BARAKAH (pron. bár-)
Vocabolo arabo, propriamente significante "benedizione", che in tutta l'Africa settentrionale si applica anche e soprattutto alla misteriosa forza sacra e benefica a un tempo che, secondo la credenza popolare di quelle regioni, emana da persone ritenute sante, oppure da oggetti o luoghi considerati sacri, e arreca grazie d'ordine materiale a coloro che tocchino quelle persone o cose, o anche indirettamente vengano con esse a contatto. Onde, p. es., l'affollarsi scomposto intorno alla cavalcatura di personaggi ragguardevoli anche soltanto perché sceriffi, cioè presunti discendenti da Maometto, allo scopo di ottenere la barakah baciando o toccando semplicemente la coda o i fornimenti della bestia. Così il semplice sostare presso sepolcri di personaggi venerati è fonte di grazie materiali. Al Marocco si ammette anche che una persona non sceriffa né santa possa divenire temporaneamente posseditrice di barakah in particolari circostanze. La barakah si considera trasmissibile per eredità naturale, sia pure in grado più tenue, nei discendenti di sceriffi e di marabutti o santi; essa inoltre può essere volontariamente trasmessa dal santo in varie guise, p. es. sputando nella bocca al discepolo. Questo concetto della barakah non ha fondamento dottrinale nell'islamismo, la cui teologia, del resto, non possiede alcuna teoria intorno al concetto di benedizione.
Bibl.: J. Wellhausen, Reste arabischen Heidentums, 2ª ed., Berlino 1897, pp. 139-140 (esempî tratti dall'antichità araba per l'idea di benedizione dal contatto con persone o cose sacre); E. Doutté, Magie et religion dans l'Afrique du Nord, Algeri 1909, pp. 439-448; A. Bel, Coup d'oeil sur l'islam en Berbérie, Parigi 1917, pp. 45-52 (estr. dalla Revue de l'hist. des religions); E. Westermark, The Moorish conception of holiness ("Baraka"), in Öfversigt of Finska Vetenskaps-Societetens Förhandlingar, LVIII, ii, Helsingfors 1916 (ottime osservazioni marocchine; ma basata su grave equivoco la teoria circa l'origine del concetto di marabutto); W. S. Blackman, The fellāḥīn of Upper Egypt, Londra [1927], pp. 99-100.