BARBERINI, Antonio, iunior
Cardinale, il più ambizioso, il più battagliero e il più giovane dei nipoti di Urbano VIII. Aveva quindici anni quando lo zio salì al pontificato. Fra la nobiltà romana volle primeggiare, avere gloria e ricchezze da superare Ludovisi e Borghese. Non privo, certo, d'ingegno, aveva "volontà e petto capace d'intraprendere ogni affare". Lo zio ne apprezzava l'impeto e il 7 febbraio 1628, appena la Casa si assicurò la successione col matrimonio di don Taddeo, promosse il ventenne nipote al cardinalato nonostante il divieto di elevare alla porpora due fratelli. Urbano VIII lo tenne tuttavia lontano dai negozî, anche perché in quelli che gli furono affidati, Antonio non ebbe fortuna: per esempio, la sua mediazione fra Austria e Francia nella Lombardia (1629-1630). L'esser tenuto lontano dagli affari di stato esasperava A. che voleva posti di comando e ricchezze. Così, quando si agitò tra la Santa Sede e Venezia la questione del porto di Goro, fu per la guerra; e fu dei più bollenti fautori della guerra di Castro, nella quale ebbe il comando dell'esercito pontificio e milioni nelle mani; ma la guerra finì, anche per colpa sua, con l'umiliazione dei Barberini. Perciò, nella tempesta che si scatenò contro la sua famiglia dopo la morte di Urbano VIII, l'opinione pubblica se la prese in modo particolare con lui, chiedendogli conto dei milioni amministrati quando campeggiava nel Ferrarese contro il duca di Parma. Egli si rassegnò a pagare tre milioni alla camera; ma, non essendo a ciò disposti il card. Francesco e don Taddeo, con una fuga avventurosa, si recò a Parigi. Qui seppe convincere la corte e il Mazzarino che la persecuzione fatta alla sua famiglia era rappresaglia degli Spagnoli che volevano distruggere in Italia gli amici di Francia. Rientrato nelle grazie di papa Innocenzo X, ne ottenne favori per sé e per i suoi. Il re di Francia, poi, volle accentuare la sua protezione, conferendogli l'ordine dello Spirito Santo, ricche abbazie, e nominandolo grande elemosiniere. Nel 1652, ebbe il vescovato di Poitiers e, nel 1657 l'arcivescovato di Reims. Per esser presente al conclave di Clemente X (1670), lasciò la Francia, e non vi poté più tornare. Morì a Nemi nel 1671.
Bibl.: v. s., v. barberini.