BARBARICARIUS
Barbaricarius dovette significare, in un primo tempo, il ricamatore o il tessitore di stoffe con figure rappresentate con fili d'oro e di colore, chiamato negli autori classici phrygio (cfr. la spiegazione in Donat., ad Aen., xi, 777, e l'iscrizione di barbaricarius, C. I. L., vi, 9641, appartenente al primo Impero); più tardi il medesimo nome indicò l'artefice di una speciale lavorazione dell'oro in combinazione con altri metalli, per ottenere dorature ad effetto damascato, usate molto nel basso Impero per decorare parti di armi e di armature. Barbaricarii facenti parte di fabricae statali, eseguivano soprattutto caschi ad Antiochia e a Costantinopoli (Cod. Theod., x, 22, 1); la Notitia dignitatum (ed. Seeck, ii, 74-77) menziona tre preposti barbaricariorum sive argentariorum ad Arles, a Reims e a Treviri; barbaricarii facevano parte, nel IV sec., del palatium imperiale (Cod. Iust., xii, 7, 19). Nell'Editto dei prezzi di Diocleziano (301 d. C.) il b. è pagato in ragione dell'oro adoperato, ed è ancora il ricamatore.
Il termine si trova chiaro in una sola iscrizione funeraria di epoca tarda, di Diasmenus, un barbaricarius Caes(aris) n(ostri) ser(vus) (C. I. L., vi, 33766); un'iscrizione del I sec. d. C. di Hermes barbaricaris ministrator (C. I. L., vi, 9641 e 7772), ha fatto pensare piuttosto a un custode delle vesti barbaricae; in un'iscrizione di un Aurelius Cassianus barbaricae (C. I. L., V, 785) decurione della colonia Forum Iulii Iriensium (presso Aquileia) è stato letto barbarica(n)s ma forse si tratta di un cognomen; finalmente un homo optimus artis barbaricariae Constatinus Aequalis, seviro augustale di Lione, forse nel II sec. d. C. (C. I. L., xiii, 1945).
Bibl.: G. Humbert, in Dict. Ant., I, 1873, p. 676 ss., s. v.; E. De Ruggiero, Diz., I, 1894, p. 974, s. v.; H. Grummerus, Die römische Industrie, I, Das Goldschmied- und Juweliergewerbe, in Klio, XIV, 1914, p. 129 ss.; XV, 1915, p. 256 ss.