BARDATURA (fr. barde, harnois; sp. barda, arnés; ted. Pferdharnisch; ingl. trappings)
Significa ora il finimento completo del cavallo da sella, e significò in passato la sua completa armatura acconciata in modo da difenderlo tutto.
Se l'uso delle briglie e del morso va certamente riportato fino ai tempi preistorici, soltanto in età storica dovettero introdursi tutti quegli altri elementi che, mentre da un lato completano la difesa del cavallo in guerra, costituiscono insieme d'altro canto il suo ornamento. I primi ad usarli dovettero essere i popoli dell'Oriente: ché da questi appunto essi vennero alla Grecia e a Roma. Senofonte (De re eq., XII, 8) consiglia di applicare al cavallo non solo una protezione della fronte (προμετωπίς, frontale), ma altresì una del petto (προστερνίδιον, pectorale), e una dei fianchi (παραπλευρίδια): tali elementi dovevano essere o di cuoio o più spesso di metallo; il frontale si attaccava alla briglia e la panciera e i fiancali si attaccavano ad una coperta che serviva da sella ai cavalieri. Talvolta si faceva pendere dal collo del cavallo anche un pettorale. Degli esemplari rinvenuti, i più semplici sono in bronzo, ma molti anche, provenienti particolarmente dalla Russia meridionale, sono di metalli preziosi (oro e argento) finemente decorati: la decorazione ha quasi sempre, come è naturale in tali elementi di armatura, un carattere apotropaico, e comprende teste coperte da elmo o protomi di Gorgone. Ma non erano soltanto queste parti destinate alla protezione del cavallo le uniche a essere decorate: anche le briglie e le cinghie della testiera erano sovente ornate di borchie in metallo, di pietre preziose e di placchette in avorio.
Relativamente tardi, e soltanto dietro l'esempio degli Orientali, s'introdusse invece l'uso di un panno o gualdrappa (ephippium), che facesse da sella; assolutamente sconosciute nell'antichità furono sempre le staffe.
Che la cavalleria romana nei tempi repubblicani e nei primi tempi imperiali usasse anch'essa normalmente di tali bardature non pare: per lo meno non ne abbiamo alcuna sicura testimonianza. Le stele di cavalieri, provenienti particolarmente dalle provincie del Reno e del Danubio e dalla Britannia, e riproducenti l'immagine di soldati delle ale ausiliarie ci mostrano una certa ricchezza di ornamenti nelle briglie, nelle cinghie, nelle testiere, che appaiono guarnite di borchie metalliche (phalerae), e nelle gualdrappe, ma nulla presentano di quanto più direttamente riguarda la difesa del cavallo. Già nel secondo secolo cominciarono però a introdursi corpi di cavalleria, arruolati soprattutto in oriente, che potremmo dire di cavalleria pesante, perché tanto l'animale come colui che lo montava erano difesi per intero da una pesantissima armatura metallica fatta a squame: erano questi i cataphracti o cataphractarii, di cui vediamo le prime rappresentazioni nei rilievi della colonna Traiana e della colonna Antonina; nel Basso Impero essi ebbero ancora maggior diffusione.
Ma in questi ultimi tempi dell'Impero anche l'ornamento delle bardature era diventato maggiore: ce lo mostrano alcune figure della colonna di Teodosio di Costantinopoli, e ce ne fa testimonianza una legge dell'imperatore Leone della fine del sec. V, che proibiva ai privati l'uso di perle e di certe pietre più preziose nei finimenti del cavallo.
Ma le bardature dei cavalli da guerra ebbero sviluppo e diffusione generale solo nel Medioevo e nel Rinascimento, risultando composte, quando erano compiute di tutto punto, delle seguentí parti: testiera, collo, pettiera, fiancali, groppa, guardacoda.
Le bardature del principio del Medioevo, anche per la scarsezza dei monumenti figurati che ritraggono la vita del tempo, male si conoscono. L'avorio Barberini (sec. VI) e il tessuto del duomo di Bamberga (sec. X) ci porgono due esempî di quelle bizantine di gala; di quelle da guerra, con selle senza arcioni e testiera, pettiera e groppa riccamente adorne di pietre dure e di drappi, un avorio della cattedrale di Troyes.
Queste bardature non presentano particolarità proprie rispetto a quelle in uso nell'antichità anche in Oriente, come sono figurate tra l'altro in una serie di graffiti del sec. II d. C., nei pilastri di Teng-Fong Hien (cfr. E. Chavannes, Mission archéol. dans la Chine septentrionale, Parigi 1913, passim), e in una serie di terrecotte dell'epoca T'ang. Rassomigliano a quelle rappresentate nei rilievi rupestri, negli argenti e nelle stoffe sassanidi.
In Occidente dal sec. XII in poi la bardatura dei cavalli da guerra ebbe trasformazioni che è possibile seguire per mezzo delle rappresentazioni in pitture, in miniature, in sigilli. E accenniamo, sugli studî del Boeheim, le vicende principali del suo insieme, notando che anche le singole parti - sella, morso ecc. - subirono mutamenti.
Durante il sec. XII si cominciò ad usare qualche riparo per i cavalli, ed in alcune miniature che illustrano il codice di Pietro da Eboli, scritto durante il breve regno di Enrico VI (figlio di Federico Barbarossa) a Napoli ed in Sicilia (1179-1197) si veggono le groppe dei cavalli coperte da una gualdrappa di maglia (v. armi). Sul principio del sec. XIII si cominciò a proteggere il cavallo coprendolo con difese di cuoio - rinforzato di lamine o di anelli di ferro - che furono sempre più articolate per liberare meglio gli arti e i movimenti. L'armatura, verso la metà dello stesso secolo, fu coperta con gualdrappe di panno o di seta, spesso adorne di stemmi e d'imprese (ne è un bel saggio il ritratto di Guidoriccio da Fogliano dipinto da Simone Martini nel 1328, v. IV tav. XCIV); e codesto uso durò lungamente, sempre più limitato a parate e a tornei. Secondo il Grassi (seguito in ciò dall'Angelucci) il primo in Italia ad armare i cavalli degli uomini d'armi fu il famoso condottiero Alberico da Barbiano (v.) alla fine del sec. XIV.
Nel '400, ma con esitazioni, si foggiò di piastre l'intiera bardatura; questa risultò però così pesante che l'uso ne fu limitato solo ai tornei e alla guerra, e i monumenti figurati per solito non riproducono che bardature composte della sella e dei guarnimenti della groppa, del petto, della testa e, a volte, della testiera (S. Giorgio, di Cosmè Tura, nella Cattedrale di Ferrara). All'acciaio veniva perciò sostituito il cuoio, e forse anche il cartone: così, nel 1386, gli statuti dei pittori fiorentini ordinavano che le armature da cavallo, composte di testiera, fiancali e pettorali, fossero di cuoio. Lo sfarzo nell'ornamentazione delle bardature era giunto, frattanto, al massimo. Gli armaioli tedeschi di Norimberga e di Augusta, gli armaioli lombardi, fra i quali, più celebri, i Negrioli, i Cantoni e i Missaglia, creavano i capolavori del genere. Di artefici tedeschi sono le due pesanti armature da torneo, che Carlo V ebbe in eredità dal nonno Massimiliano (Madrid, R. Armeria); l'una incisa, sembra, da Hans Burgkmair, e l'altra decorata con scene della vita di Sansone e di Ercole.
Le bardature seguirono le vicende dell'armatura a cagione del trasformarsi e del progredire dei mezzi di offesa, per il cambiamento dei criterî d'estetica, ed anche per ragioni di tecnica nell'arte dell'armaiolo. E come s'ebbero le sgraziate armature a tonello, così si ebbero a tonello le bardature delle quali ci dà un esempio quella qui sotto riportata, pure della R. Armeria di Torino. Si tratta di armatura spigolata dell'uomo e del cavallo, appartenente al card. Ascanio Maria Sforza, opera della fine del sec. XV, attribuita ad Antonio Missaglia (v. IV tav. col. p. 488). A Giovanni Paolo Negrioli si attribuisce un'armatura equestre del duca Emanuele Filiberto (Torino, Armeria reale, serie B, 4); a Bernardino Cantoni un'armatura appartenuta a Massimiliano I, ora nell'armeria di Vienna.
Generalmente la bardatura lasciava scoperte le gambe del cavallo, ma secondo monete ed altri documenti del tempo di questo imperatore, ed anche di anni precedenti, sarebbero esistite bardature col riparo delle gambe (gambiere) che arrivavano fino alle unghie dei cavalli. Si vuole però che queste pezze eccezionali siano da considerare piuttosto un capolavoro di qualche armaiolo che un'usanza molto diffusa.
A decorare le bardature, in quest'epoca, venne impiegata anche la pittura che a volte si limitava a ripassare col pennello gli ornati incisi, mentre a volte, e per certo quando la bardatura era di cuoio o di cartone, in tutto o in parte, ebbe un proprio valore, eseguita anche da artisti famosi. In Lombardia i documenti ricordano fra i pittori di bardature, Bartolomeo del Prato detto Bresciano e Costantino da Vaprio; il Vasari, un suo bisavolo, Lazzaro Vasari, Timoteo Viti e Girolamo Genga, i quali insieme dipinsero per il re di Francia alcune "barde di cavalli ornate con animali ribelli che pareva ai riguardanti che havessino movimento e vita"; e Francesco Francia che dipinse per il duca d'Urbino un paio di bande nelle quali fece "una selva grandissima di alberi che vi era appiccato il fuoco e fuor di quella usciva una quantità grande di tutti gli animali aerei e terrestri e alcune figure". Nel 1488 Jean Bourdichon restaurava bardature per il re di Francia.
Il progresso continuo delle armi da fuoco, che esigeva nella cavalleria una mobilità massima, segna anche il continuo regresso delle bardature a piastre metalliche che alla fine del '500 erano dimesse dall'uso, ritornando nuovamente in auge le gualdrappe di panno (Velázquez, ritratti del duca di Olivares, di Filippo III, di Margherita d'Austria, di Filippo IV, di Isabella di Borbone, del principe Baldassare Carlo, tutti nel Museo di Madrid): la bardatura da guerra si riduceva poi sempre ai semplici finimenti ordinarî. La bardatura comune ebbe nell'oriente più prossimo e nel remoto, vicende e forme assai simili alle occidentali, come mostrano le statuette funerarie cinesi e specialmente il rilievo della tomba dell'imperatore Tai Tsung (m. 649); ma quella d'armi riguardò più alla leggerezza e alla libertà dei movimenti che alla difesa pesante. Pure, si hanno testiere e altre parti di armatura in acciaio, alla damaschina, e gualdrappe rappresentate in miniature persiane del sec. XIV.
Bibl.: Daremberg e Saglio, Dictionnaire d. antiq. grecq. et rom., s. v. ephippium, frenum, frontale, habena etc.; W. Boeheim, Waffenkunde, Lipsia 1890, pp. 193-229; Viollet-le-Duc, Dictionnaire de la décoration, ecc., VI; A. Angelucci, Catalogo dell'Armeria Reale, Torino 1890; A. Gandini, in Atti e Memorie della R. Deput. di storia patria della Romagna, X (1892), p. 41 segg.; C. Jocelyn Foulkes, in Rassegna d'arte, 1901, p. 164; F. Malaguzzi Valeri, La corte di Lodovico il Moro, Milano 1913.