MANGIADORI, Barone de'
Nacque a San Miniato al Tedesco negli anni Cinquanta del secolo XIII da una delle più illustri famiglie della città, per tradizione di parte ghibellina. Seguendo l'esempio di altri suoi consorti, iniziò la carriera politica nei primi anni Ottanta, ricoprendo la carica di podestà in alcuni Comuni della Toscana centrale come San Gimignano, Colle Val d'Elsa e Prato.
L'esperienza accumulata anche come uomo d'arme lo portò a essere chiamato nel 1288 a Siena come capitano del Popolo, ufficiale che aveva soprattutto funzioni militari, e a ricevere un secondo mandato il 28 apr. 1289. In quell'anno guidò un esercito di cavalieri e fanti senesi alla guerra della Lega guelfa contro la ghibellina Arezzo retta dal vescovo Guglielmino Ubertini e svolse un ruolo di primo piano nella celebre battaglia di Campaldino (11 giugno 1289).
Il cronista fiorentino Dino Compagni, dopo averlo definito "franco ed esperto cavaliere in fatti d'arme" (p. 13), gli fa pronunciare un accorato discorso alle truppe fiorentine e alleate: "Signori, le guerre di Toscana si sogliono vincere per bene assalire; e non duravano, e pochi uomini vi moriano, ché non era in uso l'ucciderli. Ora è mutato modo, e vinconsi per stare bene fermi. Il perché io vi consiglio che voi stiate forti, e lasciateli assalire".
Forse fu proprio grazie all'intervento del M. che le sorti dello scontro volsero a favore dei Fiorentini. Alla notizia della vittoria i Senesi, in virtù di un provvedimento straordinario ma non senza precedenti, il 12 giugno nominarono il M. podestà. Alla guida delle milizie cittadine, approfittando del momento favorevole, egli riconquistò i castelli senesi posti in direzione di Arezzo occupati dai ghibellini e ottenne la sottomissione di Lucignano della Chiana, come attesta il Caleffo vecchio, ossia la raccolta dei capitoli del Comune di Siena (22-23 giugno 1289). Nell'esercizio del suo duplice incarico il M. si servì di una familia in parte costituita da giudici e notai samminiatesi che forse già lo seguivano, come quel "domino Herrigho de Sancto Miniate iudice dicti domini potestatis" che figura come teste nei patti di sottomissione.
Nel luglio dello stesso anno i Senesi cercarono di sottomettere i più bellicosi signori del contado, come gli Ardingheschi. Nei mesi successivi (l'ultima condanna è del 31 dic. 1289), il M., infliggendo numerose sanzioni, si impegnò nel reprimere le violenze dei domini rurali, principalmente in Maremma, e nel mantenere l'ordine in città. Secondo quanto testimoniano il Caleffo e i registri del Consiglio generale, fino al settembre 1289 il M. fu podestà e capitano, mentre dal mese successivo e fino a gennaio fu qualificato solo come podestà.
Fra il 1290 e il 1299 coprì l'incarico di ufficiale forestiero in alcune città umbre e toscane della Lega guelfa: nel 1294 era podestà a Perugia e nella stessa Firenze. Quattro anni dopo fu nominato giudice degli appelli e assessore a Volterra.
Nel 1300 fu eletto capitano dell'esercito della Lega guelfa. A seguito di tale nomina, come riferiscono le Storie pistoresi, guidò a maggio e giugno dell'anno seguente i cavalieri della Lega inviati dai Fiorentini a Pistoia per favorire il reggimento dei guelfi bianchi locali e cacciare la parte nera. Nel pieno della repressione contro i neri condotta in questa città dal podestà fiorentino Andrea Gherardini, i membri delle famiglie Rossi e Siniboldi, insieme con la maggior parte degli altri grandi e popolani di parte nera, dopo aver visto il saccheggio e l'incendio delle loro case si rifugiarono nella dimora fortificata di Simone Cancellieri. I bianchi cinsero allora d'assedio tale fortezza e i neri, privi ormai di ogni via d'uscita, chiesero di potersi arrendere al M. e lasciare incolume la città. Egli "con volontà de' Pistoresi li riceveo" (Storie pistoresi, p. 19) e con le sue truppe li scortò incolumi alle porte.
Durante le successive vicende politiche toscane, con lo scontro tra Firenze e papa Bonifacio VIII, la spedizione di Carlo di Valois nel novembre 1301 e l'affermazione dei neri appoggiati dal pontefice, il M. si ritirò a San Miniato. Tuttavia nel 1304, stando al cronista samminiatese Giovanni di Lemmo da Comugnori, ricevette una richiesta di aiuto da parte dell'esercito fiorentino-lucchese contro Pistoia, retta dai bianchi. Non è noto se abbia partecipato all'assedio di Pistoia l'anno successivo. Sempre nel 1304 fu capitano a Volterra.
Come riferisce sempre Giovanni di Lemmo, il M. fu tra gli animatori della rivolta magnatizia che nell'agosto 1309 portò al rovesciamento del Comune popolare di San Miniato, con l'espulsione del capitano del Popolo, espressione del protettorato fiorentino, e la distruzione degli statuti contenenti norme antimagnatizie. Nell'occasione fu eletto capitano e riformatore del reggimento locale insieme con Tedaldo Ciccioni, membro dell'altra famiglia importante della città. Ma la reazione popolare si fece presto sentire e tornò al potere in San Miniato, complici le discordie fra Ciccioni e Mangiadori, tradizionalmente rivali, e grazie all'appoggio dei Fiorentini. Le sorti della parte magnatizia pervennero da allora nelle mani dei figli del M., Filippo, Bindaccio e Geri.
Stando ancora a Giovanni di Lemmo, il M. morì a San Miniato il 28 ag. 1314.
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