BARATTIERI, Bartolomeo (Bartholomeus de Baratheriis, Baraterius)
Nacque quasi certamente alla fine del '300 da famiglia piacentina in cui s'erano già avuti giuristi di un certo nome. Scolaro dello Studio di Pavia, il B. vi ottenne nel 1421 le licenze in diritto civile e in diritto canonico, e vi apparve fra i lettori già nell'anno 1421-1422. Manca per lui solo, nel rotulo, l'indicazione del salario, il che fa pensare alla lettura facoltativa, senza assegni, di un principiante. Addottoratosi, sempre a Pavia, in entrambi i diritti, l'11 apr. 1423 il B. venne ammesso al Collegio pavese dei giuristi. Ma dal 1422 al 1439 il suo nome non appare fra quelli dei docenti del celebre Studio lombardo. Forse questo periodo coincide con l'insegnamento del B. nell'università di Ferrara, insegnamento testimoniatoci bensì da Giason del Maino, ma del quale non v'è traccia nei documenti conosciuti dello Studio estense. Giason del Maino fa del B. anche un consigliere del duca di Ferrara, oltre che del duca di Milano. Di sicuro si sa soltanto, per gli anni appena ricordati, che il 15 sett. 1435 il duca di Milano confermò gli statuti della corporazione piacentina dei giuristi, che figuravano "compilati... o novellamente ordinati e corretti", fra gli altri, dal Barattieri (Cerri). Egli pertanto doveva essere uno dei membri più considerati del Collegio dei dottori e giudici della città natale. A Pavia il B. riapparve nell'anno accademico 1439-1440 lettore del Liber Sextus con il mediocre salario di 150 fiorini, che salì, a 200 nel 1441-1442, anno in cui egli, oltre all'insegnamento dei Liber Sextus, tenne anche quello, ugualmente canonistico, delle Clementinae. Esaminatore nell'estate 1442 di candidati in diritto canonico, nel 1443-1444 risulta passato "ad lecturam ordinariam legum" con 300 fiorini di salario (Catone Sacchi ne riceve 500 e Martino Carrati 400), che saliranno a 400 nell'anno 1446-1447, quando per salario il B. figura secondo solo al Sacchi e a Iacopo del Pozzo che ricevevano 600 fiorini. Nel biennio 1444-1446, inoltre, il B., insieme con il giureconsulto piaceritino G. Leonardo Seccamelica, figura assegnato "ad lecturam feudorum in festis" con l'annuo compenso di 20 fiorini. L'ultimo rotulo nel quale egli è compreso come lettore è quello del 1447-1448. Ma non è certo che abbia effettivamente insegnato in quell'anno, perché lo troviamo, il 27 ott. 1447, fra gli ambasciatori piacentinì che consegnarono la città a Francesco Sforza. Dopo tale data mancano sue notizie. Concordemente le fonti accennano alla dignità, che egli aveva acquistato per le sue benemerenze di studioso, di consigliere del duca di Milano.
Un figlio del B., Francesco, comprò nel 1466 da Bianca Maria Visconti, vedova di Francesco Sforza, il feudo di S. Pietro in Cerro.
Il nome del B. è legato a un tentativo (già prima inutilmente compiuto da Antonio Mincucci da Pratovecchio) di conferire un ordine sistematico alla materia, che ne era affatto priva, del Liber feudorum, accolto, come "decima collatio", nella quinta parte - il così detto Volumen - del Corpus iuris civilis.
Nel 1441 egli aveva già redatto un "libellus feudorum... novo ordine, ad faciliorem intelligentiam studentium transformatus ex antiquo libello", che, stimolato dal giureconsulto milanese Nicolò Arcimboldi (che gli aveva scritto in proposito nel dicembre 1441), inviò nel giugno 1442 a Filippo Maria Visconti, perché con la sua autorità lo raccomandasse alla università di Pavia. Come il Mincucci, e forse indottovi dal suo esempio, il B. aveva voluto, senza curarsi dell'ordine tradizionale in cui si susseguivano i singoli titoli del "corpus" feudale, accostare tra loro i testi che trattavano materie uguali o affini, mantenendone, ovunque fosse possibile, il dettato originario. Egli voleva così aiutare a conseguire la visione complessiva del sistema del diritto feudale ed intendeva facilitare nelle scuole lo studio di un aggregato assai complesso di testi, formatosi in una secolare vicenda di produzione consuetudinaria e giurisprudenziale, di interventi legislativi, di riflessione scolastica.
In diversi punti la rielaborazione del B. differisce dall'opera del Mincucci. Egli, benché preveda di estendere i suoi criteri innovatori anche alla glossa dei Liber feudorum, si limita a rimaneggiare solo il testo di quest'ultimo. Nella nota finale avverte che tutte le norme di carattere non strettamente feudale sono bandite dalla trattazione. E non è dato perciò di poter stabilire con esattezza se certi testi (leggi federiciane, "pace di Costanza", altre costituzioni imperiali) fossero compresi nei manoscritti del Liber feudorum che il B. ebbe a disposizione.
Di tutti i testi usualmente appartenenti al Liber feudorum si può trovar traccia nell'opera del B., ma essi non appaiono, per lo più, utilizzati in modo completo. Anche la costituzione di Corrado il Salico, accolta nella sua sommaria esposizione, è tratta, secondo quanto egli avverte, dalla Lombarda. Una particolare importanza ha sempre avuto lo scritto del B. per il numero elevato dei "capitula extraordinaria" che utilizza. Il B. ha attinto per essi a un codice molto antico, che conteneva anche una serie di "capitula" non presenti nella Summa di lacopo d'Ardizzone, alla quale ultima il B. non pare che possa essersi comunque riferito, nemmeno per il resto dei materiale.
Lo studio del Seckel sul Codice viennese 2094 del sec. XIV (che, oltre ai capitoli conosciuti da Iacopo d'Ardizzone e quelli presenti nell'opera del B., ne contiene molti altri) mise in luce come quei "capitula extraordinaria" che fino ad allora si pensò fossero contenuti soltanto nell'opera del B. - i cosiddetti Capitula Baraterii - comparissero anche in altra fonte. Anche se l'opera dei B. ha perso così la tradizionale considerazione, rimane tuttavia importante rilevare come storicamente essa richiamò sempre l'attenzione degli studiosi, proprio per quella presunta originalità delle sue fonti, definitivamente contestata dal Seckel.
Il manoscritto dell'opera, che il B. aveva mandato a Filippo Maria Visconti e che era stato collocato nella biblioteca del castello ducale di Pavía, seguì la sorte della biblioteca dei duchi di Milano, fatta trasportare nel iSoi a Blois dal re di Francia, ed è ora conservato nella Biblioteca Nazionale di Parigi. Ornato di una bella miniatura (riproduzione fotografica in Malaguzzi-Valeri), il codice s'apre con una dedicatoria dell'autore al duca. Segue il testo un indice molto accurato, in cui "describuntur ldca originalia ex quibus tracta fucrunt capitula libelli...", e quindi un epilogo dell'autore. D'altra mano segue copia della lettera ducale, datata Milano 29 ott. 1442, insieme con la quale il codice stesso era stato trasmesso al priore e al Collegio e università dei giuristi dello Studio pavese, perché ne venisse tratta copia ad uso degli studiosi; in tale lettera il duca lodava il lavoro compiuto dal B. e ne raccomandava l'uso nella scuola. Il giudizio favorevole dei dotti è infine oggetto dei 37 esametri con cui si chiude il codice, nei quali si finge che il manoscritto narri le sue vicende.
Un altro manoscritto dell'opera del B. è conservato nella Biblioteca comunale di Piacenza (n. 130). Forse è quello stesso che nel 1861 era segnalato a Firenze dal Delisle e che secondo il bibliografo francese conteneva, in più di quello parigino, una lettera indirizzata da Pavia, il 23 giugno 1442, al B. da Nicolò Arcimboldi. In realtà, nel codice piacentino a recare tale datazione topica e croìiologica non è la lettera dell'Arcimboldi, che invece reca la data del 2 dic. 1441, ma la responsiva con cui il B. accompagnava il codice stesso inviato all'Arcimboldi. Probabilmente il bibliografo francese, di due lettere distinte, trascritte l'una dopo l'altra in calce al manoscritto, ne ha fatta una sola; ciò è senz'altro avvenuto se il manoscritto fiorentino che ha avuto sott'occhio è quello stesso ora piacentino.
Con il titolo De feudis liber singularis il manoscritto di Parigi venne pubblicato per la prima volta a Parigi nel 1612, per cura di Nicolas Rigault. Una edizione, riveduta sul manoscritto, col titolo Libellus feudorum reformatus, fu pubblicata a Strasburgo da Johann Philipp Schmid nel 1690. Questa data però è fornita solo dal Laspeyres, e, se fosse assolutamente certa, farebbe diventare una semplice ristampa l'edizione del 1695 (vista dal Brequigny; forse è quella con tale data - ma in forma dubitativa - registrata nel catalogo della Nazionale di Parigi). Anche il Laspeyres colloca un'edizione del Libellus nel 1695. Con molta probabilità tale edizione coincide con quella che, senza anno sul frontespizio proprio, finisce per prendere la data del 1697 (o anche 1696, a tener conto del Gesamtkatalog der preussischen Bibliotheken),con la quale Johann Schilter pubblicò a Strasburgo, in più volumi, una raccolta di testi di diritto feudale - tra cui è quello del B. - sotto il titolo generale di Codex iuris alemannici feudalis. Anche la seconda edizione della medesima raccolta (Strasburgo 1728) comprende lo scritto del Barattieri.
I Capitula extraordinaria Baraterii sono infine anche editi dal Laspeyres, da E. Osenbriiggen, Corpus iuris civilis, III (1857), pp. 878 ss., e dal Lehmann.
Il tentativo del B. - come quello di altri prima e dopo di lui - rimase, nonostante l'autorevole presentazione del libro ai dottori pavesi, senza alcun durevole effetto sulla scuola e sulla pratica del diritto, mentre la recensione accursiana sia del testo sia della glossa del Liberf eudorum continuò a dominare incontrastata. Scriveva qualche tempo più tardi Giason del Maino, al principio della sua trattazione del diritto feudale, dopo aver accennato al tentativo del B.: "Ego autem considero, quod renovare presentem librum esset confundere glossas utriusque iuris et utriusque censurae doctores...".
Dalle lettere già ricordate scambiate tra Nicolò Arcimboldi e il B. appare chiaro come la trattazione feudale del B fosse solo una parte di un ampio disegno, che abbracciava forse tutto il Corpus iuris civilis.
Dalle caratteristiche più spiccate del Libellus feudorum,diretto alla chiarificazione e alla semplificazione di una parte, sia pur particolarmente tormentata, del corpus civilistico, si può essere indotti a pensare che nel clima umanistico di Pavia il B. affrontasse problemi di rinnovamento e di razionalizzazione dei testi e dei commenti giuridici tradizionalá, tipici di quell'umanesimo giuridico che proprio da Pavia riceveva un impulso decisivo dal Valla, polemico lettore nella Facoltà degli Artisti negli anni stessi in cui il B. leggeva agli scolari di diritto.
Il Mazzuchelli e altri confondono il B. feudista con un giureconsulto omonimo, ma più tardo, forse un suo nipote, che entrò a far parte del collegio dei dottori e giudici piacentini nel 1489, che nel 1512 fu ambasciatore a Giulio II (da questo creato cavaliere) e che morì ucciso da un suo servo nel 1514.
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