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barbarismi

di Alberto Raffaelli - Enciclopedia dell'Italiano (2010)
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barbarismi

Alberto Raffaelli

Il termine barbarismi designa spregiativamente fin dall’antichità le parole (e, più generalmente, gli elementi morfologici, sintattici e stilistici) considerate estranee allo spirito e alla forma di una determinata lingua (Tesi 2000). Barbarismus «espressione viziosa», attestato già nella Rhetorica ad Herennium (IV, 12, 17), permane nel latino tardo, per es. nel titolo del terzo libro dell’Ars grammatica maior di Elio Donato (IV secolo d.C.). In volgare possiede almeno fino all’Umanesimo un senso esteso al complesso dei fenomeni linguistici, indicando improprietà espressive a vari livelli (Brunetto Latini, La Rettorica, Argomento 17; «confusione del barbarismo» in Zanobi da Strada).

In epoca umanistico-rinascimentale il termine viene collegato al rimpianto classicistico che vedeva nelle invasioni barbariche la causa del crollo della latinità, di una perdita di identità e di un rimescolamento di idiomi e valori (Biondo Flavio, De verbis), e il suo significato connesso agli effetti perniciosi della mescidanza linguistica (➔ Leon Battista  Alberti romanae locutionis, XXV, 110, Libri della famiglia, Proemio al libro III; cfr. anche barbaria nel Dialogo intorno alla nostra lingua di Niccolò Machiavelli) come al difetto di chiarezza (Luigi Pulci, Il Morgante XXVIII, 46), anche fonetica, evidentemente in rapporto a quello che era considerato il valore etimologico di barbaro «balbuziente» (lo stesso Pulci precisa nel Vocabolista: «iscorretto nel profferire le parole»; similmente ➔ Leonardo, in un passo del ms. Trivulziano, parla di «scorectione di vocaboli mal pronunziati»; a errori di lettura allude anche Anton Francesco Doni in una lettera).

Da metà del Cinquecento, all’accezione grammaticale si affianca – per sostituirla via via nel corso dei secoli – quella circoscritta all’elemento lessicale (Tesi 2000: 14 e segg.), ovvero ai forestierismi adattati e non (Tommaso Campanella, Poetica: «Il poeta deve esser sospeso da’ traslati forastieri [e usar voci] nostrali e communi […] non troppo forastiere, perché si fanno barbarismi»). Nel Sei e Settecento, pur talora conservando una certa ambiguità, il termine è adoperato assieme ad altri designanti improprietà grammaticali e stilistiche, il che ne caratterizza il significato (in lettere di Giambattista Marino e ➔ Melchiorre Cesarotti, che lo accosta a preziosità e pedanteria; Pietro Verri nel «Caffè» se la prende con chi «macchi[a] i suoi discorsi con frequenti errori e barbarismi»). Permane un canonico appaiamento tra barbarismi e «solecismi»: così in Giuseppe Parini (Discorso intorno alla poesia) e Vittorio ➔ Alfieri (Vita IV, xxxi), fino a Riccardo Bacchelli (L’incendio di Milano, in connessione pure con «neologismi»), a dimostrazione di una connotazione rimasta nel tempo.

Nell’Ottocento è ormai schiacciante l’accezione lessicale, inserita nel dibattito pre-unitario (Ugo Foscolo, Dell’origine e dell’ufficio della letteratura; Vincenzo Gioberti, Del primato morale e civile degli italiani II, viii, citante coloro che in passato includevano «tutti gli idiomi del mondo avendo i barbarismi in conto di eleganze»); di un uso pienamente acclimatato testimoniano occorrenze in una lettera di ➔ Giosuè Carducci e nella Prefazione di Fanfani & Arlia (18812, p. XI).

Se fino al XIX secolo la polemica contro i barbarismi, anche quando cosparsa di accenti patriottico-risorgimentali, era principalmente di ordine estetico-letterario (emblematici in tal senso alcuni passaggi dello Zibaldone di ➔ Giacomo  Leopardi, che citano i barbarismi trattando del «vago poetico», nel Novecento la sempre più sistematica politica linguistica (➔ fascismo, lingua del; ➔ politica linguistica) si concentra quasi solo sugli usi funzionali e pubblici dell’italiano. Inoltre, se in precedenza i barbarismi includevano anche le parole adattate (riconoscibili perché quasi tutte tratte dal francese: ➔ adattamento; ➔ francesismi), ora sono contrastati soprattutto i prestiti integrali, maggiormente discernibili da parte dell’opinione pubblica che si faceva, ancor più dei linguisti, portavoce delle istanze puristiche.

Il termine è richiamato, talvolta fin dal titolo ma soprattutto nei contenuti, in interventi di matrice nazionalista nei primi anni del XX secolo (Panzacchi 1901) e fascista dal 1922 (Gigli & Coceva 1924; Tittoni 1926; Monelli 1933). Nel 1941 Mussolini, a proposito dei primi elenchi di «forestierismi» apparsi sul «Bollettino dell’Accademia d’Italia», dichiarò di preferire, a questa parola, le espressioni barbarismi o esotismi, e fu quest’ultimo termine ad essere adottato negli elenchi successivi (Raffaelli 1983: 224-225): scelta che prelude alla progressiva sfortuna cui la voce barbarismo andò incontro dal secondo dopoguerra in poi, nonostante la sopravvivenza nel sottotitolo (introdotto nel 1960) del fortunato repertorio di Messina (1954).

Fonti

Alberti, Leon Battista (1946), I primi tre libri della famiglia, a cura di F.C. Pellegrini & R. Spongano, Firenze, Sansoni, p. 229.

Alfieri, Vittorio (1951), Opere, a cura di L. Fassò, Asti, Casa d’Alfieri, vol. 1° (Vita scritta da esso. Edizione critica della stesura definitiva), p. 350.

Bacchelli, Riccardo (1952), L’incendio di Milano, Milano, Rizzoli, p. 35.

Biondo, Flavio (2008), De verbis romanae locutionis, a cura di F. Delle Donne, Roma, Istituto storico italiano per il Medioevo.

Campanella, Tommaso (1954), Tutte le opere, a cura di L. Firpo, Milano, Mondadori, vol. 1° (Scritti letterari), p. 428.

Carducci, Giosuè (1943), Edizione nazionale delle opere, Bologna, Zanichelli, vol. 10° (Lettere), p. 235.

Cesarotti, Melchiorre (1946), Opere scelte, a cura di G. Ortolani, Firenze, Le Monnier, vol. 2° (Poesie d’Ossian. Lettere scelte), p. 285.

Doni, Anton Francesco (1902), Lettere scelte, a cura di G. Petraglione, Livorno, Giusti, p. 91.

Fanfani, Pietro & Arlia, Costantino (18812), Lessico dell’infima e corrotta italianità, Milano, Carrara.

Foscolo, Ugo (1933), Edizione nazionale delle opere, a cura di E. Santini, Firenze, Le Monnier, vol. 7° (Lezioni, articoli di critica e di polemica), p. 33.

Gioberti, Vincenzo (1920), Del primato morale e civile degli italiani, a cura di G. Balsamo Crivelli, Torino, UTET, p. 65.

Latini, Brunetto (1968), La Rettorica, testo critico di F. Maggini, prefazione di C. Segre, Firenze, Le Monnier, p. 38.

Leonardo da Vinci (1952), Scritti scelti, a cura di A.M. Brizio, Torino, UTET, p. 79.

Leopardi, Giacomo (19534), Zibaldone, a cura di F. Flora, Milano, Mondadori, pp. 819-820, 1499, 1500, 1508.

Machiavelli, Niccolò (1982), Discorso intorno alla nostra lingua, a cura di P. Trovato, Padova, Antenore.

Marino, Giambattista (1911), Epistolario, a cura di A. Borzelli & F. Niccolini, Bari, Laterza, p. 253.

Parini, Giuseppe (1925), Tutte le opere, a cura di G. Mazzoni, Firenze, Barbera, p. 838.

Pulci, Luigi (19842), Morgante e lettere, a cura di D. De Robertis, Firenze, Sansoni, p. 894 (1a ed. 1961).

Pulci, Luigi (1908), Vocabolista, a cura di G. Volpi, «Rivista delle biblioteche e degli archivi» 19, pp. 9-15.

Romagnoli, Sergio (a cura di) (1960), Il Caffè, ossia Brevi e vari discorsi distribuiti in fogli periodici, Milano, Feltrinelli, p. 158.

Zanobi da Strada (1852), I morali di San Gregorio papa volgarizzati nel secolo XIV da Zenobi da Strata, Verona, eredi di M. Moroni, 3 voll.

Studi

Gigli, Torquato & Coceva, Giuseppe (1924), Per la difesa della nostra lingua contro l’infiltrazione di barbarismi, nell’uso del parlare e dello scrivere, «Pagine della Dante» 34, 4, p. 19.

Messina, Giuseppe L. (1954), Parole al vaglio. Prontuario delle incertezze lessicali e delle difficoltà grammaticali, Roma, Signorelli.

Monelli, Paolo (1933), Barbaro dominio. Cinquecento esotismi esaminati, combattuti e banditi dalla lingua con antichi e nuovi argomenti, storia ed etimologia delle parole e aneddoti per svagare il lettore, Milano, Hoepli.

Panzacchi, Enrico (1901), Fuori il barbaro, «Corriere della sera» 26-27 settembre, p. 1.

Raffaelli, Sergio (1983), Le parole proibite. Purismo di Stato e regolamentazione della pubblicità in Italia (1812-1945), Bologna, il Mulino.

Tesi, Riccardo (2000), Per la storia del termine ‘barbarismo’, «Lingua nostra» 61, pp. 1-25.

Tittoni, Tommaso (1926), La difesa della lingua italiana, «Nuova antologia» 61, 1306, pp. 377-387.

Vedi anche
etimologia Disciplina linguistica che studia la storia delle parole, risalendo fino al punto della storia o della preistoria di un vocabolo ( etimo) in cui esso risulta appartenente a una famiglia di altri vocaboli. Quando le somiglianze non sono ovvie, bisogna risalire con i documenti o con congetture verosimili ... moralità Forma drammatica, diffusasi in Francia nel 15° sec., intessuta di figure allegoriche, a scopo di edificazione; drammi analoghi furono composti in inglese e in latino. Assunse anche carattere di satira, e il nome si estese a opere drammatiche che si staccavano dal teatro sacro per confondersi con i primi ... grammatica Rappresentazione sistematica di una lingua e dei suoi elementi costitutivi, articolata tradizionalmente in fonologia (dottrina dei suoni di cui è costituita la parola), morfologia, sintassi, lessicologia (studio scientifico del sistema lessicale di una lingua) ed etimologia. G. è anche la disciplina ... Umanesimo Periodo storico le cui origini sono rintracciate dopo la metà del 14° sec., e culminato nel 15°: tale periodo si caratterizza per un più ricco e più consapevole fiorire degli studi sulle lingue e letterature classiche, considerate come strumento di elevazione spirituale per l’uomo, e perciò chiamati, ...
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Vocabolario
bàrbaro
barbaro bàrbaro agg. e s. m. (f. -a) [dal lat. barbărus, gr. βάρβαρος]. – 1. Straniero, nel senso in cui i Greci e i Romani dicevano barbaro chiunque non fosse greco o romano, e nel senso in cui il Rinascimento opponeva il concetto di barbaro...
barbàrico
barbarico barbàrico agg. [dal lat. barbarĭcus, gr. βαρβαρικός] (pl. m. -ci). – Dei barbari, di popolo barbaro: usanze b.; costumi b.; le orde b.; spesso con riferimento alle popolazioni germaniche della fine dell’evo antico e dell’alto...
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