BUONCONTI (Bonconti), Banduccio
Fu il principale esponente, agli inizi del sec. XIV, di una delle più importanti famiglie mercantili di Pisa, che ebbero rapporti con i fondaci del Tirreno della Tunisia e della Siria. Il B. stesso, che fu molto frequentemente tra gli Anziani del popolo tra il 1289 ed il 1314, nel 1299 è ricordato per i traffici di alcuni carichi d'orzo in viaggio tra la Sardegna e Pisa; nel 1303 lo vediamo operare in una società bancaria insieme con altri pisani e con alcuni fiorentini. Nel 1302 la sua casa presso la cappella di S. Cristina, che alla fine del secolo avrebbe ospitato s. Caterina, era menzionata come una delle più imponenti ed eleganti della città.
L'attività politica del B. si fece più intensa a partire dal 1299: in quest'anno fu ambasciatore a Genova per condurre le difficili trattative di pace, che dovevano sanzionare la sconfitta della Meloria del 1284. Il 29 nov. 1310 il B. fu nominato a far parte dell'ambasceria pisana inviata ad Enrico VII di Lussemburgo che scendendo in Italia si era fermato ad Asti, e poco più tardi lo vediamo svolgere, insieme col figlio Piero, le mansioni di tesoriere o camerlengo delle finanze regie. Dopo la morte dell'imperatore, avvenuta nell'agosto del 1313, era tra i consiglieri di Uguccione della Faggiuola "capitano del popolo e di guerra" nonché "podestà" dei Pisani, al momento delle trattative con Lucca, e si mostrava tra i più favorevoli alla guerra contro i Lucchesi, presto attuata e risolta con la conquista della città rivale.
I Buonconti appartennero dunque a quelle famiglie della borghesia mercantile che, pur essendo propense alla ripresa di buoni rapporti con le città guelfe dell'entroterra per i loro interessi commerciali, non vollero tuttavia che da tale esigenza derivasse un'eccessiva arrendevolezza, pericolosa per lo stesso svolgimento dei traffici. Agli inizi del Trecento essi ebbero parte nelle maggiori iniziative politiche del Comune, quali le ambascerie a Giacomo II d'Aragona del 1309 (il B. stesso fece parte di una di queste ambascerie) e, soprattutto, l'ambasceria ad Enrico VII di Lussemburgo ad Asti. È evidente l'importanza della venuta del nuovo re dei Romani per una città ghibellina come Pisa, che fece largo assegnamento sul suo aiuto, pur senza ottenerne vantaggi concreti, data la sua improvvisa scomparsa nell'ag. 1313.
Subito dopo la morte di Enrico VII, la chiamata alla carica di podestà e capitano di Uguccione della Faggiuola, che era stato vicario di Enrico a Genova, denotava l'intenzione di proseguire una politica ghibellina, ossia antilucchese ed antifiorentina sebbene nel novembre dello stesso anno i Pisani avviassero trattative coi guelfi. Uguccione avrebbe ripreso immediatamente le ostilità contro Lucca e Firenze, ottenendo quei successi clamorosi e quasi insperati, che ebbero il loro culmine nella battaglia di Montecatini (29 ag. 1315).
Il prestigio personale del B. si era venuto accrescendo proprio in questo momento. Pretestuosa e infondata appare dunque l'accusa di tradimento che nel marzo 1314 Uguccione scagliava contro di lui e suo figlio Piero, imputando loro di aver concluso di nascosto le trattative con Roberto d'Angiò e la lega guelfa, e di avere accettato clausole troppo arrendevoli alle imposizioni dei guelfi. La condanna a morte, seguita alla imputazione di tradimento, si presenta così come lo strumento mediante il quale Uguccione attuò il colpo di mano che gli assicurò per un biennio la signoria sulla città, eliminando due dei più potenti esponenti della ricca borghesia.
Bibl.: P. Vigo, Uguccione della Faggiuola podestà di Pisa e Lucca, Livorno 1879, pp. 7-9, 25, 26, 105; R. Davidsohn, Storia di Firenze, IV, Firenze 1960, pp. 762 ss.; E. Cristiani, Nobiltà e Popolo nel Comune di Pisa, Napoli 1962, pp. 273, 282, 284, 292, 448.