AMMANNATI, Bartolomeo
Nato il15 giugno 1511 a Settignano (Firenze) da Antonio, rimase orfano del padre a dodici anni, e per vivere entrò nell'accademia di Baccio Bandinelli. Non vi rimase a lungo. Lavorò a Venezia alla scuola di J. Sansovino, attiratovi dalla sua rinomanza: l'esempio stilistico dell'artista, elegante e raffinato, insieme con l'influenza e con la suggestione delle opere fiorentine di Michelangelo, è una delle componenti dell'eclettico talento dell'A. scultore.
I primi lavori di scultura sono oggi perduti. Il Borghini, contemporaneo dell'A. e suo più importante biografo, ricorda un Dio Padre con alcuni angeli, bassorilievo per un altare del duomo di Pisa, e si ha memoria di una Leda per Guidobaldo II di Urbino. Restano un S. Nazario, e un David e una Giuditta (originariamente Apollo e Minerva), che furono impiegati per la tomba del Sannazzaro a Napoli.
Dal 1537, in un secondo soggiorno a Venezia, lavorò col Sansovino a ornare la Libreria, eseguendo una statua di Nettuno (che cadde nel 1750) e vari rilievi negli archi e nei sottarchi. Da Venezia passò a Padova nel 1544, trovando un munifico protettore in Marco Mantua Benavides, che gli fece scolpire un Ercole, un Giove e un Apollo, oggi nelle nicchie del palazzo Mantua Benavides, e nel 1546 gli fece preparare nella chiesa degli Ereniitàni il proprio monumento funebre; al 1546 stesso può datarsi l'arco di palazzo Benavides, a lui attribuito.
Sposatosi il 17 apr. 1550 a Urbino con la poetessa Laura Battiferri, cui fu amorevolmente legato tutta la vita, si recò a Roma alla corte di Giulio III, presentatovi dal Vasari, che alla fine di maggio di quell'anno gli procurò l'incarico di scolpire le statue per le tombe di Antonio e Fabiano del Monte in S. Pietro in Montono, già commissionate allo stesso Vasari. Nel 1553 l'A. aveva terminato la bella figura giacente di Antonio, l'altra di FaMano e le due statue rappresentanti la Giustizia e la Religione, ammorbidendo schemi michelangioleschi con una pastosità pittorica di derivazione sansoviniana.
A Roma, dove "si mise a studiare le cose antiche" (Borghini), sono anche le sue prime prove architettoniche, tutte nell'ambito dell'arte del Vignola e cariche di influssi e derivazioni michelangiolesche. A partire dal 1552 lavorò, con il Vignola ed il Vasari, alle costruzioni promosse da Giulio III nella sua vigna sulla via Flaniinia. Dette il modello ligneo (1552) della fonte classicheggiante all'angolo di via dell'Arco Oscuro, poi modificata e incorporata nel casino di Pio IV, e diresse la costruzione di una parte del secondo cortile nella Villa Giulia e del loggiato fra i due cortili, dove appose il suo nome in un pilastro. Ancora per Giulio III restaurò e rimodernò il palazzo Cardelli in Campo Marzio, poi detto "di Firenze", acquistato nel 1553 dal pontefice.
Nel 1555, alla morte di Giulio III, il Vasari, che già da un anno aveva abbandonato Roma, fece venire l'A. a Firenze alla corte di Cosimo I. Il duca lo fece lavorare di scultura ad un progetto di grande fontana, che avrebbe dovuto essere posta nel salone di Palazzo Vecchio dirimpetto all'Udienza del Bandinelli, ma che fu collocata dal granduca Francesco Maria nella villa di Pratolino. Alcune statue, cui lavorò fra il 1555 e il 1561, si trovano attualmente nel giardino di Boboli (Arno; Fonte del Parnaso; Firenze), altre al Bargelo (Maturità del Consiglio; Terra).
Nel 1559, morto il Bandinelli, l'A. riuscì vincitore, contro il Cellii, il Giambologna e Vincenzo Danti, nel concorso per la fontana dì piazza della Signoria, di cui iniziò le fondazioni il 10 marzo 1563 e che inaugurò nel 1577.
Mentre è clegantissimo il disegno generale della vasca, il colossale Nettuno, che fu collocato nel 1565 al centro della fontana, è opera debole e inespressiva, ed è stata la principale causa della cattiva fama dell'A. come scultore. Non poté "far mostrare alla sua figura attitudine con le braccia alzate; ma fu costretto a farla con grande difficultà come oggi si vede" (Borghini).
L'A. lavorò anche ad altre fontane e statue da giardino. Per la fontana del Tribolo, nella villa Reale di Castello, scolpì il gruppo di Ercole e Anteo, e nel 1563-1565 lavorò alla colossale statua dell'Appennino per il vivaio della stessa villa. Recentemente il Calvesi gli ha attribuito le Statue del giardino Orsini a Bomarzo (Viterbo), ricollegandole ad opere eseguite dall'A. o eseguite su suo modello.
Il linguaggio architettonico dell'A. trovò nell'ambiente fiorentino un vigore nuovo, un incentivo a un senso plastico più articolato e un raffinamento decorativo quali si rivelano nell'ampliamento del palazzo Pitti. Iniziò i lavori nel 1560 per Cosimo I e li continuò fino al 1577 costruendo, oltre le finestre a terreno della facciata e gran parte degli appartamenti, il magnifico cortile (1560-1568). A tre ordini sovrapposti, di una solennità ispirata ai monumenti dell'antichità classica, il cortile acquista personalissima impronta per l'uso del bugnato, di un vibrante effetto pittorico, il più atto a legare con la veduta del giardino di Boboli, progettato, con la fontana del "Carciofo" e il grandioso anfiteatro, insieme con il Tribolo.
In altri palazzi fiorentini, di cui dette i disegni, l'A. si tenne più vicino alla tradizione toscana di composta e calma eleganza. Così nel palazzo per Ugolino Grifoni in via dei Servi (1557-1574), terminato da altri nella parte superiore, o nel palazzo Giugni in via degli Alfani, tra le più belle opere dell'A. Oltre il palazzo Ramirez di Montalvo al Borgo degli Albizzi (1568), le case al "Canto alla Catena" tra via degli Alfani e via della Pergola e il chiostro degli Angeli in via degli Alfani, gli sono assegnati i palazzi Mondragone, Pucci, Del Nero, Peruzzi-Bagnoli.
Queste opere dell'A, sono caratterizzate da una continua, variata inventività di forme, tutt'altro che riducibili a mero eclettico tecnicismo. La tradizionale dicromia fiorentina, per novità di accostamenti e arricchimenti, attenua la gravità degli elementi costruttivi, si articola in complessi geometrici, in cristalline risoluzioni (ad esempio, in palazzo Giugni). Affiancando, nell'ideazione di grottesche, il Tribolo e il Buontalenti, riusci a una capricciosa singolarità, dovuta anche all'impiego dei graffiti (palazzo Ramirez). Nei disegni di palazzi (per la ricchezzza delle planimetrie realizzate, e per i progetti non eseguiti, si vedano i disegni pubblicati dal Vodoz) veniva accentuandosi la saldezza d'impostazione geometrica delle masse, e nello stesso tempo un raccordo, un diretto contatto con l'ambiente esterno attraverso bracci e portici (per es. in palazzo Pitti e, più tardi, nel palazzo di Seravezza e nel Palazzo pubblico dì Lucca).
Travolto il ponte a Santa Trinita da tma piena dell'Arno nel 1558, fu dapprima interpellato per la nuova costruzione Michelangelo, a Roma. Il lavoro del nuovo ponte occupò gli anni tra il 1567 e il 1569, e l'A. ebbe la parte principale e direttiva nella costruzione, che costò al granduca 40.000 forni. La palificazione fu cominciata il 3 apr. 1567, e il 30 maggio si iniziò la colata di ghiaia e calcina per i piloni; i lavori furono ultimati il 17 maggio 1569, benché si attendesse poi ancora un anno e mezzo per togliere l'armatura in legno. Il ponte fu aperto il 15 sett. 1570.
Il ponte si inserì elegantemente nel panorama di Firenze, armonicamente legato ai Lungarni dalla curva slanciata del suo profilo superiore. In particolare, le suggestive arcate - che furono costruite seguendo uno sviluppo di curva catenaria - poggiate sui pesanti ed alti piloni a tagliamare molto acuto, sottolineate dalle scattanti elastiche cornici ed esaltate dalle targhe in chiave d'arco, risolvono un complesso di forze statiche e dinamiche in un effetto di energica robustezza e insieme di aerea snellezza. Minata e distrutto dall'esercito tedesco nella seconda guerra mondiale (4 ag. 1944), il ponte è stato ricostruito in fedelissima copia (1958).
Anche in altre città veniva richiesta l'opera dell'A. Nel 1572 Gregorio XIII gli affidò la tomba del nipote Giovanni Boncompagni nel Camposanto di Pisa (statua di Cristo fra la Pace e la Giustizia).
A Lucca nel 1577 gli venne commessa la ricostruzione del palazzo degli Anziani, cui lavorò fino al 1581, terminando la facciata minore - che dà accesso al cortile degli Svizzeri e lasciando incompiuti il fianco sul lato di questa facciata, il cortile degli Svizzeri e il cortile maggiore. A Volterra sono opera dell'A. il cortile della badia dei SS. Giusto e Clemente e il palazzo Viti, ad Arezzo la chiesa di S. Maria in Gradi, e a Seravezza (Versilia) il progetto del palazzo (1564) per Cosimo I.
A Roma, dove è documentata la sua presenza nel 1560 e nel 1572, l'A. aveva dato i progetti per il palazzo di Lodovico Mattei (poi Caetani) in via delle Botteghe Oscure (1564), e per il palazzo Rucellai (poi Ruspoli) al Corso, iniziato nel 1586. Il cardinale Ferdinando de' Medici, che sollecitava fin dal 1570 i disegni per una fabbrica, si valse probabilmente dell'opera sua per restaurare e ingrandire la villa Ricci sul Pincio.
Relazioni dell'A. con la Compagnia di Gesù sono documentate dal 1572, a proposito di un progetto di ampliamento del Collegio fiorentino dell'ordine. In due visite a Roma, del 1575e del 1576, strinse amicizia col padre generale E. Mercuriano, e col padre A. Possevino, presentato probabilmente da Lodovico Corbinelli, patrizio fiorentino fattosi gesuita nel 1567. Nel 1579 iniziò a Firenze l'ampliamento del Collegio e la ricostruzione, giovandosi come capomaestro del padre Domenico da Verdina, dell'annessa chiesa di S. Giovannino. Questa chiesa, aperta nel 1581 al culto nella metà anteriore, fu terminata nel 1584; e nel 1585erano quasi ultimati i lavori del Collegio fiorentino. A Roma un progetto dell'A. per l'ingrandimento del Collegio Romano fu presentato a Gregorio XIII, e scelto; il disegno fu revisionato, e la costruzione proseguita, dal gesuita G. Valeriani.
Nel S. Giovannino fu ripetuta la planimetria, a cappelle lungo l'unica navata, della chiesa romana del Gesù - forse per indicazione dei committenti; ma l'A. stesso aveva conoscenza diretta della chiesa romana - includendo una croce latina, riconoscibile nell'allargamento delle due cappelle presso la tribuna. L'interno, coperto a botte su ununico ordine di lesene assai appiattite, fu poi modificato trasformando in abside la tribuna del progetto originario, che era rettangolare e più stretta della navata.
Controversa l'attribuzione all'A. del Collegio Romano: il Baglione, fonte più antica, gli assegnava almeno la facciata e il cortile. Il Pirri assegnò l'edificio al Valeriani, fondandosi sulle carte dei pagamenti a quest'ultimo e sul necrologio fatto al Valeriani dal padre Sebastiano Berettario; su questa documentazione, e per considerazioni stilistiche, il Vodoz e la Ghidiglia Quintavalle esclusero l'opera dal catalogo dell'A. Il Calvesi è ritornato all'attribuzione tradizionale, per una parte dell'edificio, muovendo dal Baglione.
Col suo accostamento all'ambiente della Compagnia di Gesù va messa in relazione la Lettera di Messer Bartholomeo Ammannati Architetto e Scultore fiorentino. Agli ornatissimi Accademici del Disegno (Firenze, presso Bartol. Sermattei, 22 ag. 1582). L'A. vi ripudiava le statue giovanili (nudi mitologici) che non si confacevano agli austeri principi religiosi ora professati, e pochi anni dopo (circa 1590), in una lettera al granduca Ferdinando I, lo pregava di non lasciar "più scolpire o pingere cose ignude" (v. Gaye, cit. in bibl.).
A Roma l'A. ritornò nell'ormai stanco e "della vista e della testa non molto sano'" (Borghini), chiamatovi da Sisto V, che voleva consultarlo per l'erezione dell'obelisco vaticano, affidata poi a D. Fontana, e per la costruzione della cappella del Presepio in S. Maria Maggiore.
Il 25 marzo 1587 (non altra data) aveva fatto testamento insieme con la moglie, lasciando erede universale, in mancanza di figli, il Collegio dei gesuiti di Firenze. Nel novembre 1589 gli era morta a Firenze la consorte, che lo lasciava erede usufruttuano. L'A. passò gli ultimi anni dedicandosi ad opere di pietà. Dopo aver fatto ancora testamento il 19 marzo 1592, il 13 apr. 1592 (non altra data) morì di paralisi nella sua casa di via della Stufa a Firenze. È sepolto insieme alla moglie nella chiesa di S. Giovannino.
Il Borghini nel 1584 aveva annunciato uno studio dell'A., "tutto disegnato, e descritto, talché non gli manca se non rivederlo e farlo stampare" - purtroppo successivamente perduto, nè tutt'ora riemerso. Avrebbe certaniente permesso un approfondimento filologico delle sue tipologie, e un eventuale collegamento con la parallela trattatistica. Si trattava di "...un utile e bel libro..., d'Architettura, nel quale egli figura un'ampia, e perfetta Città facendo vedere in disegni (e sopra essi discorrendo) il palagio reale con tutte le sue appartenenze, gli Uffici, i Tempi, l'arti, le case de' Gentilhuomini, e quelle degli artieri, le piazze, le strade, le botteghe, le fontane e tutte l'altre cose appartenenti a una bene intesa Città, e disegna il palagio regio della villa con giardini, e con tutte le comodità che si ricercano, e gli habituri de' gentilhuomini; e de' contadini, con tutti gli avvertimenti necessari, e belli, che si posson nelle ville desiderare". Restano suoi disegni nel Gabinetto dei Disegni e Stampe degli Uffizi a Firenze e in un quaderno della Bibì. Riccardiana. Le carte lasciate alla Compagnia di Gesù sono nell'Archivio di Stato di Firenze.
Personalità di primo piano nella civiltà del tardo manierismo tosco-romano, l'A. ebbe una particolare ricchezza culturale, tutta caratterizzata da un senso della grandiosità architettonica, da un'implicita solidità di ritmo e di impianto, fusi però ed espressi - a un livello da virtuoso - con raffinamenti decorativi, sottili ricerche del particolare prezioso, raggiungendo così effetti di armonico lirismo ma anche momenti di cadute tecnicistiche.
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