BARISONE d'Arborea
Nacque dal giudice d'Arborea Comita II e da Elena de Orrubu nei primi decenni del sec. XII. Succedette direttamente al padre, ma non si conosce la data precisa della sua assunzione al trono giudicale d'Arborea, né se vi sia stato un periodo di correggenza. Sposò in prime nozze Pellegrina de Lacon, appartenente a una delle più antiche e nobili famiglie dell'isola, e ne ebbe i figli Pietro, Barisone, Ispella e Susanna. La prima testimonianza riguardante la sua attività risale al 1146. In quell'anno, infatti, in occasione della consacrazione della nuova chiesa annessa al monastero di Santa Maria di Bonarcado, egli, nella sua qualità di giudice dell'Arborea, assistito dai maggiorenti e dall'alto clero del giudicato e da Villano, arcivescovo di Pisa, intervenuto come legato, concedeva alcune terre demaniali per la dotazione della chiesa stessa. I primi anni del suo regno, assai poveri di avvenimenti, sembrano caratterizzati da un atteggiamento di benevolenza nei confronti del clero e delle chiese del giudicato. Dopo aver ripudiato Pellegrina de Lacon, B. si univa in matrimonio, nell'ottobre del 1157, con Agalbursa de Cervera, figlia di Poncio e di Almodis, sorella di Raimondo Berengario IV, conte di Barcellona.
Il ripudio e il secondo matrimonio, che comportò rapporti di parentela con la casa di Barcellona e una certa penetrazione di nobili e funzionari catalani nell'Arborea, debbono essere visti sotto la luce dell'utilità politica. Il conte di Barcellona, infatti, cercava nel giudice arborense un alleato nella lotta contro gli Almoravidi, che dalle Baleari minacciavano con incursioni le coste della Catalogna, mentre B. tendeva ad acquistare il potente appoggio del signore catalano nell'attuazione del suo disegno di conquista e unificazione della Sardegna. Circa la campagna contro gli Almoravidi delle Baleari è da ricordare che B., in epoca compresa fra il 1157 e il 1162, aveva trattato di essa, a nome dei conte di Barcellona, con l'arcivescovo di Pisa e con i consoli e gli Anziani di questo comune, ottenendone promessa di appoggio. In una sua lettera a Rairnondo Berengario B. esponeva il suo punto di vista circa l'impresa progettata, opinando che Pisa si sarebbe potuta impegnare dopo che avesse fatto pace, o almeno tregua, con Lucca, e se di tutto fosse stato interessato il pontefice.
Dopo gli accordi con il signore catalano, B. iniziò la sua azione per la conquista e l'unificazione dell'isola. Col pretesto che la discendenza diretta di Costantino, giudice di Cagliari, era estinta e che la successione di quel giudicato non poteva discendere per il ramo femminile - il giudicato di Cagliari era, ìnfatti, tenuto da Pietro, marito di una figlia di Costantino - egli si fece sostenitore di un pretendente al trono, invase il giudicato di Cagliari e costrinse il giudice Pietro a rifugiarsi presso il fratello Barisone di Torres. Nella primavera del 1164 Pietro riuscì, con l'aiuto del fratello e di contingenti pisani, a riconquistare il Cagliaritano e a invadere l'Arborea, costringendo B. alla fuga. B. riprese allora gli indirizzi della politica filogenovese di suo padre e, messosi in contatto con il Comune ligure, ne ottenne l'appoggio presso l'imperatore Federico Barbarossa, che nell'agosto del 1164, a Pavia, nella chiesa di S. Siro, gli concesse l'investitura della Sardegna col titolo regale. B. si impegnava a compensare con quattromila marchi d'argento il privilegio ottenuto e a corrispondere un censo annuo come riconoscimento dell'alta sovranità imperiale sull'isola. I legati pisani presenti alla dieta protestarono sostenendo che B. era un loro vassallo, e indegno perciò del titolo regale, e riaffermando il loro diritto sulla Sardegna rifacendosi alla conquista operatane contro Muglahid; dal canto loro gli ambasciatori genovesi accampavano identiche ragioni tranne per quanto si riferiva alla persona di Barisone. Di fronte a questo contrasto l'imperatore preferì aderire alle tesi genovesi, in modo da lasciare il dominio della Sardegna vincolato all'impero. Contemporaneamente, i giudici di Cagliari e di Torres, spinti dai Pisani e turbati dall'atteggiamento di B., invasero nuovamente l'Arborea, la saccheggiarono e incendiarono la "villa" di Cabras, sede di un castello. La somma di quattromila marchi dovuta all'imperatore per l'investitura veniva intanto prestata a B. dal Comune di Genova e da diversi cittadini genovesi.
Per ottenere questo prestito egli dovette, nel settembre 1164, sottoscrivere una serie di onerosi iinpegni, che comportavano, a titolo di interesse, il pagamento di centomila libbre, il censo annuo di quattrocento marchi, la concessione ai mercanti genovesi della libertà di commercio nel porto di Oristano e nel territorio del giudicato, la concessione a Genova di uno spazio, nella città di Oristano, atto all'edificazione di almeno cento case e botteghe, e, infine, l'obbligo di revocare le concessioni di" donnicalie" già godute dai Pisani. Come garanzia di adempimento del contratto egli indicava tutto il giudicato e più specialmente i castelli di Arculentu e di Marmilla. Genova da parte sua si limitava all'impegno di proteggerlo contro i Pisani.
Al principio del 1165 B., accompagnato dal console genovese Pizzamiglio, giunse per mare ad Oristano. I maggiorenti che lo accompagnavano sbarcarono per ottenere la ratifica delle convenzioni da lui stipulate e per raccogliere le somme da versare al Comune e ai cittadini genovesi; non essendo però riusciti a raccogliere dette somme, B. non poté sbarcare e fu ricondotto a Genova. Intanto il Barbarossa, con improvviso voltafaccia, concedeva, il 12 apr. 1165, l'investitura della Sardegna al Comune di Pisa e un esercito pisano impegnava combattimenti nell'isola contro i Genovesi. Nell'estate del 1168 B. ottenne di compiere un nuovo viaggio in Sardegna per tentare di raccogliere le somme dovute a Genova. Il viaggio fu preceduto dalla stesura di un altro trattato che riepilogava e aggravava le condizioni imposte nella convenzione precedente: in particolare si insisteva sulla dipendenza della liberazione di B., ormai trattato alla stregua di un qualsiasi debitore moroso, dal pagamento delle somme dovute. Il console genovese Nuvolone Alberici che lo accompagnava aveva avuto inoltre direttive per un accordo con i giudici di Torres e di Cagliari circa il raggiungimento della pace nell'isola. Detto accordo fu realizzato - i giudicati tornarono ai vecchi confini e la pace fu giurata dalle popolazioni - segnando così la fine delle ambizioni di B. che, però, non fu liberato; con lui furono ricondotti a Genova la moglie Agalbursa, il nipote Poncio de Bas e altri ostaggi. Finalmente nel 1171, quando da due anni Genova e Pisa avevano stabilito una tregua in Sardegna, accordandosi per lo sfruttamento dell'isola, B., che i sudditi arborensi avevano soccorso finanziariamente, impegnandosi a restituire al Comune genovese le somme da dovute, poté tornare in Sardegna. Negli anni successivi egli seguì una politica fluttuante nei confronti dei Genovesi e dei Pisani che si erano insediati nella città di Oristano, i primi, e nei possedimenti dell'entroterra, i secondi. Riprese, nell'anno 1180, le armi contro il giudice di Cagliari, ma dopo alcuni successi iniziali fu sconfitto e costretto alla pace dai consoli pisani. L'ultima parte della sua vita fu dedicata a migliorare le condizioni economiche e culturali delle chiese del giudicato. Donò, nel 1182, a Montecassino la chiesa di S. Nicola di Gurgo dotandola di vasti territori e di servi. Fondò in Oristano un ospedale, di cui ancor oggi restano alcune vestigia, e un monastero, richiedendo che ad esso fossero destinati dodici monaci dei quali almeno quattro fossero letterati e idonei ad occupare le sedi vescovili e a trattare gli affari dello Stato con la corte romana e imperiale. Si riavvicinò a Pisa ed ebbe rapporti di carattere finanziario con il mercante pisano Ranuccio di Boccio. Morì nel 1186.
La personalità di B. è stata diversamente giudicata. I primi storici della Sardegna medievale hanno visto negli avvenimenti fortunosi della sua vita un dramma dell'ambizione; ma già il Besta, trattando magistralmente di lui e del periodo storico nel quale egli è vissuto, pur senza dame un giudizio esplicito, lascia trapelare la sua ammirazione per il sogno di grandezza del giudice arborense. Resta comunque merito di B. l'aver avuto coscienza dell'importanza che l'isola unificata avrebbe avuto nel gioco delle potenze gravitanti sulle sponde del Mediterraneo occidentale e l'aver lottato per l'attuazione di questo progetto di unificazione che, se realizzato, avrebbe affrancato la Sardegna dallo sfruttamento economico di Pisa e di Genova, liberandola dal particolarismo e dalle lotte intestine.
Fonti e Bibl.: Colección de documentos inéditos del Archivo General de la Corona de Aragón, a cura di P. Bofarull, Barcelona 1849, IV, p. 365; P. Tola, Codex Diplomaticus Sardiniae, I, Augustae Taurinorum 1861, docc. 57, 64, 75, 76, 77, 78, 79, 80, 83, 84, 85, 86, 87, 88, 89, 90, 93, 94, 95, 96, 98, 104, 106, 107, 110, 111, 113, 117, 123, 125, 127, 128, 130, 132, 138, 139; E. Besta A. Solmi, I condaghi di S. Maria di Bonarcado e di S. Nicola di Trullas, Milano 1937, nn. 39, 74, 85, 92, 123, 145, 146, 150, 151, 154, 155, 162, 165; V. Salavert y Roca, Cerdefla y la expansión mediterránea de la Corona de Aragón, II, Documentos, Madrid 1956, doc. 2; F. Artizzu, Documenti inediti relativi ai rapporti economici tra la Sardegna e Pisa nel Medioevo, con introduzione di A. Boscolo, I, Padova 1961, docc. 1, 2; E. Besta, La Sardegna medioevale, I, Palermo 1908, pp. 120-150; A. Saba, Montecassino e la Sardegna medioevale, Montecassino 1927, pp. 95 ss.; G. Rossi Sabatini, L'espansione di Pisa nel Mediterraneo fino alla Meloria, Firenze 1935, pp. 102 ss.; D. Scano, Serie cronologica dei giudici sardi, in Arch. stor. sardo, XXI,3-4 (1939), p. 66; Id., Il giudice B. di Arborea, intermediario fra il conte di Barcellona e il Comune pisano per una spedizione contro Maiorca, ibid., XXII,1-4 (1940), pp. 247 ss.; S. Sobreques i Vidal, Els Barons de Catalunya,Barcelona 1957, p. 41; F. Artizzu, Penetrazione catalana in Sardegna nel secolo XII, in Studi storici in onore di Francesco Loddo Canepa, Firenze 1960, II, pp. 11 ss.