MANCINI, Bardo
Nacque a Firenze intorno gli anni Quaranta del XIV secolo, da Tingo.
La famiglia fiorentina dei Mancini, popolana e di modesta origine, accrebbe il suo rango dopo la caduta di Giano Della Bella, portandosi presto fra quei lignaggi del popolo grasso che aspiravano alla promozione sociale. La crescita della famiglia, nella prima metà del Trecento, favorita dalle fortune mercantili, fu duramente colpita dalle misure antimagnatizie nel 1344. Il declino dei Mancini, nonostante le imprese cambiarie e le carriere non disprezzabili di alcuni esponenti della famiglia, fu inarrestabile: secondo la recente storiografia, nella seconda metà del secolo ai Mancini rimaneva poco più del loro buon nome, ambito anche da famiglie magnatizie più antiche che volevano rientrare nel gioco politico tramite i matrimoni. Fu il caso dei Frescobaldi, che si imparentarono con i Mancini, i Velluti, i Capponi e altri.
Il M. ebbe probabilmente numerosi fratelli; nella documentazione tuttavia è rimasta traccia del solo Paolo, che doveva essere il maggiore ed ebbe una carriera politica parzialmente paragonabile a quella del Mancini. Paolo morì nel 1377; da quel momento il testimone passò al M., che fino ad allora aveva trascurato l'agone politico. Egli infatti, immatricolato nell'arte del cambio nel 1364, risulta impegnato nell'attività cambiaria dal 1367 al 1377, come socio, prima insieme con altri, poi unico, in numerose compagnie. Ciò non gli valse, tuttavia, il sospirato riconoscimento all'interno dell'arte, almeno in un primo tempo, poiché, estratto nel 1372 come console della stessa, fu sostituito da un altro candidato perché non esercitante l'arte in prima persona. Nel 1379 le cose dovevano essere cambiate, perché una nuova estrazione fu probabilmente seguita dall'effettivo esercizio della carica.
Per spiegare l'apparente incongruenza si deve considerare che quelli furono anni particolarmente turbolenti nella vita politica della città, scossa dal tumulto dei ciompi. In quel frangente il M. si dovette dimostrare subito uomo della "reazione", e corse in difesa del Palagio già nel 1378.
Tale posizione dovette schiudergli nuovi orizzonti e guadagnargli l'appoggio di figure di rilievo, tanto più utili in quanto, come sappiamo dalle prestanze imposte in quegli anni, le iniziative del M. nell'attività cambiaria non dovevano aver reso granché e la famiglia restava su bassi livelli economici. Nell'immediato, tuttavia, i suoi oppositori prevalsero e dal 1379 lo esclusero da qualsiasi ufficio per tre anni. Fu proprio in questo ultimo decennio della sua vita che il M. partecipò più intensamente all'attività politica, mostrandosi come uno dei paladini della reazione e della liquidazione dell'assetto istituzionale che era stato instaurato dai ciompi.
Nel 1381, per aggirare il divieto di due anni prima, fu nominato nella Balia che avrebbe deciso la reazione ponendolo fra gli uomini che venivano scelti uno per gonfalone. La sua partecipazione agli scrutini del 1382, 1391 e 1393 mostra come si fosse ormai integrato nel gruppo dirigente; nel 1385 fu console della Mercanzia e nello stesso anno entrò nel Collegio dei dodici; nel 1387 fu designato gonfaloniere di Giustizia al posto di un suo consorte, Filippo Magalotti, estratto ma rimborsato perché troppo giovane. Durante tale carica approfittò delle sommosse popolari per prendere iniziative di parte, culminate nell'ostracismo politico di alcune famiglie, come gli Alberti e i Mannelli. Tale partecipazione alla reazione, che secondo Brucker potrebbe celare interessi di altri personaggi che preferivano non figurare, nel 1391 gli costò probabilmente l'esclusione dalle borse, nelle quali fu reinserito nel 1393 nel quadro di una lotta politica sempre più serrata. Ancora nel 1393 partecipò alla Balia che permise all'oligarchia un ennesimo giro di vite contro le aperture acquisite dopo il tumulto ciompi, mentre nel 1392 era stato nuovamente console della Mercanzia.
Si può ritenere che lo schierarsi del M. sempre più nettamente con l'oligarchia vincente, e in particolare la stretta collaborazione con la parte albizzesca, avrebbe dato i suoi frutti politici migliori sul lungo periodo; la carriera successiva del M., ancorché brillante, fu tuttavia di breve durata, poiché egli visse solo pochi altri anni. Nel 1395 condusse con Francesco Rucellai una missione presso il conte Roberto Novello da Battifolle, della stirpe dei Guidi, al fine di ottenere la liberazione della cugina Elisabetta Guidi. L'anno successivo fu inviato come ambasciatore presso la Repubblica di Lucca; la Signoria confidava nella sua discrezione tanto da affidargli il delicato incarico di assoldare un assassino per uccidere un dissidente esule in quella città.
Il 23 apr. 1397 fu estratto gonfaloniere di Compagnia; morì prima del 24 maggio, come risulta da un'ulteriore estrazione.
Le fortune della famiglia si esaurirono probabilmente con la sua morte: se per i figli o i nipoti non risultano carriere paragonabili alla sua, anche la portata al Catasto del 1427 del figlio minore Paolo - il maggiore, Tingo, era già morto - mostra una situazione non florida, con il passivo sproporzionato rispetto al valsente, tanto da spingere il contribuente a una composizione con l'ufficio fiscale.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Mss., 542, 16 febbr. 1364; 545, 1379; Arte del cambio, 14, cc. 54v, 56v, 58v, 61r, 62v, 64v, 74r, 76r; Prestanze, 130, c. 36v; 253, c. 26r; Mercanzia, 189, c. 21v; Tratte, 78, c. 8r; 79, c. 45v; 593, c. 12r; 742, c. 72r; 762, cc. 8-9; 899, c. 27r; Capitoli, Registri, 28, cc. 96r, 108r, 114r, 123r; Catasto, 69, cc. 411r-412v (quartiere S. Croce, gonfalone Bue, 1427); Cronaca prima d'Anonimo (o Cronaca dello squittinatore), in Il tumulto dei ciompi. Cronache e memorie, a cura di G. Scaramella, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XVIII, 3, pp. 100, 102; Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, a cura di N. Rodolico, ibid., XXX, 1, pp. 318, 362-364, 409 s.; Le "consulte" e "pratiche" della Repubblica fiorentina nel Quattrocento, I, 1401, a cura di E. Conti et al., Pisa 1981, p. 324; N. Machiavelli, Istorie fiorentine, a cura di F. Gaeta, Milano 1962, pp. 258, 282; R. Davidsohn, Storia di Firenze, III, Firenze 1956, p. 746; G. Brucker, Florentine politics and society 1343-1378, Princeton 1962, pp. 31, 153, 339 s.; M.B. Becker, Florence in transition, I, The decline of the Commune, Baltimore 1967, p. 209; G. Brucker, The civic world of early Renaissance Florence, Princeton 1977, pp. 81, 89, 214, 265.