BARCA (fr. barque; sp. barca; ted. Barke, Kahn; ingl. bark, boat)
Termine di bassa latinità che, secondo Isidoro da Siviglia (Orig., XX, 7), indicava le scialuppe che si trovavano a bordo delle navi mercantili e che servivano allo scarico delle merci. Tuttavia con questo nome generico, che comprende così la barca primitiva scavata nel tronco d'albero (monoxilo) come la nave da corsa e da pesca, purché munite d'un solo ordine di remi, si possono indicare varie imbarcazioni mentovate dalle fonti antiche, che si nominano più sotto. La Crusca dà a questo vocabolo il significato di "naviglio di non molta grandezza", ma la definizione suona insufficiente ai marinari, per i quali questa voce ha molti significati specifici, proprî e figurati.
Archeologia. - Gli antichi distinguevano i seguenti tipi di barca:
Actuariolum. - Piccola nave aperta, contenente non più di 18 rematori e talvolta attrezzata con vela.
Cymba. - Navicella il cui nome accennerebbe alla forma particolarmente concava. Era un vero legno peschereccio o una scialuppa al servizio delle grandi navi: di essa non mancano rappresentazioni figurate.
Lembus. - Piccola feluca a remi, leggiera e rapida, che serviva così per la navigazione fluviale come per il trasporto di persone dalla costa alle grandi navi che non potevano attraccare. Di maggiori dimensioni dovevano essere pertanto quei lembi che erano l'imbarcazione preferita dei pirati dell'Illiria.
Linter. - Navicella priva di chiglia, ma non a fondo piatto, manovrabile a remi, vero burchiello particolarmente usato per la navigazione fluviale. Di essa si hanno rappresentazioni su bassorilievi e musaici.
Myoparo. - Altra specie di canotto a vela e a remi, di invenzione greca e in uso dal sec. I a. C. Un musaico da Altiburo in Tunisia, ce ne fa conoscere esattamente la forma, con la lunga prua a voluta, la poppa tagliata verticalmente, e un solo albero: esso è un tipo intermedio tra il paron e il mydion (o musculus), che sono imbarcazioni dello stesso genere.
Ratis. - Oltre alla zattera, con questo nome si indicava anche una piccola chiatta a remi, che serviva soprattutto per la navigazione fluviale e lacustre e della quale il suddetto musaico ci dà pure una riproduzione.
Scapha. - Secondo Plinio (Nat. Hist., VIII, 20) sarebbe una navicella leggiera e priva di vela: assicurava le comunicazioni tra la costa e le navi da guerra o mercantili. Veniva rimorchiata dalla nave maggiore e sorvegliata da un marinaio, perché non si empisse d'acqua durante la navigazione: serviva anche come scialuppa di salvataggio in caso di naufragio. Da alcuni rilievi della colonna Traiana si arguisce che fosse usata anche nella navigazione fluviale. Gli antichi distinguevano inoltre delle scaphae piscatoriae e delle scaphae speculatoriae.
Di maggiori dimensioni, e forse non vere e proprie barche, erano le seguenti:
Akatos. - Tipo di nave a remi e a vela, con la prua rostrata e la poppa inflessa, usata dai pirati greci, ma indicata talora anche come nave da carico.
Celox. - Ne ignoriamo la forma precisa, ma probabilmente era una specie di brigantino con più banchi di rematori: da alcuni è considerato come una bireme.
Cercurus (o Cercyrus). - Agile vascello che si diceva inventato dai Ciprioti, di forma allungata, a remi e a vela, usato sia dai pirati sia come nave da carico. L'etimologia si deduceva dal nome dell'isola di Corcira o da quello di un pesce chiamato cercyrus.
Gaulus. - Imbarcazione mercantile e da preda, di forma tondeggiante e di stiva larga, particolarmente in uso sulle coste della Fenicia e dell'Asia Minore.
Bibl.: B. Graser, De Veterum re navali, Berlino 1864; E. Assmann, in A. Baumeister, Antike Denkmäler, s. v. Seewesen; E. Lübeck, Das Seewesen der Griechen u. Römer, Amburgo 1890-91; C. Torr, in Daremberg e Saglio, Dictionn., s. v. navis; A. Koester, Das antike Seewesen, Berlino 1923.
Storia medievale e moderna. - La barea dei tempi a noi più vicini ci viene descritta da T. Belgrano (Documenti riguardanti le crociate, ecc., Genova 1859, p. 6 segg.), sotto il nome di barca di cantiere, e il Guglielmotti ne riporta la definizione quasi ancor oggi valida: "Il maggior palischermo al seguito di una nave, costruito a dovere nell'arsenale pubblico dalle maestranze, per distinguerlo dagli altri palischermi fatti da privati costruttori a libito sulla piaggia, con molta economia e poca solidità: al contrario la barca di cantiere, forte, reggente, grande, e per questo, sempre tratta a rimorchio". Tale fu dipinta a fresco sulle muraglie di chiese e di palazzi e miniata sulla pergamena dei codici. Palischermo maggiore di ogni nave di altura la barca rimase dal Medioevo sino ai tempi moderni, e tale si mantiene anche oggi animata dal vapore, oppure dal motore a combustione interna.
Bartolommeo Crescenzio e poi Simone Stratico e il Parrilli, ambedue compilatori di vocabolarî marittimi, definivano la barca quale palischermo maggiore che ogni bastimento porta seco per imbarcare e sbarcare le cose più importanti, si trati di uomini, oppure di derrate; nonché per eseguire manovre fuori della nave, come per esempio salpare ancore, o anche affondarne, distendere gomene e ormeggi, fare l'acquata, cioè attingere acqua alle f0ntane della sponda, riempirne la stiva volante composta di bottame e portare l'acqua a bordo per poi versarla nelle casse di ferro, che sono la stiva ferma; caricare nei depositi dell'arsenale tutto ciò di cui ha bisogno la nave in allestimento e scaricarlo a bordo, ecc. Per servire a codesti scopi diversi, la carena della barca è foderata di rame; la prora è provvista di molinello e alla mezzania è situato un piccolo argano. In caso di sbarco essa è armata d'un cannoncino di bronzo per spazzare la spiaggia da suoi difensori; i suoi banchi da remo sono amovibili.
A trascinare a rimorchio la barca i marinai medievali dovettero tosto rinunciare, perché appena il tempo si faceva minaccioso la più elementare prudenza consigliava a tagliare il cavo di rimorchio e abbandonare la barca alla furia del mare. E proprio siccome era la più preziosa, perché più solida, unità del barchereccio (il quale termine collettivo abbraccia tutti i palischermi di bordo), (quel palischermo ordinario che sempre va avanti e indietro, battendo le acque del porto per i piccoli servigi del cuoco e dello spenditore) furono sottratti all'ira dei marosi col sospenderli alle grue disposte lungo l'esterno della nave, la barca, e con essa la lancia maggiore o bargio, destinata, come lo scappavia, al comandante, furono allogate nell'interno della nave sopra coperta, sui passavanti, vale a dire tra l'albero maestro e il trinchetto, l'una accanto all'altra, adagiate tra le rispettive morse, che sono pezzi di rovere bene avvitati sul ponte tra i passavanti nella linea della chiglia, destinati a reggere la barca e il bargio, quando ambedue sono stati tratti a bordo prima che la nave parta. Codesti pezzi di rovere sono intagliati in maniera da adattarsi alle forme di carena delle navicelle che debbono reggere.
Sulle navi minori (corvette e brigantini), la lancia maggiore si collocava dentro la barca, da cui erano stati rimossi i banchi di voga.
L'alzare dal mare e il situare la barca tra le morse, come anche la manovra opposta di toglierla alle loro strette e di farla calare in mare, erano due manovre di forza che al tempo dei vascelli e delle fregate del sec. XIX si praticarono sempre dopo l'arrivo nei porti e prima della partenza. Di questa manovra scrive il Parrilli (Vocabolario di marineria, I, p. 495): "Poiché questa manovra di mettere in mare la barca può eseguirsi tanto se il vascello sia sotto vela, quanto se stia ancorato, così supporremo il primo caso perché alquanto più difficoltoso. La barca di un vascello è assai pesante da alzare: e però essendo di necessità adoperarsi mezzi meccanici molto potenti occorrono specifici preparativi". E prosegue descrivendo la complessa operazione, che consisteva nell'arrestare il battello, nell'avvicinare i pennoni di maestra e di trinchetto in modo da situarli a una distanza uguale alla lunghezza della barca, nel fornire questi pennoni di speciali paranchi, detti di cima, e nel farli corrispondere ad altri due paranchi situati sotto le coffe dei rispettivi alberi (paranchi di straglio), nel far sollevare la barca, in cui s'inganciavano grosse spine di ferro; infine, con movimenti combinati delle due coppie di paranchi, nel sollevare la barca sino al livello della murata della nave, e nell'accompagnarla poi giù fino in mare. Una manovra inversa veniva compiuta per riportare la barca tra le morse.
Nella seconda metà del sec. XIX il numero delle barche fu raddoppiato a bordo delle navi, ormai cresciute di mole e per conseguenza fornite d'equipaggio più numeroso. Ve ne fu una sul passavanti di dritta e una su quello di sinistra: la prima a vela e a remi, la seconda mossa dal vapore. Nei secoli XVII e XVIII la barca era allogata nella batteria, cioè sotto la coperta, il che equivale a dire che tra i due passavanti e il castello di prora e il cassero di poppa non v'era un ponte corrente, ma bensì uno spazio aperto, nel quale si faceva discendere la barca per assicurarla tra le sue morse. La si metteva al riparo dalle intemperie coprendola con tavolati volanti. Riconosciuto poi quanto grave inconveniente fosse l'ingombro in batteria cagionato dalla barca per il maneggio delle artiglierie durante i combattimenti, essa venne situata sul ponte scoperto. (Per le sistemazioni presenti v. imbarcazione).
La barca propriamente detta era anche spesso chiamata barcaccia; codesto secondo appellativo non ebbe però mai nulla di intenzionalmente peggiorativo, e i due termini si usarono promiscuamente.
Si possono annoverare altre barche: la barca a tramoggia ha uno scafo di ferro, il quale riceve il limo ed i sassi che il cavafango le riversa. Una tramoggia che si apre e si chiude a volontà lascia cadere in acque alte, al largo, tutte le scorie. È invalso l'uso di chiamare bette codeste navicelle, con vocabolo di origine francese.
Certe barche a vapore che dapprima si compravano in Inghilterra e che ora si allestiscono dovunque, si chiamano tuttora barche White, dal nome del fornitore. In altri tempi il naviglio militare ebbe le barche cannoniere e più tardi le barche torpediniere. Nell'industria marittima della pesca sì contano ancora le barche coralline, a vela e a remi, armate generalmente a Torre del Greco, per la pesca del corallo. Si chiamano barche pescherecce quelle, pure a vela, che esercitano la pesca lungo le coste nazionali (v. pesca).