banditi e briganti
Criminalità comune e lotta politica
Il bandito è oggi chi commette gravi reati, come assalti a mano armata o rapimenti, spesso come membro di una banda organizzata. Nel Medioevo, invece, i banditi erano coloro che venivano allontanati dalle comunità, non solo per reati comuni. La parola brigante definiva in passato l'appartenente alle bande di predoni che infestavano ampie regioni della penisola. Ma non solo: l'attività dei briganti finì anche, in certi casi, con il caratterizzarsi politicamente, esprimendo un disagio se non addirittura una volontà di rivolta contro il potere costituito.
Il bando è un annuncio pubblico, in origine letto ‒ anzi, gridato ‒ da un messo, chiamato banditore, per comunicare al popolo le decisioni dell'autorità. Nel Medioevo col termine bando si finisce però soprattutto con l'intendere una condanna temporanea o definitiva all'esilio. Mettere al bando significa così, ancora oggi, allontanare, isolare qualcuno. Coloro che venivano colpiti dal bando erano chiamati banditi. Se avessero fatto ritorno nel luogo da cui erano stati allontanati, i banditi avrebbero potuto essere impunemente offesi da chiunque.
A essere colpito dal provvedimento di bando era chi insidiava la quiete pubblica: chi commetteva dunque reati comuni, ma anche ‒ e, in alcuni momenti, soprattutto ‒ reati di opinione. Nelle città comunali italiane del Medioevo, spesso turbate da violenti contrasti tra fazioni, l'allontanamento dal territorio del Comune era infatti divenuto pratica frequente. La fazione che finiva col prevalere in una comunità escludeva quelle avversarie e ne allontanava i componenti dai confini cittadini: di ciò fece le spese anche Dante Alighieri, guelfo bianco, bandito da Firenze nel 1302, che durante l'esilio compose la Divina commedia.
Nell'età moderna il bando perse questo carattere politico e finì soprattutto col riguardare colpevoli di reati comuni. A questo si deve il cambiamento di significato della parola, che definisce oggi pericolosi criminali. La pena del bando fu soppressa in tutti gli Stati italiani a partire dalla fine del Settecento. In tempi relativamente recenti, tuttavia, il termine ha assunto anche significati che rimandano al passato. Chi per esempio rifiutò di rispondere al bando di chiamata alle armi della Repubblica di Salò al termine della Seconda guerra mondiale fu definito bandito e così furono chiamati anche i partigiani dai nazifascisti.
Il termine brigante è legato a un fenomeno antico: quello che vede formarsi bande di malfattori che, guidate da un capo, attentano a mano armata alle persone e alle proprietà. Già i Romani promossero in più occasioni campagne per debellare il fenomeno, ma in ogni epoca si presentarono forme di brigantaggio diverse. Nel Medioevo e in età moderna, per esempio, si sviluppò l'attività delle brigate (da qui "brigante") di mercenari. Questi soldati di mestiere, che combattevano al servizio di chiunque fosse disposto a pagarli, erano soliti compiere razzie ai danni delle popolazioni con cui venivano in contatto. I briganti erano dunque predoni riuniti in bande, guidate da un capobrigante, che infestavano aree in cui il controllo delle autorità non riusciva a imporsi. Non erano però solo delinquenti comuni che assaltavano chiunque capitasse nella loro area d'azione: spesso le attività delle bande di briganti esprimevano anche istanze di rivolta ispirate da un progetto politico. Si riunirono in compagnie di briganti i cavalieri feudali sbandati, magari perché privati dei loro possessi dal sovrano; importante fu pure la partecipazione al fenomeno del brigantaggio dei contadini che lottarono anche in questo modo contro la tirannia dei proprietari terrieri.
Nel Meridione italiano, negli ultimi anni del Settecento, le compagnie di briganti si opposero alla conquista francese. Capibanda dai soprannomi curiosi quali Mammone, Panzanera, Sciarpa tennero continuamente sotto tiro i nuovi dominatori. La figura più celebre è quella di Fra' Diavolo, ossia di Michele Pezza, nato a Itri nel 1771 e giustiziato a Napoli nel 1806.
Con la sua attività di guerriglia contrastò i Francesi e condusse alcune spericolate azioni vestito da frate, da cui il soprannome. Un altro celebre brigante, attivo a metà Ottocento soprattutto in Romagna, fu Stefano Pelloni, detto il Passatore dal mestiere del padre, traghettatore di fiume (Pascoli, per la fama della sua generosità, nella poesia Romagna lo definì Passator cortese). Compì imprese soprattutto ai danni di benestanti, il che lo fece apparire come un novello Robin Hood.
Dopo l'annessione del Sud al Regno d'Italia nel 1861, migliaia di briganti, cui si erano aggregati gli sbandati dell'esercito borbonico, tennero sotto scacco le forze sabaude in Campania, in Lucania, negli Abruzzi, in Calabria e in Puglia tendendo le loro imboscate tra le gole delle montagne e sui passi appenninici. Se ne venne a capo con uno sforzo che si esaurì intorno al 1870, condotto da forze imponenti per numero (i soldati impiegati furono più di centomila) e caratterizzato da una durissima repressione. La vittoriosa offensiva italiana contro il brigantaggio non pose però del tutto fine al fenomeno dei briganti, il quale era, come s'è visto, molto antico.
Brigante e bandito sono due termini il cui significato è profondamente mutato nel tempo. I briganti, da criminali colpevoli di reati comuni contro le persone e i patrimoni, finiscono col diventare qualcosa di diverso e assumere una connotazione anche politica. Col tempo, però, il termine ebbe sempre meno fortuna e quando in Italia il fenomeno si ripresentò, per esempio in Sicilia negli anni del secondo dopoguerra, il capo della banda che tentò d'alzare la bandiera del distacco dell'isola dall'Italia, Salvatore Giuliano, fu definito bandito e non brigante. Al contrario, i banditi, che nel Medioevo erano soprattutto coloro che dissentivano politicamente rispetto al gruppo dominante, finiscono per assumere le vesti di criminali comuni con cui oggi li intendiamo.
Il più celebre tra i briganti italiani dell'Ottocento fu Carmine Crocco. Nato nel 1830 in Lucania in una famiglia contadina, si mise a capo di una rivolta promossa da soldati sbandati dell'esercito borbonico e miseri contadini. Imprigionato, riuscì a evadere dal carcere e, dopo un nuovo imprigionamento e una nuova evasione, si mise a capo di una banda criminale. Nel tentativo di opporsi alle forze sabaude, i Borbone - la casa regnante nel Sud dell'Italia detronizzata nel 1860 - alimentarono il fenomeno del brigantaggio contro i nuovi governanti sabaudi servendosi anche della banda di Crocco (quasi 2.000 uomini), rifornendolo di armi e denaro. Incalzato dalla reazione sempre più decisa dell'esercito italiano, nel 1864 il capobrigante decise di rifugiarsi nello Stato pontificio dove fu però incarcerato. Dopo il 1870, quando Roma divenne capitale del Regno, Crocco passò sotto la custodia italiana, fu processato e condannato a morte. Poco dopo la pena fu però tramutata nei lavori forzati a vita. Morì in carcere nel 1905.
Il bandito Salvatore Giuliano si diede alla macchia alla fine della Seconda guerra mondiale dopo uno scontro a fuoco con i Carabinieri in seguito a un piccolo furto. Si mise così a capo di una banda criminale che si collegò all'Esercito volontario per l'indipendenza della Sicilia. La sua attività di bandito si caratterizzò dunque anche politicamente: gli attentati terroristici contro l'esercito e i partiti di sinistra dovevano garantire il distacco della Sicilia dall'Italia. È in questo quadro che si inserisce nel 1947 il clamoroso episodio avvenuto in località Portella della Ginestra: qui la banda Giuliano sparò sulla folla di lavoratori riunitasi per festeggiare il 1° maggio. Venutegli a mancare complicità e coperture, nel luglio 1950 il bandito Giuliano fu ucciso a colpi d'arma da fuoco nel sonno dal cugino Gaspare Pisciotta, che aveva preso a collaborare con le forze dell'ordine.