VALVASSORI, Bartolino
VALVASSORI (Vavassori, de Vavassoribus), Bartolino (Bartolino da Lodi). – Nacque probabilmente negli anni centrali del Trecento, come fa ritenere l’età ormai adulta del figlio Bassiano nell’anno 1400.
Appartenne a una famiglia di Lodi di orientamento ghibellino che, nel primo Quattrocento, venne esiliata durante la signoria di Giovanni Vignati; rientrata in città nel 1416, fu ancora ricordata tra quelle ghibelline nel 1482.
Tra i suoi parenti è da ascrivere forse Pietro Valvassori, maestro di grammatica in Novara e compilatore di una miscellanea di autori classici e umanistici, cui aggiunse sue composizioni in prosa e in versi, sia in latino, sia in volgare, alcune datate ai decenni centrali del Quattrocento (Milano, Biblioteca Trivulziana, ms. 97).
Probabilmente in Lodi nel 1392 copiò, esibendo un’elegante littera bastarda italiana, il commento di Nicola Trevet al boeziano De consolatione philosophiae nel codice Parigi, Bibliothèque national de France, Lat. 6408, poi entrato, certamente entro il 1426, nella biblioteca viscontea del castello di Pavia. Nella nota di copia si sottoscrisse Bartolinus de Vavassoribus dictus de Cazaderiis.
Importanti informazioni sull’attività didattica e sugli orientamenti culturali del lodigiano affiorano dal manoscritto composito Milano, Biblioteca Ambrosiana, G 111 inf., approntato per la scuola e in massima parte autografo. I testi vennero aggregati dallo stesso Valvassori o dal figlio e allievo Bassiano, che, il 7 ottobre 1400, ultimò la copia dell’Ecerinis di Albertino Mussato con commento (cc. 22r-34v).
Il manoscritto conserva i Carmina super figuris deorum di Valvassori, allegorie in versi dedicate alle metamorfosi delle divinità pagane che riprendono, con trasposizione poetica, l’Ovidius moralizatus di Pierre Bersuire, testo tradito nel medesimo codice. Allo studio e all’insegnamento del maestro lodigiano sono riconducibili il commento ai primi sei libri dell’Eneide – versio breviata di un’opera ritenuta di Bernardo Silvestre, con interventi correttori e glosse dello stesso Valvassori –, una lettura del libro IV del poema virgiliano, verosimilmente compilata in area italiana nel XIV secolo, e il Cento Vergilianus di Proba, trasmesso privo della prefazione e con scholia utili per la didattica. Particolarmente importante è la tragedia di Albertino Mussato Ecerinis, corredata da marginalia che introducono la divisio, con buona probabilità copiata da un antigrafo, in sei atti dell’opera, e la descrizione dei metri adottati: questi elementi rivelano interessi per la facies classicista della tragedia non comuni agli altri commenti al testo. L’apparato di glosse è seguito da un accessus agli atti della tragedia (c. 35r), ispirato al tardo duecentesco Chronicon Marchiae Tarvisinae et Lombardiae – anch’esso accompagnato, come in altri testimoni dell’Ecerinis, al testo di Mussato – e al commento di Benvenuto da Imola a Paradiso, IX, 25 s. Sia l’argumentum, sia una parte delle glosse a commento della tragedia molto probabilmente non sono da attribuire a Valvassori (Brusa, 2018a, pp. 414-417). Tra le altre auctoritates sono da segnalare i ricorsi a Dante e a Seneca (Epistolae ad Lucilium), mentre, nelle glosse interlineari, vengono richiamati testi di lessicografi largamente impiegati nella scuola tardomedievale come le Derivationes di Uguccione da Pisa e il Graecismus di Eberardo di Béthune; tra i grammatici contemporanei un implicito riferimento è forse al cremonese Folchino Borfoni, lettore di Seneca tragico.
La miscellanea illustra una sezione del programma di insegnamento adottato da Valvassori: tra le opere raccolte per la scuola non deve però essere incluso il commento all’Ecerinis, che, sebbene circolato in codici con glosse riconducibili alla didattica e spesso appaiato al sommo ‘modello’ rappresentato dalle tragedie senechiane, qui si configura come un testo redatto a uso personale del maestro, con richiami utili soprattutto in funzione di guida alla lettura e non di approfondimento tematico.
L’aggregazione di opere nel manoscritto Ambrosiano riflette anche una precisa posizione culturale nei confronti della poesia antica e della legittimità del suo studio, questione su cui si confrontarono i maggiori intellettuali del Trecento. Valvassori seguì la tecnica interpretativa dell’integumentum, che considerava il testo tramite di verità le quali, sceverate dall’involucro in cui erano adombrate, avrebbero predisposto l’uomo al corredo di virtù necessarie alla salvezza cristiana. Per translatio si sarebbero afferrati profondi significati morali e religiosi non solo nelle opere dei grandi poeti, come Virgilio e Ovidio, ma anche nel ben più modesto centone di Proba, accolto dal maestro nella sua miscellanea.
Tali posizioni vennero programmaticamente espresse nella prolusione al corso sulle Metamorfosi di Ovidio, tenuta dal grammaticus il 29 giugno 1405 a Cremona, città in cui lesse gli auctores maiores molto probabilmente nelle scuole comunali.
L’Oratio composita una cum metris per me Bartolinum Vavassoribus de Laude pro principio facto super Ovidio Methamorphoses in Cremona in festo apostolorum Petri et Pauli 1405 – conservata nella miscellanea Bergamo, Biblioteca civica A. Mai, MA 325 (Sigma VI 39), cc. 99r-100v – si apre, seguendo il tradizionale schema delle artes praedicandi, con un thema (qui la prima lettera di s. Giovanni), da cui l’autore avviò un’apologia della poesia e di Ovidio, che, claviger alme poesis, nel libro XV delle Metamorfosi dichiarò la necessità di raggiungere la cognizione delle cause prime per arrivare alla piena conoscenza. Per condurre l’umanità alla vera vita viene così esaltata l’importanza della sapienza – simboleggiata dalle divinità pagane definite nei loro tratti essenziali e allegorici, per i quali il magister attinse anche ai suoi Carmina super figuris deorum – e dell’esperienza. Oltre a Ovidio e a Boezio, Valvassori ricorse all’auctoritas di Seneca morale, di cui sono ricordate le epistole all’allievo Lucilio, in particolare quelle sui vantaggi degli studi liberali che preparano alla virtù.
Al breve insegnamento cremonese seguì la lettura di grammatica e di retorica nella facoltà di arti e medicina dell’Università di Bologna nell’anno accademico 1405-06. A partire da questo incarico Valvassori iniziò a essere ricordato con il titolo di gramatice ac rhetorice doctor, ma non è nota l’università in cui conseguì i gradi accademici. Il passaggio dalle scuole retorico-grammaticali all’insegnamento universitario fu percorso a ritroso già nel 1408, quando, con uno stipendio di 80 fiorini d’oro, Valvassori, ormai apprezzato maestro, venne chiamato a insegnare grammatica nelle scuole comunali di Lucca da Paolo Guinigi, signore della città. In questo torno di anni compose a Lodi un Rhetoricale compendium, conservato nel codice Milano, Biblioteca Ambrosiana, Q 26 sup., commissionatogli da un importante personaggio definito piuttosto oscuramente «A. comes Pulignani» – forse un membro della potente famiglia Vignati – di cui il magister si definì servulus.
Al committente, interessato ad affinare la sua eloquenza anche per le pratiche necessità di governo, vennero offerti precetti di arte retorica, fortemente ispirati alla pseudociceroniana Rhetorica ad Herennium e alla Poetria nova di Goffredo di Vinsauf, con richiami anche all’Ars poetica di Orazio, a Guido Fava, per le clausole e il cursus, e, per la sezione de punctis, al trattato Orthografia del grammatico Folchino Borfoni. Il ricorso alla grafia latina per illustrare l’etimologia di vocaboli greci fa pensare che il magister non conoscesse la lingua greca. L’epitome – che, ricordò l’autore, era la riduzione di un suo trattato retorico di più ampie dimensioni, lasciato incompiuto – comprese anche l’epistolografia, illustrata piuttosto succintamente sul piano teorico, con la tradizionale esposizione delle cinque parti canoniche e della teoria del cursus, mentre un maggiore spazio venne dedicato a concreti exempla di lettere. Questa ars dictaminis rappresenta con chiarezza la transizione che stava vivendo in quei decenni l’insegnamento della retorica nelle università e nelle maggiori scuole, connotata dalla compresenza, nella maniera del dictare, di legami alla strumentazione e ai metodi della tradizione e, insieme, di un’apertura umanistica alla lettura dei classici.
Le relazioni di Valvassori con Lodi sono ancora documentate nel secondo decennio del Quattrocento, quando partecipò attivamente alla vita politica cittadina. Negli ultimi giorni di dicembre del 1413 pronunciò un’orazione nella cattedrale in occasione della richiesta del titolo di conte che Giovanni Vignati rivolse all’imperatore Sigismondo, dopo essere stato creato cavaliere aurato da questi. Caduta la signoria di Vignati fu tra i sindaci della città che, nei giorni 26 e 27 agosto 1416, giurarono fedeltà al duca di Milano Filippo Maria Visconti.
L’ultima notizia sul magister giunge ancora da una sua prolusione inaugurale dell’anno scolastico, tenuta il 19 marzo 1419 a Caravate (Varese), dove gli venne assegnato un insegnamento di grammatica nella scuola locale (in gymnasio Caravatensi).
Il Sermo, conservato nel codice Milano, Biblioteca Ambrosiana, B 116 sup., cc. 91r-94v, riprende la struttura e il tema apologetico degli studi liberali dell’orazione cremonese del 1405. La citazione neotestamentaria Lettera agli Efesini, 5, 8, posta come proposizione iniziale, fornì la traccia su cui condurre le laudes disciplinarum, tema ricorrente anche nelle orazioni universitarie. Dalla grammatica, ‘principessa delle scienze’, Valvassori passò alle altre artes liberales, tutte derivate dalla prima, estendendo poi le lodi alla filosofia, alla medicina, alla giurisprudenza e, infine, alla teologia, con la quale, forte dell’erudizione raggiunta attraverso gli studi liberali, l’uomo può realizzare pienamente la sua umanità e salire a un gradum deitatis. Opera della piena maturità intellettuale del magister, la prolusione presenta un ampio campionario di auctores della classicità greco-latina e medievale, citati esplicitamente, come nel caso di Aristotele, Catone, Cicerone, Orazio, Virgilio, Ovidio, Seneca, Lucano, Valerio Massimo, Esopo e Boezio, o con allusioni al loro pensiero, via seguita per Marziano Capella e Benvenuto Rambaldi da Imola, il cui commento alla Commedia, insieme all’ampia ripresa di un passo del De casibus virorum illustrium di Giovanni Boccaccio e di uno della Commedia dantesca (Purgatorio XXIX, 43-150), rivelano l’apertura di Valvassori alle auctoritates a lui cronologicamente più vicine.
Strettamente legate all’insegnamento della grammatica sono le sue Quaestiones adverbiorum, raccolte nella miscellanea Firenze, Biblioteca nazionale, Conv. Soppr., B. 1. 1500, cc. 114r-147r – in parte copiata dal pisano Giovanni di Giacomo Ceuli nel 1428 – e le brevi Regulae grammaticales, anch’esse conservate in una silloge di testi per la didattica (Firenze, Biblioteca nazionale, Acquisti e doni, 467, cc. 83r-85r). Non ci sono elementi per attribuire a Valvassori i Flores grammatici, ora perduti, composti da un Bertolutius professore di grammatica e filosofia a Bologna (Sarti - Fattorini, 1888; Manacorda, 1914).
Fonti e Bibl.: Milano, Biblioteca Ambrosiana, D 98 inf.: Ioannis Musti Chronica Laudensia ab origine urbis usque ad finem seculi XV; U. Dallari, I rotuli dei dottori legisti ed artisti dello Studio bolognese dal 1384 al 1799, IV, Bologna 1924, p. 27.
G. Molossi, Memorie d’alcuni uomini illustri della città di Lodi, II, Lodi 1776, p. 267; A. Corradi, Notizie sui professori di latinità nello Studio di Bologna sin dalle prime memorie, Bologna 1887, pp. 61-63; M. Sarti - M. Fattorini, De claris Archigymnasii Bononiensis professoribus..., I, Bononiae 1888, p. 514; P. Barsanti, Il pubblico insegnamento in Lucca dal secolo XIV alla fine del secolo XVIII, Lucca 1905, p. 116; G. Manacorda, Storia della scuola in Italia. Il Medio Evo, I, Milano-Palermo-Napoli 1914, p. 235; A. Sorbelli, Storia dell’Università di Bologna, I, Bologna 1940, pp. 254 s.; G. Cremaschi, Bartolino da Lodi professore di grammatica e di retorica nello studio di Bologna agli inizi del Quattrocento, in Aevum, XXVI (1952), pp. 309-348; Id., Testi classici medievali e umanistici in un codice miscellaneo della bibl. comunale di Bergamo, ibid., pp. 276-279; É. Pellegrin, La bibliothèque des Visconti et des Sforza ducs de Milan au XVe siècle, Paris 1955, pp. 259 s., n. 839; Ead., Un manuscrit autographe de Bartolinus de Vavassoribus de Lodi à la bibliothèque Ambrosienne, in Italia medioevale e umanistica, II (1959), pp. 445-448; C. Samaran - R. Marichal, Catalogue des manuscrits en écriture latine portant des indications de date, de lieu ou de copiste, II, Paris 1962, p. 337; M. Pastore Stocchi, Per il commento virgiliano di Bernardo Silvestre: un manoscritto e un’ipotesi, in Lettere italiane, XXVII (1975), pp. 72-82; Verbani Lacus. Il lago Verbano. Saggio di stratigrafia storica dal secolo XV al secolo XIX, a cura di P.A. Frigerio - S. Mazza - P.G. Pisoni, Intra 1975, p. 208; M. Donnini, Bartolino da Lodi e il suo «Rhetoricale compendium», in Archivio storico lodigiano, CI (1982), pp. 17-42; Id., Una prolusione inedita di Bartolino da Lodi (1986), in Id., «Humanae ac divinae litterae». Scritti di cultura medievale e umanistica, Spoleto 2013, pp. 21-40; A. Peviani, Giovanni Vignati conte di Lodi e signore di Piacenza (1360 ca.-1416), Lodi 1986, pp. 89 s., 104, 154 s.; J.W. Jones, An Aeneid Commentary of Mixed Type. The Glosses in Mss. Harley 4946 and Ambrosianus G 111 inf., Toronto 1996; G. Pomaro, Catalogo dei manoscritti filosofici nelle biblioteche italiane, IX, Firenze 1999, p. 79; G.C. Alessio, L’ars dictaminis nel Quattrocento italiano: eclissi o persistenza?, in Rhetorica, XIX (2001), pp. 155-173; V. Neira Faleiro - J.C. Kriesel, Bartholinus de Valvassoribus de Lodi, in C.A.L.M.A. Compendium Auctorum Latinorum Medii Aevi (500-1500), I, 6, Firenze 2003, pp. 682 s.; I manoscritti datati del fondo Acquisti e doni e dei Fondi minori della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, a cura di L. Fratini - S. Zamponi, Firenze 2004, pp. 50 s., n. 43; G.C. Alessio, I trattati di grammatica e retorica e i classici, in I classici e l’Università umanistica. Atti del Convegno..., Pavia... 2001, a cura di L. Gargan - M.P. Mussini Sacchi, Messina 2006, pp. 161-194; L. Gargan, La lettura dei classici a Bologna, Padova e Pavia fra Tre e Quattrocento, ibid., pp. 459-485; M. Cortesi, Libri, memoria e cultura a Cremona nell’età dell’Umanesimo, in Storia di Cremona. Il Quattrocento. Cremona nel Ducato di Milano (1395-1535), a cura di G. Chittolini, Azzano San Paolo 2008, pp. 202-227; M.P. Moretti, In margine a due testimoni del centone di Proba: Milano, Biblioteca Ambrosiana, D 14 inf. e G 111 inf, in Segno e testo, VIII (2010), pp. 285-312; M. Petoletti, Libri di maestri, libri di scolari alla Biblioteca Ambrosiana di Milano, in Libri di scuola e pratiche didattiche. Dall’Antichità al Rinascimento. Atti del Convegno..., ... 2008, a cura di L. Del Corso - O. Pecere, II, Cassino 2010, pp. 537-575; S. Brusa, B. V. commentatore dell’Ecerinis di Albertino Mussato, in Aevum, XCII (2018a), 2, pp. 405-457; Ead., I commenti medievali all’“Ecerinis” e la loro tradizione, in Italia medioevale e umanistica, LIX (2018b), pp. 65-109.