Banshun
(Giappone 1949, Tarda primavera, bianco e nero, 108m); regia: Ozu Yasujirō; produzione: Shōchiku; soggetto: dal racconto Chichi to musume (Padre e figlia) di Hirotsu Kazuo; sceneggiatura: Noda Kōgo, Ozu Yasujirō; fotografia: Atsuta Yûharu; montaggio: Hamamura Yoshiyasu; scenografia: Hamada Tatsuo; musica: Itō Senji.
Noriko, ventisette anni, vive ancora insieme al padre Somiya, vedovo e professore universitario. Spinto dalla sorella Masa, Somiya cerca di convincere la figlia a prendere marito. Questa, tuttavia, non vuole saperne di lasciare il padre solo. L'uomo ricorre allora a uno stratagemma e fa credere a Noriko di essere in procinto di prender moglie. A questo punto la donna capitola ed accetta di sposare l'uomo presentatole dalla zia. Durante un ultimo viaggio insieme al padre, nell'antica Kyoto, Noriko fa ancora un estremo tentativo per rimanere a fianco del genitore ma questi, pronto alla solitudine, la convince a seguire la propria strada.
Banshun è il film che chiude i difficili anni del dopoguerra e apre la stagione della maturità del cinema di Ozu Yasujirō. Al centro dell'intreccio ci sono un padre, una figlia e il loro scontro. Uno scontro che, tuttavia, non si configura come un conflitto di egoistici desideri che si contrappongono. Il volere di Somiya e Noriko è, infatti, non un volere per sé, bensì un volere per l'altro: l'uno desidera che la figlia si sposi perché così possa vivere davvero una propria vita, l'altra, invece, non vuole farlo perché in questo modo lascerebbe il proprio padre solo. A questo primo nucleo drammatico se ne aggiunge un secondo che ruota intorno alla menzogna del padre: l'anziano Somiya finge di essere intenzionato a sposarsi perché la figlia, liberata così da ogni preoccupazione, possa fare altrettanto. La menzogna suscita un profondo sentimento di dolore in Noriko, la quale si sente tradita dal genitore credendo che, solo a cose fatte, questi l'abbia finalmente informata di quanto stava accadendo da tempo. Ciò che dunque nella donna si incrina è il sentimento di fiducia verso il padre, il rompersi di quell'armonia che li aveva sempre legati l'uno all'altra. Alla fine tutto si risolve e si chiarisce. Il film può arrivare così alla messinscena di un altro tema centrale a tutto il cinema del regista: il dolore del distacco dalle persone care, inteso come il compiersi di un fatto necessario e ineluttabile, dolore cui Banshun dà corpo attraverso il triste rientro a casa del padre dopo la cerimonia nuziale e la celebre scena di questi che, seduto su una sedia, sbuccia mestamente una mela con lo sguardo perso nel vuoto e gli occhi velati di lacrime.
Secondo una prassi a lui molto cara, Ozu ricorre a una narrazione molto ellittica che omette eventi e talvolta personaggi di rilievo, come qui succede per il matrimonio e lo sposo di Noriko che, infatti, non ci sono mai mostrati. Più che gli avvenimenti in sé, a Ozu interessano le reazioni che questi eventi suscitano nei personaggi che li vivono; per questo i fatti possono anche non essere mostrati: ciò che conta è quello che li determina, e le loro conseguenze.
Banshun è esemplare del cinema di Ozu anche per il frequente ricorso del regista a inserti che possono coprire salti temporali sia all'interno di una sequenza, sia nel passaggio da una scena a un'altra. Più che in altri film precedenti, tuttavia, questi 'sguardi altrove' sono qui legati a immagini della natura: alberi, colline, cieli, onde marine ecc., quasi fossimo di fronte ad una visione più distaccata delle cose che il regista sta progressivamente maturando, una visione in cui i drammi umani e il mutare dei sentimenti appaiono come parte dell'inevitabile fluire di ciò che ci circonda.
Fra i tanti momenti del film degni di nota, uno, in particolare, ha colpito la critica occidentale: siamo nel corso dell'ultima notte del viaggio a Kyoto di padre e figlia. I due sono stesi nei loro futon, Somiya si è già addormentato. Una prima inquadratura ci mostra Noriko sorridente, poi, in successione, l'immagine di un vaso vuoto, quella di Noriko ora quasi in lacrime, infine, ancora, l'inquadratura del vaso. Paul Schrader, nella sua lettura della trascendentalità dello stile del regista, interpreta questo vaso in chiave zen, come la rappresentazione purificata dei sentimenti di Noriko. Donald Richie vi vede un luogo in cui si raccolgono le emozioni tanto della giovane donna quanto di noi spettatori, spingendoci così verso un sentimento di identificazione. Gilles Deleuze, infine, lo interpreta come un esempio di immagine-tempo che rappresenta ciò che permane attraverso la successione di stati mutevoli.
Pur costruito sugli stilemi tipici del cinema di Ozu (posizione bassa della macchina da presa, staticità delle inquadrature, sguardi dei personaggi rivolti verso lo spettatore, inserti e piani di transizione), Banshun presenta al suo interno anche soluzioni insolite nel cinema della maturità del regista, come l'ampio uso di movimenti di macchina nella scena della gita in bicicletta di Noriko e di un giovane collega del padre (l'ariosa sequenza lascia pensare a una possibile storia d'amore fra i due che però non si darà) e, nella scena della rappresentazione Nō, il quasi hollywoodiano gioco di sguardi fra la figlia, il padre e la giovane vedova che Noriko crede destinata a diventare la moglie del genitore.
La situazione narrativa di Banshun sarà ripresa dallo stesso Ozu, con diverse sfumature, nei successivi Akibyori (Tardo autunno, 1960, ancora con Hara Setsuko) e Sanma no aji (Il gusto del sakè, 1962).
Interpreti e personaggi: Ryū Chishū (Shūkichi Somiya), Hara Setsuko (Noriko), Tsukioka Yumeji (Kitagawa Aya), Sugimura Haruko (Taguchi Masa), Aoki Hohi (Katsuyochi), Usami Jun (Hattori Shōichi), Miyake Kuniko (Miwa Akiko), Mishima Masao (Onodera Jō), Tsubōuchi Yoshiko (Kiku).
P. Schrader, Trascendental Style in Film: Ozu, Bresson, Dreyer, Berkeley 1972 (trad. it. Roma 2002).
D. Richie, Ozu, Los Angeles 1974.
Y. Lardeau, Printemps tardif, in "Cahiers du cinéma", n. 311, mai 1980.
A. Piccardi, La tarda primavera di Yasujirō Ozu, in "Cineforum", n. 216, luglio-agosto 1982.
D. Bordwell, Ozu and the Poetics of Cinema, Princeton 1988.
D. Tomasi, Ozu Yasujirō, Firenze 1991. Sceneggiatura: K. Noda, Y. Ozu, Banshun, Tōkyō 1972 (trad. fr. Paris 1980).