BARNABA (Βαρνάβας: cioè, secondo Atti, IV, 36 υἱὸς παρακλήσεως "figlio di consolazione"; che suppone l'aramaico Bar nĕbhū'ah)
Personaggio del Nuovo Testamento, la cui storia s'intreccia con quella degli apostoli e specialmente di Paolo. Il suo vero nome era Giuseppe, ma fu chiamato B. dagli apostoli: era levita di tribù, cipriota di nascita (Atti, IV, 36) e cugino di Marco l'evangelista (Colossesi, IV, 10). Possedeva un campo, lo vendé e ne depose il prezzo ai piedi degli apostoli (Atti, IV, 36-37). Poiché i discepoli di Gerusalemme diffidavano del neo-convertito Paolo, B. introdusse costui dagli apostoli raccomandandolo così con la sua speciale autorità (Atti, IX, 26-27): da questo episodio non sarebbe alieno supporre che B. avesse avuto qualche conoscenza dell'ardente Saulo (Paolo) anche prima della sua conversione. Dilatandosi grandemente il cristianesimo ad Antiochia, B. fu inviato colà dalla comunità di Gerusalemme: ivi, visto il grande lavoro che l'attendeva presso i nuovi adepti, per cercarsi un valido aiuto partì, per andare a Tarso a cercare Saulo, e trovatolo lo condusse in Antiochia" (Atti, XI, 25), ove lavorarono insieme per un anno intero con gran profitto; per loro mezzo poi quei di Antiochia mandarono soccorsi materiali a quei di Gerusalemme in occasione della fame sofferta sotto Claudio. Ambedue, tornati ad Antiochia, furono segregati, per ordine dello Spirito Santo, in vista del loro futuro ministero: quindi partirono alla volta di Seleucia, donde fecero vela per Cipro, visitando Salamina e incontrando a Pafo il proconsole Sergio Paolo (XIII,1-12); passarono poi a Perge di Panfilia e ad Antiochia di Pisidia (13 segg.); visitarono quindi Iconio (51 segg.) e le città della Licaonia (XIV, 6 segg.). A Listri, avendo Paolo risanato miracolosamente uno zoppo, il popolo li credette due dei, ritenendo che Paolo - esperto parlatore - fosse Mercurio, e che B. - forse di solenne statura e venerando aspetto - fosse Giove (8 segg.). Il viaggio terminò al punto di partenza, Antiochia. Di qui furono ambedue inviati di nuovo a Gerusalemme, per consultarvi gli apostoli e gli anziani circa l'obbligo della circoncisione per i convertiti dal gentilesimo (XV, 1 segg.). Tornati ad Antiochia, e volendo Paolo visitare di nuovo le comunità del precedente viaggio, non si trovarono d'accordo se prendere o no con loro Marco, che nel viaggio di prima li aveva abbandonati a Perge di Panfilia: Paolo lo rifiutava, mentre B. voleva seco il suo parente; la divergenza non poté esser composta, i due si separarono, e B. con Marco andò a Cipro. L'amicizia tuttavia non fu rotta, come si può agevolmente rilevare dalle menzioni fugaci ma benevole che Paolo fa di B. nella sue lettere (I Corinzî, IX, 6; Galati, II, 13; Coloss., IV, 10), e anche dal fatto che Marco, causa della divergenza, si riunì con Paolo a Roma (II Timot., IV, 11; I Pietro, V, 13), se almeno si ritiene, col più dei critici, che vi fosse un solo personaggio, e non due, di nome Marco. Altre notizie su B. non ci sono fornite dal Nuovo Testamento.
Le notizie da altre fonti non hanno autorità. B. sarebbe stato uno dei 70 discepoli di Gesù, secondo Clemente Aless. (Stromata, II, 20) ed Eusebio (Hist. eccl., I, 12). Varî documenti della letteratura pseudo Clementina (Homil., I, 8-16; II, 4; Recogn., I, 7) o lo fanno risiedere ad Alessandria, ove avrebbe incontrato Clemente, oppure gli fanno incontrare Clemente a Roma, ove B. avrebbe predicato il Vangelo già durante la vita di Gesù. Verso il sec. V si diffonde la credenza che B. avrebbe evangelizzato, dopo Roma, l'Italia settentrionale fondandovi la chiesa di Milano: fatto del tutto ignoto ad Ambrogio, geloso custode dell'autorità dei suoi predecessori in quel vescovato (Epist. XXI, Sermo contra Auxent., 18). Verso lo stesso tempo si propaga l'altra opinione che B. avrebbe evangelizzato la nativa Cipro, e sarebbe stato martirizzato e sepolto a salamina. Una notizia trasmessa dallo scritto gnostico Actus Petri Vercellenses vuole che B. fosse inviato insieme con Timoteo in Macedonia prima del viaggio di Paolo in Spagna. Notevole il fatto che Tertulliano (De pudicitia, 20) ritenga B. autore dell'epistola agli Ebrei.
L'epistola di Barnaba. - È uno degli scritti noti come Padri apostolici. Se ne conosceva un'antica versione latina; nel secolo XVII fu scoperto il testo greco, pubblicato dal Ménard e dal D'Achery nel I645, senza i primi 5 capitoli, ritrovati dal Tischendorf nel Codex sinaiticus del Nuovo Testamento (v. Bibbia: Testo) e, nel 1875, in un altro codice, insieme con la Didachè e le Episole clementine, da F. Bryennios.
Il documento si divide in due parti. La prima (cc.1-16) ha per scopo di mostrare che, con la nuova Legge instaurata dal Cristo, non hanno più ragion d'essere tutte le prescrizioni dell'antica Legge giudaica; le prescrizioni rituali dell'Antico Testamento hanno tutte un significato simbolico, non sono che il preannuncio della futura salvezza: la vera circoncisione è, come hanno detto d'altronde i profeti, quella delle orecchie e del cuore; il serpente di bronzo e Mosè che prega con le braccia aperte prefigurano il Cristo sulla croce; ecc. Questa la "perfetta dottrina" (τελεία γνῶσις) che l'autore vuole inculcare. Non mancano tuttavia parti di carattere omiletico; l'autore usa, a tratti, grande libertà di linguaggio. La seconda parte (cc. 17-21) si suddivide a sua volta in due: i primi tre capitoli riproducono in gran parte, con varianti, il "manuale delle due vie" che si ritrova nella Didachè e in certe parti del Pastore di Erma,; l'ultimo dà ammaestramenti in vista del ritorno, o parousia, del Cristo, che l'autore sembra ritenere imminente.
L'origine e l'attribuzione dello scritto sono oggetto di qualche dubbio; si è tuttavia unanimi nel riconoscere che l'autore non è il B. compagno di S. Paolo. L'autore conosce le lettere di S. Paolo, e altri libri del Nuovo Testamento; in alcuni punti, corregge il testo della versione dei Settanta secondo l'ebraico; ma altrove (c. 9) interpreta allegoricamente il numero dei 318 servitori di Abramo secondo il greco (18 = ιη, inizio del nome 'Ιησοῦς; 300 = τ, la croce). Così la conoscenza dei riti giudaici, di cui si faceva gran caso, non appare sempre sicurissima; e, tutto considerato, è più probabile che non si tratti d'un convertito dal giudaismo. Quanto al luogo d'origine, si oscilla tra Alessandria o la Siria, a causa soprattutto della conoscenza del giudaismo e dell'uso del "manuale delle due vie"; ma l'esegesi, benché allegoristica, presenta ben pochi, o nessuno, punti di contatto con quella di Filone. Anche la data è incerta: e dipende dall'interpretazione della profezia sulla ricostruzione del Tempio di Gerusalemme, nel c. 4. Si oscilla tra Vespasiano (70-79), Domiziano (81-96), Nerva (96-98) e Adriano (117-138): le maggiori probabilità sono per l'ultimo. L'errore di Tertulliano (v. sopra) e il carattere del documento (citato anche da Clemente Alessandrino e da Origene) fanno pensare che circolasse soprattutto fra quei cristiani, che trovavano ostica o troppo difficile la lettera agli Ebrei.
Bibl.: per le edizioni, v. apostolici, padri; copiose indicazoni in O. Bardenhewer, Gesch. der altkirchl. Literatur, I, 2ª ed., Friburgo in B. 1913; W. von Christ e W. Schmid, Geschichte der griechischen Literatur, II, 6ª ed., Monaco 1924, p. 1229 seg.
Il Vangelo di Barnaba. - L'antichità cristiana conobbe anche un apocrifo Vangelo di B. menzionato nel cosiddetto Decretum gelasianum. Alcuni frammenti, pubblicati dal de La Monnoye (Animadv. in Menag., Amsterdam 1716, IV, p. 321; anche in Fabricius, Codex apocr. N. Test., Amburgo 1719, III, p. 378) secondo un manoscritto italiano del sec. XV, appartenente a Eugenio di Savoia, supposti traduzione dall'arabo, sarebbero tardiva compilazione d'un rinnegato.
Bibl.: E. von Dobschüzt, in Theolog. Literaturzeitung, XXXIII (1908) p. 385; M. R. James, The Apocryphal New Testament, Oxford 1924.