MITRE, Bartolomé
Nato a Buenos Aires il 16 giugno 1821 e ivi morto il 18 gennaio 1906, fu la personalità più complessa e più popolare a un tempo nella storia politica dell'Argentina nel secolo XIX. A 17 anni era maestro di scuola, poeta e proscritto, avendo esordito in politica nel partito unitario, oppositore della tirannia di M. Rosas. A Montevideo nel 1838 fu giornalista con El Nacional, la cui pubblicazione interruppe nel 1839 quando l'assedio posto da Rosas lo chiamò alla difesa nelle file uruguayane: conobbe in quell'occasione Garibaldi, e a lui si legò allora di durevole amicizia. Fondò poi la Nueva Era, che fece uscire sino all'inizio del secondo assedio (1843).
Esteso a Montevideo il potere di Rosas, M. passò in Bolivia (1846), dove sostenne il presidente Ballivan prima con la penna dirigendo La Época, poi al comando dell'artiglieria. Al termine del governo di Ballivan, M. dovette nuovamente emigrare, e accettò la direzione di El Mercurio di Valparaiso. Vivendo nel Chile, con i suoi articoli prese parte alla politica interna, e si guadagnò così un nuovo esilio. Ma dal Perù, dove s'era portato, tornò quasi subito per riattraversare il Chile, in cammino, oramai, verso la patria: il governatore di Entre Ríos, Urquiza, era infatti riuscito a organizzare un esercito capace di abbattere Rosas, e M. veniva ad unirglisi mettendosi a capo dell'artiglieria. Se non che, dopo la vittoriosa giornata di Caseros (3 febbraio 1852) è, come deputato nello stato di Buenos Aires, ancora all'opposizione, questa volta contro Urquiza, che - designato presidente e fattosi dittatore - era temuto, a ragione, dal M. e dai suoi colleghi come un altro tiranno.
Disciolta, per l'unanime atteggiamento dei suoi membri, quella legislatura, Buenos Aires si staccò dalla Confederazione (v. argentina: Storia), nominando M. comandante supremo delle truppe e nel 1853 ministro della Guerra. Acuito nel 1859 il dissidio fra lo stato di Buenos Aires, propenso a rientrare nella Confederazione ma avverso a una rielezione di Urquiza, e gli altri che questa accettavano supinamente, M. prese le armi per combatterla: sconfitto sul campo di Cepeda (23 ottobre 1859) ma vincitore nell'opinione pubblica, riuscì a imporre, come condizione per il ritorno di Buenos Aires nel consorzio nazionale, una riforma statutaria che impedisse la dittatura di Urquiza. Alla presidenza fu elevato Derqui, mentre M. veniva eletto governatore di Buenos Aires. Ma dietro a Derqui seguitava a dominare Urquiza, ciò che decise M. a una seconda azione militare: più fortunato adesso, ottenne pieno successo il 17 settembre 1861 a Pavón. Dimessosi Derqui, in regime provvisorio si votò l'ultimo perfezionamento della Costituzione: poi, a gran maggioranza acclamato presidente, M. iniziò nell'ottobre 1862 il suo governo. Si ebbe con lui il primo governo veramente normale, fecondo di progresso materiale e morale nonostante la guerra dichiarata dal tiranno del Paraguay, López, contro il Brasile e l'Argentina, ai quali si unì l'Uruguay, che era in realtà la mira del López. Gli eserciti alleati furono posti sotto il comando unico di M. che lasciò la reggenza al vice-presidente Marcos Paz, alla cui morte, due anni e mezzo dopo, dové però tornare a Buenos Aires. Succedutogli nel potere Sarmiento (1868), M. si ritirò momentaneamente a vita privata; finché nel 1870 riprese il giornalismo, fondando La Nación con macchine e in un edificio donatigli dai suoi correligionarî a compenso della povertà in cui si trovava nonostante la lunga attività politico-militare: e fece de La Nación il giornale argentino più autorevole anche intellettualmente. Rassettate le proprie finanze, nel 1873 poté accettare da Sarmiento incarichi diplomatici nel Brasile e nello stesso Paraguay. L'anno seguente, i suoi partigiani lo vollero ancora candidato alla presidenza, né seppero rassegnarsi a una sconfitta che certo non apparve limpida espressione della volontà popolare: un'insurrezione "mitrista" fu soffocata dal neopresidente Avellaneda, il quale ebbe però la prudenza di non infierire contro il potente avversario. Pur senza mai più accettare cariche pubbliche, M. continuò ad esercitare una grande influenza nella politica del suo paese, specialmente a mezzo degli articoli di fondo de La Nación.
Intanto, la sua produzione storiografica e letteraria entrava nella fase di maggiore intensità. Già nel 1858 e '59 aveva dato due edizioni identiche della Historia de Belgrano; ora, dal 1876 al '77 stampò la terza, assai migliore (in 3 voll.) e nel 1887 la definitiva; nel 1888 licenziava il 1° volume della Historia de San Martín y de la emancipación sud-americana finita nel 1889 (voll. 3). A queste opere fondamentali seguirono le Constatazioni sulla storia argentina alla luce di nuovi documenti (importantissime anche per la metodologia che propugnano); La abdicación de San Martín; Cartas polémicas sobre la Triple Alianza contra el Paraguay; Falucho; la famosa traduzione dell'Inferno dantesco nello stesso metro dell'originale (3ª ed. definitiva, 1893); gli studî sulle lingue aborigene (Lenguas americanas, 1894 e 1895; Catalogo razonado de las lenguas americanas, 1909-1911, voll. 3).
Nel 1890 venne in Europa, sbarcando a Genova dove fu ricevuto, oltre che da un gruppo di uomini eminenti, da Teresita Garibaldi. A Parigi, fu assai festeggiato da tutti i sudamericani; in Spagna ebbe accoglienze trionfali. Nel marzo 1891 fu accolto a Buenos Aires da una dimostrazione imponente, espressione premonitrice del plebiscito popolare che l'anno dopo impose alle diverse frazioni politiche la sua terza candidatura alla presidenza: ma sotto le concordi dichiarazioni ufficiali c'era fra i capi partito lo scontento delle illusioni perdute, al quale pose fine lo stesso M. ritirando irrevocabilmente il suo nome. Fino alla morte, oltre a tenere la direzione de La Nación, proseguì la raccolta di documenti e di una biblioteca americanista, mentre pubblicava altri studî storici e filologici.