Les banques de dépôt en Angleterre avant, pendant et après la guerre, Parigi 1927.
Banche popolari.
Con tale nome si sogliono designare taluni istituti di credito di tipo speciale, creati per sovvenire, con piccoli prestiti, le classi più umili. Le loro origini sono modeste e si ricollegano al movimento cooperativo che si sviluppò in tutta Europa dopo il 1840. Le misere condizioni delle classi medie e proletarie, e la noncurauza dei governi e delle classi ricche per le loro miserie furono le ragioni del fermento, da cui doveva germogliare il movimento cooperativo e da cui trasse vita il credito popolare. Esso ebbe origine in Germania per iriiziativa dei due filantropi: Schulze-Delitzsch e Raiffeisen, mossi entrambi nel loro apostolato dal generoso proposito di sottrarre all'usura le classi umili. Schulze-Delitszch patrocinò la creazione di associazioni di credito, dotate di un capitale sociale e dirette a far prestiti ai soli soci; Raiffeisen la fondazione di associazioni di credito senza capitale sociale, traenti i mezzi di esercizio da prestiti stipulati sotto la responsabilità solidale di tutti i soci, e dirette a far prestiti normalmente ai soci soltanto, ma, in via eccezionale, anche a persone bisognose, non socie, meritevoli di fiducia. Da questi due schemi uscirono due tipi diversi di banche, ciascuno dei quali avrà più tardi il proprio campo d'azione e il proprio sviluppo: le casse rurali Raiffeisen da un lato, le banche cooperative Schulze-Delitzsch dall'altro. Sono quest'ultime le banche popolari propriamente dette. Secondo il loro ideatore tali banche dovevano avere un capitale proprio, costituito da azioni di grosso taglio, che i soci non abbienti potevano, se necessario, pagare a rate. Erano soci i sottoscrittori di almeno un'azione; e a questi soltanto, come si disse, la banca poteva far prestiti. Il capitale doveva costituire il primo fondo di esercizio; la banca però poteva raccogliere depositi da soci e non soci, corrispondendo su di essi un interesse; ma i depositi non dovevano, possibilmente, superare il triplo o il quadruplo del capitale. I prestiti dovevano essere a interesse mite, per somme limitate, per la durata di pochi mesi e verso garanzia esclusivamente personale. Perché i soci fossero cauti nell'ammettere nuovi soci, egli raccomandò il principio della responsabilità illimitata di questi. Gli utili dovevano, per la massima parte, essere mandati a riserva.
Sul modello di questo tipo ideale sorsero numerose banche cooperative in Germania. Di là esse si diffusero in altri paesi, ma modificandosi, in alcuni casi, per adattarsi alle condizioni locali. Dovunque però esse finirono col diventare, anziché le banche degli operai, le banche dei piccoli commercianti, artigiani, agricoltori, professionisti, e col sorgere quasi esclusivamente nei centri urbani, a differenza delle Casse Raiffeisen, che si svilupparono esclusivamente nei centri agricoli, ed ebbero per soci e clienti soltanto agricoltori.
Italia. - L'origine e la storia delle banche popolari in Italia sono legate ai nomi di Francesco Viganò e di Luigi Luzzatti; ma specialmente di quest'ultimo. Per porre un argine al dilagare dell'usura egli si propose di trapiantare fra noi banche simili alle tedesche, modificandole però in due punti fondamentali, per adattarle al carattere e alle condizioni della popolazione italiana, e cioè: 1. sostituendo alla responsabilità illimitata, la responsabilità di ciascun socio limitata al solo valore delle azioni da lui sottoscritte; 2. sostituendo, nella formazione del capitale sociale, ad azioni di grosso taglio, azioni di piccolo taglio (da L. 5 a 50), e assegnando al capitale la funzione di semplice fondo di garanzia. La prima banca di questo tipo sorse a Lodi nel 1865, seguita nello stesso anno da quelle di Milano, Cremona, Bologna. Il loro nome fu quello di Banche popolari. In origine esse furono banche modestissime: piccolo il capitale, pochi i depositi, limitati i prestiti. Le principali loro operazioni erano: fra le operazioni attive: 1. i prestiti cambiarî; 2. i prestiti sull'onore; 3. i mutui chirografarî, tutti però per piccole somme, per breve tempo (3, 4, 6 mesi), verso garanzia esclusivamente personale; fra le operazioni passive: 1. i depositi dapprima in conto corrente e più tardi a risparmio; 2. il risconto del portafoglio cambiario presso altri istituti, per lo più le banche di emissione. Nei primi anni si attennero rigorosamente alla nomia dei prestiti ai soli soci, applicando così rigidamente il principio della mutualità; e sempre ebbero cura di destinare una parte notevole degli utili a riserva. Al risconto ricorsero solo quando i depositi non bastavano a soddisfare le domande di prestiti dei soci.
Quando nel 1882 entrò in vigore il nuovo codice di commercio, le disposizioni in esso contenute per le società cooperative (articoli 219 a 228) furono estese alle banche popolari, perché ritenute cooperative esse stesse, pur non essendolo a stretto rigore di fatto, distribuendo esse per sistema gli utili sociali non mandati a riserva, agli azionisti, in ragione del numero delle azioni, anziché ai cooperatori, in ragione della loro cooperazione. Le azioni divennero d'obbligo nominative e nessun socio poté possederne per un valore nominale superiore a L. 5000. Dotate, come si disse, di un capitale modesto, esse avevano bisogno di aumentarlo man mano che estendevano la loro attività; e per poterlo fare in qualsiasi momento senza le dovute formalità, stabilirono quasi tutte nei lor statuti che nuovi soci potessero accedere, quando che sia, alla società, e i vecchi ritirarsene. Esse divennero in tal modo di fatto, più che società cooperative vere e proprie, società anonime a capitale variabile. E come tali sono oggi qualificate e classificate dai giuristi.
La suprema autorità della banca risiede nell'assemblea dei soci. È socio chiunque possegga almeno un'azione. Ogni socio dispone nell'assemblea di un solo voto, qualunque sia il numero delle azioni possedute. L'assemblea nomina il consiglio di amministrazione e il collegio dei sindaci. Il successo di queste banche è in massima parte dovuto al sistema da esse seguito del frazionamento dei fidi, che consentì loro di formarsi e conservarsi un portafoglio ben scelto, esente o quasi da rischi, e quindi sempre riscontabile presso le banche maggiori. Il loro sviluppo fu lento dapprima, rapido poi, come lo attestano i dati seguenti:
L'undicennio 1880-1890 è, come si vede, particolarmente fecondo per la creazione dei nuovi istituti. La crisi del 1892-4 colpì anche le banche popolari, e alcune di esse caddero. Dopo il 1898 però il movimento di creazione riprese, ma diffondendosi più che altro all'Italia meridionale e insulare, dove fino allora era rimasto piuttosto limitato. Nel 1908, su 736 banche, ne esistevano 32 in Piemonte, 77 in Lombardia, 75 nel Veneto, 71 in Emilia, 62 nelle Marche, 48 in Toscana, 104 in Campania. Ma le più potenti e più floride erano nell'Alta Italia.
I depositi, modesti in principio, divennero ben presto ragguardevoli, specialmente nelle banche dell'Italia settentrionale, rendendo a esse difficile, nei momenti di ristagno, il collocamento di tutti i mezzi disponibili in prestiti ai soli soci. Alcune perciò cominciarono (la Banca popolare di Milano fino dal 1880 circa) a estendere i prestiti anche a non soci; e il loro esempio, a poco a poco, fu seguito da molte altre. Abbandonata la norma dei prestiti ai soli soci esse cessarono di essere banche mutue in stretto senso, e divennero, come in Germania, semplicemente, le banche dei piccoli commercianti, industriali, professionisti, agricoltori; ma divennero altresì quello che il Luzzatti le aveva volute: le banche locali italiane per eccellenza, le banche cioè destinate a investire i risparmî nelle stesse località in cui questi si formano.
Estesi i prestiti anche ai non soci, esse ebbero modo di aumentare la loro attività; e per farlo, quando i depositi non bastavano ricorsero, con maggiore frequenza e larghezza di prima, al risconto presso le banche di emissione sicché i risconti, da operazioni eccezionali, divennero, per la maggior parte di esse, operazioni normali.
Dopo il 1908 il movimento di creazione di nuove banche subisce un rallentamento, segno evidente che l'economia italiana ne era ormai quasi satura. Ma in compenso si accentua il movimento di consolidamento, di sviluppo, di espansione delle banche esistenti, che doveva un po' per volta modificarne l'originaria struttura. Nei piccoli centri esso è lento; e le banche, pur essendosi sviluppate notevolmente, conservano, nel complesso, il carattere di piccole banche locali. Nelle grandi città, invece, queste banche, divenute rapidamente centri di raccolta di depositi enormi, sono ormai istituti formidabili, i quali si dedicano alle più svariate operazioni bancarie. Prestiti cambiarî, anticipazioni su titoli, su merci, su note di pegno, riporti, investimenti diretti in titoli pubblici anche industriali: sono queste le loro odierne operazioni attive. Alcune di coteste banche hanno fondato da anni succursali anche fuori provincia, trasformandosi da banche locali in banche regionali. Le banche più ragguardevoli sono quelle di Milano, Novara, Bologna, Cremona, Bergamo, Pavia, Padova, Modena, Alfedena (Abruzzi). La banca di Milano, fondata nel 1865, aveva al 31 dicembre 1926 un patrimonio (capitale e riserve) di 87 milioni di lire, depositi per 266 milioni e 4 filiali. La banca di Bologna, fondata anch'essa nel 1865, aveva a quella stessa data, 4 milioni di patrimonio e 43 di depositi; quella di Padova, fondata nel 1866, 5 milioni di patrimonio, 66 milioni di depositi e 12 filiali; quella di Modena, fondata nel 1868, quasi 7 milioni di patrimonio e 72 di depositi; quella di Bergamo, fondata nel 1869, un patrimonio di 13 milioni, depositi per 148 milioni e 62 filiali; quella di Pavia, fondata nel 1871, 25 milioni di patrimonio, 129 di depositi e 6 filiali; quella di Novara fondata pure nel 1871, aveva un patrimonio di 130 milioni, depositi per 537 milioni e 137 filiali; quella di Alfedena, infine, fondata nel 1886, un patrimonio di 5 milioni, 53 milioni di depositi e 21 filiali. Come si vede alcune di queste banche sono delle vere potenze e differiscono dalle maggiori banche ordinarie di credito commerciale solo per avere un numero grande di soci e il capitale variabile, per seguire direttive di maggiore moderazione e prudenza nella scelta degl'investimenti, e di maggiore parsimonia nella distribuzione degli utili ai soci, continuando a destinarne una parte ragguardevole a riserva e una parte anche, molto spesso, a beneficenza o ad opere di pubblica utilità.
Lo scoppio della guerra europea, che turbò la vita normale dei nostri maggiori istituti bancarî e costrinse il governo a provvedimenti d'eccezione (moratoria cambiaria e bancaria), scosse anche le banche popolari. Ma esse riuscirono presto a risollevarsi. L'inflazione della lira aumentò notevolmente i loro depositi, elevandoli da 1200 milioni di lire nel 1914 a 4500 alla fine del 1926. Esse ne destinarono una parte rilevante alla sottoscrizione di prestiti di guerra, rendendosi benemerite della patria. Al 31 dicembre 1926 il loro portafoglio-titoli superava il miliardo di lire. L'aumento dei depositi consigliò alcune di esse, subito dopo la guerra, ad aumentare il proprio capitale, per ristabilire le giuste proporzioni tra questo e i depositi. Ma la somma di L. 5000, stabilita dal codice di commercio come limite massimo del valore nominale delle azioni di ciascun socio, rendeva loro difficile l'aumento del capitale nella misura dovuta, per la necessità di trovare in breve tempo un gran numero di soci nuovi, invece che mettere a contributo i vecchi soci, già affezionati all'istituto. Quest'inconveniente fu eliminato elevando a L. 20.000 il limite massimo.
Alcuni pericoli però insidiano le banche popolari italiane. Anzitutto l'ambizione, anche fra le minori, di diventare grandi banche; ciò le porta, talvolta, a rinnegare le loro origini, e a trasformarsi in società anonime ordinarie per dedicarsi ai grandi affari, senza averne l'attrezzatura. Ma le insidia altresì la concorrenza delle grandi banche ordinarie e delle stesse grandi banche popolari, che nella progressiva loro espansione, tendono ad assorbire le banche minori, trasformandole in loro filiali. Questi pericoli, per quanto sempre minacciosi, non hanno tuttavia alterato, almeno finora, notevolmente la natura di questi istituti. Nel loro complesso, esse conservano ancora il carattere di banche locali. Ma dato l'enorme sviluppo di alcune, esse formano ormai due gruppi distinti: da un lato alcuni grandi istituti, capaci di rivaleggiare con le banche maggiori; dall'altro lato numerosi istituti ancora relativamente piccoli, ma anch'essi saldamente radicati nell'economia italiana. In meno di sessant'anni gli umili e pochi istituti del 1870 sono diventati una folta schiera di banche. Coi loro uffici disseminati in mille città piccole e grandi, coi loro quattro miliardi e mezzo di depositi, con la loro clientela vasta e devota, essi rappresentano una parte vitale e indispensabile del sistema bancario italiano. L'importante posizione che essi occupano in questo è però sempre principalmente dovuta alle banche dell'Italia settentrionale, come si puó rilevare dai dati che seguono, e che si riferiscono al 31 dicembre 1923.
Sorte come banche indipendenti, esse furono sempre gelose della loro indipendenza; né mai chiesero aiuto alcuno allo stato. Nel 1876, tuttavia, per iniziativa del Luzzatti esse si associarono insieme, fondando l'Associazione fra le banche popolari cooperative. Fondata inizialmente da sole 17 banche, essa aumentò gradatamente il numero delle proprie affiliate, e divenne l'ente centrale propulsore, moderatore, coordinatore delle banche popolari italiane. La crisi del 1892 allontanò molte banche dall'associazione. Ma poi il loro numero tornò ad aumentare. Alla fine del 1926 esse erano 215, ma erano le maggiori. Manca però a queste banche lo spirito federativo, sicché, nonostante l'associazione, la loro attività è rimasta nel complesso slegata. Esse non sono riuscite a creare una grande banca centrale, quale esiste in Germania, in Austria ed esisteva perfino in Russia, che le soccorra in caso di bisogno e ne smisti il portafoglio.
A tutela dei risparmiatori furono estese alle banche popolari le norme dei regi decreti-legge 7 settembre 1926, n. 1511, e 6 novembre 1926, n. 1830. Per essi le banche popolari di nuova fondazione devono avere un capitale di almeno L. 300.000 e non possono sorgere che in seguito ad autorizzazione governativa. Tutte le banche devono poi destinare almeno il 10% degli utili a riserva, finché le riserve non abbiano raggiunto il 40% del capitale. I depositi non devono superare 20 volte il patrimonio. I prestiti a una sola ditta non devono eccedere il quinto del capitale sociale. Al pari di tutte le altre banche esse sono poi ora sottoposte alla vigilanza e ispezione periodica della Banca d'Italia. Oltre alle 800 banche popolari esistono oggi in Italia altre banche cooperative e principalmente circa 40 banche cooperative cattoliche, e circa 3000 casse rurali, di cui 2000 cattoliche e 1000 aconfessionali di tipo Raiffeisen sorte dopo il 1883, mercé la propaganda di Leone Wollemborg, e riunite insieme in una propria associazione. In applicazione alla legge sindacale italiana, le banche popolari fondarono, il 31 gennaio 1926, il Sindacato nazionale fra le banche popolari, il quale aderì alla Confederazione generale bancaria fascista. Il 25 maggio 1927, unitamente all'Associazione nazionale delle casse rurali ed enti ausiliarî, costituirono la Federazione nazionale fra gl'istituti cooperativi di credito, comprendente circa 3700 istituti.
Germania. - La Germania, paese d'origine di queste banche, è altresì il paese in cui esse ebbero, al pari che in Italia, un rigoglioso sviluppo. Conservarono in massima parte il tipo Schulze-Delitzsch. Chiamate da questi Vorschussverein (associazioni di credito) sono note altresì sotto il nome di Kreditgenossenschafìen, Volks, oppure Gewerbe-Banken. Il primo Vorschussverein sorse nel 1850. Nel 1859 ne esistevano già 80. Per il loro spirito d'indipendenza e la loro avversione a qualunque ingerenza e tutela statale esse furono osteggiate ad un tempo dagli uomini di governo e dai socialisti. Ma queste ostilità non impedirono loro di diffondersi. Da principio esse furono tutte a responsabilità illimitata; e ciò in primo luogo perché cosi volle Schulze-Delitzch, e in secondo luogo perché prima della legge sulle cooperative del 10 maggio 1889, il principio della responsabilità limitata non era ammesso, per queste, in Germania. Dopo il 1889 sorsero anche banche a responsabilità limitata, (ma non molte: sicché esistono oggi in Germania banche di entrambe le forme. Nel 1908 sopra un numero complessivo di 916, solo 332 erano a responsabilità limitata. Il principio della responsabilità limitata, del resto, è inteso in Germania, nei riguardi delle cooperative, in senso diverso che da noi. Esso è inteso nel senso che la responsabilità sia limitata per ogni socio a un dato multiplo (2,3 oppure 4 volte) del valore nominale delle azioni possedute. Fino dai primi anni del loro sviluppo esse fondarono un istituto centrale destinato a coordinarne l'attività. Fu questo la banca cooperativa von Sörgel Parrisius und Co., fondata nel 1864. Nel 1904 questa banca fu assorbita dalla Dresdner Bank, la quale divenne così l'istituto centrale delle banche Schulze-Delitzsch. Esistono però anche banche centrali regionali. Come in Italia, esse hanno in parte perduto il carattere originario di banche mutue cooperative. Quantunque abbiano principalmente sede nelle città, esse annoverano ancora molti soci fra gli agricoltori. Nel 1918 questi rappresentavano il 27,05% dei soci complessivi. Lo scoppio della guerra le danneggiò; ma, durante il corso delle ostilità, si ripresero. Parteciparono ai prestiti di guerra per 7,5 miliardi di marchi. Con legge 24 marzo 1920, per sollevarle del peso di questi prestiti, esse furono autorizzate a servirsene per pagare le imposte per i loro clienti. La creazione di queste banche ha però anche in Germania subito, negli ultimi anni, una sosta, come in Italia. Ne esistevano, come s'è detto, 916 nel 1908 con 590.000 soci, e nel 1921 il loro numero si aggirava ancora intorno al migliaio con circa 600.000 soci. Durante la fase acuta dell'inflazione del marco, cioè tra il 1921 e il 1923, esse soffersero per i cospicui ritiri dei depositi e la svalutazione dei loro crediti. Quando nel 1924 la Germania riebbe una moneta stabile, dovettero lottare strenuamente per riacquistare la fiducia dei depositanti e disputarsi con le casse di risparmio e le altre banche minori i pochi risparmî disponibili. In alcuni centri le banche cooperative tendono a trasformarsi in banche ordinarie per azioni; ma in altri le banche ordinarie per azioni a trasformarsi in banche cooperative. Questo secondo movimento si nota nel 1924 specialmente in Sassonia.
Austria. - Le banche di tipo Schulze-Delitzsch si svilupparono precocemente in Austria. Nel 1872 erano già 943 e nel 1903 erano salite a 2332. Si diffusero principalmente fra i piccoli industriali e fondarono una propria banca centrale (Centralstelle). I piccoli agricoltori, che da prima aderirono a esse, se ne staccarono, avendo bisogno di credito a lunga scadenza, ch'esse non concedevano, e a partire dal 1886 fondarono casse rurali di tipo Raiffeisen. Queste finirono con l'avere il sopravvento. Nel 1914 su 11.917 cooperative di credito, ve ne erano 8406 di tipo Raiffeisen e 3511 di tipo Schulze-Delitsch. Dopo lo smembramento dell'Austria, la Cecoslovacchia si trovò ad avere nel suo territorio circa 5000 banche cooperative, di cui 3600 di tipo Raiffeisen e 1400 di tipo Schulze-Delitzsch. Anche in Ungheria predominano le casse rurali; le banche Schulze-Delitzsch incontrarono l'ostilità del governo c dei magnati ungheresi, per il loro spirito d'indipendenza.
Inghilterra. - L'Inghilterra, che fu la culla delle cooperative di consumo (probi pionieri di Rochdale del 1844), non fu terreno propizio alle banche popolari; e ciò anzitutto per la diffusione precoce di altri istituti di credito, e in secondo luogo per l'intenso sviluppo della produzione capitalistica, che diradando, più che altrove, le file dei piccoli produttori, fece scomparire buona parte di quella che avrebbe potuto essere la clientela di tali banche e ne rese superflua la fondazione. Ne furono tuttavia fondate alcune, ma esse rimasero degli esemplari isolati.
Svizzera. - Le banche popolari in Isvizzera sono, per organizzazione, simili alle banche ordinarie per azioni. Il loro numero si aggira intorno a 60. La più ragguardevole è la Schweizer Volksbank di Berna, fondata nel 1864, che ha 74 milioni di franchi di capitale, 20 succursali e 20 agenzie.
Belgio. - La prima banca popolare fu fondata nel 1864 da Leone d'Andrimont, che trapiantò nel Belgio il tipo di banca Schulze-Delitzsch, a responsabilità illimitata. Quando il pubblico comprese che cosa significasse la responsabilità illimitata protestò; si adottò allora il sistema della responsabilità multipla. Alcune banche di questo tipo sorsero, ma con poca fortuna, per la concorrenza delle Unions de Crédit. Queste erano banche senza capitale azionario versato, ma con capitale costituito da semplice impegno di sottoscrizione dei soci. Questi ricevevano Gredito dalla banca fino al concorso di un dato multiplo della somma sottoscritta e la banca si procurava le somme a ciò necessarie con depositi o mutui. Fondate da Haeck, queste unioni sorsero in parecchi centri e fecero buona prova. Dopo il 1880 vi fu un tentativo di ripresa del credito popolare vero e proprio. Una banca popolare fu fondata a Liegi nel 1883, un'altra a Verviers; ma il tentativo non ebbe seguito.
Francia. - In Francia le banche popolari ebbero un precoce sviluppo, ma senza, in definitiva, diffondersi durevolmente. Nel 1848 Prudhon fondò la Banque populaire che durò pochi mesi. Poco dopo Buchez fondò Le crédit au travail, che scomparve in seguito al colpo di stato del 1851. Béluze, riprendendo l'idea di Buchez, fondò nel 1861 a Parigi, con lo stesso nome, una banca cooperativa, senza azioni. Essa ebbe un periodo di vita fiorente. Istituti analoghi sorsero a Lione, Lilla, Nîmes, Strasburgo, ecc. Nel 1865, per iniziativa di Leone Say e del Walras, fu fondata a Parigi la Caisse d'escompte des associations populaires. Sorsero in pari tempo molte piccole cooperative di credito. La guerra del 1870 spazzò via tutti questi istituti. A partire dal 1880 incomincia la propaganda per la fondazione di banche popolari tipo Luzzatti. Viganò fu uno dei propagandisti. Nel 1883 egli riuscì a creare la Banca popolare di Mentone, che divenne fiorentissima. Un'altra banca dello stesso tipo fu fondata a Lorient nel 1898. Ma il suolo francese nel complesso si dimostrò poco adatto a un tale genere d'istituti. Ebbero in Francia più largo sviluppo le casse Raiffeisen. Le banche popolari vere e proprie si contano a poche diecine.
Russia. - Le banche popolari furono fondate in Russia da Langinin nel 1865. Contrariamente a quanto avvenne in Germania e in Ungheria, furono subito prese sotto la tutela del governo e dei grandi proprietarî. Si svilupparono inizialmente secondo il tipo Schulze-Delitzsch, prendendo il nome di Associazioni di prestiti e di risparmio. Le banche di tale tipo penetrarono in Russia anche attraverso le provincie baltiche, dove l'influenza germanica era notevole. A partire dal 1895 le associazioni di prestiti furono sostituite in buona parte da banche di tipo Raiffeisen, perché più adatte a un paese prevalentemente agricolo. Le nuove banche presero il nome di Associazioni di credito. Furono sussidiate dal governo degli zar e nel 1912 fondarono una propria banca centrale, il Narodnyj Bank, che divenne poi l'istituto finanziatore di tutte le cooperative russe. La rivoluzione del 1917 fu fatale alla cooperazione russa in generale e al credito cooperativo in particolare. Con decreto 2 dicembre 1918 il Narodnyj Bank venne fuso con la Banca della R. S. F. S. R. (già banca di stato d'emissione). In seguito a ciò il credito cooperativo praticamente scomparve. Né poteva accadere altrimenti, data la cessazione degli scambî monetarî. Nel 1921, riattivati gli scambî monetarî, s'iniziò la nuova politica economica, dalla quale doveva riprendere vita, per quanto debolmente, anche il credito cooperativo. Il Narodnyj Bank fu riaperto nel 1922 con il compito primitivo di sussidiare le varie cooperative, restituite alla primiera indipendenza e non più finanziate dallo stato. Nel 1923 il Narodnyj Bank fu sostituito dalla Banca cooperativa panrussa. La ristrettezza dei mezzi disponibili rese però molto difficile la vita delle cooperative e stentata quella della nuova banca.
Bibl.: Per l'Italia: L. Luzzatti, La diffusione del credito e le banche popolari, Padova 1863; E. Levi, Manuale per le banche popolari, Milano 1883; Statistica delle banche popolari (decennio 1899-1908), Roma 1911; P. Sitta, le banche popolari cooperative italiane (Relazione presentata alla Commissione del dopoguerra), Roma 1919; Relazioni e rendiconti dell'Associazione fra le banche popolari cooperative; U. Gobbi, Sessant'anni di esperienza nel credito popolare, in la banca popolare di Milano nel suo sessantesimo di fondazione, Milano 1926; F. Flora, La banca popolare di credito di Bologna, in Riforma sociale, luglio-agosto 1926; H. W. Wolff, People's Banks, Londra 1919.
Per gli altri paesi: H. Schulze-Delitzsch, Die Entwickelung des Genossenschaftswesens, Berlino 1870; id., Vorschuss- und Kreditevereine als Volksbanken, Lipsia 1859; W. Krebs, Die Organisation der Kredites für Gewerbe, Kleinhandel und Landwirtsschaft in der Schweiz, Bruxelles 1908; H. W. Wolff, op. cit.; Le crédit populaire dans le Royaume Uni, Bruxelles 1909; H. Crüger, Erwerb und Wirtschaftsgenossenschaften e Kreditgenossenschaften, in Handwörterbuch der Staatswissenschaften, 4ª ed., Jena 1923, III, v; V. Totomianz, La cooperazione russa, Roma 1919; id., Crédit populaire en Russie, Pietrogrado 1900; id., La coopération dans la Russie des Soviets, Ginevra 1925.
Statistica.
Se le banche hanno in Italia una tradizione molte volte secolare, la statistica bancaria, cioè l'esposizione delle loro vicende dal punto di vista quantitativo, si limita a un passato così prossimo che ben può dirsi di ieri nel corso millenario della vita nazionale.
Nel 1870 non esistevano ancora le casse postali di risparmio, destinate poi a una così grande fortuna. Le casse di risparmio libere avevano una cifra di depositi ancora esigua in confronto di quelle imponenti raccolte in seguito; il che era tanto più significativo in quanto molte di esse contavano parecchi decennî di vita onorata e feconda. Lo stesso si dica per le banche popolari e le cooperative rurali di credito, destinate anch'esse a rapidi e costanti progressi, nei decennî successivi. Il mercato bancario era costituito del resto da parecchi istituti di emissione e da numerose e generalmente piccole banche private; certo non faceva presentire le rapide trasformazioni per le quali, stabilita la prevalenza della Banca d'Italia nelle emissioni dei biglietti, sorti a grande fortuna gl'istituti liberi di credito grandi e medî, cresciuti gl'istituti di previdenza e cooperativi, l'Italia avrebbe posseduto allo scoppiare della guerra mondiale un'attrezzatura bancaria moderna, del tutto adeguata alle sue nuove esigenze economiche e sociali.
La prima tabella che segue dà, in cifre arrotondate al milione, l'ammontare totale dei depositi presso le casse di risparmio al 31 dicembre di ogni anno, dal 1881 al 1914, e la media per abitante.
Se dalla raccolta del risparmio passiamo alla funzione fondamentale delle banche, l'effettuazione dei pagamenti e delle riscossioni, nel 1912 erano, secondo il Segre, 1510 i comuni da ritenersi bancabili, cioè quelli in cui banche o banchieri consentivano a compiere le corrispondenti operazioni senza trasporto di moneta.
Aggiungiamo nella seconda tabella i dati sulle somme portate per liquidazione alle stanze di compensazione, le quali costituiscono sempre il migliore indice del movimento bancario in senso stretto, e in quanto esso si attuî fuori dalla circolazione dei biglietti.
Per renderci conto delle trasformazioni subite dal nostro sistema baricario negli ultimi anni, i quali pure comprendono vicende politiche e finanziarie memorabili, possiamo limitarci al confronto tra i loro punti estremi e prescindere dagli episodî che segnano i varî momenti di questo periodo.
In continuazione delle tabelle precedenti, che riguardano gli anni prebellici, facciamo seguire i dati relativi ai depositi a risparmio e alle stanze di compensazione negli ultimi anni.
La grande abbondanza dei dati forniti a noi dai bilanci e dalle loro compilazioni pubbliche e private non corrisponde a un'analoga ricchezza d'informazioni sostanziali. Buone sono le informazioni intorno alla distribuzione territoriale degl'istituti, i quali costituiscono un importante elemento per la conoscenza della nostra geografia economica nazionale.
Dati più significativi possediamo per la distribuzione dei depositi a risparmio presso le casse libere e postali.
La concentrazione bancaria indica due rapporti ben diversi tra loro. Essa può esprimere il fatto che una proporzione più o meno alta dei depositi si trovi presso un certo numero d'istituti: e questa costituisce la concentrazione dell'industria bancaria. Ma puó altresì riferirsi al fatto, del tutto diverso e per molti rispetti assai più significativo, che sia concentrata la ricchezza bancaria tipica, cioè che una certa parte dei depositi sia di spettanza di un numero ristretto di persone.
Sommando il numero dei libretti a risparmio esistenti a debito delle casse di risparmio libere e di quella postale e aggiungendovi, per quanto si possono congetturare, i depositanti e i correntisti degli altri istituti di credito, si arriverebbe a una cifra ingentissima, la quale costituisce un indice della distribuzione qualitativa, per così dire, della ricchezza bancaria, e mostra come siano numerosi coloro i quali, in misura sia pure assai piccola, sono detentori di qualche parte della ricchezza bancaria. Ma questo risultato non avrebbe che scarsissima importanza di fronte a quello che ci dà l'espressione quantitativa della parte che i minori depositanti possiedono della totale ricchezza bancaria e più genericamente del rapporto di concentrazione della ricchezza medesima.
A titolo di esempio ci limitiamo, in mancanza di compiute informazioni, a riportare i dati seguenti, dai quali risulta che nell'ambito stesso delle casse di risparmio ordinarie oltre 3/4 dei depositi spettano a 1/10 appena dei depositanti (mentre 9/10 dei depositanti possiedono 1/4 dei depositi). Ove non si ammetta che questa forma di ricchezza sia particolarmente riferibile a medî e piccoli patrimonî, ne verrebbe che la ricchezza bancaria non costituisce un elemento di democrazia economica così intenso come apparirebbe ove ci si fermasse al semplice calcolo del numero dei libretti e dei conti esistenti.
Per quanto concerne il lato tecnico-bancario la concentrazione dei depositi presso i varî istituti è pure molto elevata. Anche a prescindere dall'unica cassa di risparmio postale, la quale raccoglie da sola un quarto circa dei depositi complessivi, è facile rilevare come già prima dei recenti provvedimenti legislativi diretti a favorire tale forma di concentrazione, poche tra le casse ordinarie raccogliessero un'alta percentuale di tutti i depositi di ogni specie. E tale risultato è confermato dall'alta concentrazione dei conti debitori esistenti presso i maggiori istituti liberi di credito. Sarebbe per altro falsare il significato di tali considerazioni statistiche, il dedurne un giudizio tecnico contrario per i medî e per i piccoli istituti, i quali hanno evidenti ragioni di esistere.
Le ricerche del prof. Luzzatto Fegiz sopra i capitali proprî degl'istituti stessi, amministrati dai componenti dei consigli delle società bancarie e finanziarie per azioni, indicano pure un'altra misura di concentrazione (anno 1923, milioni di lire).
È facile rilevare come, prendendo, per esempio, coloro i quali amministrano da dieci milioni in su del capitale proprio delle banche, si abbia che 156 persone dispongono di milioni 2914 di capitale bancario, come cioè la dodicesima parte dei consiglieri amministri due terzi del capitale bancario stesso.
Meno strette di quanto generalmente si crede apparirebbero al contrario da tali ricerche la dipendenza o l'interdipendenza tra industrie grandi e banche. Il capitale amministrato in tutte le società anonime (escluse le 4 grandi banche) da coloro i quali siedono nei consigli di queste banche ammonta a milioni 1827 sopra 20.665 con un rapporto inferiore a un decimo del totale. Esso è certo inferiore alla reale importanza di tale relazione, ma esclude una connessione molto stretta tra grandi banche e industrie in genere.
Non meno importante è la consistenza dei depositi. Per i depositi a risparmio è facile calcolare l'indice di velocità, il quale ha speciale significato perché la posizione reciproca tra i depositi presso le casse libere e quelli presso la cassa postale tende, col tempo, a scambiarsi.
Mentre la giacenza media di questi va gradatamente crescendo sino ad avvicinarsi a una durata media di quasi 3 anni (nel 1926 l'indice segna anni 2,7), le giacenze presso le casse di risparmio ordinarie partendo dall'indice non molto inferiore a questo, che segnavano negli anni del secolo scorso, tendono ora a scendere verso l'indice d'un anno (nel 1926 indice 1,36). La spiegazione più verosimile della prima tendenza è nel carattere dei depositi postali, che tendono a costituire modeste ma durature attività patrimoniali. Per la tendenza in direzione opposta dei depositi esistenti presso le casse ordinarie, si deve supporre che molti abbiano assunto al contrario il carattere economico di fondi conservati dai clienti per far fronte a pagamenti e non costituiscano più duraturi investimenti patrimoniali.
Alcuni istituti, i quali distinguono i depositi in conto corrente da quelli a risparmio, ci consentono un'adeguata misura della straordinaria differenza tra quelli e questi nella rapidità della circolazione; il loro diverso significato appare pertanto indicato nel modo più chiaro.
È opinione diffusa che l'organismo bancario sia diventato pletorico tra noi durante gli anni dell'inflazione e che il processo di ritorno a condizioni normali, per quanto duri ormai da parecchio tempo, non possa ancora considerarsi del tutto esaurito. Troppi istituti, troppe filiali, troppi impiegati sarebbero la conseguenza, tuttora gravante con costi soverchi sopra la circolazione, del grande e redditizio lavoro richiesto e consentito dalla colossale crisi bellica e postbellica. Di tale opinione è peraltro difficile dare una prova statistica.
Si può invece provare che le banche hanno ormai raggiunto una tale estensione nel paese, che le forze produttive possono contare sopra il più largo sistema di trasmissione da parte loro. Ciò appare dal grande numero di comuni in cui si possono compiere operazioni bancarie, e dalla porzione ancora maggiore degli abitanti noverati da tali comuni in confronto della popolazione totale.
Bisogna inoltre tener conto della diffusione raggiunta dagli uffici postali e della crescente importanza delle svariatissime loro funzioni bancarie.
Bibl.: G. Del Vecchio, Ricerche statistiche sui depositi a risparmio, Udine 1910; id., Le variazioni periodiche dello sconto, in Giorn. degli econ., 1913; R. Bachi, Le fluttuazioni stagionali nella vita economica italiana, Roma 1919; F. Vinci, La concentrazione dei capitali nelle nostre società ordinarie per azioni, in Riv. della Soc. Comm, 1918; M. Segre, Le banche nell'ultimo decennio, Milano 1926; M. Saibante, I profitti delle Società per azioin e la concentrazione dei capitali industriali, in Metron, 1926; D. Angeli, I principali istituti di credito liberi in Italia, in Rivista bancaria, 1924 e 1926 e nel giornale Il Sole, 1927; M. Mazzantini, Alcune indagini statistiche sull'organizzazione bancaria italiana, in Giorn. degli economisti, 1928; G. Nicotra, Assegni bancarî e circolazione monetaria in Italia, in Rivista bancaria, 1926; A. Gulinelli, Le casse rurali in Italia, in Rivista bancaria, 1927; P. P. Luzzatto Fegiz, Il consiglio di amministrazione e l'interdipendenza delle industrie, in Giorn. degli economisti, 1928; G. Nicotra, Le casse di risparmio nel 1928, in Riv. Bancaria, 1929; M. de Vergottini, Su la distribuzione geografica dei depositi a risparmio in Italia e Ricerche statistiche sugli istituti di credito in Italia, in Boll. dell'Ist. Stat.-Ec. di Trieste, 1929; G. de Piante, Depositi e investimenti nel I secolo delle Casse di Risparmio italiane, in Giorn. degli economisti, 1929; V. Porri, Domande intorno al mercato bancario italiano, in Riv. it. di statistica, 1929; Annuario statistico italiano, anno 1928; Piccolo annuario statistico della Ass. fra le soc. italiane per azioni, Roma 1929.
Tecnica architettonica delle banche.
Le banche iu cui si eseguiscono le operazioni di sconto, di note di pegno (warrants), di pagamento di cedole, di acquisti e vendita di valori in genere, di sovvenzioni e mutui, di emissioni di vaglia bancarî, assegni, ricevute di accreditamento, d'incasso effetti, fatture, mandati, di conti correnti, e in cui finalmente si tengono in deposito valori, tanto aperti quanto chiusi, liberi o vincolati, e si eseguiscono ancora operazioni di borsa in genere, devono disporre di tre gruppi di locali: 1. locali per il pubblico; 2. locali per la direzione; 3. locali per gl'impiegati e per i servizî.
L'importanza di tali gruppi e quella dei singoli locali varia con il variare dell'importanza dell'istituto bancario, e variano anche le dimensioni e la forma dei locali stessi, secondo la forma generale del fabbricato, la quale è quasi sempre dipendente da quella del terreno su cui sorge.
Di solito i locali destinati al pubblico si collocano al pianterreno e si riserbano gli eventuali piani superiori agli uffici di direzione, ed anche a studî di professionisti, società commerciali e simili, allo scopo di meglio utilizzare il fabbricato. Anche il pianterreno verso le vie pubbliche si può disporre a negozî, ma in ambedue i casi gl'ingressi e i locali affittati devono essere assolutamente indipendenti da quelli della banca, e da essi separati in modo sicuro. Separato deve pur essere il cortile carraio, necessario nei detti casi, salvo che gl'ingressi dei locali affittati e le botteghe prospettino sopra una piazza, o sopra un largo passaggio pubblico, nel qual caso il servizio di scarico e carico di merci, o di effetti quali che siano, si può compiere senza incomodo per i passanti.
Indipendentemente dalla speciale sicurezza del tesoro, si devono adottare tutte le precauzioni relative alla sicurezza contro il fuoco e contro i furti, sia scegliendo opportunamente i materiali e i sistemi costruttivi, sia adottando speciali mezzi protettivi e repressivi.
A tale scopo si usano materiali incombustibili, strutture di pietra e laterizî e preferibilmente di calcestruzzo cementizio armato (siderocemento), sistemi di riscaldamento a vapore, ad acqua calda, elettrici, con caldaie poste in locali perfettamente sicuri, non soltanto contro il fuoco, ma contro eventuali scoppî; si muniscono finestre e porte del pianterreno di chiusure di sicurezza, e si provvede a una rete di tubazioni d'acqua, con valvole irroratrici, funzionanti automaticamente nel caso di eventuali incendî. Se si deve produrre in posto l'energia elettrica per illuminazione, montacarichi e ascensori, per posta pneumatica o meccanica, per apparecchi di chiamata e di spolveratura meccanica, allora i locali destinati ai macchinarî di produzione dell'energia elettrica devono essere perfettamente isolati e a prova di fuoco e possibilmente in fabbricato apposito.
Sempre per ragioni di sicurezza è conveniente che l'accesso alla banca sia uno solo, tanto per il pubblico quanto per gli addetti all'istituto. Quando però si tratta d'istituti importanti è meglio che per gl'impiegati vi sia un accesso speciale; e se nel fabbricato v'è l'abitazione del direttore o vi sono le abitazioni di altri addetti alla banca, esse avranno ingressi e scale affatto indipendenti da quelli della banca. Tuttavia è sempre conveniente che fra l'abitazione del direttore e gli uffici esista una comunicazione interna, provvista di porta di sicurezza.
Locali per il pubblico. - a) Vestibolo d'ingresso. - Precederà immediatamente la sala delle operazioni: avrà bussola alla porta esterna, e lateralmente un locale per deposito biciclette del pubblico, e un altro locale per il fattorino di custodia all'ingresso. Dal vestibolo si accederà all'ufficio sconti, che conviene sia separato dalla sala delle operazioni.
b) Sala delle operazioni. - Modernamente comprende lo spazio destinato al pubblico e quello per gl'impiegati a servizio di esso, essendosi abbandonato il sistema di separare completamente pubblico ed impiegati da pareti vetrate o no, che salgono fino al soffitto, e nelle quali sono aperti gli sportelli, di limitatissima ampiezza. La separazione è ora ridotta a una sempliee inferriatina più o meno alta con le luci, degli sportelli chiudibili, o anche sempre aperte; oppure è addirittura ridotta al solo banco delle operazioni. Questo è alto cm. 80 ÷ 100 dal pavimento; il suo piano verso il pubblico è largo cm. 30 circa; e quello verso gli impiegati cm. 45 ÷ 55. Il primo ha superficie che si puo tenere faclmente pulita, cioè di cristallo, marmorite, linoleum: il secondo di legno di essenza forte (noce, quercia), ben lucidato, e provvisto, da un lato dello sportello, di una tavoletta di lavagna per i conteggi. verso gl'impiegati il banco si fa ad armadio, in parte chiudibile, per tenere registri, carte, ecc., e lo si provvede pure di cassetto con chiave.
Il sistema degli sportelli a giorno e quello che sopprime ogni separazione al disopra del banco, offrono un duplice vantaggio: rendono possibile la vigilanza del pubblico da parte degli impiegati, che sapendosi a lor volta invigilati dal pubblico lavorano anche più attivamente; e presentano un unico locale con unica temperatura, sicché non formandosi moleste correnti d'aria attraverso gli sportelli, come quando la temperatura fra salone e uffici è diversa, gli sportelli non sono tenuti preferibilmente chiusi dagl'impiegati. È bensì vero che la reciproca vigilanza si può anche ottenere con tramezze di tutta altezza, completamente vetrate, ma non si soddisfa alla condizione della egual temperatura. Alla base del banco del pubblico, a circa centimetri 15 dal pavimento, si dispone un'asta metallica, solitamente di ottone, per poggiapiedi.
Lo spazio per il pubblico e quello per gli impiegati si dispongono in due maniere. O gl'impiegati stanno intorno allo spazio in cui circola il pubblico; o stanno nel mezzo del medesimo spazio. Con la prima disposizione riesce evidentemente più facile la comunicazione fra il locale degl'impiegati e gli altri locali, sia del pianterreno sia del primo piano, senza bisogno di attraversare lo spazio del pubblico. È invece indispensabile attraversarlo con la seconda disposizione; ma tale inconveniente si può evitare mediante scala e sottopassaggio allo spazio per il pubblico; il transito d'altra parte è meno frequente per l'uso del telefono e della posta pneumatica e meccanica. Perciò l'inferiorità della seconda disposizione, riguardo alla comodità e speditezza dei servizî, è più apparente che reale, mentre offre il vantaggio di distribuire meglio il pubblico, senza richiedere uno spazio molto largo; ciò che contribuisce al risparmio di area. Ma questo vantaggio di praticità è quasi sempre a scapito della grandiosità, la quale, nella prima maniera, nasce, si può dire, spontanea, soprattutto quando il salone è illuminato con lucernario.
Secondo la sua posizione il salone è illuminato con luce naturale, fornita sia dal soffitto mediante il detto lucernario, sia da finestre laterali aperte su uno o più lati, sia infine contemporaneamente da luce zenitale e laterale. Se n fabbricato ha varî piani, il lucernario può collocarsi a livello del 1° o del 2° piano. Nel primo caso l'illuminazione è migliore, purché i muri che si elevano intorno al lucernario non sian0 troppo alti: nel secondo si ha il vantaggio di poter disporre al primo piano una galleria intorno al salone per il pubblico, la quale, mentre serve di disimpegno per i locali del 1° piano, serve anche da comodo osservatorio-per il direttore sul locale del pubblico e su quello degl'impiegati.
Nello spazio destinato al pubblico si disporranno panche fisse e sgabelli col sedile di legno, e tavoli col piano a superficie ripulibile (cristallo, marmorite, linoleum) provvisti di calamai fissi, e materiale per scrivere, in corrispondenza dei varî scompartimenti formati con tramezzi di vetro opaco, che offrono al pubblico il mezzo di compiere con maggior libertà e relativa segretezza, i conteggi o altre operazioni. È anche opportuno di collocare nella sala un mobile portante l'orologio a 2 o a 4 quadranti con relativi calendarî, visibili per il pubblico e per gl'impiegati. Nel Comptoir d'Escompte a Parigi sono anzi collocati parecchi orologi indicanti l'ora contemporanea delle maggiori città, quali Londra, Berlino, New York, San Francisco, ecc., per comodità di chi compie operazioni di borsa, potendo così inviare ordini alle borse di dette città, prima della loro apertura. Uno stesso mobile può servire per sedili, pei tavoli, per l'orologio multiplo ed anche per il riscaldamento e l'aerazione, soprattutto se il riscaldamento è dato da aria calda.
Il pavimento del salone è a intavolato di legno di essenza forte per le piccole banche, se si hanno mezzi sicuri di pulizia giornaliera; ma dove il movimento del pubblico è piuttosto intenso, si preferiscono il marmo, il battuto alla veneziana, le piastrelle di cemento o greificate.
L'illuminazione artificiale agli sportelli si ottiene mediante lampade poste a cavalcioni degli sportelli stessi, o, se questi non esistono, con piccoli candelabri infissi nel banco di operazioni. L'illuminazione artificiale di tutto il salone è fornita da lampade al soffitto, e, se questo è molto alto, con altre lampade a metà altezza.
La decorazione sarà a tinte chiare e brillanti, e quando la luce è zenitale, sotto al lucernario di copertura si dispone un velario vetrato, con vetri istoriati, in relazione alla quantità di luce fornita dal lucernario. Tale velario, oltre ad evitare il disturbo prodotto dal passaggio diretto dei raggi solari, serve anche a creare una camera d'aria coibente, e a favorire la ventilazione, per il quale scopo deve essere però debitamente costruito. In comunicazione diretta col salone vi siano uno o più cabine per uso del pubblico.
c) Cassa. - Nelle banche in cui si compiono soltanto operazioni di cassa, come banchi di cambiavalute, società di assicurazione, uffici di amministrazione, di ditte editoriali e commerciali, di consorzî, di casse di risparmio rurali, di esattorie comunali e provinciali e simili, l'ufficio di cassa si può disporre in modo che il pubblico vi acceda da una porta e ne esca da un'altra, e che a ogni estremo del locale vi sia uno scompartimento per cassiere: da uno d'essi si passa direttamente al tesoro, ma tutti e due si provvedono di cassaforte per il servizio giornaliero.
Nelle banche, in cui si compiono operazioni di vario genere, l'ufficio di cassa ha i suoi sportelli al banco di operazioni comune, ma dove questi non esistono, il tratto di banco corrispondente allo scompartimento di cassa si provvede di uno schermo alto circa un metro, formato da inferriatina a giorno, o da tramezzo a vetri opachi, o anche da rete metallica più o meno lavorata. Con tali mezzi si separa pure il locale della cassa da quello degli altri impiegati. Anche in questo caso, per il servizio giornaliero di cassa, il compartimento si provvede di una o più casse forti, o di una piccola camera di muratura, uso tesoro, munita di porta di sicurezza. Nel locale stesso si aprirà la scala per discendere al tesoro proprio della banca, se esso è sotterraneo. Talvolta anche il banco delle operazioni, dalla parte del pubblico ove si compiono operazioni di sconto o di titoli, si provvede di tramezzi trasversali di legno o di vetro opaco, per isolare chi sta compiendo tali operazioni. Quasi sempre le operazioni di sconto si compiono in locale proprio, come fu già detto, ma anche in questo caso si formano sul banco, con tramezzi davanti a ogni sportello, tanti scompartimenti, o addirittura piccole cabine, provviste di porta.
d) Tesoro delle cassette di custodia o di sicurezza (safes). - (Si descrive qui anche il tesoro proprio della banca).
Il pubblico accede al tesoro delle cassette direttamente dal vestibolo d'ingresso, mediante una scala se il tesoro è sotterraneo, oppure anche dal salone, mentre il cassiere deve accedere al tesoro della banca direttamente dal suo ufficio.
I tesori, o sacristie o depositorî, sono la parte più delicata dell'impianto bancario, poiché devono presentare assoluta sicurezza contro il fuoco, i furti, i moti tellurici, e nello stesso tempo conservare intatti documenti, carte, valori, oggetti, in essi deposti.
I due tesori sono solitamente adiacenti, divisi da una grossa parete, ma spesso fra loro comunicanti per mezzo di porta provvista di doppia chiusura di sicurezza, cioè di cancelletto e di battente pieno.
Le porte di accesso all'uno e all'altro tesoro, dette di sicurezza, sono blindate, e non si possono aprire se non conoscendo il numero o la parola della loro serratura a combinazìone, oppure se non nelle ore determinate dalla serratura a tempo, provvista cioè di movimento di orologeria, e dette perciò porte-cronometro. Oltre alla porta, l'apertura si munisce anche di cancelletto, che serve nel caso in cui la porta di sicurezza debba rimanere aperta per qualche tempo (per es. durante l'orario fissato per i cassettisti, o quando si voglia meglio ricambiare l'aria del locale).
Dove è possibile costruire dei sotterranei, i tesori sono sotterranei e posti possibilmente nella parte centrale del fabbricato, così da essere circondati da altri locali. Per renderli sicuri contro il fuoco e i furti, le loro pareti si costruiscono di muratura di pietra concia, o di laterizî con intercalate armature di ferro, o di calcestruzzo cementizio blindato da barre d'acciaio incrociate, di forma crociale e attorcigliate a spirale, così da presentare per tutta la lunghezza una superficie elicoidale sulla quale nessuno scalpello potrebbe far presa. La muratura per tesoro può avere la parete interna di calcestruzzo blindato, grossa cm. 25 ÷ 30; un'intercapedine ripiena di sabbia e la parete esterna di muratura laterizia ordinaria, o di calcestruzzo semplice, verso il corridoio di vigilanza, detto di ronda. Il soffitto e il pavimento dei tesori debbono costruirsi come le pareti, giacché si è dato più di una volta il caso di ladri che entrarono nel tesoro dal pavimento, giungendovi mediante gallerie sotterranee. Questo caso è escluso per quei luoghi in cui la falda freatica ha un livello molto alto, così da rendere impossibile la formazione di una tale galleria. Al corridoio di ronda si può accedere da una porticina in fondo al locale dei camerini cassettisti e poi dal cancello di sicurezza; ma la vigilanza si può esercitare senza percorrere il corridoio, poiché da una spia della porta, si può esplorare completamente il corridoio per mezzo di un giuoco di specchi posti nei varî suoi rami.
Alla vigilanza di tutti i locali, e soprattutto dei tesori, si provvede con personale che a determinate ore deve compiere il servizio di ronda; e per assicurarsi che questa sia avvenuta si usano gli orologi di ronda o di verifica. In prossimità dei tesori e degl'ingressi, si dispongono pure dei posti di guardia notturna, ai quali mettono capo speciali avvisatori elettrici, segnalanti qualsiasi anormalità che avvenga nei locali di cassa o dei tesori, e nelle vie che vi conducono. Se i due tesori comunicano fra di loro con una porta, questa, dalla parte del tesoro cassette, simulerà delle cassette, così da renderla irriconoscibile. In questo caso al tesoro delle cassette non occorre porta di soccorso, bastando quella del tesoro cassa: se la comunicazione non esiste, allora ogni tesoro ha la propria porta di soccorso segreta, di cui quella del tesoro cassette non dev'essere vista dal pubblico, e a ciascuna porta si deve giungere mediante passaggio segreto, noto soltanto agli addetti alla cassa e al direttore.
I tesori si devono riscaldare e ventilare, ma i condotti di ventilazione, con le relative prese di aria e bocche di smaltimento, sono da studiare in maniera da impedire che vi si possano introdurre esplosivi.
Il tesoro della cassa è arredato con armadî di ferro, aperti e chiusi, tavolini e sedie; quello delle cassette con armadî contenenti le cassette, le quali sono di varie dimensioni (lunghezza cm. 50, larghezza cm. 20, altezza cm. 10-15), e da una scaletta mobile scorrevole con la quale si possa giungere alle file più alte delle cassette. Queste non si possono togliere dall'armadio, o casellario, se non adoperando due chiavi: quella del cliente e quella dell'istituto: oltre a ciò il cliente può munire la serratura di lucchetto. Le serrature, come le chiavi, sono a permutazione, sicché se ne può cambiare il congegno quando si voglia. I casellarî talvolta sono chiusi con battenti di armadio per maggiore guarentigia. La loro parte inferiore ha compartimenti più grandi (cm. 50 × 50 × 50), che servono anche per custodire oggetti, valigie, ecc., e sopra questi compartimenti si può estrarre da ogni casellario una tavoletta per appoggiarvi le cassette. Quando l'altezza del locale lo consenta, i casellarî sono a due piani
e) Camerini per i cassettisti. - Il tesoro delle cassette è preceduto dal locale per gli stanzini, o cabine, dei cassettisti (m.1,10 × 1,40), che ricevono luce diretta dall'esterno, o sono illuminati da luce artificiale. Nel primo caso le aperture di luce si muniscono di solide inferriate di sicurezza; meglio se possono prospettare un cortile interno.
Nello stesso locale delle cabine, o in uno che lo preceda, vi è il posto per l'addetto al servizio del tesoro, che, per comodità del pubblico, effettua anche pagamenti di cedole. In questo caso egli deve avere uno scrigno di sicurezza, che alla sera vien trasportato nel tesoro della cassa o in una delle casseforti dell'ufficio del cassiere.
f) La saletta di cassa per i cambiavalute si colloca in prossimità del vestibolo d'ingresso, e possibilmente in diretta comunicazione con questo.
g) La sala dei contratti si colloca vicino ai locali di amministrazione e della direzione, e siccome questi sono solitamente al primo piano, così ad essa si accede dallo scalone principale, che si apre sul vestibolo d'ingresso e sbocca in altro vestibolo al primo piano. La sala dei contratti è preceduta da un locale di aspetto, che serve anche da temporanea guardaroba per i clienti.
Locali per la direzione. - a) Ufficio del direttore. - L'anticamera dell'ufficio del direttore si dispone in modo che possa servire come tale anche per il gabinetto particolare del direttore e per quello del presidente del consiglio di amministrazione. A questi uffici si annette un locale per guardaroba, e il cesso col proprio stanzino per il lavabo.
b) Sala per le adunanze del Consiglio di amministrazione. - È bene che sia orientata a levante, per sottrarla alla molestia dei calori estivi, essendoché le adunanze si tengono solitamente nel pomeriggio. Qualche istituto ha due sale, una per l'inverno, esposta a mezzodi o a ponente, e l'altra per l'estate esposta a levante o a mezzanotte. Non è però facile collocarle in modo che la stessa anticamera serva per ambedue. Questa funzionerà da guardaroba ed eventualmente servirà anche da saletta di lettura e di scrittura per i consiglieri. Da essa si accederà a un gabinetto di toletta.
Locali per gl'impiegati e per i servizî. - I locali di ufficio per gli impiegati non richiedono speciale descrizione. Se il salone delle operazioni è a pianterreno necessariamente sarà a pianterreno anche il locale degl'impiegati addetti agli sportelli, mentre gli uffici di segreteria, di contabilità, di consulenza legale, di economato, ecc., si possono collocare al primo piano ed anche a un eventuale piano superiore. I magazzini di oggetti di cancelleria, di stampati e gli archivî, si dispongono in qualunque parte del fabbricato, purché in luogo asciutto e reso ben sicuro contro il fuoco.
Per evitare che i rumori della stamperia giungano agli uffici, questa si colloca possibilmente in un fabbricato apposito o in locali appartati. Fra i compartimenti dei varî uffici devono essere facili e comode le comunicazioni, ottenute con scale di servizio, montacarichi, ascensori, posta pneumatica e meccanica, suonerie e telefoni. Naturalmente a ogni piano vi sono gl'indispensabili locali ad uso di guardaroba e i gabinetti di toletta, distribuiti in modo che il personale non debba compiere lunghi percorsi o attraversare uffici per accedervi.
I tavoli degl'impiegati sono semplici o doppî, con piano orizzontale o a leggio, secondo il lavoro a cui sono adibiti. I tavoli doppî sono larghi m. 1,60 circa e fra essi intercede uno spazio di circa m. 3, necessario per il posto dell'impiegato e per il passaggio fra un tavolo e l'altro. Essi son lunghi m. 1,50, se servono per due impiegati, l'uno di fronte all'altro e m. 3 per quattro impiegati, disposti di fronte a due a due. calcolando il passaggio longitudinale tra le file dei tavoli, quello fra tavoli e parete e il posto occupato da altri mobili, quali casellarî, tavolini, armadî, ecc. (circa 2 metri), la larghezza del locale risulta di m. 6 ÷ 6,50. Se il locale è illuminato da due parti, cosi da potervi collocare due file di tavoli lunghi m. 3, allora la sua larghezza si può ritenere un po' minore del doppio di 6 o 6,50.
Ogni tavolo deve riuscire bene illuminato da luce naturale e artificiale; per questa vi saranno le necessarie prese di corrente (se l'illuminazione è elettrica), poste sui tavoli stessi o sulle pareti, per le lampade portatili. Altre prese di corrente si dispongono per i tavoli degl'impiegati che devono compiere operazioni con macchine per conteggi, o automatiche per stampigliature, timbrature e simili.
Bibl.: P. Kick, Handb. der Architekten, Stoccarda 1902, p. iv; id., Baukunde d. Architekten, II, Berlino 1904, p. vi; L. Cloquet, Traité d'architecture, Parigi e Liegi 1898-1901, IV; F. Grébert, L'architecture aux États-Unis, Parigi 1920; J. Guadet, Éléments et théorie de l'Architecture, Parigi 1905; E. Guillot, Édifices publics pour villes et villages, Parigi 1912; F. Hitzig, Das Reichsbank-Gebäude in Berlin, Berlino 1880; L. Klasen, Grundriss-Vorbilder von Gebäuden aller Art, Lipsia 1884, p. iv; Milano tecnica dal 1850 al 1884, Milano 1885; P. Planat, Encycl. de l'architecture et de la construction, s. v. Établissements financiers, Parigi 1888-92; L. Broggi e C. Nava, il nuovo palazzo della Banca d'Italia in Milano, Milano 1914; D. Donghi, Man. dell'architetto, Torino 1922.
Banche di emissione: v. emissione, istituti di.
Banche ipotecarie: v. credito fondiario.