PANCIATICHI, Bandino
PANCIATICHI, Bandino. – Nacque a Firenze il 10 giugno 1629 da Bandino di Niccolò e da Diana di Baldassarre Guadagni. Antica casata appartenente alla più insigne aristocrazia pistoiese, i Panciatichi, dopo l’avvento del principato mediceo, lasciarono Pistoia per trasferirsi a Lucca e a Firenze, dove Niccolò, entrato al servizio di Cosimo I de’ Medici, dette origine al ramo fiorentino della famiglia. Il padre di Bandino esercitò con successo la mercatura prima a Venezia e Lione e successivamente a Firenze, dove morì nel 1629 lasciando quattro figli: il primogenito Gualtieri, Renea e Maria Cristina (queste ultime entreranno in seguito nel monastero fiorentino della Crocetta) e Bandino, della cui educazione si occupò lo zio paterno Giovanni. Rimasta vedova, la madre si risposò con il marchese Antonio di Tommaso della Rena. Dopo aver frequentato il prestigioso collegio San Carlo di Modena e aver abbracciato lo stato clericale nel 1649 per mano di monsignor Ranuccio Scotto, Panciatichi si laureò in legge (in diritto civile e canonico) all’università di Pisa, il 23 marzo 1655 (Firenze, Archivio di Stato, Panciatichi, 169, cc. 161-167). Nell’aprile 1657 si trasferì a Roma al seguito del neoeletto cardinale Giulio Rospigliosi, la cui famiglia, di origine pistoiese, era da tempo legata ai Panciatichi. Qui esercitò la pratica forense sotto la direzione del celebre giureconsulto Giovanni Battista De Luca, divenendo uno dei legali più apprezzati e stimati della capitale. Uomo di vasta cultura fu membro dell’Accademia fiorentina e di quella della Crusca, alla quale fu ammesso il 23 agosto 1658. In seguito all’elezione del Rospigliosi al soglio pontificio nel 1667, il Panciatichi ottenne, l’anno successivo, la nomina di giudice collaterale di Campidoglio e di luogotenente dell’auditore della Camera apostolica, monsignor Niccolò Acciaiuoli. Il papa gli concesse inoltre la rettoria dell’antico ospedale dei santi Ambrogio e Donnino a Quarrata, di cui prese possesso nel 1676 alla morte del canonico Lorenzo, suo cugino. Con l’elezione di Clemente X nel 1670 la brillante carriera di Panciatichi conobbe una battuta d’arresto; pur continuando a distinguersi nell’attività avvocatizia, fu coinvolto nella causa tra gli Altieri, parenti del papa, e i Colonna, per il possesso del feudo di Carbognano, preferendo rinunciare all’ufficio di giudice piuttosto che emettere una sentenza favorevole alla parte pontificia. Dopo un breve ritorno in patria, nel 1678 il nuovo papa Innocenzo XI lo nominò segretario della congregazione della Visita apostolica, mentre nel 1681 gli conferì la prestigiosa carica di segretario della congregazione dei Vescovi e regolari (Firenze, Archivio di Stato, Panciatichi, 163, ins. 22, lettera del 23 settembre 1681), e nel 1682 il governatorato dell’ospedale di S. Spirito in Sassia. Sostenitore della politica riformista papale, dovette confrontarsi in questi anni con l’intransigente cardinale Pietro Vito Ottoboni, contrario in particolare all’azione antinepotista di Innocenzo XI e al suo tentativo di abolire la venalità di alcuni uffici ecclesiastici (Menniti, 1999, p. 114). Nonostante questi dissensi Ottoboni, eletto papa nel 1689, riconosciuto il suo indubbio valore, lo nominò lo stesso anno reggente della Dataria apostolica e patriarca di Gerusalemme; nel 1690 Bandino ottenne infine la porpora cardinalizia con il titolo di San Tommaso in Parione, cui si aggiunsero quelli di San Pancrazio (1691) e di Santa Prassede (1710). A testimonianza della profonda stima professatagli, nel 1691, ormai in punto di morte, Alessandro VIII lo volle come intimo consigliere del nipote, cardinale Pietro Ottoboni. Durante il pontificato di Innocenzo XII si trovò in contrasto con la politica eccessivamente dispendiosa del capo della Chiesa, che non apprezzava la franchezza con cui Panciatichi gli rimproverava la frequente elargizione di benefici e bolle a favore dei sovrani italiani. Per questo motivo, temendo un suo allontanamento da Roma, non volle mai abbandonare la carica di datario, a cui più volte il papa cercò di farlo rinunciare con l’offerta di remunerativi vescovati. Alla morte di Innocenzo XII, Panciatichi stesso fu proposto come suo successore dal cardinale Ottoboni, in un conclave influenzato dalla successione spagnola e dai timori per un eventuale conflitto europeo. La sua candidatura non trovò tuttavia l’appoggio dei partiti imperiale e francese, che non apprezzavano il rigore e l’autonomia da lui sostenuti nell’amministrazione della Chiesa.
Con i granduchi di Toscana, di cui fu stretto e stimato collaboratore già sotto Ferdinando II, intrattenne negli anni un ricco carteggio, testimonianza dell’importante ruolo svolto per la corte fiorentina nei rapporti con le istituzioni ecclesiastiche. Cosimo III in particolare vide in Panciatichi la persona in grado di difendere i propri interessi presso la S. Sede, anche attraverso la sua opera di mediazione e l’influenza che egli esercitò nei confronti di vari pontefici.
Il nuovo papa Clemente XI gli propose ripetutamente di accettare la carica di segretario di Stato, che Panciatichi rifiutò a causa dell’età ormai avanzata, accettando invece la nomina alla prefettura della congregazione del Concilio, che ricoprì dal 1700 al 1718, anno della sua morte.
Profondo sostenitore della giustizia, si batté a favore di un rinnovamento della struttura della Chiesa. Fu in contatto con i principali regnanti del suo tempo (tra gli altri i sovrani di Polonia Giovanni III e Maria Casimira, il re di Francia Luigi XIV e il delfino Luigi, l’imperatore Leopoldo I e sua moglie Eleonora Maddalena Teresa di Neuburg, i re di Spagna Carlo II e Marianna di Neuburg e quelli del Portogallo Pietro II di Braganza e Maria Sofia di Neuburg, il re d’Inghilterra Guglielmo III d’Orange) che a lui si rivolsero per richieste di favori, ma anche per congratularsi della sua brillante carriera. Numerosi furono i benefici accumulati nel corso della vita, segno della considerazione di cui godette sotto sei diversi papi: nel 1650 Innocenzo X gli conferì il patronato della cappella di S. Caterina in S. Giovanni Fuorcivitas a Pistoia; nel 1663 fu ammesso alla nobiltà romana; nel 1669 fu eletto referendario delle Segnature di grazia e giustizia; nel 1682 ottenne la commenda dell’abbazia di S. Giovanni Battista della Calza a Firenze; nel 1690 Alessandro VIII gli conferì svariati benefici relativi a chiese poste a Ferrara, Roma, Genova, Nocera, Capua ecc., oltre alla facoltà di poter far testamento di tutti suoi beni, riassegnando i propri benefici.
Morì a Roma, nella sua dimora di palazzo Bigazzini, il 21 aprile 1718; la salma venne tumulata nella basilica di S. Pancrazio, dove si conserva ancora oggi la sua tomba.
Lasciò il suo cospicuo patrimonio in eredità al nipote Niccolò di Jacopo (1679-1740) e alla sua discendenza maschile (Calonaci, 2005, p. 50). La figura di Panciatichi rimane indissolubilmente legata alla committenza dell’imponente palazzo che egli fece costruire a Firenze, in via Cavour, oggi sede del Consiglio regionale della Toscana. L’edificio, pregevole esempio di architettura tardobarocca di impronta classicista, fu acquistato dal padre nel 1621 e completamente ristrutturato da Bandino tra il 1696 e il 1697; dopo un iniziale intervento dell’architetto Carlo Rainaldi, l’esecuzione dei lavori fu affidata ad Antonio Maria Ferri, che operò sulla base dei disegni dell’ architetto romano Francesco Fontana, realizzando un palazzo, simbolo del prestigio acquisito da Panciatichi e del legame che egli nutrì sempre per la sua città natale.
Fonti e Bibl.: Firenze, Archivio di Stato, Panciatichi, 128-142 (lettere al cardinale e sue minute dal 1669 al 1718); 162 (cinque registri di copialettere del cardinale dal 1700 al 1714); 163-168 (lettere di autorità laiche al cardinale dal 1669 al 1718); 169 (copia dei diplomi nell’archivio Panciatichi); Panciatichi Ximenes d’Aragona, 4, ins. 36 (fede di battesimo), 5, ins. 35 e ss. (procure e atti relativi all’eredità), 6, ins. 18 e ss. (procure e scritte legali), 74-76 (entrate e uscite 1658-1705), 112-114 (ricevute del Panciatichi), 300-301 (storia genealogica della famiglia Panciatichi di Antonio Maria Biscioni; la filza 300 contiene ins. sciolto con elogio del cardinale); Raccolta Sebregondi, 4000, Ceramelli Papiani, 3570; Miscellanea Medicea, 214, ins. 15; 217, ins. 3; 246, ins. 2; 331, ins. 19; 332bis, ins. 11; 361, ins. 12; 372, ins. 2; 376, ins. 26; Mediceo del Principato, 6427 (ins. 1-2; pasquinate sull’elezione del papa nel 1700); Magistrato Supremo, 4075, ins. 3 (testamento del 31 gennaio 1710); Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Fondo Panciatichi, 159 (cause vertenti la Sacra Rota); 258, cc. 107r-111v, 134r-142v, 204r-299v (lettere a Bandino dal 1709 al 1715); 260 (lettere dell’abate Luigi Strozzi dalla Francia a Bandino, 1676-1693); Firenze, Archivio dell’Opera di S. Maria del Fiore, Battesimi, reg. 37, fg. 14; Firenze, Archivio storico dell’Accademia della Crusca, Diario a2 (1640-1663), cc. 147r, 151v, 152r, 153r; Modena, Archivio del collegio S. Carlo di Modena, Memorie miscellanee della Congregazione e Collegio, b. 5, ins. 6 (note su Panciatichi scritte dal rettore Lenzini); L. Cardella, Memorie storiche de’ cardinali della santa romana Chiesa, VIII, Roma 1794, pp. 3-5, 22-23; L. Passerini, Genealogia e storia della famiglia Panciatichi, Firenze 1858, pp. 211, 218-222; P. Litta, Famiglie celebri italiane, s.v. Panciatichi, III, Milano 1867, tav. XIV; G. degli Azzi Vitelleschi, Panciatichi Ximenes de Aragona, in Enciclopedia storico-nobiliare italiana…, V, Milano 1932, p. 92; Ministero della Pubblica Istruzione, Indici e cataloghi, VII: Catalogo dei manoscritti Panciatichiani della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, I, a cura di S. Morpurgo, P. Papa, B. Maracchi Biagiarelli, Roma 1887-1962, pp. XI, XIV, XV, 264; L. Ginori Lisci, I palazzi di Firenze nella storia e nell’arte, I, Firenze 1972, pp. 383-386; S. Parodi, Catalogo degli accademici dalla fondazione, Firenze 1983, p. 107; S. Pieri, P. Ruschi, I Panciatichi Ximenes d’Aragona, in Archivi dell’aristocrazia fiorentina, Firenze 1989, pp. 41-56; A. Floridia Roncaglia, Un episodio “romano” nella Firenze di fine Seicento: palazzo Panciatichi in via Larga, in Antichità Viva, XXX (1991), 3, pp. 28-38; A. Floridia, Palazzo Panciatichi in Firenze, Roma 1993, ad indicem; A. Menniti Ippolito, Il tramonto della Curia nepotista, Roma 1999, pp. 114,126; Ministero per i Beni e le Attività Culturali, I Manoscritti panciatichiani della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, II, a cura di P. Panedigrano, C. Pinzauti, Roma 2003, t. I, pp. IX, X, 143, t. II, pp. 356, 525; S. Calonaci, Dietro lo scudo incantato. I fedecommessi di famiglia e il trionfo della borghesia fiorentina (1400-1750), Firenze 2005, pp. 50, 148n, 199, 204n, 231; L. Leonelli, Palazzo Panciatichi: la committenza di Bandino Panciatichi, in Fasto privato: la decorazione murale in palazzi e ville di famiglie fiorentine, a cura di M. Gregori, M. Visonà, I, Firenze 2012, pp. 124-130; Soprintendenza archivistica per la Toscana - Firenze, L’archivio familiare. Archivio Panciatichi Ximenes d’Aragona. Inventario. Prima parte (nn. 1-71), a cura di E. Santacroce, E. Taviani, M.T. Ciampolini, http://www.soprintendenzaarchivisticatoscana.beniculturali.it/fileadmin/inventari/Panciatichi_Primaparte.pdf ; Soprintendenza Archivistica per la Toscana - Archivio di Stato di Firenze, Archivio Panciatichi Ximenes d’Aragona. Deposito del 1997. Inventario II parte, a cura di M. T. Ciampolini, http://www.soprintendenzaarchivisticatoscana.beniculturali.it/fileadmin/inventari/Panciatichi_Secondaparte.pdf.