BARONI CAVALCABÒ, Gasparo Antonio
Nacque l'8 genn. 1682 a Sacco, nel Trentino, da Felice e da Antonia Balisti .
La famiglia del B. è la stessa cui appartenne anche, una generazione dopo, Clemente, ed è con buona probabilità una famiglia di importazione, che ha dato, proprio nel corso del Settecento, alcuni personaggi di valore: i pittori Giovanni e Gasparo Antonio e poi Clemente, Cristoforo e Teodoro. Clemente è del resto legato al B. non solo per vincoli di parentela; infatti quando il Vannetti penserà, venti anni dopo la morte, di scrivere la biografia del pittore, è Clemente a fornirgli molti dati, e su questi la biografia, per quel che sappiamo, sembra in buona parte fondarsi. La monografia del Vannetti, uscita nel 1781, resta il testo fondamentale, la migliore fonte per la conoscenza del B. e della sua pittura; anche il recente saggio del Passamani non può presentarsi, per quel che riguarda la documentazíone, che come un aggiornamento dell'indagine vannettiana.
Fu il cugino del B., Giovanni Baroni, anch'egli pittore, a scoprime le qualità artistiche. Giovanni aveva studiato (cfr. Vannetti, pp. X, XLIV) a Verona con Alessandro, Marchesini e Antonio Calza, e aveva dipinto scene di battaglia; il B. stesso ne possedeva un quadro, che morendo lasciò con un gruppo di sue opere ai domesticí. Gli vengono ora attribuite (Passamani) sei tele con scene di guerra, esistenti nel palazzo Fedrigotti a Sacco, ed altre cinque nel palazzo Betta (ora Grillo) a Rovereto; sulla base di queste attribuzioni la pittura di Giovanni, tra il Sei e il Settecento, appare caratterizzata da un disegno forte e sicuro entro una composizione scenico-decorativa di qualche valore e da un attento senso cromatico.
Evidentemente il giovane B. è stato influenzato nelle sue prime esperienze dagli insegnamenti e dalla suggestione della pittura dei cugino, dalla sua monumentalità e concitazione barocca, ma rimangono fondate su esili considerazioni stilistiche le congetture che vorrebbero la partecipazione attiva di Giovanni ai primi lavori del B. in particolare alle due grandi tele del palazzo Betta a Rovereto.
Dopo i primi insegnamenti diretti, se ci furono, Giovanni consigliò di mandare il giovane a studiare a Verona, nella bottega di Antonio Balestra. Non sappiamo quando il B. abbia lasciato Sacco, ma certo prima del 1703, perché in quest'anno segui il Balestra a Venezia, e qui rimase fino al 1705. Tornato allora in Trentino, fu proprio il Balestra a consigliare Felice B. ad inviare suo figlio a Roma, alla scuola di Carlo Maratta. Il soggiorno romano, che data dall'inizio del 1707, fu presto interrotto, perché nel 1708, morto il padre, il B. dovette stabilirsi a Sacco, e le condizioni della famiglia (aveva un fratello minore e quattro sorelle) lo costrinsero ad assumere la responsabilità della casa, ad interessarsi cioè dell'attivìtà commerciale che il padre aveva organizzato. Solo quando il fratello Quintilio raggiunse la maggiore età, secondo il Vannetti, il B. poté riprendere la pittura.
A Sacco allestì la sua bottega (dove imparò a dipingere, riteniamo, il nipote Baldassarre Sinabelli, che lo aiuterà poi nella Via Crucis della parrocchiale), e a Sacco, come sempre il Vannetti sembra accennare, trovò un minimo di vita di relazione e forse di cultura; la casa Fedrigotti poteva ben rappresentare, seppure a un modesto livello, il centro di questa vita, e con sufficiente dignità. Del resto, la vicinanza a Rovereto Può agevolmente spiegare come il B. non si sia mosso dal paese natale. Egli ebbe ben presto un successo notevole e svolse una intensa attività per privati e per chiese e conventi a Sacco e nei territori vicini.
Ebbe commissioni dai Fedrigottì di Sacco, dai Pedroni di Nogaredo, dai Fedriga di Isera e dalle famiglie roveretane Betta, Bridi, Fait e Wangher, Mitterrniller, Pizzini, Rosmini, Vannetti. Sempre a Rovereto, gli chiesero opere la Confraternita della carità, i conventi francescani di S. Rocco e di S. Caterina, la Scuola dei tintori; lavorò per le chiese di S. Marco e di S. Maria del Carmine, e poi per quelle di S. Croce, del Suffragio e della Visitazione, di S. Giuseppe e di S. Maria delle Grazie. A Sacco, oltre che per i Fedrigotti, dipinse nella chiesa della Trinità e forse in quella delle agostiniane (ora S. Antonio) e soprattutto nella parrocchiale dedicata al Battista, affrescandola e ornandone quasi ogni altare; un affresco dipinse sulla casa ora ToneW, e certo lavorò anche per altri.
Specialmente dopo che Antonio Gresta lasciò nel 1726 la Valle Lagarina, il B. dominò la vita artistica del Trentino meridionale. Egli inviò anche pale nel Bresciano (a Limone) e nel Mantovano (a Gazoldo degli Ippohti), a Levico in Val Sugana, a Condino e forse altrove in Val Giudicarie, affrescò nel duomo di Trento e dipinse per le chiese dell'Annunziata e della Madonna delle Laste; è presente a Riva e in moltissime chiese della Valle Lagarina: a Mori, Isera, Brancolino, Nogaredo, Villa, a Nomesino, a Tiemo, Brentonico, S. Giacomo di Monte Baldo, alle Porte, a Lizzanella e a Marco.
Nella prima metà del Settecento il B. si trovava dunque ad operare soprattutto in quella società che aveva il suo centro in Rovereto e che manifestava allora una decisa iniziativa economica e, almeno dal terzo decennio in poi, con Girolamo Tartarotti e più tardi con l'Accademia degli Agiati, il fermento della cultura razionalista e illuminista. In questa società e in questo tempo il maggior fatto artistico, con il rinnovamento architettonico della città - che riguarda del resto anche i paesi della Valle - è la pittura del Baroni. Ma essa non ha riferimento a tale situazione culturale ed economica se non superficialmente e genericamente, nel senso che non trova in quella, contrariamente a quanto si è cercato di sostenere, alcuna giustificazione che non sia di ordine pratico e occasionale, insufficiente a spiegare un fatto artistico. Alcune tele del B. hanno certamente un significato minore, e limiti si devono notare anche ai margini delle opere più riuscite, il che può essere anche attribuito al gusto dei committenti che la cultura razionalista stimolava verso un'arte religiosa di pura evasione e di equivoca pietà. È questo il B. minore: si ricordi per tutti il Transito di s. Giuseppe nella chiesa della Trinità di Sacco.
Altro è il carattere distintivo della pittura che il B. è venuto sviluppando sulle suggestioni che il discepolato veronese veneziano e poi romano gli avevano dato. Oltre che del Balestra e del Maratta, egli può avere anche subito l'influenza, a Venezia, del Lazzarini (così il Passamani), e più tardi quella del Piazzetta (così già il Vannetti e poi il Passamani); e particolarmente sensibile fu a un modo neocorreggesco che può essergli venuto dal Maratta medesimo (Pischel e Passamani). Entro queste ascendenze culturali ed artistiche, ha trovato la propria strada un suo personale segno pittorico. La recente critica concorda per altro nel ritenere che questa sua strada non sia caratterizzata da una coerente ricerca di linguaggio, per cui è più difficile ricostruire una cronologia plausibile delle opere.
Si ha notizia di oltre centoventi lavori del B., dei quali circa settanta, compresi alcuni disegni e bozzetti, ci sono rimasti; ma le opere datate, se si escludono i disegni, sono solamente quattro: il Cristo sotto la Croce nella parrocchiale di Sacco (1733), L'Immacolata in S. Marco di Rovereto (1739), la Madonna del Rosario nella parrocchiale di Isera (1748) e gli affreschi della parrocchiale di Sacco (1749).E a parte l'affresco nella parrocchiale di Villa Lagarina, che non poté finire a causa della morte, si può proporre con qualche sicurezza, sulla base di elementi estemi, una datazione solo per un'altra diecina di dipinti. I dati per la sua biografia, anche di pittore, non sono dunque numerosi. Le condizioni e le perdite subite dagli archivi locali non hanno permesso il reperimento di altre notizie, e numerose altre opere devono essere andate disperse, soprattutto durante la guerra 1915-1918.
Giovanili devono essere le tele di casa Betta a Rovereto, perché più vicine al Balestra, e di un periodo poco posteriore al soggiorno romano le quattro tele, di gusto marattesco, nel coro di S. Maria del Carmine, sempre a Rovereto. Ma già al decennio dal 1720 al 1730 si possono datare o collocare alcune opere di grande impegno, che dimostrano una compiuta maturità. Il lavoro di maggiore rilievo è forse l'affresco nella volta della cappella della Madonna di Caravaggio nella chiesa della Trinità di Sacco (1726 circa), dove in una felice costruzione circolare il B. riesce a fondere quelli che sembrano i due strumenti fondamentali della sua pittura: un disegno sicuro, e qui molto netto, e un sapiente uso del colore; e si rivela anche il modo migliore della sua costruzione pittorica, portata sì al racconto, all'invenzione narrativa, ma attenta anche a momenti di più raccolto e diretto lirismo. L'affresco è anche significativo perché fu l'occasione per lui di venire in contatto col pittore Antonio Gresta. Per più di due decenni l'intenso lavoro dei B. è segnato da alcuni risultati di valore: il S. Nicolò e la Madonna del Rosario nella parrocchiale di Sacco, il S. Gerolamo della Madonna del Carmine di Rovereto o il ciclo sul Battista nel presbiterio e nel coro, ancora a Sacco. Di anche maggiore interesse un gruppo di tele, che pare possano collocarsi tra il 1740 e il 1750, un po, dopo le precedenti: la Consegna dello scapolare, nella chiesa del Carmine di Rovereto, il Crocifisso nella parrocchiale di Limone, la Visitazione nella parrocchiale di Preore, L'educazíone della Vergine e la Trinità nella chiesa della Trinità a Sacco, la già citata (datata 1748) Madonna del Rosario nella parrocchiale di Isera, la Cena in Eínmaus nella chiesa di Brancolino, il Gesù nell'orto e la Flagellazione nella parrocchiale di Sacco.
In queste tele il B. è venuto esprimendo la sua capacità di poesia, anche se in una sequenza stilisticamente poco unitaria; di fatto egli sembra sinceramente dominato dal problema singolo che deve affrontare. In alcune tele (L'educazione della Vergine) riesce a creare una atmosfera di sacralità familiare sfruttando una sorgente di luce e costruendo tutto il quadro attorno ad essa; così anche nella Cena di Brancolino. Una poesia di fervida, stupita religiosità è presente anche nelle due tele della camoria di Sacco (il Gesù nell'orto e la Flagellazione), e sempre in una struttura compositiva semplificata, in cui il colore ha una funzione primaria. Per questo soprattutto si sono ricordate ascendenze venete, che si possono anche pensare per la Madonna di Isera, ma non esclusivamente, perché qui il colore ha un ruolo meno decisivo. Così specialmente nella Visitazione di Preore o nella Consegna dello scapolare di Rovereto o nella Madonna della parrocchiale di Gazoldo (Mantova): con mezzi diversi, un disegno più netto e una costruzione più complessa, si crea la stessa suggestione e concentrazione di affetti religiosi, concepiti non più come raccolta ed intensa umanità quanto come pura visione celestiale.
Questo è l'aspetto migliore della pittura del B., che si ritrova anche nell'opera di maggiore impegno, gli affreschi della parrocchiale di Sacco. Su due linee convergenti al centro (lo Spirito Santo) il B. ha costruito due movimenti ascensionali, che hanno riferimento ai protettori della chiesa, il Battista e l'Assunta.
In quest'opera sono certo presenti i ricordi romani (come sono evidenti in altri lavori, tra i quali di maggior valore ci sembrano, sempre a Sacco, la Madonna del Rosario e per altri aspetti il S. Nicolò),come del resto quelli veneti, dal Balestra al Piazzetta, ma si ha nell'insieme un'opera sintomatica delle qualità dei B., del suo valore come dei suoi limiti. E certo le chiese di Sacco, del Battista e della Trinità, sono per merito suo il maggior monumento di pittura religiosa del Settecento in Trentino; specialmente quella del Battista, con la moltitudine delle sue tele e con l'affresco, dove la stessa imponenza della costruzione, forte ed intensa, ha come corrispettivo la leggerezza decorativa e l'elegìaca semplicità, un po' arcadica nell'ispirazione e nel gusto, del Paradisetto.
Un'arte dunque,, quella del B., mossa da un'autentica ispirazione religìosa; proprio mentre la cultura roveretana aveva ripreso il gusto e l'interesse per il mondo classico, la sua produzione a carattere profano fu in realtà di minor conto e anche quantitativamente scarsa. È un'arte animata da un grande slancio inventivo, da una sicura capacità di narrazione pittorica, ora fervida, ora melanconicamente pacificata, ora severamente asciutta. Sono queste stesse caratteristiche a segnare i limiti della sua arte, quando essa indulge, nella ripetizione di motivi pittorici e di schemi iconografici, a forme di convenzionale pietismo.
Il B. dipinse fino alla vecchiaia, fino all'ultimo giorno: morì il 12 ott. 1759, quando stava affrescando la Scala di Giacobbe nella chiesa di Villa Lagarina.
Fonti e Bibl.: Le fonti più antiche (A. Roschmann, 1742, G. de Sperges, 1742 e 1750'F. Bartoli, 1780'A. Chiusole, 1782, S. Consolati, 1835) sono edite da G. B. Emert, Fonti manoscritte ined. per la storia dell'arte nel Trentino, Firenze 1939, pp. 32'41, 45,56, 73, 88, 93, 94, 96-99, 101-109, 113I 15, 117, 121, 127, 128, 149; oltre queste, e soprattutto, cfr. Ci. Vannetti, Notizie intorno al pittore G. B. C. di Sacco, Verona 1781 (poi in Opere ital. e latine, VI, Venezia-Rovereto 1831, pp. 7-57; cfr. qui anche le pp. 59-62); Si V. ]Poi: P. Zani, Encicl. metodica... delle belle arti, 1, 3, Parma 1820, p. 88; F. Ambrosi, Scrittori e artisti trentini, 2 ed., Trento 1894, p. 153; T. Postinger, C. Vannetti cultore delle belle arti, Rovereto 1895; Catal. della mostra d'arte sacra, Trento 1905, nn. 22-25; A. Schneller, La parrocchia di Sacco, Rovereto s.d. [ma 1908], pp. 18-21, 25, 27, 38, 43; K. Atz, Kunstgeschichte von Tirol und Voralberg, Innsbruck 1909, Ipp. 851, 961; H. Hammer, Die Entwicklung der barocken Deckenmalerei in Tirol, Strassburg 1912, pp. 225-237; A. Moschetti, I danni ai monum. e alle opere d'arte delle Venezie nella guerra mondiale MCMXV-MCMXVIII, V, Venezia 1931, pp. 46 s., 50, 52 s., 78; S. Weber, Artisti trentini., Trento 1933, pp. 26 s., 85 s., 106; G. Pischel-Fraschini, Nel 250 annivers. della nascita di G. A. B., in Studi trentini di scienze storiche, XIV (1933), pp. 3-14; A. Rossaro, Iconografia della chiesa roveretana. Rovereto 1934, nn. 9, 10, 19, 30, 33-35, 37-38. 50-53. 57, 72, 901 154, 174, 182, 183, 191, 192, 198, 207, 212, 217, 223; C. Donzelli, I pittori veneti del Settecento, Firenze 1957, pp. 60 S.; B. Passamani, G. B. C...., in Atti d. Accad. roveretana degli Agiati, S. s, VII (1958), pp. 1-117 (con molte tavol ed altra bibliografia, alle pp. 49-51); U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, II, pp. siq S.; Encicl. Ital., VI, p. 225.