BADOER, Barbaro Giacomo
Nacque il 29 genn. 1617 da Francesco e Lucia Valaresso. Fu uno di quei valorosi uomini di mare e condottieri usciti dall'esangue patriziato veneto, che durante la sfortunata guerra di Candia difesero con eroismo le declinanti sorti della Repubblica. Il B. entrò presto nella vita pubblica, avendo estratto a vent'anni la balla d'oro, che dava diritto di entrare nel Maggior Consiglio prima della richiesta età di venticinque anni. Alla grigia "routine" delle magistrature amministrative e giudiziarie della Dominante e dei reggimenti nelle città suddite egli preferì la carriera marittima, certo più adatta al suo carattere energico e ardimentoso.
Così nel 1643 si imbarcò su una galera dell'armata come nobile di poppa. Nel 1645, all'inizio della guerra di Candia, alla quale partecipò senza posa fino alla morte, era già sopracomito, comandante d'una galea della squadra addetta alla guardia dell'isola. Quando l'armata turca giunse di sorpresa davanti alla Canea, stringendo d'assedio la città, il B. incrociava nelle acque di Suda. Il 20 luglio il capitano della squadra, Giorgio Morosini, ricevette l'ordine di portare soccorsi di uomini e munizioni alla Canea, con la propria galea e con altre due comandate dal B. e da Caterino Corner. I tre legni riuscirono a forzare il blocco nemico, e i loro equipaggi si unirono ai difensori sugli spalti. Quando il provveditore Antonio Navagero propose una prima volta la resa, il B. assieme agli altri due comandanti delle galee si oppose; ma il 19 agosto, divenuta insostenibile la resistenza, fu decisa la capitolazione. Le tre galee, con gli equipaggi ridotti a un terzo per le perdite, poterono rientrare incolumi a Suda.
Nel 1646 il B. fu nominato capitano della squadra di Candia, e con tale grado partecipò a innumerevoli episodi bellici, tra i quali il più notevole fu la battaglia di Nasso (10 luglio 1651), nella quale catturò un vascello turco. Eletto nel 1653 capitano delle galeazze, partecipò alla crociera della flotta, al comando di Leonardo Foscolo, davanti a Rodi, e poi al vano assedio di Malvasia, in cui si distinse nel bombardamento della piazza e nella conquista di un forte. Dopo aver partecipato il 21 giugno 1654 al combattimento nelle acque di Milo, nell'autunno, per ordine del provveditore generale Francesco Morosini, al comando di due galeazze, quattro galee e una nave, conquistò, dopo due giorni di lotta, l'isola di Egina, dove rimase per tutto l'invemo.
In primavera, rasa al suolo la fortezza, lasciò l'isola e si riunì al grosso della flotta, con la quale, alla fine del marzo 1655, partecipò alla conquista di Volo. Nel giugno di quell'anno, inviato dal Morosini a inseguire alcune galee barbaresche, che non poté raggiungere, non partecipò alla battaglia combattuta il 21 di quel mese nelle acque dei Dardanelli. Dal luglio all'autunno si distinse al comando di truppe da sbarco nell'assedio posto dai Veneziani a Malvasia. Nel gennaio 1656 fu nominato provveditore d'armata.
Nel maggio dello stesso 1656 la flotta veneziana, sotto il comando del capitano generale Lorenzo Marcello, andò ad incrociare nelle acque dei Dardanelli, per impedire all'armata turca di uscire nell'Arcipelago. Poi, passando all'offensiva, il 26 giugno forzò audacemente lo stretto, attaccando la flotta turca e infliggendole una grave disfatta. Ma il Marcello cadde in combattimento, e il comando interinale dell'armata passò al B., che nella giornata aveva sostenuto una parte predominante al centro dello schieramento.
Per sfruttare a fondo il successo, il B. ordinò che durante la notte fossero attaccati e incendiati i legni nemici che avevano cercato scampo gettandosi sulla costa; e l'indomani proseguì ancora la caccia, partecipando personalmente ai combattimenti. Alla fine della battaglia i Turchi avevano perduto cinquantotto legni, contro tre veneziani.
Ma tosto gravi contrasti sorsero tra i vincitori. Il priore delle sette galee maltesi abbandonò gli alleati, esigendo una parte notevole del bottino, col pretesto che poteva restare soltanto agli ordini di un capitano generale. Aspro dissidio, degenerato in aperta insubordinazione, si manifestò anche tra il B. e il capitano del Golfo Antonio Barbaro, il quale sosteneva vivacemente l'opportunità di seguire il piano concepito dal defunto capitano generale, che prevedeva il successivo concentramento delle forze su Candia, per liberare l'isola dai Turchi. Il B. non seppe sfruttare la vittoria e preferì abbandonare tale piano, ripiegando sulla strategia nettamente difensiva che era prevalsa fino allora, consistente nel bloccare i Dardanelli per impedire alla flotta nemica di uscire nell'Arcipelago e unirsi alle forze turche operanti in Candia.
Per assicurare all'armata le basi necessarie all'operazione di blocco dei Dardanelli, il B. conquistò le isole di Tenedo (6-8 luglio) e di Lemno (11-18 agosto). Lasciativi forti presidi, se ne allontanò in novembre per svernare. Il 26 febbraio 1657 cedette il comando al nuovo capitano generale, Lazzaro Mocenigo, ritornando alle sue funzioni di provveditore d'armata.
Ripresa dal Mocenigo l'azione offensiva, il B. comandò l'ala destra alla battaglia di Scio (3 maggio 1657), nella quale diede un contributo decisivo alla vittoria distruggendo due navi turche, disimpegnando il Barbaro attaccato da due galee nemiche, catturando quattro navi e mettendone in fuga altre. Il 17 maggio partecipò all'investimento e alla distruzione di Suazick. Il 17 luglio l'armata veneta, rinforzata da alcuni legni maltesi e pontifici, fu assalita di sorpresa dalla flotta turca nelle acque dei Dardanelli.
Nella prima giornata della battaglia, che si protrasse per tre giorni, in collaborazione con il Mocenigo il B. distrusse o catturò cinque galee e cinque maone e sbaragliò l'armata sottile nemica, impedendo il congiungimento del grosso con la squadra di Rodi. Il 19 attaccò cinque galee e ne catturò una, costringendo le altre a gettarsi sulla costa. Ma al termine di quella terza giornata il capitano generale Mocenigo cadde sulla sua galea, colpita nella santabarbara dal fuoco delle batterie costiere nemiche, mentre guidava la sua squadra in un temerario attacco contro le navi turche rifugiatesi sotto la protezione dei forti.
Alla morte del Mocenigo il B. assunse il comando della flotta veneziana, mentre il comando supremo di tutta l'armata alleata passava al comandante pontificio Giovanni Bichi, per ordine del quale durante la notte fu effettuato un ripiegamento lungo la costa asiatica. Il B. scongiurò invano il Bichi di non abbandonare il piano del Mocenigo, che, riprendendo quello del Marcello, prevedeva la distruzione della flotta nemica e una successiva offensiva contro le forze turche in Candia.
Il B. chiese che l'indomani si riprendesse l'attacco contro i legni nemici superstiti, per tentare il totale annientamento della flotta turca. Il Bichi obiettò che le scorte d'acqua dolce erano esaurite e fece comprendere che le galee maltesi e pontificie avrebbero subito lasciato l'Arcipelago; ma infine concesse di effettuare il giorno dopo un tentativo di distruggere le navi turche gettatesi sulla costa.
L'operazione, condotta personalmente dal B. il 20 luglio, fallì per il violento fuoco delle batterie costiere. L'offensiva fu definitivamente abbandonata, nonostante l'opposizione del B., il quale dovette accontentarsi di effettuare un'azione individuale durante la notte contro alcune navi nemiche incagliatesi, riuscendo ad incendiarne due.
Il giorno dopo, 21 luglio, l'armata alleata ripiegò su Tenedo per ordine del Bichi. Ormai tra gli alleati l'infelice epilogo della battaglia aveva seminato aperta discordia. Il B. considerò un affronto il comando dell'ala sinistra affidatogli, e per non subirlo ritardò di alcune ore la partenza delle sue galee. Il 24 luglio i legni maltesi e pontifici lasciarono Tenedo, dove rimase il B. in critica situazione, con le forze diminuite e gli uomini demoralizzati, e senza poter contare sulla leale collaborazione del capitano del Golfo Antonio Barbaro, col quale si erano riaccesi violenti contrasti, alimentati da antichi rancori personali. E mentre, affranto dalle fatiche e dalle delusioni, si apprestava a riorganizzare l'armata, morì pochi giorni dopo a Tenedo, l'8 ag. 1657. Sulla sua morte fu avanzato il sospetto di avvelenamento.
Nel testamento lasciò a beneficio della Repubblica un credito di 7000 ducati, che egli aveva anticipato di propria tasca per le paghe dei galeotti liberi, e quanto fosse rimasto dei suoi beni, dopo soddisfatti alcuni debiti e legati minori.
Fonti e Bibl.: Biografia minuziosa ma non sufficientemente critica è quella di M. Nani-Mocenigo, Barbaro Jacopo Badoer Provveditore d'Armata,supplemento alla Rivista marittima,fasc. ottobre 1931. Cfr. anche dello stesso, Storia della marina veneziana da Lepanto alla caduta della Repubblica,Roma 1935, pp. 140, 163, 173, 184-187, 190, 198-204; A. Valori, Condottieri e generali del Seicento,Milano 1943, p. 19. Fondamentale G. Ferrari, Le battaglie dei Dardanelli (1656-1657),in Mem. stor. militari,a cura dell'Ufficio storico del Comando del Corpo di Stato Maggiore, 1913, fasc. III (19° della raccolta), pp. 1-241, passim,in cui sono pubblicate anche importanti relazioni del Badoer (pp. 138-143, 150-168, 186-188, 196-198, 222-231). Cfr. anche G. Brusoni, Historia dell'ultima guerra tra Veneziani e Turchi,Bologna 1674, I, pp. 30 s., 200, 276 s., 279-283; II,pp. 2 s., 15-17; A. Valier, Historia della guerra di Candia, Venezia 1679, pp. 225, 239 s., 381-387, 389-391, 417; B. Nani, Historia della Republica Veneta,Venezia 1720, II, pp. 53, 57, 283, 349, 365-369; R. Cessi, Storia della Repubblica di Venezia,II,Milano-Messina 1946, pp. 184-186; R. Quazza, Storia politica d'Italia. Prepond. spagnuola,Milano 1950, pp. 530 s. Per la data di nascita, diversamente sbagliata dai biografi, cfr. Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun,reg. 58 (Libro d'oro delle nascite,VIII),c.13 r.