FENIS (Fenice, Fenici), Barthélemy (Bartolomeo)
Non si conoscono gli estremi anagrafici di questo pittore attivo a Modena nel XVII secolo; la famiglia, originaria della Francia, si stabilì nella prima metà del sec. XVII a Modena, dove si dedicò all'orologeria, attività che prosegui anche nel corso del sec. XVIII (Campori, 1855).
Il padre risulta essere "Monsù Michele Fenici", "orologiaio ducale", che, dal 1664, curava anche la manutenzione dell'orologio del palazzo comunale; la madre, Barbara, trovò sepoltura nel 1686 presso la chiesa di S. Pietro, nella cui parrocchia i Fenis probabilmente risiedevano. A pure documentato un Giovanni, orologiaio e gioielliere, firmatario di una supplica al duca di Modena Rinaldo d'Este, nel 1695, per il pagamento di orologi e preziosi da lui forniti (Valenti, 1986).
La personalità del F. rimane ancora da ricostruire: in tempi anche recenti non è raro il caso di sue incisioni pubblicate, pur nella locale bibliografia, come di autore anonimo. Il Campori, a cui risalgono i primi e ancora basilari studi sull'artista (1855; 1882), citava, fra le sue più precoci stampe, "alcune piccole cartine", fogli sparsi recanti il titolo La vie du Solda pruve d'eau forte feicte dan Moden par Barthelemi Fenis 1656 [sic], tratte in parte dalle Miserie della guerra di J. Callot. Circa la sua formazione, che sembra dunque da connettersi agli esempi callotiani, è ipotizzabile che sia stata propizia anche la consuetudine con gli strumenti dell'arte orafa, praticata da suoi familiari, arte per certi versi affine a quella dell'incisione all'acquaforte: una circostanza, questa, comune al più celebre Stefano Della Bella, parente di orefici.
Del 1656 è la più cospicua impresa del F.: la serie di incisioni su rame illustranti L'idea di un prencipe et eroe christiano in Francesco I d'Este, di Modena e Reggio duca VIII, testo del gesuita p. D. Gamberti, stampato in Modena per i tipi di B. Soliani nel 1659; questa superba edizione di 600 pagine commemora la figura di Francesco I d'Este, magnificandone le virtù e le gesta in pace e in guerra, nell'esercizio dei poteri sovrani e nei confronti della sfera religiosa.
Spettano al F. le tavole con episodi della vita del duca, incluse in fastose incorniciature, nonché gli emblemi istoriati. Se ne conservano sessantasette lastre di rame incise e quarantacinque disegni preparatori a matita, ripassati a penna, presso il Museo civico di Modena; è così possibile il confronto fra la versione disegnativa e quella incisoria, in cui affiorano parziali varianti, spesso dettate dall'aggiornamento di specifiche situazioni, come nel caso esemplare della reggia di Sassuolo, rappresentata in due diverse fasi del suo cantiere (Armandi, 1983; cfr. anche Ilpalazzo ducale di Modena..., a c. di A. Biondi, Modena 1987, pp. 74, 218), il che suggerisce la possibilità di una gestazione piuttosto lunga e laboriosa, almeno per le stampe sulla vita di Francesco I, in ogni caso anteriori al 1659, anno dell'edizione.
Nell'individuare le fonti culturali del F. la critica ha privilegiato il nesso con il Callot. Già Campori (1882) evidenziava, nelle incisioni de L'idea di un prencipe..., "lamaniera spiritosa su l'andare di quella del Callot, sebbene trascurata nel disegno". Notevole è il debito del F. verso il maestro francese, da cui sembra trarre la regia compositiva nelle scene a grandi masse, popolate da minuscole figurette, a tratti quasi lenticolari; parimenti, dal Callot deriva al F. sia la tendenza ancora manieristica di deformare i personaggi, sia l'abilità ad organizzare coralmente gli episodi, in un'orchestrazione dall'ampio movimento barocco, talora ambientandoli in paesaggi colti a volo d'uccello, resi con viva sensibilità atmosferica. Ma sul F. dovette pure influire il linguaggio del fiorentino Della Bella, educatosi anch'egli sugli esempi del Callot, oltre che di R. Cantagallina, autore indubbiamente noto allo stesso R; il Della Bella appena pochi anni prima era stato operoso per la corte estense, incidendo le tavole della Gara delle stagioni, su testo di G. Graziani, edita a Modena dal Cassiani nel 1652.
L'orizzonte culturale del F. sembra quindi estendersi fino a comprendere l'entourage, variegato e di livello cospicuo, degli artisti che attendevano alle frequentissime commissioni ducali. In particolare, ne L'idea di un prencipe... ilF. probabilmente ebbe, fra i suoi referenti di stile, anche i modi del francese J. Boulanger, autore delle decorazioni ad affresco nella reggia di Sassuolo e in altre fabbriche estensi; dovette incidere sul linguaggio del F. il suo registro narrativo sciolto ed eloquente, colorito da descrizioni analitiche. D'altro canto, è stato rilevato (Pirondini, 1982) come lo stesso Boulanger rafforzasse le potenzialità illustrative del proprio lessico riprendendo idee compositive dalle stampe del Callot.
Nella varietà di soluzioni iconografiche, imposta dal complesso programma del Gamberti, il F. offre poi saggio di una consuetudine con il settore della scenografia, quanto mai vitale attorno alla corte estense, non soltanto in un episodio come il sopralluogo di Francesco I al teatro ducale ma anche in vedute urbane, quale quella che ritrae lo stesso Francesco sullo sfondo del palazzo ducale in costruzione, fra due ali di edifici, a mo' di quinte teatrali. Richiamano altresì le effimere "macchine" di caroselli e di rappresentazioni teatrali gli "eniblemi" figurati con i carri allegorici della "Morte" e del "Tempo", racchiusi in cartigli dalle opulente forme barocche. Mentre, nella raffigurazione degli interni della residenza principesca, una vena fiammingheggiante registra con fedeltà gli arredi, tanto che vi si possono agevolmente identificare taluni dipinti della celebre Galleria Estense.
Il discorso del F. è dunque duttile e articolato, dovendo presentare nel "gran teatro del mondo" - restituito con il fasto di uno spettacolo barocco - la vicenda terrena di Francesco I, per consegnarla alla storia quale exemplum virtutis. Distingue la prosa del F., ora aulicamente celebrativa, ora intessuta di annotazioni di vita quotidiana, un tono "retorico" di evidenza didascalica, poiché al servizio di un programma ideologico, volto ad assicurare la gloria del principe nella memoria dei posteri.
L'attività incisoria del F. è documentata nel decennio successivo da varie tavole per la Raccolta de' pittori, scultori et architetti modonesi più celebri di L. Vedriani (Modena 1662) e per le Poesie di F. Testi, pure del 1662, edizioni del Soliani. E ancora, per i tipi di A. Cassiani, il F. illustrò i testi di L. Vedriani, Vita del glorioso s. Geminiano..., Modena 1663, Memorie di molti santi martiri, confessori e beati modonesi, ibid. 1663, Vita della beata Camilla Pia, ibid. 1664, e Dottori modonesi, ibid. 1665; infine, sempre del Vedriani, ma pubblicato dal Soliani, il Catalogo de vescovi modonesi, ibid. 1669.
Le stampe, recanti la firma "B. Fenis" o "B. Fenice", accompagnata talora da "Mutine." o "Mut.", oppure la sigla "B. F.", mostrano una dipendenza dalla pittura emiliana, di matrice carraccesca ma anche tardomanieristica: esemplare è la tavola con S. Geminiano vescovo e protettore di Modona, nella Vita di s. Geminiano, che riprende in controparte la figura di s. Gregorio nella nota pala del Guercino in S. Vincenzo di Modena; così, le corniciature ovali, rigogliose di frutta e fiori, sono rapportabili a soluzioni dei lombardi Pier Francesco e Carlo Cittadini, attivi alla corte estense, e di loro emuli locali come Simone e Pellegrino Ascani.
Non si hanno più notizie del F. dopo il 1669.
Della stessa famiglia del F. fu Nicolo (Modena, sec. XVII), che esercitò l'attività pittorica. Il suo nome è legato a una pala, dispersa, gia nella chiesa di S. Agostino in Modena, raffigurante S. Casimiro re di Polonia, "vestito all'eroica, con corona reale in capo, che mira due Angioli in gloria et appresso... un Angiolo che si appoggia ad una lapida, in cui sta scritto Sanctus Casimirus Poloniae Princeps": così M. A. Lazarelli, illustrando il tempio nel 1714. Il dipinto, in origine sul primo altare di destra, poi di sinistra dal 1785, fu visto dal Campori (1855), che esprimeva riserve circa il suo livello qualitativo. La realizzazione dell'opera, situabile tra il 1660 e il 1670, s'inscrive nella vasta impresa che trasformò la medievale S. Agostino in Pantheon Atestinum - sededelle esequie dei duchi d'Este - svolgendo, nell'apparato figurativo degli stucchi e dei dipinti, un programma iconografico glorificante gli Este, tramite la celebrazione di santi ad essi legati da vincoli parentali, come nel caso di s. Casimiro di Polonia. Nicolò risulta pertanto coinvolto in questo cantiere ducale, affidato a un prestigioso milieu che raduna F. Stringa, S. Caula, O. Dauphin e altri ancora, interpreti, seppure in variegate accezioni, del classicismo emiliano di radice carraccesca e reniana.
Non è chiaro se i versi che M. Boschini ne La carta del navegar pitoresco (Venezia 1660, p. 498) dedica a "Fenice", "che da Modena deriva", lodandone sia il disegno sia la pittura, vadano riferiti a Nicolò o al F., senza poter escludere la possibilità di una confusione fra i due artisti.
Fonti e Bibl.: Modena, Arch. stor. com., Ex Actis, 1º ag. 1664; Ibid., Registro dei morti, 1686, 11 marzo (per Michele); Ibid., Registro delle deliberazioni consiliari, anno 1693, 7 agosto; Ibid., Arch. per materie, Arti e mestieri, fasc. Orologiai, b. 29; M. A. Lazarelli, Pitture delle chiese di Modona [1714], a cura di O. Baracchi Giovanardi, Modena 1982, p. 41 (per Nicolò); P. Zani, Enc. metodica critico-ragionata delle belle arti, I, 8, Parma 1821, p. 222; G. Campori, Gli artisti ital. e stranieri negli Stati Estensi, Modena 1855, pp. 1995.; Id., Gli incisori degli Estensi, Modena 1882, pp. 11 s.; G. Boffito, Frontespizi incisi nel libro ital. del Seicento, Firenze 1922, p. 95; G. Guandalini, Museo civico medievale e moderno. Guida, Modena 1974, pp. 48-50; G. Soli, Chiese di Modena, a cura di G. Bertuzzi, Modena 1974, I, pp. 44, 47 (per Nicolò); A. M. Bulgarelli, La bottega dei Soliani tipografi in Modena, tesi di laurea, facoltà di magistero, Università di Parma, a. a. 1979-80, passim;G. Milesi, Diz. degli incisori, Bergamo 1982, p. 95; M. Pirondini, in Ducale palazzo di Sassuolo, Genova 1982, p. 23; M. Armandi, in Natura e cultura urbana a Modena (catal.), Modena 1983, pp. 129, 169 s., 223; G. Martinelli Braglia, Note sullo spettacolo in Modena tra Sei e Settecento: i luoghi e le presenze, in A. Stradella e Modena (catal.), Modena 1983, p. 54; G. Pistoni, S. Geminiano vescovo e protettore di Modena, Modena 1983, pp. 573, 583; C. Acidini Luchinat -L. Serchia-S. Piconi, I restauri del duomo di Modena. 1875-1984, Modena 1984, pp. 22 s.; G. Martinelli Braglia, Il teatro Ducale Grande..., in Il palazzo comunale di Modena. Le sedi, la città, il contado, a cura di G. Guandalini, Modena 1985, pp. 178 s.; A. Colombi Ferretti, La decorazione pittorica del palazzo ducale di Sassuolo, in L'arte degli Estensi. La pittura del Seicento e del Settecento a Modena e a Reggio (catal.), Modena 1986, p. 30; D. Benati, La pittura del Seicento a Modena, ibid., p. 19 (per Nicolò); F. Valenti, Artigianato e oggetti di artigianato a Modena dal 1650 al 1800, Modena 1986, p. 179 (per Giovanni); F. Piccinini, Matrici per stampe, in Le raccolte d'arte del Museo civico di Modena, a cura di E. Pagella, Modena 1992, pp. 199 s.; Brian's Dict. of painters and engravers, London 1914, II, p. 153; A. Garuti, Il Monastero di S. Chiara in Carpi, Carpi 1993, pp. 95 s.; G. Martinelli Braglia, Oliviero Dauphin e Tommaso Costa, allievi di Giovanni Boulanger, in Quad. della Bibl. comunale di Sassuolo (in corso di stampa); U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XI, p. 387 (ad voces Fénis, Barthélémy; Fénis, Nicolas).