BANCAROTTA (bancae ruptio, come era detta negli statuti medievali; fr. banqueroute; sp. quiebra; ted. Bankrott; ingl. bankruptcy)
È "l'insolvenza, dolosa o colposa, del commerciante". Nel Medioevo, tutti i falliti erano ritenuti frodatori e bancarottieri: decoctus, ergo fraudator. La bancarotta appartiene alla categoria dei reati contro la proprietà, perché offende direttamente la garanzia che i creditori hanno sul patrimonio del debitore. Però, secondo alcuni, sarebbe reato contro l'economia pubblica. Il concetto, teoricamente semplice, della bancarotta, è pieno di difficoltà per le formule usate nei varî codici. Una prima difficoltà è data dal metodo casistico, onde nel codice italiano manca una figura comprensiva, sia di bancarotta semplice, sia di bancarotta fraudolenta. Inoltre, le varie ipotesi di legge sono raggruppate intorno a due categorie principali di reati, il cui contenuto non corrisponde ai moderni metodi di classificazione che tengono conto dell'elemento psicologico. Comunemente, si dice che la bancarotta semplice è colposa e la bancarotta fraudolenta è dolosa. Ma ciascuno dei due gruppi non riflette, con separazione recisa, fatti di dolo e fatti di colpa; e, d'altra parte, il dolo e la colpa reclamano quel rapporto di causalità con la lesione giuridica da cui la legge commerciale sembra prescindere. Secondo la classificazione accolta nel codice, il titolo di bancarotta semplice riunisce non solamente i fatti che dànno origine all'insolvenza, ma anche omissioni contravvenzionali che possono causarla; e anche azioni dolose di minore importanza (favoreggiamento dei creditori). Il titolo di bancarotta fraudolenta riguarda, invece, le diminuzioni patrimoniali di maggiore entità nelle quali più spiccati e intenzionali sono gli elementi della sottrazione e della frode.
Esistono tre tipi fondamentali di legislazione sulla bancarotta: 1. francese (in Francia: legge sui fallimenti e sulla bancarotta, in data 28 maggio 1838, in seguito transfusa nel III libro dell'attuale codice di commercio, codice penale del 1810; in Belgio: codice di commercio del 1851), che limita la bancarotta ai soli commercianti e accentua il sistema casistico; 2. germanico (ordinanza germanica di concorso in data 10 febbraio 1877), contrassegnato dall'estensione della bancarotta ai non commercianti, e dalla distinzione fra bancarotta semplice e fraudolenta, con nozioni di questi reati più astratte e più generali; 3. inglese (Inghilterra, Insolvency act del 9 agosto 1869, Bankruptcy act del 25 agosto 1883), il quale, pur potendosi accostare al sistema germanico, perché provvede anche per i non commercianti, è autonomo in quanto si abbandona a una casistica tutta pratica (diversa dalla francese) fatta di formule complicate e sottili, le quali creano un costante dissidio fra diritto ed equità. Il sistema inglese non ha pene contro i colpevoli di negligenza nell'esercizio della loro professione o di abuso del credito (bancarotta semplice).
In Italia, si mira a codificare un criterio di maggiore sintesi, analogo cioè a quello che è accolto dal codice di commercio del Portogallo. Il metodo sintetico evita l'inconveniente di esporre come casi di bancarotta semplice quelli che per altre legislazioni sono di bancarotta fraudolenta, e di lasciar fuori alcune ipotesi di dolo o di colpa.
Dal punto di vista legislativo - oltre il tipo italiano, che lascia il debitore non commerciante unicamente soggetto alle esecuzioni parziali e individuali - vi sono due tipi diversi: 1. legislazioni che applicano a tutti i debitori, quale che sia la loro condizione, un regime unico di procedura esecutiva generale e collettiva, pareggiante completamente il concorso commerciale e quello civile (Inghilterra, Insolvency act del 1869, che fondeva la procedura di insolvenza con quella di fallimento, modificato in piccola parte dalla legge 1883); 2. legislazioni che tengono una via di mezzo e organizzano una procedura d'insolvenza così per i non commercianti come per i commercianti, distinguendo però nelle particolari disposizioni fallimento da insolvenza (Austria, Concursordnung del 25 dicembre 1868; Ungheria, legge XVI sulla procedura concorsuale in vigore dal 1° gennaio 1882, che stabilisce particolarità secondarie per il fallimento dei commercianti).
Secondo la legislazione italiana, il fallimento civile ha effetti determinati in questi casi: scioglimento della società (art. 1729, n. 4, cod. civ.); decadenza dal beneficio del termine (art. 1176 cod. civ.); diritto del creditore di chiedere altro fideiussore in caso che quello accettato diventi insolvente (art. 1906 cod. civ.); diritto del fideiussore del fallito di agire contro il medesimo anche prima di aver pagato (art. 1919, n. 2, cod. civ.); riscatto nella vendita (art. 1786 cod. civ.); estinzione del mandato (art. 1757 cod. civ.).
L'oggettività giuridica della baricarotta è l'insolvibilità (eventus damni); e mezzo per consumarla è la diminuzione patrimoniale. La bancarotta consiste non soltanto nel fatto che il debitore commerciale non fa onore ai suoi impegni, ma nel fatto che, non facendo onore agl'impegni, agisce in guisa da peggiorare la condizione dei creditori. Per il diritto positivo, la bancarotta è il complesso degli atti di dolo o di colpa per presunzione di legge determinanti o aggravanti il fallimento, o che la legge punisce in quanto si colleghino a un fallimento. Per l'esistenza della bancarotta deve accertarsi il fallimento, il quale, a sua volta, è la risultante: a) della qualità di commerciante; b) della cessazione dei pagamenti; c) della dichiarazione giudiziale della cessazione dei pagamenti, che spetta al tribunale nella cui giurisdizione il debitore ha il suo principale stabilimento.
Gli elementi della bancarotta sono: 1. il fatto di bancarotta, cioè il concorso di uno di quegli atti che la legge considera di sregolata condotta commerciale e tali da doversi desumere o almeno presumere che per essi si sia determinato o aggravato il fallimento; 2. il dolo o la colpa con cui tali fatti sono commessi, ovvio essendo che non sarebbero imputabili quei fatti che dipendessero da puro caso; 3. la cessazione di pagamento che precede e quindi cagiona tali fatti, o che li accompagna o li segue.
La bancarotta, come si disse, può essere fraudolenta o semplice.
Il concetto unitario di bancarotta fraudolenta che si può trarre dalle varie legislazioni è quello di diminuzione reale o simulata della garanzia patrimoniale e di sottrazione o falsificazione dei libri di contabilità. Secondo il diritto italiano (art. 860 cod. comm.), è bancarotta fraudolenta la sottrazione o falsificazione dei libri di commercio, la distrazione, occultazione o dissimulazione di parte dell'attivo, la simulazione del passivo per scopo diverso dal conseguimento d'una moratoria, e il fraudolento riconoscimento di somme non dovute dal fallito nei libri o nelle contabilità. Quanto all'irregolarità nei libri, resta fuori l'ipotesi che il fallito li abbia tenuti irregolarmente o non li abbia affatto tenuti, con intenzione preordinata. Distrazione è poi la sottrazione di attività patrimoniali e la vendita di cose per ridurle in danaro e sottrarle ai creditori, o il fingere alienazioni che non siano avvenute. Occultazione è il sottrarre alle indagini dei creditori e dell'autorità giudiziaria una parte dei proprî beni. La dissimulazione dell'attivo si verifica allorché il fallito omette di dichiarare nel bilancio o negl'interrogatorî alcuni beni del fallimento. La legge nulla dice circa la simulazione dell'attivo e le omissioni delle occasiones adquirendi né circa le distrazioni per favorire qualche creditore in danno della massa. L'ultima delle ipotesi fatte dalla legge tende a reprimere gli accordi fraudolenti, facili a intervenire tra fallito e persone di sua fiducia che s'inducono a riconoscere per vere le somme loro attribuite dal fallito per entrare indebitamente nella ripartizione dell'attivo fallimentare. È dubbio fra gli autori quale sia l'elemento soggettivo della bancarotta fraudolenta. È da ritenere più attendibile che sia sufficiente l'intenzione di recar profitto a sé o ad altri per scopo illegittimo, senza che occorra l'intenzione di danneggiare i creditori.
Anche la bancarotta semplice consiste in una diminuzione delle garanzie patrimoniali del debitore, messa in relazione col fallimento e con la cessazicne dei pagamenti. Secondo il codice portoghese, è reo di bancarotta semplice il commerciante il quale, per negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza di leggi, determina l'insolvenza o l'aggrava (metodo sintetico). Il codice nostro preferì, invece, di stabilire che è reo di bancarotta semplice il commerciante insolvente che reca danno al creditore con atti specificamente indicati idonei a favorire o aggravare l'insolvenza. Cambia la tecnica dell'esposizione, ma la sostanza è la medesima. Si tratta di un reato colposo complesso, larvato, e scomposto, per la pratica, in altrettante violazioni formali. La legge raffigura due gruppi di casi di bancarotta semplice: quelli dell'art. 856 (bancarotta di primo grado), e quelli dell'art. 857, meno gravi (bancarotta di secondo grado). Si hanno casi di bancarotta di primo grado: 1. se le spese personali del fallito e della famiglia di lui furono eccessive rispetto alla sua condizione economica (avendo il legislatore proceduto per via di presunzione, è irrilevante che le spese non abbiano contribuito a cagionare il fallimento); 2. se il fallito ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti (si dubita se siano colpite le fittizie operazioni di borsa; ma esse, se manifestamente imprudenti, costituiscono bancarotta, in quanto abbiano impegnato una gran parte del patrimonio); 3. se, allo scopo di ritardare il fallimento, il commerciante ha fatto compere con l'intenzione, seguita dal fatto, di rivendere al disotto del valore corrente, ovvero ha fatto ricorso a prestiti o ad altri mezzi rovinosi per procurarsi i fondi (al giudice spetta di apprezzare se le operazioni furono compiute nello stato di cessazione dei pagamenti, se furono rovinose e se ebbero lo scopo di evitare il fallimento; sarebbe più opportuno però configurare come bancarotta frandolenta il nascondere il vero stato economico, ricorrendo a mezzi che rendono più rovinosa la caduta del commerciante); 4. se, dopo la cessazione dei pagamenti, il commerciante ha pagato qualche creditore a danno della massa (la legge rinuncia a qualsiasi disamina circa i pagamenti non scaduti fatti anteriormente alla cessazione dei pagamenti, quantunque tali frodi siano riconosciute dalla stessa legge commerciale: articoli 708-709); 5. se il fallito non ha tenuto i libri prescritti o, almeno, il libro-giornale (questa norma va intesa nel senso che la mancanza di uno qualsiasi dei libri prescritti può bastare per l'incriminazione, salvo al giudice la facoltà, per le aziende minori, di accontentarsi che sia stato tenuto il solo libro-giornale).
I casi di bancarotta semplice di secondo grado di cui all'art. 857 cod. comm. si possono così raggruppare: 1. irregolarità nella tenuta dei libri, 2. omissione di conformarsi alle disposizioni che la legge prescrive nel caso di matrimonio del commerciante; 3. mancata denuncia della cessazione di pagamento entro tre giorni dalla data relativa; 4. rifiuto di presentarsi al magistrato del fallimento e di fornire le opportune indicazioni; 5. inadempienza delle obbligazioni assunte col concordato ottenuto in un precedente fallimento. Se il fallimento si riapre in conseguenza dell'annullamento del concordato, verrà senz'altro in applicazione l'art. 860 cod. comm., con il titolo di bancarotta fraudolenta. La bancarotta semplice si ha con il concorso di queste due condizioni: inadempienza degli obblighi di un precedente fallimento, e nuovo fallimento.
Dall'analisi dei predetti casi si desume che la bancarotta semplice è un fallimento colposo, consistendo la colpa in incuria manifesta, negligenza o prodigalità e nell'omissione di formalità e prescrizioni imposte per la completa regolarità delle scritture e delle operazioni commerciali.
Accanto ai casi di bancarotta, le legislazioni considerano altri atti delittuosi lesivi degl'interessi della massa, commessi da persona diversa dal fallito. Si tratta di fatti commessi in occasione di bancarotta o connessi con la bancarotta, che la legge designa col nome "altri reati in materia di fallimento", e che si possono chiamare casi di "bancarotta impropria".
Essi sono quelli dell'institore e del rappresentante del fallito; del direttore e dell'ammimstratore di una società commerciale, in accomandita per azioni o anonima, art. 863 cod. comm. (anche i liquidatori possono essere ritenuti responsabili di bancarotta in taluni casi); del curatore di fallimenti (malversazioni; è opinione comunemente accettata, che si dovrebbe conferire, come il legislatore italiano è per fare, la qualità di pubblico ufficiale al curatore, dal che deriverebbe semplificazione e rafforzamento della tutela penale); di persona non avente rapporti legali col fallito; del creditore del fallito (vendita di voto nella deliberazione di fallimento o intorno alle domande di moratoria; vantaggi a carico dell'attivo fallimentare, art. 866); e di terzi in genere, complici o no del fallito (art. 865). Tutti questi reati, hanno per presupposto la dichiarazione di fallimento, la quale, anzi, in taluni casi, come nei reati dell'institore, del rappresentante e degli amministratori, è un elemento costitutivo. Invece, sono fatti di vera e propria bancarotta quelli commessi dal mediatore, che è considerato commerciante a tutti gli effetti.
Così esposto il concetto della bancarotta nelle sue forme e nei suoi gradi, è da rilevare, quanto alle pene, che l'art. 861 (ultima parte) cod. comm. stabilisce che il condannato per bancarotta è inabilitato all'esercizio della professione di commerciante (l'inosservanza relativa è punita secondo il n. 1 dell'art. 234 cod. pen.) e che non può avere ingresso nelle borse di commercio. A queste sanzioni del cod. di comm. si aggiungono le decadenze stabilite da leggi speciali per quegli uffici che suppongono un nome onorato e che colpiscono il fallito (esclusione dagli uffici tutelari, art. 269 cod. civ.; esclusione dall'ufficio di giurato, articoli 9 e 87 ordinamento giudiziario del 1865). Il nome del fallito è inscritto in un albo affisso nella sala del tribunale e della borsa; il fallito non può allontanarsi dal domicilio senza il permesso del giudice, se non vuole esser punito senz'altro come bancarottiere. La radiazione dalla lista dei falliti è sottoposta, di regola, all'integrale pagamento di tutti i debiti ammessi al fallimento (art. 816 cod. comm.). S'è fatta eccezione per coloro che, avendo ottenuto il concordato, siano ritenuti meritevoli di speciale riguardo nella sentenza di omologazione (art. 839). La riabilitazione mediante radiazione dall'albo toglie ogni effetto penale, compresa l'inabilitazione al commercio.
Quanto all'azione penale per bancarotta, essa è anzitutto pubblica e obbligatoria come ogni altra azione penale (art. 855 cod. comm.). L'esercizio di essa è però subordinato alla dichiarazione del fallimento, salvo che alla cessazione dei pagamenti si accompagni la fuga, la latitanza, la chiusura dei magazzini, il trafugamento o la sottrazione o diminuzione fraudolenta del patrimonio (art. 855 1° capov.). A notevoli difficoltà ha dato luogo il principio, consacrato nell'art. 696 cod. comm., della piena indipendenza della procedura commerciale per fallimento e di quella penale per bancarotta. Il giudice civile dichiara il fallimento, quindi accerta che il fallito è commerciante e che la cessazione dei pagamenti si riferisce a obbligazioni commerciali (art. 683). Il giudice penale, invece, con criterî più larghi, dichiara che l'imputato non è commerciante o non è insolvente, e l'assolve. Per ovviare a tale inconveniente, si ritiene da alcuni (Bonelli) che al giudice penale sia impedito non solo di pronunciare implicitamente il fallimento non dichiarato, ma di revocare o disconoscere anche esplicitamente gli estremi essenziali già ricoriosciuti dal giudice civile. Il Mortara, poi, si appella al principio generale dell'autorità della sentenza civile nel processo penale. Tale principio, ribadito nel codice di procedura penale del 1913, porta a concludere che il giudice penale non può rimettere in discussione gli elementi accertati nella sentenza dichiarativa del fallimento, in quanto da essi dipenda l'esistenza della bancarotta.
Secondo il codice di commercio, l'istruttoria per la bancarotta è demandata al giudice istruttore (art. 696, 1° alinea), mentre appare più conveniente concentrare nel giudice delegato per il fallimento anche il potere d'accertare quanto si riferisce alla bancarotta. Almeno, si potrebbe dare facoltà al presidente del tribunale di affidare al giudice delegato, su richiesta del procuratore del re, le funzioni che spetterebbero al giudice istruttore nel procedimento sommario, salvo la trasformazione del procedimento sommario in procedimento formale nei casi previsti dalla legge. L'articolo 695 autorizza il tribunale di commercio a ordinare contemporaneamente alla sentenza dichiarativa di fallimento, o anche dopo, la cattura del fallito contro il quale sorgano indizî sufficienti di speciale responsabilità, specie nei casi di latitanza o di mancato deposito del bilancio o dei libri di commercio. Tale norma appare un'ibrida fusione dell'abolito arresto per debiti con il mandato di cattura penale.
L'azione penale per bancarotta si estingue, oltreché per le cause generali, per revoca della sentenza dichiarativa del fallimento. Ora questa revoca può esser l'effetto tanto di accertato difetto di alcuna delle condizioni richieste per il fallimento, quanto di fatti sopravvenuti, quale il pagamento integrale dei debiti. Anche l'omologazione del concordato determina la revoca della sentenza dichiarativa del fallimento (art. 839 cod. comm.) e, di conseguenza, l'estinzione dell'azione penale per bancarotta semplice e degli effetti della condanna, accertato che sia l'adempimento degli obblighi assunti dal fallito (art. 861). La legge accorda questo beneficio solo "se il fallito si dimostri meritevole di speciale riguardo".
La legge sul concordato preventivo e sui piccoli fallimenti 24 maggio 1903, n. 197, esclude l'azione penale per bancarotta semplice, se il fallimento non venga dichiarato. Se, poi, sussistano fatti di bancarotta fraudolenta, essi conducono all'immediata dichiarazione del fallimento (art. 10 legge predetta). Se il commerciante, per l'esiguità del passivo (preveduto in lire 5000 dalla legge speciale), si sottrae al fallimento, allora nel caso di bancarotta fraudolenta l'azione penale per questo reato resta esercitabile, sebbene manchi la dichiarazione di fallimento. Il giudice penale ha indipendenza di valutazione circa l'entità del passivo: se si accerta che questo non supera le lire 5000, è proseguibile l'azione penale per bancarotta fraudolenta, ma non quella per bancarotta semplice (art. 43 legge sui piccoli fallimenti). Ove la procedura fallimentare accerti un passivo inferiore alle lire 5000, l'azione penale per bancarotta semplice o la condanna per tale reato rimangono estinte.
Bibl.: S. Longhi, La bancarotta, Milano 1898; id., Bancarotta ed altri reati in materia di commercio, in Enciclopedia del diritto penale, Milano 1913; id., Relazione per l'associazione intern. di dir. intern., Roma 1925; Bucellati, Il reato di bancarotta, in Mem. del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, XIII (1877), IV della s. 3ª; C. Alfani, Bancarotta, in Digesto italiano, V, Torino 1890-1899, p. 98 segg.; A. Rocco, Sul concetto giuridico della bancarotta, in Riv. di diritto commerciale, 1911; F. De Cola Proto, Dei reati contro l'economia pubblica, Messina 1885; G. Noto Sardegna, Reati in materia di fallimento, Palermo 1906; G. Bonelli, Commento al codice di commercio, Milano s. a., III, p. 70; F. Carrara, Bancarotta, Napoli 1890.