banche di credito cooperativo
Intermediari creditizi costituiti sotto forma di società cooperative per azioni a responsabilità limitata.
Con il termine più generico di b. cooperative, il legislatore fa riferimento a due distinte tipologie d’intermediari creditizi: le b. popolari e le b di c. c., la cui disciplina è diversa, ma unitamente contenuta nel capo V titolo II del d. legisl. 385/1993 (Testo unico bancario). A questi due soggetti è riservato, secondo l’art. 28, l’esercizio dell’attività bancaria da parte di società cooperative, integrate in un sistema che ha come modello di riferimento quello della banca universale. Pur condividendo, in ragione della medesima forma cooperativa, alcune connotazioni di struttura tipiche delle società della specie, quali il voto capitario e quello della cosiddetta porta aperta, b. popolari e b. di c. c. differiscono notevolmente sia per l’evoluzione storica dei rispettivi modelli istituzionali sia per quanto riguarda l’operatività che le caratterizza.
Le b. di c. c. sono in sostanziale linea di continuità con le casse rurali e artigiane, avendole sostituite con l’entrata in vigore del Testo unico bancario. In tale contesto, le ex casse rurali e artigiane, abbandonata la specializzazione per settori economici (agricoltura e artigianato), trovano nel localismo e nella mutualità prevalente le basi su cui fondare la propria operatività.
Il credito cooperativo, nella forma delle casse rurali e artigiane, nacque come risposta a un’idea economica che aveva radici profonde nel contesto sociale della fine del 19° secolo. Il movimento della cooperazione di credito, infatti, sorse in ambito cattolico, in seguito all’emanazione della lettera enciclica Rerum novarum (1891) da parte del pontefice Leone XIII, il quale formulò i primi elementi della dottrina sociale della Chiesa.
Le b. di c. c. sono aziende caratterizzate da una formula imprenditoriale specifica, costituita da cooperazione, mutualità e localismo, che si traduce in imprese a proprietà diffusa, espressione di capitalismo popolare e comunitario. Tali b. occupano una posizione di primo piano nel sistema bancario nazionale; il sistema comprende più di 400 b. di c. c., presenti su tutto il territorio nazionale con oltre 4300 sportelli (circa il 13 % degli sportelli nazionali) e due principali organi, uno operativo e l’altro di coordinamento e consulenza. Il primo è l’Iccrea Holding, capogruppo di un insieme di società che forniscono prodotti e servizi a livello accentrato; il secondo è Federcasse, l’ente che rappresenta il credito cooperativo e che ha l’obiettivo di determinare gli indirizzi politici e strategici della cooperazione di credito, per consentire il raggiungimento delle finalità sociali, economiche e culturali che il sistema si prefigge. Le b. di c. c. sono presenti, pur se disciplinate in modo non completamente uniforme, in tutti i principali Paesi europei.
Nell’ordinamento bancario italiano le b. di c. c. sono assoggettate a una disciplina normativa specifica e caratterizzante. Per quanto riguarda la partecipazione al capitale, il valore nominale delle azioni non può essere superiore a 500 euro, né inferiore a 25; per poter divenire soci è necessario risiedere, o operare con continuità, nel territorio di competenza della banca. Rispetto alla precedente disciplina relativa alle casse rurali e artigiane, è venuto tuttavia meno il criterio dell’appartenenza dei soci a specifici settori economici, con lo scopo di consentire una più agevole e diffusa partecipazione della comunità geografica di riferimento al capitale sociale. Il numero minimo di soci deve essere pari a 200 e ciascuno di essi non può detenere una partecipazione nominale superiore a 50.000 euro; resta tuttavia fermo il principio cardine del voto capitario, in base al quale per il voto in assemblea è rilevante la qualifica di socio e non l’entità della partecipazione. La modalità d’ammissione di nuovi soci stabilisce l’applicazione della cosiddetta clausola di gradimento, per la quale l’ingresso di un socio avviene solo successivamente alla delibera degli amministratori e su esplicita domanda dell’interessato.
L’operatività delle b. di c. c. è caratterizzata da alcune limitazioni, legate al modello sociale di appartenenza. In particolare, la normativa di riferimento prevede che l’attività debba essere esercitata prevalentemente a favore dei soci e, solo qualora sussistano ragioni di stabilità, la Banca d’Italia può autorizzare, per periodi limitati, singole banche a un’operatività prevalente a favore di soggetti terzi. Le b. di c. c. devono inoltre dichiarare nello statuto la zona geografica di competenza ed è fatto esplicito divieto di acquisire partecipazioni di controllo in altre società bancarie o finanziarie. Ai soci, infine, non può essere distribuita una quota superiore al 30% degli utili annuali, dovendo destinare almeno il 70% a riserva e al rafforzamento patrimoniale, oltre che una minima percentuale ai fondi mutualistici e alla promozione e allo sviluppo della cooperazione. In virtù di queste peculiarità, la dottrina economica e giuridica ha accomunato le b. di c. c. a enti specializzati al servizio delle comunità locali, ultimo esempio di specializzazione presente nell’ordinamento bancario nazionale, per il resto ampiamente improntato alla despecializzazione istituzionale.