Banca
(VI, p. 33; App. I, p. 238; II, i, p. 355; III, i, p. 201; V, i, p. 308)
Banca e credito
Con gli anni Novanta si afferma anche in Italia un radicale processo di ristrutturazione del settore bancario e del mercato del credito, volto a dar vita a un sistema di intermediari più articolato ed efficiente. Esso si inserisce in una più ampia e complessa fase evolutiva dei mercati finanziari internazionali che, sebbene non possa dirsi ancora completamente conclusa, si è avviata nel nostro paese con qualche lustro di ritardo. Se poi il confronto è diretto con le realtà di altri Stati membri dell'Unione Europea, come la Germania e il Regno Unito, paesi con cui l'Italia è chiamata sempre più a competere e a integrarsi, è evidente come questa recente fase evolutiva rifletta nel suo sviluppo, per alcuni aspetti, processi altrove già consolidati.
Nel breve arco di poco più di un quinquennio, si è assistito a un generale e profondo riassetto della struttura bancario-creditizia italiana che ha visto coinvolte a diverso livello tutte le sue istituzioni. È logico quindi che anche il quadro normativo di riferimento del nostro sistema bancario, specchio del mutamento dei mercati, abbia seguito, pur con qualche ritardo, tale forte cambiamento.
In questo periodo di intense trasformazioni e di generale rinnovamento del paese, prendono corpo e forma le conclusioni cui era giunto il vivace dibattito maturato tra gli anni Settanta e Ottanta, e nel quale da più parti era stata chiamata in causa l'inadeguatezza del settore bancario e finanziario come origine di alcune delle debolezze strutturali e congiunturali manifestate dal nostro sistema economico. La riduzione degli elementi di fiscalità occulta e di 'accondiscendenza finanziaria' delle nostre istituzioni creditizie era stata sin da allora ripetutamente segnalata quale panacea per il superamento di quegli squilibri reali che, a partire dai primi shock di origine esterna di inizio anni Settanta, affliggeranno a lungo la nostra economia concorrendo a frenare crescita e occupazione e, in generale, a sottrarre sempre più efficienza all'intero sistema.
Era inevitabile, quindi, che numerosi si facessero i richiami a una totale o parziale revisione del sistema bancario e dei canali di trasmissione della politica del credito. Questa esigenza tanto più si rafforzava quanto più cresceva e si affermava, nel complesso di attività che presiedevano al concreto sviluppo della vita economica del nostro paese, il ruolo degli intermediari finanziari, specie di quelli a non esclusiva matrice bancaria. Con puntuale cadenza annuale, infatti, tale necessità era stata manifestata nelle Considerazioni finali dei governatori della Banca d'Italia (Banca d'Italia 1986, pp. 321 e segg.) e nei lavori delle Commissioni ministeriali incaricate di indagare sull'adeguatezza dell'intero sistema del credito e di ridisegnarne le linee strategiche (Ministero del Tesoro 1982, p. 149).
Pur riconoscendo i caratteri vitali e duraturi della legge bancaria del 1936, si diffuse rapidamente, e con sempre maggiore convinzione, l'opinione che fosse necessario intervenire su di essa con iniziative di riforma istituzionale che portassero a una completa revisione e riformulazione del settore. Erano infatti le stesse forze insite nel processo di finanziarizzazione dell'economia e le esigenze di sostegno allo sviluppo del 'sistema Italia' che spingevano le aspettative di operatori e mercati in questa direzione. Del resto, questo genere di aspettative traeva pure forza dall'osservazione che in altri paesi europei la legislazione bancaria o era in corso di riforma o lo era già stata (così nel Regno Unito nel 1979 e in Germania e Francia nel 1984); non ultima, poi, a spingere in tale direzione era la Prima direttiva comunitaria di coordinamento per l'accesso all'attività creditizia (CEE 77/780) che, varata nel dicembre 1977, fissava il termine di recepimento al dicembre 1979.
La tendenza a una certa longevità del nostro ordinamento bancario-finanziario è tuttavia un aspetto comune all'esperienza di molti altri paesi. Essa si inserisce in un'ampia casistica internazionale, soprattutto valida per i paesi maggiormente industrializzati, che in generale vuole le strutture finanziarie radicate su posizioni di forte immobilismo locale, geneticamente più pronte a difendere rendite di monopolio che a favorire le regole della concorrenza. Ciò ha permesso di fatto, negli ultimi cinquant'anni, il consolidarsi in alcuni sistemi di una struttura molto rigida e in genere restia alle innovazioni.
In Italia, per es., la netta distinzione di ambito operativo tra istituzioni esercenti il credito a breve e quello a medio-lungo termine è rimasta in vigore fino alla riforma del 1993. Così, e fino al decennio scorso, il canale squisitamente di matrice bancaria ha visto consolidare sul mercato la sua posizione di privilegio rispetto agli altri intermediari. È il caso della gestione diretta e indiretta del sostegno finanziario alle imprese, dove le banche hanno seguito la prassi del pluri-affidamento, fino al punto di spingersi, anche se in via informale e talvolta poco trasparente, ad assumere con il moltiplicarsi di linee di credito una sorta di partecipazione nelle imprese finanziate. Ciò si è puntualmente verificato nel sostegno finanziario alla grande impresa, sia a quella pubblica - fino al progressivo smantellamento in anni recenti - sia soprattutto a quella privata, il cui finanziamento è stato quasi esclusivo appannaggio delle banche. Queste, azionando opportunamente la leva del credito ordinario, hanno saputo coltivare e far crescere il rapporto con le imprese, rafforzando strette relazioni di clientela-dipendenza. Ciò ha consentito il perpetuarsi di una condizione di sfavore nel finanziamento dell'impresa minore che, se meno delle altre ha sofferto dell'incapacità del nostro sistema di generare fino ad anni recenti un mercato finanziario più 'spesso', con strumenti e operatori alternativi, più delle altre ha subito gli effetti del razionamento del credito.
L'evoluzione economico-normativa
L'approvazione di un nuovo ordinamento bancario in Italia è giunta quindi soltanto nel 1993 (d. legisl. 1° sett. 1993 nr. 385). Essa è perciò, semplicemente in ordine temporale, l'ultimo atto di un più generale processo di rinnovamento che, iniziato negli anni Ottanta, ha avuto un percorso lungo, discontinuo e talvolta contraddittorio. Rimuovendo le barriere normative che ostacolavano l'esercizio dell'attività bancaria sul genere della 'banca d'affari', nelle linee guida questo decreto ha cercato di imporre un passo più spedito all'armonizzazione, anche legislativa, tra paesi e alla scelta nel nostro sistema di un modello di 'banca universale'.
Le trasformazioni introdotte dal Testo unico in materia bancaria e creditizia, entrato in vigore il 1° genn. 1994, presentano numerosi elementi di innovazione rispetto al passato. Con la legislazione bancaria del 1926 e poi del 1936, l'obiettivo primario del legislatore era stato quello di intervenire formulando principi atti a disciplinare una materia e un settore fino a quel momento privi di, o con limitata, regolamentazione. Il Testo unico bancario si fa forte, invece, dell'eredità della legge bancaria già esistente e recepisce la normativa comunitaria che postula un sistema di mercati integrati e traccia il nuovo sentiero lungo il quale gli operatori dovranno muoversi. Esso sancisce definitivamente i principi della despecializzazione temporale e della libera circolazione nel mercato del credito. Tali principi, che erano già stati esplicitati con il recepimento della Seconda direttiva europea di coordinamento bancario (CEE 89/646), consentono alle banche di operare congiuntamente sul breve e sul medio-lungo termine, rendendo uniforme la regolamentazione degli intermediari creditizi. Di fatto, tuttavia, molte differenze permangono e sono ancora oggi rilevanti.
Fino al 1990 il sistema creditizio italiano è stato impostato su due categorie di intermediari (v. banca, App. V): le banche, che operavano prevalentemente sul breve termine, e gli istituti di credito speciale (ICS), impegnati nel finanziamento degli investimenti con operazioni a medio-lunga scadenza. Per gli oltre cinquant'anni in cui è rimasta in vigore la legge bancaria del 1936, queste due categorie di intermediari, oggi tutte banche, sono state soggette a una diversa regolamentazione circa la scadenza delle loro attività e passività, e hanno differenziato le loro politiche operative. In un sistema ben poco orientato al mercato, queste due classi di intermediari hanno tenuto diversa composizione dei bilanci, applicato strategie di raccolta dei fondi e politiche di investimento spesso differenti, anche in virtù dei distinti regimi di vincoli amministrativi (per es., la riserva obbligatoria, il vincolo di portafoglio e i massimali sul credito) cui la politica del credito li ha obbligati, in una logica che troppo spesso, tra gli anni Settanta e Ottanta, ha onorato più i dettami del dirigismo economico che le regole del libero mercato.
Oggi, il mercato non è più segmentato tra credito finanziario (a medio-lungo termine) e credito ordinario (a breve scadenza). Il primo veniva erogato in larga misura dagli ICS, nella quasi generalità dei casi di proprietà pubblica, che emettevano prevalentemente certificati di deposito (CD) e obbligazioni a lungo termine, esenti da riserva obbligatoria, e impiegavano la provvista ancora soprattutto a lungo termine. Le banche, invece, si finanziavano normalmente con depositi ed erogavano prestiti a breve termine o effettuavano investimenti in titoli di Stato. Poi, per prassi ormai consolidata nel nostro paese, seguivano la pratica del multi-affidamento del cliente, relegando a un adempimento puramente formale il rispetto del principio della specializzazione temporale.
In linea teorica, con il nuovo ordinamento tutti possono fare tutto, credito speciale e credito ordinario insieme; il Testo unico ha creato così i presupposti necessari per avviare una completa ristrutturazione del sistema. Essa è andata concretizzandosi in anni recenti intorno a un numero relativamente modesto di ICS che, assieme alle maggiori banche di credito ordinario, hanno dato vita a gruppi bancari coesi che stanno assumendo la rilevanza di banche universali, anche di dimensioni sovrannazionali. Questo nuovo ordinamento, pur privilegiando l'esistenza di rapporti preferenziali tra banche e imprese, ha reso certo più difficile il perfezionarsi di quelle relazioni 'pericolose' tra b. e cliente che, specie negli anni Ottanta, spingevano a camuffare, sotto un eccesso di aperture di credito rispetto all'effettivo utilizzo, i rapporti di credito a breve con ben più stabili relazioni di medio-lungo termine che nascondevano la possibilità per le imprese di ottenere capitale di rischio sotto forma di credito. Un esempio concreto di come la trasformazione del nostro ordinamento creditizio abbia scelto di seguire in questi ultimi anni meccanismi endogeni di adattamento delle sue strutture al sistema economico rimane l'iter di recepimento della Prima direttiva comunitaria (CEE 77/780). Questa norma affermava la libertà di stabilimento e di esercizio del credito e riconfermava il carattere di impresa dell'attività bancaria ma, nonostante avesse una forte valenza innovativa, fu recepita nel nostro ordinamento soltanto nel 1985, con quasi sei anni di ritardo (l. 5 marzo 1985 nr. 74; d.p.r. 27 giugno 1985 nr. 350).
Il legislatore italiano, invece di adeguare con tempestività norme e istituzioni alle esigenze dei mercati e degli operatori, ha finito con il procrastinare nel tempo la convergenza fra normativa nazionale, mercati, istituzioni e normativa comunitaria, con un effetto di amplificazione sul disallineamento tra piazze finanziarie e sistemi economici non solo spaziale, ma anche temporale. I nostri intermediari creditizi si sono così orientati sul finire degli anni Ottanta verso scelte istituzionali 'vincolate' che, di fatto, a priori, parzialmente escludevano l'orientamento verso modelli alternativi, anch'essi ugualmente previsti dal legislatore comunitario, più vicini all'esperienza di altri paesi europei i cui sistemi finanziari erano già pienamente sviluppati.
Da un punto di vista normativo, infatti, in precedenza si era giocato di anticipo; la l. 30 luglio 1990 nr. 218, la cosiddetta legge Amato-Carli, aveva introdotto il modello istituzionale del 'gruppo creditizio', già preannunciato dalla Banca d'Italia nel 1986 (Banca d'Italia 1986, p. 359), mentre la Seconda direttiva comunitaria di coordinamento per l'accesso all'attività creditizia (CEE 89/646) - in gestazione nel 1987, e quindi nota nella sua impostazione tendenziale, e poi approvata nel 1989 - proponeva anche il modello istituzionale della 'banca universale'.
Conseguentemente, il recepimento della Seconda direttiva, anche questa volta tardivo con il d. legisl. 14 dic. 1992 nr. 481, ha avuto di fatto un effetto di spiazzamento nei confronti delle aziende di credito ordinario e degli ICS che nel biennio 1991-92 furono spinti ad adottare i provvedimenti formali per costituirsi nel modello istituzionale del gruppo creditizio. Nel frattempo, la normativa nazionale ha progressivamente articolato le tipologie degli intermediari finanziari presenti nel sistema (v. mercati finanziari, in questa Appendice). Come la creazione delle società di intermediazione finanziaria (delibera CICR, Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio, del 6 febbr. 1987) ha aperto il campo all'attività di merchant banking, l'istituzione delle società di intermediazione mobiliare (l. 2 genn. 1991 nr. 1) ha creato una riserva di attività nel campo dell'investment banking.
Bisogna attendere il 1998 per l'approvazione da parte del governo (20 febbr.) del decreto legislativo nr. 58 contenente il Testo unico delle disposizioni in materia di mercati finanziari. Esso, nelle tre parti che compongono il suo articolato (mercati finanziari, intermediari finanziari e diritto societario), completa il disegno strategico di riordino dell'intero settore e segna un notevole progresso del nostro ordinamento nella disciplina degli intermediari e del governo societario.
Ora l'industria bancaria e finanziaria italiana ha gli strumenti necessari che le permettono di competere su un piano di parità con quella di altri paesi. Il Testo unico della finanza va a integrare quindi il Testo unico della banca, in quanto sono entrambi ispirati a principi-base comuni, come operatori e studiosi auspicavano da tempo. Viene confermato il riconoscimento all'attività bancaria e finanziaria come attività imprenditoriale; è stimolata la concorrenza, interna ed estera, per una sempre maggiore apertura internazionale del nostro mercato dei capitali, così come l'autoregolamentazione; è prevista al tempo stesso una supervisione non troppo onerosa, attenta ai profili sia di efficienza-stabilità, sia di informazione-trasparenza-correttezza. Questo insieme di nuove regole ha configurato il settore sulle basi di un mercato di concorrenza, ma regolato, all'interno del quale le imprese bancarie e finanziarie potranno avvalersi di recuperi di efficienza operativa e gli investitori di una migliore tutela diretta e indiretta del risparmio gestito.
Per quanto riguarda le disposizioni relative agli operatori, il Testo unico della Finanza disciplina tutte le categorie di intermediari attivi sui mercati finanziari e mobiliari. Venendo incontro alle esigenze espresse dal mercato e facendo proprie le scelte già compiute in altri paesi dell'Unione Europea, esso regolamenta con particolare attenzione anche le società di gestione del risparmio, inserendo in tale contesto la nuova figura dell'asset manager, un intermediario-gestore che opera su tutti i versanti di attività e che è abilitato a gestire patrimoni sia 'in monte', sia su base individuale. In considerazione delle loro peculiarità istituzionali e normative, il nuovo decreto rinvia invece al Testo unico bancario la disciplina per le banche, predisponendo solo le opportune norme di raccordo.
Nel recente processo di integrazione istituzionale a livello europeo, particolare enfasi ha assunto nel nostro paese anche l'avvio delle trasformazioni societarie, da imprese pubbliche a società per azioni, prodromico alla progressiva privatizzazione del settore. In questa cornice evolutiva delle nostre istituzioni creditizie si inseriscono le fondazioni di origine bancaria. Esse nascono nel 1990, in applicazione della legge Amato-Carli, quando, con l'avvio del processo di privatizzazione e razionalizzazione del sistema creditizio, viene consentita agli enti pubblici l'adozione della forma societaria e vengono gradualmente privatizzate le banche pubbliche e le casse di risparmio. Con la creazione di due entità separate, b. e fondazione, vengono istituiti questi nuovi soggetti che di recente sono stati chiamati a ricoprire un ruolo di rilievo nell'ambito della società civile con la l. 23 dic. 1998 nr. 461. Con tale legge che ha approvato il disegno di legge Ciampi-Pinza (nr. 3194/97) il governo è stato delegato a emanare decreti legislativi aventi per oggetto il regime, anche tributario, delle fondazioni, il regime fiscale dei trasferimenti delle partecipazioni dalle stesse detenute, direttamente o indirettamente in società bancarie, il regime civilistico e fiscale degli scorpori, una nuova disciplina fiscale volta a favorire una più completa ristrutturazione del settore. Rinunciando a un intervento coercitivo che avrebbe 'costretto' le fondazioni bancarie a una rapida uscita dal settore del credito e si sarebbe posto in contrasto con il riconoscimento della loro natura privatistica, la legge non prevede l'obbligatorietà della dismissione delle quote delle società banche e casse di risparmio, né stabilisce un limite temporale, anche se dispone che, in caso di mancata dismissione entro quattro anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi delle partecipazioni di controllo possedute ai sensi dell'art. 2359, 1° e 2° comma, c.c., le fondazioni perdano le specifiche agevolazioni fiscali, come pure la qualifica di ente non commerciale ai fini tributari. In base alla legge le fondazioni devono, con un'ampia autonomia statutaria, perseguire esclusivamente interventi per scopi di utilità sociale inerenti le proprie finalità istituzionali e possono svolgere, con contabilità separate, attività d'impresa quali la ricerca scientifica, l'istruzione, l'arte, la sanità, l'assistenza alle categorie sociali deboli esclusivamente nell'ambito del terzo settore (non-profit). Sono a tal fine abilitate a detenere partecipazioni di controllo in enti e società che abbiano per oggetto esclusivo l'esercizio di tali imprese. Per la gestione, le fondazioni di origine bancaria dovranno seguire principi di economicità e, fermo restando l'obbligo di conservazione del patrimonio, impegnarsi per un'adeguata redditività. All'Autorità vigilante, ancora da istituire, sarà delegato il controllo oltre che la fissazione di un limite minimo di reddito, in proporzione al patrimonio, da destinare a fini istituzionali. Alla luce di questa delega, il processo di privatizzazione avrebbe l'effetto di riallocare gli assetti proprietari delle banche pubbliche, ma soprattutto di liberare in prospettiva risorse a favore del settore non-profit; ciò consentirebbe la valorizzazione di quelle istanze della società civile sulle quali si dovrebbe incardinare la riforma dello Stato sociale al momento in discussione.
Il processo di integrazione e globalizzazione
Il mercato del credito tende quindi a connotarsi diversamente rispetto al passato per l'introduzione, non sempre graduale, di nuovi prodotti e servizi che vengono richiesti da una clientela più sofisticata ed esigente di un tempo. In realtà, per l'Italia, più che di 'innovazioni finanziarie' in senso stretto sarebbe corretto parlare di 'adeguamenti finanziari', dato che strumenti e tecniche di recente applicazione nel nostro paese non sono altro che adattamenti al nostro costume finanziario di prodotti già sperimentati da mercati più evoluti. Molti di questi strumenti e tecniche finanziarie sono ancora oggi patrimonio in parte esclusivo degli operatori, anche bancari, dopo la riforma del Testo unico sul credito, e lentamente stanno entrando nella prassi del nostro mercato finanziario.
I progressi della telematica, dell'elaborazione automatica dei dati, le recenti trasformazioni relative alla domanda di attività finanziarie da parte del pubblico (per es., il risparmio gestito), la stessa diffusione di strumenti finanziari innovativi (per es., i derivati) sono stati tutti elementi di stimolo nello spingere il sistema verso il rinnovamento in un contesto in cui barriere tecnologiche e regolamentari tendono, di fatto, a rimuovere e a far 'scomparire' i mercati nazionali. In questo scenario si inserisce il più generale processo di integrazione e globalizzazione dei mercati, che in Europa, in campo bancario e creditizio, ha registrato di recente una forte accelerazione e sarà completato dall'introduzione della moneta unica. Non sembra, invece, che funzioni fondamentali tipiche dell'attività di intermediazione, quale la capacità di trasformare il risparmio in investimenti produttivi nel rispetto di un'ottimale distribuzione delle risorse e della tutela del sistema dai rischi sistemici a esso relativi, siano risultate fortemente condizionate o quanto meno mutate dal processo di trasformazione sopra descritto. A livello europeo, peraltro, il settore dei servizi finanziari sta attraversando un momento critico. L'Unione monetaria, infatti, non è solo un progetto molto ambizioso da un punto di vista macroeconomico, ma determina un impatto rilevante anche sui comportamenti microeconomici.
Segnali ben chiari in quest'ultimo senso sono inviati dall'atteggiamento della stessa industria dell'intermediazione finanziaria che, per quanto paladina della libertà dei movimenti di capitale e dell'integrazione dei sistemi finanziari, proprio nel momento in cui si avvicina la scadenza di questo appuntamento, manifesta le sue incertezze con ripetuti fenomeni di instabilità sulle singole piazze finanziarie. È per tutte queste motivazioni che presupposti essenziali a una corretta evoluzione del percorso verso l'Unione rimangono la liberalizzazione regolamentata dei rapporti tra agenti economici e la diffusione di concorrenza nel mercato.
Per affrontare con margini di successo la competizione globale, il credito in Italia deve quindi, in primo luogo, conseguire livelli di redditività più elevati. Anche per questo settore, condizione necessaria, ancorché non sufficiente, per raggiungere tale traguardo è la soluzione del nodo posto dal costo e dalle rigidità del fattore lavoro.
Alcune indagini recenti segnalano che il divario di redditività che separa le 'grandi' banche italiane da quelle europee permane: a metà degli anni Novanta, il differenziale di ROE (Return On Equity) rispetto alla media europea si attestava ancora sui 6 punti percentuali. Se poi il confronto viene proposto rispetto a istituzioni, europee e non, più redditizie ad alta leva finanziaria (Inghilterra, Olanda e USA), l'impegno delle nostre banche per colmare le differenze dev'essere ancora più forte. Si richiedono perciò alle banche profondi adattamenti dall'interno per un pieno recupero di efficienza. Sarà premiante il nuovo contesto operativo, istituzionale e fiscale, più snello e meno penalizzante, di recente configurazione nel panorama italiano. I fattori che più direttamente hanno determinato la caduta dei risultati di gestione sono vari. Tra questi, il rallentamento dei volumi raccolti e intermediati, effetto di un'evoluzione anche del nostro sistema verso un modello orientato più al mercato che agli operatori, la crisi congiunturale che ha provocato un pronunciato aumento del grado di rischiosità dell'attivo e delle perdite su credito, la crescente concorrenza, la contrazione del margine di interesse, la rigidità dei costi, in particolare del personale, hanno reso arduo il controllo dei risultati lordi di gestione. Non sorprende, infatti, che le banche con un più basso livello di efficienza operativa siano le stesse che presentano anche i più elevati livelli di incidenza delle sofferenze sugli impieghi.
Un recupero di efficienza interna, che potrà seguire più da un approfondimento del processo di privatizzazione che da crescenti sollecitazioni concorrenziali interne ed esterne, è tuttavia necessario in un contesto di mercati integrati e di crescente competizione. La nostra partecipazione all'Unione monetaria europea (UME) comporterà peraltro un ulteriore intensificarsi della concorrenza e quindi - anche a causa del prevedibile livellamento dei tassi verso il basso - un'ulteriore drastica riduzione del margine di interesse.
In uno scenario post-Euro, le politiche macroeconomiche nazionali sembrano quindi destinate inevitabilmente a perdere sempre più di importanza e a lasciare il passo a politiche settoriali di tipo microeconomico. Questo non significa la fine delle politiche macroeconomiche nel loro insieme, quanto piuttosto la fine delle politiche fondate sulla discrezionalità monetaria e sul disequilibrio fiscale. Da questo punto di vista, oltre alle politiche del lavoro, diverranno sempre più strategiche le politiche del credito e della finanza d'impresa anche come tramite per politiche di incentivazione agli investimenti. Saranno infatti queste ultime a stimolare la crescita sia della produzione che dell'occupazione, non potendo più la Banca centrale dei singoli Stati membri agire sui tassi di interesse tramite la politica monetaria, né il Tesoro favorire l'aumento della domanda interna finanziata con deficit di bilancio. Il costo è la perdita della sovranità monetaria e fiscale, più che bilanciato dai vantaggi derivanti dall'Unione.
Teoria dell'intermediazione
L'analisi economica sull'intermediazione bancaria e sulla natura dei suoi intermediari ha prodotto nuovi contributi teorici atti a giustificare, in contrapposizione alla teoria neoclassica più ortodossa, la necessità per la b. di un trattamento differenziato da quello riservato agli altri settori dell'attività economica, con un intervento dello Stato più attivo in termini di regolamentazione e di vigilanza prudenziale, specie sugli intermediari bancari.
Le 'nuove' correnti di pensiero, sotto la spinta dell'imperfetta informazione che governa i mercati finanziari, hanno infatti rimodellato le principali conclusioni su questi temi, e in particolare nel rapporto b.-impresa e credito-clientela. Tutte hanno fornito un valido contributo interpretativo nel descrivere in maniera sempre più vicina alla realtà il mercato del credito e delle sue istituzioni. Esse riflettono in modo coerente la logica sottostante ai meccanismi del credito, soprattutto nei suoi connotati microeconomici (la b. come impresa), meccanismi che, proprio in questi ultimi anni e in tutti i paesi industrializzati, sono stati oggetto dei significativi mutamenti istituzionali in precedenza illustrati. Il minimo comune denominatore di queste teorizzazioni sta nella capacità di dimostrare sia il carattere endogeno degli intermediari, sia il perché venga riconosciuta alle banche una specificità-diversità da altri operatori del mercato del credito.
Le asimmetrie di informazione, i costi di transazione e l'incertezza nelle relazioni economiche costituiscono perciò valide argomentazioni per giustificare la presenza di intermediari finanziari e la loro articolazione in diverse categorie e funzioni. Se invece esistessero mercati finanziari perfetti, caratterizzati da costi di transazione nulli e da un regime di certezza ove tutti gli agenti economici godono di informazione completa, non vi sarebbero i presupposti per l'intermediazione, né la necessità di regolamentazione. È quindi l'accrescersi di imperfezioni nei mercati finanziari, quali incertezza nei rendimenti, ostacoli alla stima del rischio, opacità del mercato, ad allontanare quest'ultimo dai meccanismi di un corretto funzionamento e dall'applicabilità dei postulati classici della libera concorrenza.
Gli intermediari finanziari, specie quelli creditizi, avvalorano perciò una soluzione di natura endogena ai problemi che il 'fallimento del mercato' solleva per l'esistenza di asimmetrie informative tra unità in deficit e in surplus dell'economia. Essi consentono di risolvere o quanto meno di attenuare la difformità informativa ex ante rispetto alla scelta di progetti di investimento o di imprese da finanziare. In loro assenza il mercato, da solo, incorrerebbe in problemi di 'selezione avversa'. Quando essi, poi, svolgono una funzione di delega sui prestiti erogati per conto dei depositanti-finanziatori, la loro attività di monitoraggio riduce anche le asimmetrie ex post che, altrimenti, spingerebbero gli operatori ad assumere comportamenti di 'azzardo morale'. L'effetto finale è quindi una riduzione dei costi di transazione rispetto a soluzioni perfezionate su scambi diretti, soluzioni che danno origine, grazie alla presenza degli intermediari, a economie di scala e di diversificazione nella produzione di informazioni sul mercato del credito.
Un interesse non secondario ha attirato l'attenzione di molti di questi studi sul rapporto b.-impresa nel governo delle relazioni che legano il sistema bancario-creditizio con il mondo imprenditoriale. Particolare rilievo è stato dedicato alla natura dei rapporti tra soggetti finanziatori - solitamente gli intermediari, anche non bancari - e il sistema produttivo, nonché alle conseguenze di tali relazioni finanziarie sul comportamento delle imprese. L'interesse per la natura degli intermediari e per la loro specialità risulta quindi essere funzionale all'individuazione delle peculiarità del loro ruolo all'interno del sistema economico. Ne segue che le soluzioni di equilibrio con finanza indiretta, e perciò con la presenza di intermediari, sarebbero dominanti in termini di efficienza allocativa rispetto a quelle con finanza diretta, dove gli scambi tra prenditori e datori di fondi in un contesto di tipo walrasiano negano l'esistenza stessa dell'intermediazione.
È opinione diffusa che nella competizione fra intermediari e mercati per l'offerta di servizi finanziari nel medio termine prevarranno i mercati. Da più parti si ritiene cioè che le banche e gli intermediari finanziari siano destinati gradualmente a scomparire o comunque a veder ridurre sensibilmente la loro importanza a vantaggio dei mercati; altri ritengono invece che, in un mondo caratterizzato da inevitabili tratti di asimmetria informativa, l'intermediario non possa essere sostituito dal mercato; piuttosto a esso si affianca, secondo uno schema di 'complementarità competitiva' (Masera 1991).
Quest'ultimo schema sembra dare sostegno a quanto si sta verificando di recente non solo in Europa, ma anche negli USA, dove alcune grandi banche europee, dopo aver acquisito le principali investment banks inglesi, stanno ora tentando di penetrare nel mercato americano. Tali recenti acquisizioni di merchant bank inglesi da parte di grandi banche universali tedesche, svizzere, olandesi testimoniano la volontà di operare sui diversi fronti della finanza in un mercato globale, su basi adeguate alle dimensioni del mercato finanziario internazionale.
Conclusioni
Le maggiori possibilità operative dischiuse per effetto della deregolamentazione e dell'integrazione geografica e funzionale dei mercati finanziari hanno spinto le banche a ricercare nuove forme di collaborazione e scambi partecipativi anche con imprese assicurative, a testimoniare un impegno congiunto per superare le tradizionali segmentazioni tra intermediari. Particolarmente intensa è stata l'integrazione tra settore bancario e assicurativo in paesi come l'Olanda, la Francia, la Spagna e la Germania, dove le maggiori banche hanno acquisito o costituito compagnie assicurative. La stessa tendenza sembra affermarsi anche negli USA, dove sono allo studio importanti operazioni di aggregazione sempre nel settore assicurativo e riassicurativo, a conferma dell'interesse dei maggiori gruppi bancari a collegarsi con altri operatori per offrire contemporaneamente polizze e servizi finanziari e 'fidelizzare' il cliente.
Anche in Italia cresce il ruolo svolto dalle banche nel collocamento e nella distribuzione di prodotti assicurativi, sia attraverso interessenze detenute dalle banche nel settore assicurativo, che attraverso legami di carattere commerciale e di cross-selling. I prodotti previdenziali e assicurativi ad alto contenuto finanziario vengono compresi tra quelli strategicamente rilevanti. Lo sviluppo dei fondi pensione potrà costituire un ulteriore terreno di incontro tra i due comparti.
La posta in gioco per le banche italiane è quindi in questa fase quanto mai alta: trovare dimensioni, articolazione operativa, redditività che consentano di competere nel mercato della moneta unica, in un contesto di crescente globalizzazione del mercato finanziario. Sarebbe pericoloso se nessun gruppo italiano riuscisse ad acquisire la massa critica e la redditività per affermarsi come b. globale, e ciò rappresenterebbe un fattore di marginalizzazione dell'intero sistema economico italiano. Per la maggior parte degli operatori bancari la strada sarà comunque quella della specializzazione operativa, offrendo servizi finali di eccellenza alla clientela retail e corporate.
Questo modello avrà tanto più successo quanto più si moltiplicheranno gli accordi operativi con altri intermediari specializzati, per assicurare comunque la disponibilità di servizi integrati.
bibliografia
F. Fama, Banking in the theory of finance, in Journal of monetary economics, 1980, pp. 39-57.
Ministero del Tesoro, Il sistema creditizio e finanziario italiano. Relazione della Commissione di studio istituita dal Ministro del Tesoro, Roma 1982.
Banca d'Italia, Relazione annuale per l'anno 1985, Roma 1986.
C. Conigliani, La concentrazione bancaria in Italia, Bologna 1990.
X. Vives, Banking competition and European integration, in Discussion papers, 373, CEPR (Center for Economic Policy Research), London 1990.
P.L. Ciocca, Banca, finanza, mercato. Bilancio di un decennio e nuove prospettive, Torino 1991.
R.S. Masera, Intermediari, mercati e finanza d'impresa, Roma-Bari 1991.
S. Bhattacharya, A.V. Thakor, Contemporary banking theory, in Journal of financial intermediation, 1993, 3, pp. 2-50.
La teoria degli intermediari bancari, a cura di G. Marotta, G.B. Pittaluga, Bologna 1993.
M. De Cecco, Il sistema bancario ad una svolta storica, in Economia italiana, genn.-apr. 1994, pp. 57-75.
C. Mayer, Money and banking: theory and evidence, in Oxford review of economic policy, 1994, pp.1-13.
T. Padoa-Schioppa, Mercati finanziari tra pubblico e privato: l'occasione del Testo unico, in Bollettino economico, ott. 1995, pp. 69-76.
Associazione bancaria italiana, Il Testo Unico bancario: esperienze e prospettive. L'ordinamento bancario e creditizio dopo la riforma: nuove regole e nuovi intermediari, Roma 1996.
C.A. Ciampi, Banche, privatizzazioni e fondazioni: gli orientamenti del governo, in Bancaria, 1996, pp. 6-18.
A. Giannola, A. Lopes, Vigilanza, efficienza, mercato. Sviluppo e squilibri del sistema creditizio italiano, in Rivista italiana degli economisti, 1996, 1, pp. 25-54.
G. Morelli, Informazione ed efficienza nella teoria dell'intermediazione finanziaria, in Banca, impresa e società, 1996, pp. 65-103.
NEWFIN, Centro studi sull'innovazione finanziaria dell'università Bocconi, La gestione del personale nei gruppi bancari, in Newfin ricerche, Milano 1996.
G.R. Rajan, Why banks have a future: an economic rationale, in Temi di discussione, 280 Banca d'Italia, Roma 1996.
M. Sarcinelli, Il sistema finanziario italiano alla metà degli anni '90: una difficile transizione, in Moneta e credito, 1996, 193, pp. 3-35.
O.E. Williamson, The mechanism of governance, New York 1996.
M. Sarcinelli, Governare la banca tra modelli e realtà, in Quaderno di Moneta e credito, proprietà, controllo e governo delle banche, Roma 1997, pp. 267-98.
Storia del capitalismo italiano dal dopoguerra ad oggi, a cura di F. Barca, Roma 1997.
G. Cesaroni, Teorie dell'intermediazione finanziaria. Una rassegna critica, in Studi e note di economia, 1998, 2, pp. 67-95.