BARDOLINO
Centro sulla riva orientale del lago di Garda, in prov. di Verona, che conserva importanti testimonianze di età altomedievale e romanica. La felice situazione fisica e climatica del sito favorì fin dall'età romana lo sviluppo agricolo del territorio. Nel periodo altomedievale l'insediamento longobardo, con la presenza di corti regie, appare ben attestato sia dalla toponomastica sia da ritrovamenti archeologici (per es. una tomba maschile a Casetta la Rocca, tra B. e Garda). Una precisa e sicura configurazione pubblica del territorio è documentata, nondimeno, solo a partire dall'età carolingia, quando B. compare tra le località che vanno a comporre i fines Gardenses, con Garda come centro politico principale. Con il sec. 10° il territorio assunse nei documenti la qualifica di iudiciaria e poi, nel sec. 12°, di comitatus; infine, dal 1193, il distretto gardense venne ceduto al comune di Verona, quando ormai si erano sviluppate le comunità rurali, tra cui B., denominate universitates. Accanto al centro abitato, che appare fortificato nel sec. 12° e che ricevette in età scaligera un nuovo cospicuo recinto murario (demolito nell'Ottocento), sono ben documentate fin dall'età longobarda le vicende delle vaste corti che importanti monasteri come quello di S. Colombano di Bobbio e di S. Zeno di Verona possedevano a Bardolino. Faceva parte dei beni dell'omonimo monastero veronese la chiesetta di S. Zeno, citata già in un documento dell'807 in cui il re Pipino e il vescovo di Verona Ratoldo confermano al monastero il possesso della corte di cui essa costituiva il centro. Il riconoscimento venne ripetuto nell'814, nell'853 e nel 1014 da Enrico II ("cortem cum capella Sancti Zenonis"; Castagnetti, 1972) e poi ancora nei secoli successivi.La chiesetta, che sorge nell'immediata periferia dell'abitato, è inserita tuttora in un complesso di abitazioni rustiche che, addossandosi all'edificio, la nascondono completamente, tranne che sul lato meridionale. Di ridotte dimensioni (la navata misura m. 10,703,60, il transetto m. 8,502,75), ha una semplice pianta a croce latina lievemente irregolare, con un'abside a terminazione rettilinea e con uno slanciato tiburio quadrato all'incrocio dei bracci. L'unica navata e il transetto sono coperti da volte a botte, mentre una crociera è sottoposta al tiburio. Il motivo architettonico che caratterizza lo spazio interno è costituito dalle robuste arcate che articolano plasticamente le pareti della navata, sorrette da colonne in marmo rosso. Altre due colonne sono inserite ai lati dell'abside e, con l'ultima coppia della navata, ricevono la ricaduta degli archi posti all'incrocio dei bracci. La struttura muraria, di notevole spessore specie sul lato meridionale, è in laterizi alternati irregolarmente a pietre non squadrate.L'edificio, talora datato al sec. 11°, viene oggi comunemente considerato degli inizi del 9° (Zovatto, 1964; Lorenzoni, 1966), datazione confermata soprattutto dalle caratteristiche degli importanti capitelli, che segnano un momento particolare dell'evoluzione altomedievale del capitello corinzio classico e che sono facilmente confrontabili con analoghi esempi del sec. 9° a Milano e Aquileia. Nella chiesa, dunque, un impianto di tradizione paleocristiana, forse ispirato al veronese sacello delle Ss. Teuteria e Tosca, verrebbe animato, nella scansione delle pareti, dalla nuova sensibilità spaziale carolingia. È da notare che il motivo delle arcate addossate alle pareti, al di sotto di una volta a botte, in ambito veronese venne adottato nell'ambulacro inferiore della chiesa di S. Stefano, comunemente riferito al 10° secolo.La chiesa doveva essere completamente affrescata. Dopo il restauro del 1959-1961 sono apparse varie tracce di pittura, pressoché illeggibili, sulle volte e nel tiburio, nonché la decorazione, meglio conservata, delle due nicchie che si trovano sul lato orientale del transetto. Nella nicchia di sinistra, al di sotto di lacerti trecenteschi, affiora solo il frammento di un viso, mentre nella nicchia di destra è comparsa, su uno sfondo architettonico, una vigorosa figura di santo (forse Pietro) realizzata con vivido cromatismo. Per questi affreschi Lorenzoni (1965), attraverso confronti che vanno dalle miniature del codice veronese di Egino (Berlino, Staatsbibl., Phill. 1676) ai più noti esempi di pittura carolingia lombarda, ha ribadito una datazione agli inizi del 9° secolo.Nell'893 Berengario I concedeva al monastero veronese di S. Zeno beni spettanti alla curtis di Meleto, "in Garda juxta ecclesiam Sancti Severi" (Crosatti, 1902). È questa l'attestazione più antica della chiesa di S. Severo, che sorge al margine settentrionale dell'abitato di B., per la quale altrimenti si ha una scarsa e non significativa documentazione. Dopo il restauro del 1927-1932, durante il quale si ricostruirono l'abside maggiore e, parzialmente, le laterali, oggi la chiesa si presenta come un edificio di semplice impianto basilicale senza transetto, con le navatelle di ampiezza diversa e con la facciata leggermente obliqua, realizzato con filari di tufo e di calcare rozzamente tagliati. La facciata è decorata nella cuspide da una cornice ad archetti pensili, motivo che compare anche nelle absidi rifatte, assieme a un fregio di mattoni disposti a zig-zag. All'interno le arcate sono sorrette da due file di quattro tozze colonne realizzate con filari alterni di tufo e cotto, cui sono sovrapposti bassi capitelli a cubo scantonato che presentano grossolane incisioni.L'irregolarità della pianta è verosimilmente segno della preesistenza di strutture più antiche che condizionarono l'attuale assetto, preesistenza confermata dai resti - scavati e attualmente in vista - di una cripta, il cui singolare impianto presenta degli aspetti non ancora adeguatamente chiariti. Ricavata all'interno di un'abside più antica dell'attuale, tale cripta era coperta in origine da un complicato sistema formato da due volte a botte parallele e da una volta a botte anulare che si appoggiava al centro su una tozza colonna e nel giro absidale ricadeva su sette pilastrini uniti tra di loro da arcatelle formanti una serie di lunette. La fisionomia planimetrica e strutturale appare a cavaliere tra il tipo della criptaambulacro semianulare del primo Alto Medioevo e la più tarda soluzione della cripta a oratorio. Piuttosto che al sec. 9° (Arslan, 1939; quattro dei pilastrini, con decorazioni a intreccio riferibili al sec. 9°, sono evidentemente riutilizzati), la cripta andrà datata al sec. 10° (Verzone, 1942), se non agli inizi del successivo. La chiesa, nel suo complesso, deve essere stata ricostruita nella seconda metà del sec. 11° (Romanini, 1964), in modi che risultano simili a quelli di altri edifici del territorio veronese come S. Andrea di Sommacampagna.Di particolare interesse è l'imponente ciclo di affreschi, purtroppo molto rovinato e in parte lacunoso, che ricopre le pareti della navata centrale. Gli affreschi sono disposti su tre fasce: in quella inferiore, negli spazi tra le arcate, compaiono busti clipeati di santi; nelle due superiori si susseguono, senza separazione evidente tra le scene, episodi tratti dall'Apocalisse sulla parete meridionale e dalla Leggenda della Croce su quella settentrionale (Christe, 1978). Al di là della rovina delle superfici, appare evidente la sicurezza dell'esecuzione, condotta con vivace e concitato gusto narrativo, e l'importanza e la complessità delle scelte iconografiche. Dal punto di vista stilistico, nella letteratura critica sono stati soprattutto indicati i rapporti con la miniatura salisburghese (dalla c.d. Bibbia di Gebardo, già ad Admont, al noto Antifonario di St. Peter di Salisburgo, ora entrambi a Vienna, Öst. Nat. Bibl., Ser. nov. 2701-2702 e Ser. nov. 2700), con la miniatura dello scriptorium di San Benedetto Po e con affreschi di area veronese come quelli del secondo strato del sacello dei Ss. Nazaro e Celso e di S. Andrea di Sommacampagna, mentre le proposte cronologiche oscillano tra la fine del sec. 11° e gli inizi del 12° (Arslan, 1943; Segre Montel, Zuliani, 1991), la prima metà del sec. 12° (Romanini, 1964) e la seconda metà dello stesso secolo (Caiani, 1966; 1968). All'estremità della navata sinistra, presso l'abside, appare una figura d'angelo che testimonia come anche le altre parti della chiesa fossero in origine dipinte. Quest'ultimo brano pittorico, conservando molto meglio rispetto agli affreschi della navata centrale il colore originario, mostra una stesura ad acidi timbri contrapposti particolarmente elaborata, di schietta radice ottoniana, che potrebbe avvalorare per il complesso la datazione anticipata suggerita da Arslan.
Bibl.:
Fonti. - G. B. Biancolini, Notizie storiche delle chiese di Verona, I, Verona 1749, p. 44.
Letteratura critica. - P. Sgulmero, Bardolino fino al 1460, Verona 1901; G. Crosatti, Bardolino, Verona 1902; G. Cipolla, La chiesa di S. Severo a Bardolino, AS 22, 1903, pp. 155-156; L. Simeoni, Verona. Guida storico-artistica, Verona 1909, pp. 414-417; A.K. Porter, Lombard Architecture, II, New Haven 1916, pp. 89-92; E. Arslan, L'architettura romanica veronese, Verona 1939, pp. 55-58, 60-63; P. Verzone, L'architettura religiosa dell'Alto Medioevo nell'Italia settentrionale, Milano 1942, pp. 130-131, 135-136; E. Arslan, La pittura e la scultura veronese dal sec. VIII al sec. XIII, Milano 1943, pp. 59-62, 193-194; P. Gazzola, S. Zeno di Bardolino, in Scritti di storia dell'arte in onore di Mario Salmi, Roma 1961, I, pp. 237-246; P. L. Zovatto, L'arte medievale, in Verona e il suo territorio, II, Verona 1964, pp. 481-582: 497-498, 501-514; A. M. Romanini, L'arte romanica, ivi, pp. 585-777: 588-597, 753; U. Tessari, I cicli pittorici in San Severo di Bardolino, Vita Veronese 17, 1964, pp. 19-25; F. Cipriani, Bardolino, Verona 1964; G. Lorenzoni, Le pitture carolingie di S. Zeno di Bardolino, Arte Veneta 19, 1965, pp. 9-16; id., L'architettura carolingia e ottoniana nel Veneto, Bollettino del Centro Internazionale di Studi d'Architettura Andrea Palladio 8, 1966, pp. 257-274; A. M. Caiani, Ancora sugli affreschi del sacello veronese dei Ss. Nazaro e Celso (e dintorni), Arte Veneta 20, 1966, pp. 9-19; id., Gli affreschi della chiesa di S. Severo a Bardolino, Verona 1968; D. Della Barba Brusin, G. Lorenzoni, L'arte del Patriarcato di Aquileia dal secolo IX al secolo XIII, Padova 1968, p. 22; A. Castagnetti, I possessi del monastero di San Zeno di Verona a Bardolino, SM, s. III, 13, 1972, pp. 95-159; G. Lorenzoni, Monumenti di età carolingia. Aquileia, Cividale, Malles, Münster, Padova 1974, p. 72; Y. Christe, Le cycle inédit de l'Invention de la Croix à S. Severo de Bardolino, CRAI, 1978, pp. 76-109; F. Flores d'Arcais, Per una lettura dell'architettura chiesastica nel territorio veronese tra alto e basso Medioevo, in Chiese e monasteri del territorio veronese, a cura di G. Borelli, Verona 1981, pp. 439-492: 440-441, 452-456; F. Zuliani, La scultura a Verona nel periodo longobardo, in Verona in età gotica e longobarda, "Atti del Convegno, Verona 1980", Verona 1982, pp. 325-341; A. Castagnetti, Le comunità della regione gardense fra potere centrale, governi cittadini e autonomie nel Medioevo (secoli VIII-XIV), in Un lago, una civiltà: il Garda, a cura di G. Borelli, I, Verona 1983, pp. 31-114: 42-75; C. Segre Montel, F. Zuliani, La pittura nell'Abbazia di Nonantola. Un refettorio affrescato di età romanica, Modena 1991, pp. 125-126.F. Zuliani