Barcellona
«Barcelona! Abre tus puertas al mundo» (Freddie Mercury)
Barcellona e l’Italia
di Marco Bozzer
3 gennaio
Un’inchiesta pubblicata dal quotidiano El Periodico rivela che la comunità italiana a Barcellona conta 21.655 residenti, con un aumento del 16% in un anno. Fra i nuovi arrivati, numerosi soprattutto i giovani, che spesso trovano nella dinamica città catalana le opportunità professionali che mancano in Italia.
Gli Italiani amano Barcellona
Lo si è capito in questi ultimi anni, in cui la presenza di nostri connazionali ha registrato un forte incremento, tanto che quella italiana sta per diventare la prima comunità straniera nella città. Le cifre parlano chiaro: secondo il censo consolare, nel marzo 2009 vivevano a Barcellona città circa 22.000 italiani, senza contare i residenti nei comuni limitrofi. Un incremento costante e inusuale, se raffrontato alle altre comunità straniere. Ne hanno parlato i giornali spagnoli e italiani, sono state pubblicate inchieste e interviste. Tutto per fare l’identikit dell’italo-barcellonese. Ne è venuto fuori un panorama composto soprattutto da giovani, dai 25 ai 40 anni, lavoratori nell’ambito della ristorazione, del turismo o dei numerosi call-center internazionali che hanno scelto la città catalana come sede del loro business. Da queste interviste si deduce che tra i motivi di tanto amore per Barcellona ci sono il clima mite, il mare in città e ovviamente la dinamicità economica e culturale di una regione, la Catalogna, prospera e all’avanguardia. L’immagine di cui gode Barcellona tra gli stranieri è quella di una città con un appeal particolare. L’offerta turistica è varia: dalla Sagrada Familia ai ristoranti sulla spiaggia, dal Museo Picasso alle discoteche più trasgressive, un mix di sacro e profano, di arte antica e di moderni grattacieli, di vita diurna e notturna. Alla fine, l’opinione di chi viene in vacanza, per qualche giorno o qualche settimana, ha generato un passaparola incessante. Secondo dati dell’assessorato del Turismo del Comune di Barcellona, la presenza di turisti italiani tra il 2004 e il 2007 è triplicata e rappresenta l’8,8% del totale dei turisti stranieri arrivati in città. In termini assoluti, nel 2007 è stata registrata la presenza di 1.600.000 italiani. Altro aspetto importante da tenere in considerazione è il contesto paese, la Spagna, fino alla metà del 2008 esempio di progresso, crescita economica e tolleranza. Oggi la crisi sta colpendo forte anche il paese iberico, soprattutto sul versante occupazionale (secondo i dati del secondo trimestre 2009, più di 4 milioni di spagnoli sono disoccupati). Malgrado ciò, a leggere i dati relativi all’arrivo di italiani, la difficoltà di trovare un impiego non sembra essere un ostacolo per chi desidera lanciarsi in un nuovo way of life alla catalana.
Anche televisione e cinema hanno giocato un ruolo importante in questa promozione di Barcellona. Nel 2006, una trasmissione televisiva di MTV Italia, Italo-spagnolo, condotta dallo showman Fabio Volo, ha diffuso l’immagine festiva e disincantata di una città che stava vivendo il suo periodo più dolce e dinamico. Il programma ebbe un’ampia ripercussione su un pubblico di giovani italiani alla ricerca di un eldorado dove realizzare il proprio sogno di vita e professionale. Due anni più tardi è stato Woody Allen con il suo Vicky Cristina Barcelona a proiettare nel mondo questa città dei sogni, senza contare una delle storie filmate da Giovanni Veronesi in Manuale d’amore 2, ambientata proprio a Barcellona. Infine, nel 2009, Alejandro González Iñarritu, regista messicano nominato all’Oscar nel 2007 per Babel, ha scelto Barcellona come sfondo per la sua ultima fatica, Biutiful, una storia il cui protagonista maschile è Javier Bardem. Insomma, anche la settima arte collabora nell’offrire un cocktail di informazioni che parlano di una città viva e bellissima. Ed è anche per questo che tale fenomeno di moderna emigrazione sembra destinato a crescere pur in periodo di crisi.
Una storia antica
La presenza di italiani a Barcellona risale a diversi secoli fa. Nel libro La casa degli Italiani. Storia della comunità italiana di Barcellona (casa editrice Mediterrània) pubblicato nel 2007 da Silvio Santagati, insegnante del liceo italiano di Barcellona, si legge che Francesco Guicciardini sbarcò in città nel 1511 e Giacomo Casanova passeggiò per la Rambla nel lontano 1768. La lista degli italiani che scelsero la città catalana per stabilirvi la loro residenza provvisoria comprende illustri scrittori come Vittorio Alfieri, Edmondo De Amicis e Luigi Pirandello, insieme a proprietari di hotel prestigiosi come l’Oriente e il Majestic. A proposito di alberghi, Santagati ha scoperto che l’hotel più antico di Barcellona, il tuttora esistente Cuatro Estaciones, fu fondato nel 1706 dalla famiglia Giuppini, di Novara. Trasformatosi poi in trattoria, ubicata nella famosa Rambla, fu in seguito gestito da altre famiglie italiane, i Primatesta e i Fortis.
Il seguito è storia dei nostri giorni. Dopo 40 anni di dittatura franchista, gli italiani si sono riavvicinati alla città anche grazie all’organizzazione delle Olimpiadi del 1992 e alla promozione che ne è derivata. Oggi la presenza italiana è molto radicata nel territorio. A Barcellona sono sempre più attive le nostre istituzioni, il Consolato generale d’Italia e l’Istituto italiano di cultura, oltre alla Camera di commercio italiana di Barcellona, la Casa degli Italiani e le diverse scuole (dall’asilo Montessori al liceo italiano passando per le elementari e le medie inferiori). In più, una nutrita rappresentanza di ristoratori e ristoranti, presenti in quasi ogni strada della città. Tutti contribuiscono a far sentire meno solo l’italiano che arriva qui. Vi sono poi quelli che amano talmente la propria terra da decidere di riunire in un’associazione i corregionali. Parliamo di due associazioni con sede a Barcellona, formate da emigranti di ultima generazione, una di sardi, l’altra di friulani. L’Associazione dei sardi in Spagna Salvador d’Horta, nata nel 1995 da un’iniziativa di Rafael Melis, Giancarlo Sorgia e Francesco Scanu, oggi conta 320 associati, quasi tutti residenti a Barcellona, e si dedica all’organizzazione di attività promozionali con lo scopo di far conoscere l’isola in terra catalana. Melis racconta che «l’associazione è un punto di riferimento per tutti i sardi emigrati in Catalogna, Aragona e Baleari in quanto organizza eventi in ambito culturale, turistico ed economico. Inoltre, anche grazie ai nuovi collegamenti aerei e marittimi tra Barcellona e l’isola, ci dedichiamo da qualche anno anche alla promozione della nostra gastronomia». Il Fogolar Furlan riunisce un centinaio di friulani stabilitisi nella città catalana. Secondo il presidente Livio Bearzi, il Fogolar nacque nel 2004 con il semplice scopo di riunire un gruppo di persone che gravitavano attorno all’allora unico ristorante friulano della città. «Fu allora che scoprimmo una realtà sorprendente fatta di imprenditori, ristoratori, liberi professionisti, insegnanti, in totale una cinquantina di persone originarie del Friuli stabilitesi in Catalogna soprattutto per ragioni professionali. La nuova emigrazione per scelta di vita, diversa da quella dei tanti friulani costretti a emigrare nei secoli scorsi per necessità». Questi moderni emigranti si sono dati da fare e ne sono nate iniziative di ogni genere, culturali, artistiche, gastronomiche.
Spagna o Catalogna?
Solo a Barcellona si parlano, secondo alcuni studiosi, oltre 220 lingue, frutto dell’emigrazione e della globalizzazione e sintomo dell’apertura al mondo di questa città. Ma le lingue ufficiali, a Barcellona e in Catalogna, sono due: nell’ordine il catalano e lo spagnolo. L’italiano che arriva qui per viverci o anche semplicemente per passarvi qualche giorno molto spesso non lo sa. Tra la gente del posto potrà trovare quelli che vogliono l’indipendenza della Catalogna dalla Spagna, altri che si accontentano di una forte autonomia fiscale, altri ancora che considerano sacra l’unità dello Stato spagnolo. Di certo c’è che il grado di autonomia di questa regione di 7 milioni di abitanti non può essere paragonato a quello delle nostre regioni autonome. Qui nelle scuole e nelle università si insegna in lingua catalana (ben lo sanno gli studenti Erasmus), la toponomastica è in catalano e c’è perfino una polizia autonoma, i Mossos d’Esquadra, diversa dalla polizia nazionale spagnola. Inoltre, il governo catalano ha competenza esclusiva sulla cultura, sul turismo e sulla casa. Lo spagnolo è solo lingua
co-ufficiale, anche se in una città come Barcellona formata da molti emigranti (provenienti dal resto della Spagna e dall’estero, compreso Sudamerica) è molto utilizzata, a differenza di quello che succede nell’entroterra catalano.
Capire Barcellona senza addentrarsi nella sua realtà catalana è veramente un compito arduo. Tra ‘catalanisti’ e ‘spagnolisti’ la polemica è sempre viva, il dibattito è sempre acceso. È cronaca degli ultimi anni, fra il 2006 e il 2009, la costituzionalità o meno del nuovo Statuto di autonomia catalano, in cui, tra l’altro, si definisce la Catalogna come una nazione e che è ancora all’esame della Consulta spagnola. Restando lontani dalle questioni più strettamente politiche, cerchiamo di capire gli aspetti culturali propri dei catalani, illustrati efficacemente in Barcelona (edito in spagnolo da Anagrama nel 1996), da Robert Hughes. Il critico d’arte australiano afferma che la chiave per capire il carattere catalano è l’equilibrio tra il seny (senso comune) e la rauxa (emozione incontrollata e viscerale), caratteristiche lontane dello stereotipo dello spagnolo, un po’ naif e orgoglioso.
Curiosa invece un’altra peculiarità del carattere catalano: la propensione all’uso della scatologica anche per attività innocenti. Scrive la giornalista italiana residente a Barcellona Claudia Cucchiarato che «in Catalogna esistono decine di proverbi che hanno a che fare con l’azione del defecare. Sotto Natale, il regalo più popolare è una figurina di terracotta che si chiama Caganer: un pastorello che, accosciato e con i pantaloni abbassati, si crede porti fortuna e concimi il muschio del presepe con il suo atto fisiologico.... E poi, il giorno di Natale i bambini catalani non corrono a guardare sotto l’albero per scoprire che cosa ha portato Santa Claus, ma prendono a bastonate un tronco di legno, decorato come se fosse uno gnomo e avvolto in una coperta, che si chiama Cagatió e, proprio come il nome suggerisce, defeca regali».
Per concludere, non si può omettere una diceria ben radicata tra gli spagnoli, ovvero il presunto attaccamento al denaro dei catalani, paragonabile alla definizione semplicistica che in Italia attribuiamo ai genovesi. Ma si sa, questo è il destino di tutti i popoli che hanno costruito la loro fortuna sul commercio. Parlando di economia e facendo un parallelo azzardato, possiamo paragonare Barcellona e la Catalogna al Nord-Est italiano. Oltre al turismo, l’industria più fiorente del capoluogo e della regione, la provincia di Barcellona, è stata quella tessile che ha vissuto un grande exploit ma che ora è in decadenza. Oggi, dal punto di vista produttivo, i settori più in auge sono quello chimico-farmaceutico e l’automobilistico, mentre sul fronte servizi prevalgono i settori dell’editoria e della logistica. Ne sono ovviamente al corrente alla Camera di Commercio italiana di Barcellona, ente fondato nel 1914, che ha tra i suoi obiettivi quello di favorire l’interscambio commerciale tra imprese italiane e spagnole. Il segretario generale della CCIB, Livia Paretti, è occupata in prima linea in questo compito di stabilire un ponte tra i due paesi: «oltre a fornire i classici servizi camerali alle aziende associate, che appartengono a settori come la ristorazione, edilizia, telecomunicazioni, tessile, chimico-farmaceutico e servizi vari, organizziamo eventi di promozione su due fronti: di aziende spagnole in Italia e di italiane in Spagna». Per un italiano che voglia venire a Barcellona e costituire una società, come hanno fatto molti in questi ultimi anni, la prima sostanziale differenza tra le due realtà è di carattere economico. Per la costituzione di una Società per Azioni (in spagnolo Sociedad Anónima), il capitale sociale minimo richiesto in Spagna è di 60.101 euro contro i 120.000 euro necessari per aprire una SpA in Italia. Lo stesso discorso vale per la Società a Responsabilità Limitata (SRL, in spagnolo Sociedad Limitada): in Spagna sono sufficienti poco più di 3000 euro contro i 10.000 euro dell’Italia.
Affinità gastronomiche
Tra i soci della Camera figurano molti ristoratori italiani e diversi importatori e distributori di prodotti alimentari made in Italy. Uno dei fattori di successo di Barcellona risiede infatti nella sua grande offerta gastronomica, che propone sia cucina tradizionale sia d’avanguardia, a prescindere dai molti locali per turisti che offrono piatti come le famose tapas e l’altrettanto celebre paella, che però non sono propri della tradizione barcellonese. Per quel che riguarda l’alta gastronomia, Barcellona è una città ad alta concentrazione di stelle Michelin. Anche le ragioni del successo del ristorante El Bulli di Ferran Adrià, lo chef considerato dai critici come il migliore del mondo, nascono nel pieno centro di Barcellona, al mercato della Boquería. Qui, Adrià e i suoi collaboratori acquistano la materia prima con cui preparano nel loro laboratorio i piatti che poi serviranno nel famoso ristorante di Roses, sulla Costa Brava. Sperimentazione e cucina di avanguardia non hanno però soppiantato i tradizionali piatti catalani. Il più classico è il pane con pomodoro (pa amb tomaquet), una bruschetta senza aglio che serve per accompagnare salumi e formaggi. Da non dimenticare i calçots, cipollotti coltivati unicamente in Catalogna che si servono alla brace con la salsa romesco a base di pomodoro, mandorle, nocciole, peperoni, olio e pane secco, oppure l’esqueixada, baccalà crudo con cipolla, pomodori e olive. In generale, visti gli ingredienti, un italiano che si siede a tavola a Barcellona si sentirà come a casa sua. Barcellona è Mediterraneo, con un clima simile a quello del Centro-Sud italiano e prodotti di qualità che si possono trovare a prezzi accessibili. In questo mare magnum di offerte culinarie, i ristoranti di cucina italiana hanno conquistato una notevole fetta di mercato. Riguardo all’origine del fenomeno, secondo Alessandro Castro, responsabile gastronomico dell’Istituto italiano di cultura di Barcellona, «all’epoca dei flussi migratori della fine del 19° secolo, alcuni degli italiani che si imbarcavano a Genova per emigrare in Argentina o negli Stati Uniti si fermarono qui a Barcellona, dove i transatlantici facevano scalo prima di attraversare l’Oceano Atlantico. Si trattava di uomini e soprattutto donne che, pentiti o forse impauriti per l’aver scelto terre tanto lontane, sbarcavano in questa città, arrangiandosi poi a fare la cosa più facile per un italiano: la pasta e la pizza». Ai nostri giorni, «prima i Mondiali di calcio del 1982 e poi le Olimpiadi del 1992 hanno attirato molti italiani, che hanno aperto i loro ristoranti qui». Le cifre non ufficiali parlano di oltre 160 ristoranti di cucina italiana o gestiti da italiani. Senza contare il recente proliferare di negozi gourmand, che importano direttamente dal nostro paese le specialità più prelibate. Su quali siano i legami tra gastronomia italiana e catalana, Castro indica tre piatti: «I nostri cannelloni qui sono diventati il piatto celebrativo delle festività. La sanfaina catalana (piatto di verdure a base di peperoni, melanzane, cipolle e pomodoro) è parente diretto della caponatina. E per finire il concetto importato dai genovesi del mar i muntanya, in cui si unisce in un solo piatto pesce e carne: il più diffuso qui è senza dubbio la seppia con le polpette di carne e patate». Ma non solo i consumatori catalani guardano con interesse alla nostra cucina, anche i cuochi più prestigiosi professano il loro rispetto e la loro ammirazione per il made in Italy culinario. A Santi Santamaria, chef con tre stelle Michelin nel suo Racò di Can Fabes, ristorante di Sant Celoni (Barcellona), abbiamo chiesto con quali aggettivi definirebbe la gastronomia italiana. «Ce ne sono diversi, ma mi limito a gustosa e divertente, appassionante e famigliare. E per quel che riguarda le materie prime, agli italiani invidio senz’altro la mortadella». Secondo Santamaria, che da tre anni ha aperto un ristorante anche nell’immediata periferia barcellonese, la cucina è prima di tutto emozione e la cucina italiana non fa eccezione.
Architettura e design
Se c’è chi arriva a Barcellona dall’Italia guidato dal suo amore per la gastronomia, c’è chi si vuole lasciar sedurre dalla creatività che sprigiona la sua architettura. Innanzi tutto i capolavori del Modernismo catalano di Antoni Gaudí (l’architetto-artista che ha disseminato Barcellona di opere straordinarie come Casa Batlló, Parc Güell, La Pedrera e la Sagrada Familia), Lluís Domènech i Montaner (sono suoi lo spettacolare Palau de la Música Catalana e l’ospedale di Sant Pau) e Josep Puig i Cadafalch (creatore dell’edificio poi ristrutturato dell’attuale CaixaForum). Recentemente hanno lasciato il loro segno in città architetti di fama mondiale. E tra il Museu d’Art Contemporani di Richard Meier, il grattacielo ‘avvitato’ del giapponese Toyo Ito, la torre Agbar di Jean Nouvel e la torre delle Telecomunicazioni di Norman Foster spunta il nome di un architetto italiano, Benedetta Tagliabue, che prima con il marito Enric Miralles e poi alla guida dello studio Miralles Tagliabue, EMBT, ha dato un contributo importante all’immagine della nuova Barcellona. Tra le sue opere più recenti, ricordiamo la ristrutturazione del centrale mercato di Santa Caterina, a pochi passi dalla Cattedrale, e il progetto del Parc Diagonal Mar, 14 ettari a ridosso del mare tra giardini ed edifici destinati a uffici e abitazioni. Insomma, il made in Italy della creatività ha fatto scuola anche qui. Se ci allontaniamo dall’architettura ed entriamo nell’universo design e moda, altri punti forti dell’immagine italiana, troviamo che una delle accademie più prestigiose del nostro paese, l’Istituto Europeo di Design, ha aperto proprio a Barcellona, nel quartiere di Gracia, uno spazio che ogni anno accoglie centinaia di studenti provenienti da tutto il mondo. Spiega le ragioni della scelta il direttore Alessando Manetti: «Abbiamo aperto una filiale qui perché consideriamo questa città un giusto punto di equilibrio tra qualità professionale e qualità di vita. Tutto ciò è tanto più importante se lo rapportiamo alle condizioni di uno studente che inizia un percorso legato alla creatività. Barcellona, inoltre, è un luogo dove si possono trarre fonti di ispirazione sia da forti tradizioni artistiche legate al passato come il modernismo o il surrealismo, sia da tendenze contemporanee legate alla moda, alla musica e alle arti sceniche rappresentate da molti eventi e festival». Per Manetti, Barcellona rappresenta una perfetta piattaforma dalla quale partire o collegarsi con altre grandi città europee come Parigi, Londra, Berlino o Milano. Ma perché questa città è così trendy? «Essendo una città relativamente ‘giovane’ nelle differenti discipline applicate al design e della moda, si nota un certo grado di freschezza concettuale, indispensabile nei percorsi formativi come il nostro». È certamente un invito stimolante per i creativi d’Italia.
Una città di storia e d’arte
Seconda città della Spagna, capitale della regione autonoma di Catalogna, Barcellona è posta sulla costa mediterranea della Spagna nord-orientale, fra il delta del fiume Ebro e i Pirenei catalani. Si estende lungo la costa da nord-est a sud-ovest, tra i corsi dei fiumi Besós e Llobregat ed è dominata a sud dalla collina del Montjuic (Mons Jovis); verso l’interno è chiusa dai rilievi costieri culminanti nel monte Tibidabo.
La storia
Nell’antichità romana, Barcino, situata sulla costa del Mare Balearicum, a sinistra della foce del Rubricatus, nel paese dei Leetani, apparteneva all’Hispania citerior. Secondo alcuni autori della tarda antichità il suo nome deriverebbe dalla famiglia cartaginese dei Barcidi, ma si tratta probabilmente di una falsa etimologia, poiché l’impero cartaginese non s’è mai esteso a nord dell’Ebro. Passata sotto il dominio romano all’inizio della seconda guerra punica, ai tempi d’Augusto divenne colonia romana ed ebbe il titolo, riportato da molte iscrizioni, di Colonia Faventia Iulia Augusta Patricia Barcino. Si trovava sulla via tra Gerunda (Gerona) e Tarraco (Tarragona). Non ebbe nell’antichità l’importanza di quest’ultima, ma fu comunque una città fiorente, particolarmente all’epoca degli Antonini e negli ultimi tempi dell’Impero. Come Almeria, era un centro minerario e portuale per l’estrazione e l’esportazione del piombo argentifero, industria a cui doveva la sua origine e la sua fortuna, prima ancora che avesse inizio il dominio romano. Sono stati infatti rinvenuti nel suo territorio cospicui resti di litargirio (ossido di piombo) provenienti dall’antico trattamento delle galene.
In età cristiana, Barcellona ebbe presto notevole importanza religiosa; la predicazione vi reclutò numerosi proseliti e, nel periodo delle persecuzioni, vi furono diversi martiri, come il vescovo s. Severo e s. Eulalia. Le successive invasioni dei Germani non rappresentarono – almeno in un primo tempo – un periodo di decadenza. Al contrario, Barcellona divenne sede della corte e del governo visigoto, una prima volta sotto Ataulfo, nel 415, e successivamente sotto Amalarico. Anche quando la capitale passò a Toledo (sotto Atanagildo), continuò a conservare grande importanza, come provano sia i concili che vi furono celebrati, nel 540 e nel 589, sia la qualifica che Quirico, arcivescovo di Toledo, le dava di città augusta ed eminente.
Il commercio del porto risentì della conquista musulmana, l’attività e la ricchezza della città furono dimezzate, ma Barcellona continuò a rimanere un centro importante. La lontananza da Cordova permise anzi ai governatori musulmani della città di assumere un atteggiamento di semi-indipendenza; non mancarono anche rivolte interne (come quella del 781) a riprova che lo spirito della popolazione era tutt’altro che fiaccato.
La riconquista del Nord-Est della penisola Iberica caduta nelle mani dei Saraceni fu opera dei Franchi, che, dopo aver cacciato dalla Settimania, nel regno d’Aquitania, i Musulmani invasori sconfitti a Poitiers (732), cominciarono a compiere spedizioni fortunate nei territori che dovevano poi costituire lo Stato catalano. Evento principale della lotta fu, sotto Carlomagno, la capitolazione di Barcellona (801), caduta in potere di Ludovico il Pio re di Aquitania. La vittoria portò i limiti della terra catalana riconquistata al fiume Llobregat (a sud della città) e tutto questo territorio peninsulare venne incluso in una grande Marca che si estendeva dal Rodano all’Ebro, da Tolosa a Barcellona. In base alla divisione dell’impero fatta da Ludovico il Pio con l’Ordinatio dell’817, la Marca fu a sua volta suddivisa in Marca di Gotia, o di Settimania, e Marca di Tolosa, ognuna formata da più contee. Della prima facevano parte Barcellona, Gerona, Empuries e altri centri minori; uno dei conti aveva il comando supremo militare di tutta la Marca con il titolo di marchese.
Il marchesato della Gotia fu tenuto dai conti di Barcellona, che ne era la città principale, con il titolo di beneficiari e poi di ereditari. Il primo conte-marchese della Gotia fu Bera, figlio di Guglielmo I duca di Tolosa (801-20). Dopo di lui, il franco Bernardo (826-29 e 834-44) rimase immischiato nelle vicende turbolente per la divisione dell’impero sotto Ludovico il Pio: dapprima vinse Aizo che, ribellatosi contro la dominazione franca, minacciava Barcellona, e successivamente i Musulmani che compirono una razzia nelle contee di Barcellona e Gerona (826-27). Oltre a essere supremo gerarca militare della Marca, Bernardo si annetté le contee di Gerona e Besalú, anticipando così il processo formativo di quella che doveva essere in seguito la Contea di Barcellona. Altri conti di Barcellona furono Alderán, che combatté contro i Mori (848-52); Unfredo (857-58) che, avendo tentato di ribellarsi ai Carolingi, fu deposto da Carlo il Calvo; Salomone (858-71); Vifredo (871-98), valoroso combattente contro i Mori ed eroe nazionale nella storia catalana: fu sotto di lui che si compì il primo passo verso l’unità politica della Catalogna.
Alla sua morte, i domini furono ripartiti tra i figli: successore nelle contee di Barcellona-Ausona e Gerona fu Vifredo II (898-914), cui seguì Suniario (914-50); entrambi allargarono a sud la Contea di Barcellona. A loro successe Borrell II (950-92), uno dei più insigni sovrani della dinastia comitale, il quale inizialmente governò la Contea di Barcellona insieme con il fratello Miró (950-66). Borrell, che sposando Ledgarda, figlia del conte d’Alvernia, diede inizio alla politica oltrepirenaica dei conti catalani, nei primi tempi ebbe buoni rapporti con i califfi di Cordova, ma dopo la morte di al-Hakam dovette sostenere un’aspra guerra con il celebre capo al-Mansur che saccheggiò Barcellona (985). Il conte chiese inutilmente protezione al re Lotario; ebbe invece promessa di aiuto da Ugo Capeto a condizione che ne riconoscesse l’autorità. Borrell rifiutò di prestargli omaggio feudale e per questo motivo è considerato come il primo sovrano catalano indipendente, anche se in realtà un sentimento di indipendenza dall’indebolita monarchia francese veniva elaborandosi da tempo. D’altronde ancora per parecchi anni ci fu un riconoscimento implicito di sudditanza: fino al 1180 circa, per esempio, non sparì nell’antica Marca hispanica la consuetudine di datare i documenti secondo gli anni dei re francesi. In concomitanza con l’affermarsi della Contea di Barcellona tornò a fiorire l’attività economica cittadina: ne è testimonianza la menzione nel 990 del mercato di Barcellona, posto fuori delle mura in luoghi e giorni fissati dal conte. Nel 10-11° secolo si sa che il porto era già provvisto di un faro.
La potenza dei Conti continuò ad affermarsi sotto i successori di Borrell II: Raimondo Borrell (992-1018), che andò a Roma forse per chiedere aiuto contro i Mori, estese le sue conquiste sui territori catalani e guidò una vittoriosa spedizione a Cordova; Raimondo Berengario I (1018-28) durante un governo più o meno pacifico organizzò la difesa delle frontiere ed elargì privilegi ai sudditi. Ma fu specialmente dal 1035 al 1162 che la Contea di Barcellona diventò il centro politico della Catalogna cristiana. Non soltanto furono unite con Barcellona le contee di Ausona e Gerona, ma pure Empuries e Pallars erano feudatarie del conte di Barcellona; i piccoli re mori gli pagavano tributo ed egli approfittò così dell’indebolimento del potere musulmano in Spagna, cagionato dallo scioglimento del califfato cordovese.
Con Raimondo Berengario III il Grande (1096-1131) si accrebbero la potenza marittima catalana e l’espansione nel Mediterraneo, con le spedizioni delle Baleari. Raimondo Berengario IV il Santo (1131-62), sposando Petronilla d’Aragona nel 1137, unì la Contea di Barcellona con l’Aragona. Cacciati i Mori dai loro ultimi rifugi (Tortosa, Lerida), la storia della Contea di Barcellona diventò la storia della Catalogna, poiché, quantunque sussistessero ancora altre contee catalane di vita più o meno effimera, esse caddero tutte nell’orbita del conte di Barcellona. Conseguenza dell’unione tra la Catalogna e l’Aragona fu che lo Stato catalano impresse il suo carattere alla Confederazione: la politica posteriore dei conti-re, con la conquista delle altre terre di lingua catalana (Baleari e Valencia) e l’espansione marittima, fu il proseguimento diretto della politica iniziata sotto i conti di Barcellona prima dell’unificazione.
Nel 12° secolo si pattuirono trattati di commercio e di navigazione con i Genovesi; nel 1250, per opera di Giacomo I, con il sultano d’Egitto. I frutti di questa politica commerciale non tardarono a farsi sentire: nel 1272 i Catalani (e specialmente i Barcellonesi) avevano un loro console ad Alessandria d’Egitto, mentre a essi era dovuto, per riconoscimento degli stessi sovrani, gran parte dello sviluppo del commercio nell’Aragona, nella Catalogna e a Valencia. Barcellona era divenuta il deposito generale delle merci d’Oriente, soprattutto spezie, del cui commercio si occupava un collegio speciale di mercanti. I Barcellonesi avevano scambi con Narbona, Montpellier e Marsiglia, con Genova, Pisa, Roma, Napoli e Venezia, con la Sardegna, la Sicilia, Malta e l’Africa settentrionale (Marocco, Tunisi), con Candia, Cipro, Rodi, Ragusa e Costantinopoli; godevano di privilegi a Siviglia e facevano da tramite fra il Portogallo e le Canarie.
Le tariffe menzionate nelle Cortes di Barcellona del 1379 possono dare un’idea dell’estensione del commercio catalano, che ebbe anche una speciale salvaguardia giuridica nel Consulado de mar, istituito dal re don Martín nel 1347. Era un tribunale speciale con competenza su tutte le controversie marittime e commerciali, in base a un diritto consuetudinario, codificato nel 13° secolo e diffuso a lungo in tutto il Mediterraneo. Di pari passo si svilupparono i cambi del denaro prima per opera di Italiani, in particolare lombardi, poi, nei secoli 13° e 14°, di Ebrei e di Catalani. La vita culturale vide un periodo di grande splendore, particolarmente durante i regni di Giacomo II, Pietro IV e Giovanni I d’Aragona: anche per impulso dei sovrani si cominciarono ad avvertire i segni precursori del Rinascimento. Si costituì pertanto un vigoroso organismo cittadino, che attraverso il Consiglio dei Cento assunse netto colorito politico, oltre che amministrativo, e attraverso la Generalitat de Catalunya rafforzò ancora il suo carattere di capitale vera e propria della regione.
Gli effetti del grande progresso economico e politico di Barcellona, e della sua importanza in seno alla Confederazione catalano-aragonese, si fecero sentire sulla politica estera dei re d’Aragona: infatti il disegno di espansione mediterranea che questi re perseguirono fu sostenuto, ben più che dalle popolazioni propriamente aragonesi, dai Catalani e quindi in prima linea dai Barcellonesi. La conquista delle Baleari (1229-30), la politica di Pietro III, l’acquisto della Sardegna furono manifestazioni di un espansionismo economico e politico che trovò la sua vera e salda base nell’attività di Barcellona. La città favorì le imprese dei suoi sovrani, accordando appoggio di uomini e di denaro anche per la conquista di Valencia e di Murcia e per le guerre contro i Genovesi, come nel 1352-54.
Non mancarono neppure i contrasti con i Castigliani: famosa la battaglia navale del 1358, nel porto di Barcellona, tra la flotta castigliana, comandata dallo stesso re Pietro il Crudele e assai più numerosa, e quella catalana, risultata vincitrice. Si formavano così quello spirito di indipendenza e quella volontà di autonomia che hanno sempre caratterizzato la permanenza dei Barcellonesi all’interno dell’unità spagnola. Una prima, grande manifestazione dello spirito autonomistico della città si ebbe nel 15° secolo. L’occasione fu dovuta al dissidio tra il re Giovanni II d’Aragona e il suo figliastro, principe di Viana, che le Cortes aragonesi avevano riconosciuto come erede al trono. Quando giunse notizia che il re lo aveva fatto imprigionare, Barcellona e la Catalogna si ribellarono; né si contentarono della liberazione del principe, che il re dovette concedere, ma gli giurarono fedeltà come principe ereditario e imposero a Giovanni II di nominarlo governatore generale di tutti i suoi Stati, con la particolare clausola che nel principato di Catalogna fosse assoluto signore. Il principe morì poco dopo con sospetto di veleno e questo fu l’inizio di una formidabile ribellione dei Barcellonesi e dei Catalani contro il re. La lotta durò dieci anni (1461-72) ed ebbe larghe ripercussioni anche fuori dalla Spagna; i cittadini offrirono la Contea prima al re di Castiglia e poi a Pietro connestabile di Portogallo. Morto anche quest’ultimo, nel 1467 i capi del governo catalano non furono concordi: alcuni di essi volevano tornare all’obbedienza al re di Aragona, altri propendevano per la fondazione di una repubblica indipendente a imitazione delle repubbliche italiane. Ma nessuna di queste posizioni prevalse e la corona fu offerta al conte di Provenza Renato duca d’Angiò, rappresentato dal figlio Giovanni II di Lorena. Trascorsi ancora alcuni anni di dura lotta, infine, nel 1472, la città si sottomise a Giovanni II di Aragona. Fu accordato un perdono generale; il re approvò e confermò gli atti compiuti dal governo della città per un decennio e i decreti emessi durante la guerra, e l’anno seguente entrò trionfante a Barcellona.
La città rimase invece tranquilla durante il regno di Carlo V (1516-56), mentre nella Castiglia si sollevavano i comuneros e a Valencia e a Murcia i germanados. Effettivamente, la politica imperiale, se era rovinosa per tanta parte della Spagna, apportava grandi vantaggi a Barcellona. La città era infatti il punto di partenza e d’appoggio di quel sistema politico-finanziario che, attraverso Genova, legava la Lombardia e la Germania alla penisola iberica: convogli d’armati e più tardi galeoni carichi d’oro e d’argento, che costituirono sempre più il nerbo vitale delle imprese di Carlo V, partirono periodicamente dal porto verso l’Italia e di qui per la Germania. Fu questo un periodo di intensissima attività del porto e quindi di acquisto di ricchezze per la cittadinanza.
I Barcellonesi estesero in quel tempo il loro commercio alla Fiandra e di lì all’Inghilterra e poi alla Germania, specialmente Augusta e Norimberga. L’ampia rete di relazioni diede impulso alla istituzione bancaria Taula de Canvi (il cui primo ordinamento è del 1401), che si sviluppò notevolmente assorbendo gran parte delle fortune pubbliche e private. Il porto era regolarmente frequentato dalle navi più grandi che allora solcassero i mari, imbarcazioni di oltre 200 tonnellate di carico e di valore ingentissimo, data la natura del commercio in quel tempo. Tutto questo attraeva verso la città, alle sue fiere periodiche, mercanti italiani, provenzali, francesi e tedeschi, che vi trovavano colonie stabili di loro connazionali. Ebbe un incremento anche la cittadinanza, che già nel 1491 raggiungeva le 38.000 unità, mentre il preventivo dei redditi municipali era messo all’incanto per 55.050 libras. Barcellona era una grande città, con case di marmo a tre e quattro piani e con un efficiente sistema di fogne, cosa del tutto insolita nella Spagna d’allora. Nello stesso tempo, si consolidava l’organizzazione tecnica commerciale: nel 1535, si costituiva la prima società d’assicurazione marittima vera e propria, los Seguros Maritimos.
Diversamente si presentarono le cose quando, attenuata la politica di espansione del regno e ridotta l’importanza politico-economico-finanziaria della città, si cominciò ad avvertire il peso della fiscalità regia e – fatto grave soprattutto per i Catalani – della politica assolutistica e centralizzatrice della monarchia. I primi contrasti si ebbero già nel 1626 e nel 1632; il 12 maggio 1640 scoppiò una prima rivolta e infine il 6 giugno, giorno del Corpus Domini, avvenne la grande sommossa, in cui fu assassinato lo stesso viceré, conte di Santa Coloma. La rivolta del 1640, come già quella del 1461 contro Giovanni II d’Aragona, si inserì nel quadro della politica internazionale: infatti la Francia, in guerra con la Spagna, aiutò validamente gli insorti, e questi a loro volta, dopo aver proclamata la repubblica, si decisero a riconoscere la sovranità del re di Francia. Solo nel 1652 la ribellione ebbe fine, con la resa dei Barcellonesi. Ma le vicissitudini belliche di Barcellona non erano ancora concluse: nel 1697, nelle guerre tra Francia e Spagna, la città fu bombardata e presa dai Francesi, che vi rimasero dall’agosto al gennaio 1698; poi, nella guerra di successione di Spagna, Barcellona, dichiaratasi con la Catalogna in favore dell’arciduca d’Austria, Carlo, fu assediata da Filippo V, nel 1706.
I Barcellonesi si difesero disperatamente e l’assedio durò fino a settembre 1714. Una volta entrato in città, Filippo V distrusse tutto il quartiere della Ribera, edificandovi la Cittadella, bruciò gli stendardi della Catalogna, abolì i privilegi di Barcellona, disciolse la Deputazione e il Consiglio dei Cento e perseguitò i difensori della causa catalana.
Dopo questo crollo, una ripresa dell’attività e della prosperità cittadina si ebbe solo sotto i Borbone. La lavorazione dei tessuti di cotone diede nuovo alimento all’industria cittadina: la prima manifattura sorse nel 1746, nel 1767 ve ne erano già più di 20. Fonte di grandi benefici e di rinnovato sviluppo del porto fu il decreto del 1778 che concedeva a tutti gli Spagnoli il diritto di commerciare liberamente con l’America, abolendo il regime monopolistico della Casa de Contratación di Cadice.
L’invasione francese (Barcellona fu occupata nel febbraio 1808 e rimase in potere di Napoleone fino al 1813) e le guerre civili degli inizi del 19° secolo arrestarono momentaneamente il rigoglioso sviluppo economico della città, ma nella seconda metà del secolo l’ascesa riprese rapida. Nel 1858-68 venne abbattuta l’antica cinta di mura e la città si estese fino a incorporare le borgate vicine; nel 1888 e nel 1929 si tenne l’Esposizione universale, che diede testimonianza della forte attrezzatura economica della città. Oltre al porto, continua fonte di ricchezza, anche un forte sviluppo industriale poneva i Barcellonesi alla testa della Spagna e faceva della loro città il massimo centro di produzione della penisola iberica.
Alla ricchezza commerciale si accompagnava il fervore politico. Nel corso del 19° secolo vi furono ripetute sollevazioni autonomiste, con rivendicazioni economico-sociali molto avanzate. Nel 1909 si ebbero violente agitazioni anticlericali, duramente represse con l’intervento dell’esercito. Centro di un grande movimento anarco-sindacalista, durante la Guerra Civile Barcellona divenne il fulcro della resistenza antifranchista della Catalogna ma vide anche violenti scontri tra i comunisti da una parte, gli anarchici e i trotzkisti dall’altra. Dopo essere stata pesantemente bombardata, anche dall’aviazione italiana, con migliaia di vittime, fu occupata il 26 gennaio 1939 dai falangisti.
Il regime di Franco represse ogni istanza autonomistica della Catalogna, combattuta anche promuovendo una massiccia immigrazione interna dalle altre regioni della Spagna, in modo da rafforzare la componente castigliana a discapito di quella catalana. Barcellona attraversò in quegli anni un periodo di decadenza sociale e culturale, dalla quale si è ripresa a partire dagli anni 1970, al termine della dittatura, mentre veniva ricostituita la Generalitat de Catalunya e varato un nuovo statuto di autonomia, approvato tramite referendum nell’ottobre 1979, entrato in vigore nel gennaio 1980 e ulteriormente rafforzato nel 2006. Metropoli tipicamente ‘regionale’ per questa grande determinazione posta nell’affermare e rivendicare sempre maggiore autonomia alla propria comunità, Barcellona è anche metropoli nazionale e ancor di più transnazionale, poiché la sua area di interessi e la fitta rete di relazioni travalicano abbondantemente i confini della Spagna per estendersi a gran parte dell’Unione Europea. Oggi la metropoli catalana, oltre a costituire, come sempre, uno dei massimi centri industriali della Spagna, si qualifica soprattutto come sede di attività terziarie e quaternarie tra le più avanzate. Nel bacino mediterraneo, e in modo particolare in quell’‘arco latino’ che studi di regionalizzazione condotti dall’Unione Europea hanno individuato tra le macroregioni europee, Barcellona costituisce, con Milano, il polo di maggior peso, e, in qualche misura, tende ad assumerne la funzione di capitale, come dimostra il fatto di essere stata scelta quale sede di importanti incontri internazionali in tema di politica ambientale ed economica.
Architettura e arte
Della città romana rimangono abbondanti testimonianze: mura, edifici religiosi e civili, sculture, mosaici, iscrizioni ecc. L’insieme più importante è offerto dai resti della cerchia delle mura, che si può riconoscere in quasi tutto il suo perimetro. Era di pianta approssimativamente quadrangolare. All’interno di essa si scorge ancora chiaramente la pianta fondamentale della città romana (Foro, cardo e decumanus) di epoca tarda, quale era in età di poco posteriore alla prima grande invasione germanica. La cinta era munita di una grande quantità di torri – in tutto circa 75 – quasi tutte a sezione rettangolare, tranne quelle collocate agli angoli, che erano semicircolari; erano distribuite regolarmente a una distanza media l’una dall’altra di circa 10 metri. Ne restano ancora grandi tratti, conservati in quasi tutta l’altezza originale, come la porta dell’odierna Plaza Nueva o il tratto della Plaza de Berenguer el Grande.
All’età medievale risalgono molte delle chiese più importanti della città, a cominciare dall’imponente cattedrale di S. Eulalia, nel cuore della città vecchia, il Barri Gotic: consacrata nell’878 e ricostruita nel 1058; l’edificio attuale, iniziato nel 1298, è stato completato nel 1541; la facciata principale, moderna, è di stile gotico. L’interno, a tre navate, è suggestivo per lo slancio delle volte ogivali, con deambulatorio e cappelle poligonali. Nella cripta, costruita da Jaime Fabré (1327-38), si trova la tomba di s. Eulalia, di scuola pisana (1339). Nel tesoro si conservano preziosi cimeli come il Messale miniato, detto di s. Eulalia, del 15° secolo; croci processionali ecc. Dopo la cattedrale la chiesa più importante è S. Maria del Mar (1329-83), che con le sue tre navate con deambulatorio è la più bella espressione del gotico catalano: peculiare il fatto di essere stata costruita a spese dei fedeli della sua parrocchia, ai quali tuttora appartiene, in orgogliosa contrapposizione con S. Eulalia, considerata la cattedrale del clero e dell’aristocrazia. Sempre nella città vecchia si trova la Madonna del Pi, del 14° secolo in stile gotico puro, a una sola navata.
La chiesa più antica è S. Paolo del Campo (10°-12° secolo), a croce greca con cupola ottagonale e facciata romanica; aveva simile struttura S. Pietro de las Puellas, anch’essa risalente al 10° secolo ma, più volte distrutta, è attualmente in gran parte un edificio moderno. Notevoli anche S. Lazzaro, romanica, e S. Anna, del secolo 12° (con chiostro del secolo 14°). Sono da ricordare inoltre: S. Agata (secoli 13°-14°), i SS. Giusto e Pastore e S. Maria del Pino (15° secolo), tipiche costruzioni catalane, nonché il monastero di S. María de Pedralbes, fondato nel 1326, bellissimo complesso gotico-catalano.
Il centro di Barcellona gravita attorno alle Ramblas, cinque viali alberati che formano un’unica strada di oltre un chilometro e si concludono praticamente in mare. I più notevoli edifici civili sono il Palazzo della deputazione di Catalogna, che ha un nucleo gotico e altre parti del 16° secolo; l’Ayuntamiento, degli inizi del 15° secolo; l’Audiencia, elegante palazzo gotico della metà del 15° secolo; il palazzo del viceré (Antonio Carbonell, 1549-55), quello della Contractación (1772, racchiudente la Lonja, eretta nel 1383), varie case private (di Gimnas, 15° secolo, e di via del Pino, 16°).
Dopo la fioritura rinascimentale e le notevoli realizzazioni che hanno segnato i secoli 18° (resti della cittadella, 1714-19; impianto di Barceloneta, 1753) e 19°, con il piano di rinnovamento urbanistico di I. Cerdá (1859), l’altra grande stagione architettonica di Barcellona è quella legata al Modernismo, segnata oltre che dalla grande personalità di Antoni Gaudí (palazzo Güell, 1886-89; case Calvet, 1898-1904, e Milá, 1906-10; parco Güell, 1900-14; la chiesa incompiuta della Sagrada Familia, in costruzione dal 1883 ecc.), dall’opera di Lluís Domènech i Montaner (Palau de la Música Catalana, 1904-08) e Josep Puig i Cadafalch (case Amattler, 1900, e Macaya, 1901; edifici per l’Esposizione delle industrie elettriche, 1915, trasformati poi per l’Esposizione universale del 1929 ecc.).
A questa stagione fece seguito quella non meno feconda degli anni 1930 che videro la realizzazione di limpide opere razionaliste, dai padiglioni per l’Esposizione del 1929 di Ludwig Mies van der Rohe alle opere del GATCPAC (Grup d’Artistes i Tècnics Catalans per al Progrés de l’Arquitectura Contemporània). A questa organizzazione dell’avanguardia architettonica, fondata a Barcellona nel 1929 principalmente a opera di Josep Lluís Sert e Josep Torres Clavé, si devono, oltre al progetto di rinnovamento del piano regolatore (1932-34), la Casa Bloc a Sant Andrei (1932-36), le case per il fine settimana a Garraf (1935), il Dispensario antitubercolare (1934-36) e vari altri progetti (Ciutad obrera de repos i vacances, 1934; piano Maciá per Barcellona, 1932-34, con Le Corbusier).
Dopo la stasi nel periodo di Franco, l’attività urbanistica e architettonica è ripresa vivacemente dagli anni 1980, con il concorso dei più significativi architetti catalani e internazionali (Josep Antoni Coderch, Oriol Bohigas, David Mackay, Juan Martorell, Antonio Bonet, Jaume Bach, Gabriel Mora ecc.). L’importante occasione della scelta di Barcellona come sede delle Olimpiadi del 1992 ha avviato un processo di apertura della zona orientale della città verso il mare con la creazione del nuovo villaggio olimpico e un esteso piano di riqualificazione urbana. Il villaggio, successivamente riconvertito in quartiere residenziale, ha costituito il vero fulcro del rinnovamento e, insieme alla passeggiata, alle spiagge e al porto turistico, è diventato un esempio emblematico di qualificato utilizzo pubblico degli spazi urbani come luoghi progettati, attrezzati e funzionalmente studiati.
I Giochi olimpici non hanno però costituito un momento isolato, ma al contrario sono stati l’opportunità per avviare un processo di pianificazione a lungo termine, che ha interessato sia le aree centrali sia le zone periferiche. I lavori effettuati non sono stati limitati a eventi temporanei o visti semplicemente in funzione turistica, ma hanno puntato al raggiungimento di obiettivi durevoli anche per i residenti. La città ha così pianificato la conservazione e il rinnovamento del suo tessuto edilizio mantenendo una posizione di primo piano tra i principali centri europei. Importanti restauri di edifici monumentali si sono alternati alla realizzazione di nuovi progetti: tra i primi si segnala il Gran Teatre del Liceu, andato a fuoco nel 1994 e accuratamente recuperato nel 1999, e tra i secondi la Concert Hall e l’Auditorium (1999) di Rafael Moneo, ai margini della griglia ottocentesca della città, e il Teatro Nazionale di Catalogna (1998) di Ricardo Bofill. Tra gli interventi a scala urbana si ricordano quello progettato da Albert Viaplana e Helio Piñon per il Moll d’España (1995), comprendente spazi pubblici e nuovi edifici di carattere ricreativo, e quello destinato a coinvolgere tutta la zona di Les Glories, con torri progettate da Dominique Perrault, Jean Nouvel (Torre Agbar, 2005) ed Enric Miralles, concepite come nuove emergenze per la Barcellona del 21° secolo.
Una ulteriore spinta al rinnovamento si è avuta con il Forum Universal de las Culturas (2004): promosso dall’UNESCO come momento di dibattito sui grandi temi della pace, della diversità culturale e della sostenibilità, è stato assegnato a Barcellona già dal 1997 e ha coinvolto l’intera città con una nutrita serie di eventi. Il fulcro logistico della manifestazione è stato individuato nella zona orientale, alla fine della Avinguda Diagonal, il lungo asse viario obliquo che, dal lato del mare, finiva in una zona degradata fatta di quartieri popolari, impianti di depurazione e centrali energetiche. Il progetto ha portato al prolungamento della stessa Diagonal che oggi si conclude con una enorme piazza rialzata di 140.000 m2 progettata da José Antonio Martínez Lapeña ed Elías Torres Tur e caratterizzata da una superficie asfaltata multicolore, leggermente in pendenza verso il mare, sovrapposta alle strutture e alle infrastrutture sia preesistenti sia nuove. Il segno architettonico più forte e visibile è l’enorme pensilina che sostiene una serie di pannelli fotovoltaici – in ossequio a uno dei punti cardine del Forum 2004, la sostenibilità ambientale – e crea una zona d’ombra sull’ampia gradinata di accesso al mare. L’intera piazza funziona così come una grande centrale di produzione di energia solare. Tra le molte e diverse funzioni ospitate dal complesso si segnala in particolare lo zoo marino, al cui interno spicca il padiglione della biodiversità progettato dallo studio olandese MVRDV. Al centro dell’intervento è un grande isolato progettato dagli svizzeri Jacques Herzog e Pierre de Meuron, un complesso di 28.000 m2 dove si è svolta gran parte dei lavori del Forum e al cui interno vi sono anche un auditorium di 3200 posti e uno studio di produzione televisiva. Non lontano è stato anche realizzato il Centro congressi internazionale (2004), progettato dallo studio spagnolo Map Architects diretto da Josep Lluís Mateo. La riqualificazione della zona ha inoltre favorito la rivalutazione di una serie di lotti liberi che sono stati oggetto di importanti interventi privati. Il principale e più discusso, la cosiddetta Diagonal Mar, è stato sviluppato dal gruppo immobiliare americano Hines e comprende alcune torri, un centro commerciale (87.000 m2), edifici residenziali di lusso, uffici e 14 ettari di parco (il terzo di Barcellona), progettati rispettivamente da Robert Stern, da Oscar Tusquets e dall’italiana Benedetta Tagliabue, titolare dello studio EMBT.
I musei
Barcellona può vantare molti importanti musei. I principali sono il Museo archeologico; il Museo nazionale d’arte catalana, che conta un’importante sezione di arte romanica e una di arte gotica, nella nuova sede del Palau nacional allestita da Gae Aulenti; il Museo Marés (scultura e arti suntuarie dal 12° al 16° secolo); la Collezione Cambó (pittura italiana dei secoli 14°-16°); il Museo d’arte moderna; il Museo Picasso; la Fondazione Joan Miró (di Sert); il Museo storico della città di Barcellona; il Museo diocesano, con collezioni di pitture e sculture dei secoli 13°-18°; il Museo della Marina. Tra le sedi più recenti di istituzioni culturali, di eccezionale interesse è il MACBA (Museu d’Art Contemporani de Barcelona), progettato da Richard Meier (1995) nel quartiere di Raval, con le sue trasparenze e le bianche facciate.