BARBOLANI, Gianfrancesco, detto Otto (o più comunemente il "signor Otto" o Signorotto)
Figlio primogenito di Antonio dei conti di Montauto e di Simona della Doccia di Marco, patrizio aretino, militò dalla prima gioventù nella compagnia di Giovanni dalle Bande Nere, presso il quale raggiunse il grado di colonnello. Morto il condottiero, Clemente VII lo prepose nel 1527 alla difesa di Pisa. Alla caduta dei Medici passò al servizio della Repubblica fiorentina.
Iniziatasi la guerra con gli imperiali, fu destinato, insieme col fratello Federigo, alla difesa di Prato alle dipendenze del commissario Lottieri Gherardi - Quando il principe d'Orange mosse con le sue truppe contro La Lastra, il B., il fratello Federigo con le loro compagnie e altre due di stanza a Pistoia furono d'urgenza inviati in soccorso, ma giunsero trbppo tardi. Fu allora affidata al B. la missione di riportare il Mugello all'obbedíenza della Repubblica e di catturare Maria Salviati, vedova di Giovanni dalle Bande Nere, e suo figlio, il decenne Cosimo, che dimoravano nella villa del Trebbio nei pressi di Scarperia. Ma il B., forse in omaggio alla memoria del suo capitano d'un tempo, permise che essi si rifugiassero prima a Scarperia, presso Lorenzino de' Medici, il futuro uccisore del duca Alessandro, e poi riparassero tutti a Bologna, o, secondo altri, a Venezia. Quanto al B., egli preferì inseguire e battere le bande ribelli di Ramazzotto, prima di rientrare a Prato. Ma alla fine di dicembre venne arrestato e tradotto a Firenze dove gli fu imputato di avere, tempo prima, ucciso in Prato, in un diverbio, un uomo della sua compagnia, certo Iacopo Arrighi detto il Moretto. Evitò a stento la condanna alla pena capitale: solo per l'energico intervento di persone influenti, specie di Alfonso Strozzi e, dall'esilio, del cardinale Ipp31ito de' Medici, col quale era in segreti rapporti.
Ne uscì tuttavia con una condanna pecuniaria di molte migliaia di ducati, la perdita della condotta e della libertà personale per tutta la durata della guerra. E fu fortuna che anticipasse per lui una forte malleveria un suo amico, Bemardo d'Arezzo, ché altrimenti gli sarebbe stata amputata la mano destra. Pare che il rigore della condanna derivasse non tanto dal misfatto commesso quanto dall'essersi lasciato sfuggire Cosimo, Lorenzino de' Medici e Maria Salviati, che la Repubblica avrebbe voluto tenere in ostaggio durante le trattative con Clemente VII.
Occupata Firenze dagli imperiali, il B. tornò per qualche tempo con il fratello Federigo al castello avito di Montauto presso Arezzo, ma, levatasi a ribellione la città contro la metropoli in nome della antica autonomia comunale, egli prese a capeggiare la fazione medicea e a mescolarsi con il fratello alle passioni politiche del momento. Con lui fu imprigionato in seguito al ferimento di un concittadino che aveva respinto ogni accordo con Clemente VII, con gli imperiali e quindi con i Medici, ma venne liberato pochi giorni dopo, intorno al 20 sett. 1530, alla notizia che don Ferrante Gonzaga era giunto con la sua avanguardia tra Quarata e Ponte a Buriano, a tre miglia dalla città. Promosse allora un'immediata intesa con il Gonzaga e, recatosi a Roma presso Clemente VII, dichiarò la sottomissione di Arezzo al dominio fiorentino tornato sotto la signoria dei Medici.
Nel 1533 entrò al servizio del cardinale Ippolito de' Medici, che morì il 10 ag. 1535 in circostanze misteriose a Itri sulla via di Napoli, mentre i fuorusciti fiorentini confluivano in quella città per presentare a Carlo V le loro lagnanze contro il duca Alessandro.
Una diffusa tradizione volle che Ippolito fosse stato fatto avvelenare dal duca tramite il siniscalco del cardinale, Giovannandrea di Borgo San Sepolcro. Secondo il Varchi il siniscalco sarebbe stato corrotto da Alessandro Vitelli e dal Barbolani. La questione però ècontroversa: il Ferrai e il Rossi, in base agli stessi documentì, poco probanti invero, traggono conclusioni opposte. Lo scalco, nonostante i tormenti, respinse ogni addebito e ammise solo di essere stato in rapporti col signor Otto da Montauto, uno dei capitani al seguito del cardinale.
Alla morte del duca Alessandro (1537), il B. passò al soldo di Alessandro Vitelli, comandante supremo delle milizie medicee, ma Ionga manus e strumento fidato di Carlo V. Per conto del Vitelli, appunto, di cui divenne luogotenente, occupò con un colpo di mano la fortezza di Firenze, detta la Fortezza da Basso, che venne tenuta in nome di Carlo V per ben cinque anni. E poiché Cosimo de' Medici, successore di Alessandro, rimase sempre strettamente legato all'imperatore, il B. non si allontanò mai più dal servizio ffiediceo. Nel corso degli anni 1536-37 partecipò alle principali operazioni contro i fuorusciti fiorentini.
A Montale, tra Prato e Pistoia, in località detta Casa del Bosco, effettuò in collaborazione con altri capitani, tra cui suo fratello Federigo (che era però di stanza a Pistoia), una vittoriosa sorpresa notturna con duemila fanti contro una banda di quattrocento ribelli comandati da Guidotto Pazzaglia al soldo dei fuorusciti. Raggiunse poi, per ordine di Cosimo, San Sepolcro insieme con il nuovo commissario, Gherardo Gherardi e con Ridolfo Baglioni comandante della cavalleria, mentre Federigo da Montauto moveva celermente su Anghiari da Pistoia, allorché parve imminente, per voci corse, un altro colpo di mano dei fuorusciti. Nonostante i gravi disordini provocati dalle opposte fazioni locali dei Pichi e dei Graziani e l'accoglienza tutt'altro che incoraggiante degli abitanti, il B. rimase di stanza in San Sepolcro con Girolamo Accorsi detto il Bombaglino, suo prediletto allievo, valoroso compagno d'armi e conterraneo d'Arezzo. Tale tempestivo spiegamento di forze bloccò il tentativo degli antimedicei. Partecipò infine, insieme col fratello, il 2 agosto, al fortunato scontro di Montemurlo, dove fu fatto prigioniero Filippo Strozzi.
Nel 1542, alle dipendenze del commissario Girolamo degli Albizzi, comandò trecento fanti alla difesa di Piombino, minacciata dai Turchi che scorazzavano nel Tirreno. Allontanatosi il pericolo turco, rimase a presidiare Piombino per ordine di Cosimo de' Medici e con l'appoggio di don Diego Hurtado de Mendoza, nonostante le proteste di Iacopo V Appiani e degli abitanti contro tale forma di più che evidente soggezione.
Fu in seguito comandante della guarnigione di Portoferraio; nel 1547, quando Napoli insorse contro il tentativo del viceré don Pedro de Toledo di introdurre l'Inquisizione e Cosimo tenne pronti a Pisa, in caso di richiesta di soccorso, quattromila uomini al comando di quattro colonnew, il B. fu uno di essi insieme con Chiappino ViteW, Giordano Orsini e Luca Antonio Cuppano. Nel 1550, durante la guerra di Parma, allorché papa Giulio III vide Bologna minacciata dai Francesi, fu inviato da Cosimo a presidiarla con mille fanti. Il 27 luglio 1552, al momento della rivolta di Siena contro la guamigione spagnola, il B. fu inviato con due compagnie per tentare di soccorrere gli Spagnoli. Sopraffatto dalla popolazione, dovette rifugiarsi all'alba nella fortezza, donde uscì insieme con la guamigione spagnola in seguito all'armistizio del 5 agosto. Il 12 dello stesso mese prese in consegna dal Mendoza, a nome del duca di Firenze, Piombino e la sua fortezza, dove morì nell'ottobre dello stesso 1552.
Ebbe tre figli naturali, Pirro, Carlo e Antonio. Più tardi, legittimato, Pirro partecipò con onore alla battaglia di Lepanto. Dalla moglie, Ricca Schianteschi dei conti di Montedoglio, ebbe una figlia, Pantasilea.
Fonti e Bibl.: All'Arch. di Stato di Firenze, nel fondo Mediceo del Principato,sebbene non esista una raccolta di carte intestata a suo nome, si trovano molte sue corrispondenze sparse sia nel Carteggio universale sia tra i documenti e dispacci vari attinenti alla guerra di Siena; numerose carte autografe (familiari e di stato) conserva l'Arch. Montauto (Firenze, via Micheli 2); G. B. Adriani, Storia dei suoi tempi, Venezia 1587, pp. 22, 44, 47 s., 203 ss., 406, 437, 537, 597; O. Malavolti, Fatti e guerre de' Sanesi fino al 1555, Venetia 1599, parte III, p. 152b; S. Ammirato, Istorie fiorentine, Firenze 1641, Il, pp. 387, 445, 447, 467, 480 s., 487 ss., 491 s., ssi; M. Salvi, Hist. di Pistoia e fazioni d'Italia, Venetia 1662, III, pp. 151-153; B. Segni, Storia fiorentina dal 1527 al 1555, Augusta 1723, pp. 104, 188, 229, 343 s.; A. Sozzini, Diario delle cose avvenute in Siena dal 20 luglio 1550 al 28 giugno 1555, in Arch. stor. ital., Il (1842), pp. 78, 191, 263; Lettere di G. B. Busini a Benedetto Varchi sopra l'assedio di Firenze, a cura di G. Milanesi, Firenze 1861, lettere XIII, p. 130, XV, p. 142; P. L. Chini, Storia antica e moderna del Mugello, Firenze 1876, III, pp. 162-165; G. Ughi della Cavallina, Ricordo dell'assedio di Firenze, in Francesco Ferrucci e la guerra di Firenze 1529-30, raccolta di scritti e documenti rari pubblicati a cura del Comitato per le onoranze a F. F., Firenze 1880, pp. 417, 420; 1. Nardi, Istorie della città di Firenze, Il, Firenze 1888, p. 254 (testo e nota); B. Varchi, Storia fiorentina, Firenze 1888, 1, p. 145; 11, PD. 163, 197, 421; III, pp. 93, 207, 227, 244; L. A. Ferrai, Lorenzino de' Medici e la società cortigiana del '500, Milano 1891, pp. 68, 186; A. Bardi, Cosimo de' Medici e i fuorusciti del 1537, in Arch. stor. ital., s. 5, XI (1893), p. 324; A. Rossi, Francesco Guicciardini e il governo fiorentino dal 1527 al 1540, II, Bologna 1899, pp. 200, 205-216, 294-296; N. Giorgetti, Le armi toscane e le occupazioni straniere in Toscana (1537-1860), Città di Castello 1916, I, p. 69; E. Allodoli, Giovanni delle Bande Nere, Firenze 1929, p. 124; C. Sebregondi, Famiglie patrizie fiorentine, I, Barbolani di Montauto, Firenze 1940, tav. gen. IX (lo dà, erroneamente, morto nel '72, vent'anni dopo, governatore all'elba); R. Cantagalli, La guerra di Siena (1552-1559), Siena 1962, pp. 24-25, 62-63, 68, 70, 72.