BORGHESI, Bartolomeo (Bartolino)
Nacque a Savignano di Romagna l'11 luglio 1781, da Pietro e da Caterina Conti di Castrocaro, sua terza moglie. Dal padre, espertissimo numismatico e raccoglitore del famoso museo che poi il B. accrescerà per tutta la lunga vita, ebbe la prima iniziazione agli studi di numismatica, fino dalla più tenera infanzia.
I gusti del padre si riconoscono anche nelle numerose rime ed epigrafi d'occasione in latino e in italiano, manoscritte e a stampa, del piccolo "Bartolino" (così spesso nelle stampe, e in famiglia e tra gli amici l'uso del diminutivo durò a lungo, se si trova ancora spesso nel carteggio del Monti fino al 1820). Una stampa incisa, rappresentante una medaglia, da lui ideata all'età di soli cinque anni e dedicata Ariminensium aeternitati, cioè alle glorie di Rimini (i cardinali Banditi e Garampi e i più famosi monumenti della città), può essere considerata la sua prima pubblicazione. Seguono numerose epigrafi e rime d'occasione, e a undici anni la Dissertazione su di una medaglia ravegnana in bronzo dell'imperatore Eraclio (Cesena 1792, poi in Oeuvres, I, pp. 1-26). In quel primo lavoro la collaborazione del padre, da lui stesso riconosciuta, fu certo minore di quello che si potrebbe immaginare, se all'incirca nello stesso tempo le sue garbatissime lettere a numismatici e altri eruditi (come il Bandini e il ravennate marchese Camillo Spreti, suo padrino di cresima) ci attestano la sua formazione letteraria e ci informano che il padre gli aveva ceduto la cura dell'intero carteggio numismatico.Dopo i primissimi studi in patria, dove ebbe maestri il padre e un buon letterato, il sacerdote Eduardo Bignardi, e condiscepoli i coetanei Giulio Perticari e Luigi Nardi, alla morte del padre, nel 1794, fu mandato per quattro anni a Ravenna, nel ben noto collegio dei nobili, tenuto dagli scolopi, poi sotto la repubblica dai benedettini, dove ebbe insegnante G. Biagioli; poi per due anni a Bologna nel collegio S. Luigi tenuto dai barnabiti. Ne uscì con un'ottima formazione letteraria ed educazione mondana (danza, recitazione, disegno e pittura, di cui si sa che a Ravenna diede saggi).
Ritornato a Savignano nel maggio 1800, fece parte del consiglio della Municipalità durante l'occupazione francese. Dopo i primi mesi dell'occupazione austriaca, alla fino dello stesso anno, fu eletto al Consiglio del comune, ottenendo la sanatoria dell'età minorile insieme col Perticari. Per tutto il ventennio successivo, forse con poche interruzioni, ebbe sempre parte nell'aniministrazione della cosa pubblica sotto i vari governi che si succedettero. Sotto il Regno italico fu anche podestà e nel 1807-08 svolse una delicata missione a Milano. Fu anche a capo della guardia nazionale e coltivò il proposito di arruolarsi nell'esercito napoleonico: nel gennaio 1806 l'amico cesenate Eduardo Fabbri, ardente patriota, ma ostile alle armi straniere, in una sua canzone, assai bella, lo dissuadeva dai presunti propositi guerreschi e gli additava come più degne di lui altre battaglie, nel campo degli studi, contro "la superba ignoranza e le proterve follie del volgo" (Liriche, Bologna 1905, pp. 32-34).
Per sua iniziativa venne fondata, in una riunione tenuta nella stessa sua casa il 10 febbr. 1801, la famosa accademia che, col nome di Rubiconia Simpemenia dei Filopatridi, costituì un rilevante episodio della storia della cultura romagnola dell'età neoclassica.
Erano tra i promotori, con il B., il Perticari, Girolamo Amati, il Nardi, il Bignardi, Giacomo Turchi, Lorenzo Vallicelli, Tommaso Poggi, tutti uomini segnalati ai quali si deve il grande rilievo culturale del piccolo centro di Savignano per tutta la prima metà dell'Ottocento. Importa rilevare che tra gli scopi dichiarati dell'accademia, oltre alle consuete manifestazioni letterarie, che certo non mancarono e che del resto non furono tutte mediocri, erano gli studi eruditi, particolarmente sulle memorie storiche del paese e della regione. Il B. (in accademia Paleotimo Steleo) vi fu attivissimo; eletto segretario (o "pemenografo") perpetuo e quindi bibliotecario, conservò tali uffici anche dopo l'allontanamento da Savignano. L'accademia ebbe presto dal Comune l'incarico della custodia della biblioteca pubblica già ricca dei libri dell'illustre concittadino G. C. Amaduzzi e prese anche l'iniziativa della fondazione di un liceo, nel quale il B. stesso insegnò matematica ed astronomia. Furono anche istituite nei primi anni dalla fondazione alcune colonie, o "catecie", a Roma (Tiberina), a Faenza (Lamonia), ad Argenta, a Ferrara, a Recanati ecc., e in ciò ebbe gran parte il Borghesi.
Due dimore abbastanza lunghe a Roma negli inverni 1801-2 e 1802-3 ebbero grande importanza per la formazione del B. e per le linee fondamentali della sua futura attività di studioso. A Roma egli trovava nella Biblioteca Vaticana un amico e concittadino, Girolamo Amati, eccellente grecista, filologo, paleografo ed epigrafista, e il conterraneo Gaetano Marini, epigrafista e diplomatista, il maggiore dei numerosi eruditi romagnoli che avevano illustrato la Roma di Pio VI. Il Marini, che qualche anno dopo ricordò il B. come "coltissimo giovine, e da cui nuova luce dee aspettarsi la numismatica" (I papiri diplomatici, Roma 1805, p. 358), deve essere considerato suo maestro di epigrafia latina, ma certo anche di diplomatica (è in quegli anni che il Marini prepara la grande edizione dei papiri), per la quale anche in Romagna gli vennero impulsi dall'intensa, anche se meno scientifica, attività del ravennate conte Marco Fantuzzi. Fu così che ai due primi fondamentali filoni degli interessi scientifici del B., quello numismatico e quello epigrafico (il passaggio dall'uno all'altro fu certo principalmente determinato dall'approfondimento dei problemi di cronologia nella numismatica antica), si aggiunse ora un filone diplomatistico, destinato a interrompersi dopo pochi anni, ma vissuto con una intensità eccezionale di ricerche e di progetti di lavoro.
Fin dal 1803-4 il B. condusse infatti tenaci e approfondite fatiche di trascrizione e di ricerca sulle pergamene medioevali di Cesena, Rimini, Ravenna. Ne nacque il progetto di una Emilia sacra, ideata in collaborazione con l'anziano ed esperto ricercatore faentino G. B. Tondini, e che doveva comprendere le cronotassi dei vescovi della Romagna medioevale (si sa che il B. si era assunto particolarmente le sedi di Rimini, Cesena e Cervia). Nell'ideazione dell'opera è facile riconoscere la sua vocazione per i problemi concreti di cronografia storica, che domineranno poi sempre la sua attività di numismatico e di epigrafista. Ne nacquero anche numerose dissertazioni lette all'accademia, non tutte conservate e tutte rimaste inedite ad eccezione delle ampie Memorie del monastero camaldolese di San Benedetto di Savignano, pubblicate postume in Atti e mem. Deputazione... Romagna, I (1862), pp. 1-56.
Una sopravvenuta crisi, una malattia di petto contratta alla fine del 1809, a causa, come sembra, della polvere aspirata tra le pergamene degli archivi ravennati, interruppe inaspettatamente questa larga attività, e lo consigliò a dedicarsi esclusivamente in avvenire ai suoi studi di numismatica e di epigrafia, del resto non dimenticati neppure in questo periodo, se ad essi spettano numerose dissertazioni tra quelle lette all'accademia, come quelle del 1801 sulla iscrizione romana di T. Gaio Eminente e sul falso "plebiscito" del Rubicone inciso, sul rovescio. Notevole tra le altre un gruppo di memorie di archeologia sacra, su problemi numismatici, cronologici e antiquari dei testi evangelici; e una anche di antica agiografia locale (s. Gaudenzio di Rimini). Si devono aggiungere le orazioni funebri per Marco Fantuzzi (1806) e per Matteo Montesi (1812), Podestà di Savignano e cognato del B. (aveva sposato la più anziana sua sorella Silvia).
Tutto questo insieme di ricerche erudite e critiche non impedì al B., nell'ambito dell'accademia e fuori, anche frequenti manifestazioni di una attività più propriamente letteraria, tutt'altro che trascurabile per l'eccellente formazione ricevuta, l'influenza della cerchia dei suoi amici letterati e le indubbie qualità artistiche e stilistiche.
Tra le numerosissime poesie d'occasione da lui scritte fino al 1815 circa (poi deliberatamente non più) e tra quelle non meno numerose rimaste inedite, non tutte meritano di essere dimenticate. E importanza per la storia letteraria del tempo e per il clima letterario della regione rivestono alcune manifestazioni collettive dell'accademia, nelle quali il B. ebbe gran parte come autore revisore ideatore. Così nel 1805 Le feste dei pastori del Rubicone per l'incoronazione di Napoleone a re d'Italia, una sorta di favola pastorale ad imitazione del Sannazzaro composta di prose, tutte del Perticari, e di versi dei vari accademici, tra cui La corona di lauro del B.; della raccolta era già decretata la stampa con dedicatoria al viceré principe Eugenio. Ma la grande occasione per la quale l'accademia poté lasciare un durevole ricordo in una manifestazione letteraria fu il matrimonio del Perticari con Costanza, la bellissima figlia del Monti (1812). Il B. concepì l'idea di un omaggio poetico collettivo, che fu il volume A gli dei consenti,Inni, pubblicato poi alcuni mesi dopo le nozze, al quale egli stesso collaborò con il lungo inno A Venere e con la dedica epigrafica latina al Monti. Il decreto dell'accademia, stampato nello stesso volume nella consueta forma epigrafica classica, affidava la cura editoriale a lui e all'Amati, ma è certo che fu principalmente del B. la ricerca dei collaboratori vicini e lontani (da Bologna a Pesaro, da Brescia a Roma), la revisione dei testi, la risoluzione di alcuni problemi sopraggiunti, la cura della stampa elegantissima, che fu un omaggio personale del Bodoni al Monti (Parma 1812). Ne risultò uno squisito insieme di gusto mitologico e una singolare e coerente testimonianza di poesia dotta nel clima del nuovo classicismo, sulla scia della recente Iliade del Monti: coerente anche nell'uso esclusivo della terzina dantesca. Non mancarono altre produzioni poetiche del B. per le stesse nozze, alle quali egli diede anche un omaggio del tutto personale con l'opuscolo Versi inediti di Torquato Tasso (ancora Parma, Bodoni, 1812). A una sua versione poetica di qualche anno prima: Epitalamio di P. Papinio Stazio (Rimino 1807), spetta, anche per la particolare preparazione dell'autore, un posto nella vasta attività di volgarizzamenti che è caratteristica dei classicisti romagnoli.
Ma un altro aspetto della letteratura accademica a cui partecipò attivamente il B. fu la composizione di epigrafi latine, a lui familiare fino dall'infanzia e proseguita poi sempre secondo le richieste che gli venivano rivolte per le più varie occasioni private e pubbliche.
Era un genere letterario che da qualche decennio aveva assunto per opera del Morcelli una particolare eleganza e rigore, ora accentuati dal rinnovato classicismo e dalla "romanità" napoleonica in voga. Ma nel B. l'esperienza stessa di studioso di epigrafia antica converge a dare un particolare sapore a queste composizioni, ed è fatto molto caratteristico che accanto alla sua produzione epigrafica appaiano allora e poi anche alcuni scritti critici e polemici relativi a epigrafia letteraria (del resto non privi di riferimenti e persino di contributi all'epigrafia antica), come la Lettera... relativa ad un'iscrizione pubblicata in Faenza dal Signor D. Bernardo Montanari (Rimino 1807) e le Osservazioni sopra un decreto latino dell'Accademia Pesarese (in Giornale arcadico, IV, ottobre-dicembre 1819, pp. 153-170), opera dell'Amati pubblicata anonima (anche in estratto, col titolo Difesa di un decreto...) e mai ricordata in rapporto al B., ma rielaborazione di un precedente scritto suo (le due stesure, autografe, si conservano nel ms. Vat. lat. 9778, ff. 90r-112r): quel decreto era opera del loro amico Salvatore Betti ed era in onore di Gioacchino Rossini. Su questo stesso piano si pone una lunga lettera privata al Monti, vero commento alla dedica epigrafica già ricordata (Lettera inedita di B. B. a V. Monti, Faenza 1876). Un altro prodotto dell'accademia di Savignano, cioè i suoi statuti, costituisce un vero monumento di stile epigrafico in latino arcaico e fu opera congiunta del B., dell'Amati e del Perticari, sebbene indubbiamente vi prevalesse l'apporto personale del B.: Leces Robiconiai Sumpoimenias Pilopatridarom, Parmai, per Aiconem Monotupom (Egone Monotipo era il nome accademico del Bodoni), 1808.
Cade negli anni 1807-8, e forse anche dopo la malattia del 1809-10, una nuova serie di viaggi del B. a Firenze e in Toscana, a Milano, a Napoli: viaggi numismatici, ma certo anche epigrafici, che segnano l'inizio o l'intensificazione della sua esperienza come epigrafista militante. Èdi quel tempo l'offerta fattagli dal governo del Regno italico, e da lui declinata, dell'acquisto del suo museo numismatico. Tra numismatica ed epigrafia, spesso congiunte in uno stesso lavoro, si muove ora e sempre più la sua produzione scientifica. Èdel 1808 la sua seconda memoria numismatica Dodici sesterzj illustrati (Oeuvres, I, pp. 27-38), del 1813 la lunga lettera al barone Vandeviver sulla cronografia di Vespasiano e di Tito (Oeuvres, VI, pp. 3-46; fuori posto fra le Lettres perché è una vera memoria accademica, già letta all'Accademia pesarese); dello stesso anno è lo scritto sulle monete di Augusto rappresentanti l'arco di Rimini, per un'opera del suo amico Nardi (rifatto nel 1825 per l'opera del Brighenti: Oeuvres, II, pp. 359-392).
Questi ultimi contributi, insieme con le dissertazioni già ricordate sulle iscrizioni del Rubicone e con alcune lettere a F. Rocchi, L. Tonini, A. Vesi, G. Casali (rispettivamente in Oeuvres, IV, pp. 89-100; VII, pp. 349-352, 382-385; in Rocchi, Alcuni scritti, pp. 191-199) e ancora al Rocchi (Della supposta via Flaminia da Bologna in Etruria, in Atti e mem. Deput... Romagna, V, 1867, pp. 25-29), tutte su questioni di topografia storica della regione, costituiscono l'importante apporto del B. agli studi sulle antichità della Romagna (del resto rappresentati anche da articoli e memorie su rinvenimenti vari, epigrafici e numismatici) e configurano anche l'interesse e la capacità sempre molto vivaci in lui per questioni di topografia storica (vie romane, monumenti connessi, ecc.).
L'amicizia del B. col Monti comincia nel 1811 quando riprendono e si intensificano i contatti del Monti, allora all'apogeo della sua fama poetica e autorità letteraria, con la nativa Romagna in seguito al matrimonio di Costanza. Fu un'amicizia intima, fondata da parte del B. sulla devota ammirazione e la consonanza di orientamenti letterari, da parte del Monti sulla lieta scoperta dell'alta personalità del B. e della sua ricca preparazione classicistica. La complicata preparazione del volume degli Inni, aiutata dal Monti stesso, i replicati incontri (in particolare quando il poeta nel giugno-luglio 1813 fu ospite del B. a Savignano, e più tardi durante le dimore del B. a Milano), l'interessamento dei Monti agli studi del B. e a due sue importanti pubblicazioni, trovano nell'Epistolario del Monti una continua, vivace e affettuosa testimonianza.
Fondata la Biblioteca Italiana con la condirezione del Monti, in quella rivista avrebbe dovuto essere pubblicata una memoria del B. su un tema di numismatica antica, da lui affrontato già in una dissertazione accademica del 1803; ampliato il lavoro fino a divenire meno adatto alla pubblicazione in una rivista, e d'altra parte sopraggiunta la rottura tra il Monti e l'Acerbi, della memoria si fece editore lo stesso Monti insieme con l'amico comune Giovanni Labus, e il volumetto uscì col titolo Della gente Arria romana e di un nuovo denaro di Marco Arrio Secondo (Milano 1817, poi in Oeuvres, I, pp. 39-132), preceduto da una dedica del Labus al Monti, rivolta tra l'altro alla presentazione dell'autore e del suo importante museo. Si tratta di una delle più rilevanti ricerche del B., ricca di risultati storici e prosopografici. All'incirca nello stesso tempo i persistenti interessi letterari del B. sono rivelati dai colloqui col Monti e da uno degli scritti di questo inseriti nello stesso anno 1817 nel primo volume della Proposta, ossia l'Appendice al trattato del Perticari Degli scrittori del Trecento, indirizzata dal Monti al B. stesso. La collaborazione a questo scritto polemico contro il Cesari si intravvede nella dedica del Monti ed è confermata da un importante ricordo di F. Rocchi conservato dal Carducci (Ediz. naz. delle Opere, XXX, p. 60). Proseguiva intanto la partecipazione continua del B. agli studi dell'amico Perticari, con la ricerca e la collazione di codici del Dittamondo di Fazio degli Uberti e di Dante e con svariate comunicazioni filologiche agli studi dell'amico (vedi, ad esempio, Dell'amor patrio di Dante, II, cap. 20). Nel 1819 il piccolo opuscolo del B., ma senza il suo nome, delle Rime del conte Antonio di Montefeltro (Rimino 1819), in cui pubblicava e illustrava testi rarissimi, anzi unici, da lui trovati molti anni prima in un codice dantesco della Biblioteca Reale di Napoli, attesta ancora a questa data gli interessi letterari del B. se non per la poesia, ormai abbandonata da qualche anno, almeno per gli studi di filologia italiana.
Il quinquennio 1816-21 è estremamente importante nella vita del B. per i nuovi viaggi, il più deciso orientamento epigrafico, la pubblicazione della sua opera forse più importante tra quelle edite. La scoperta, negli scavi del Foro Romano, nell'autunno 1816, di due ampi frammenti nuovi dei fasti consolari detti già allora capitolini, lo fece subito accorrere a Roma, dove si trattenne fino all'aprile o maggio del 1817. Benché gli scavi fossero diretti dal vecchio Carlo Fea e i frammenti stessi da lui in seguito pubblicati, si ebbe il buon senso di capire che solo il B. poteva essere il degno illustratore delle nuove importanti testimonianze. Invitato a parlarne all'Accademia romana di archeologia (fondata sotto l'occupazione francese nel 1810 e ristabilita nel 1816), con estrema rapidità il B. ne diede una prima illustrazione in due letture tenute nell'accademia il 2 e il 30 genn. 1817, alla seconda delle quali fu presente anche il Niebuhr, e in una terza il 3 dic. 1818 (Arch. della Pont. Acc. Romana di Archeologia, Processi verbali, I, 1811-19, alle date). Ritornato in patria continuò a lavorare sulla materia e proseguì il lavoro durante un viaggio a Milano (almeno dicembre 1817-febbraio 1818), dove le biblioteche gli offrivano maggiori possibilità di lavoro e dove fu decisa la stampa delle due dissertazioni sui Nuovi frammenti dei fasti consolari capitolini e la dedica dell'opera al principe Carlo Alberto di Savoia Carignano.
L'occasione esterna di questa dedica fu un incontro avvenuto a Roma nel marzo o aprile 1817, nel quale egli aveva illustrato al principe i fasti capitolini e le nuove scoperte e ne aveva ricevuto stimoli per la loro illustrazione. Si sa che il B. preferiva evitare una dedica romana o a un principe straniero e certamente quella a Carlo Alberto si inquadra nell'ambito delle speranze riposte in lui dai gruppi piemontesi e lombardi aperti a prospettive liberali e unitarie. L'accettazione della dedica fu preparata dal Monti, ed eseguita la stampa della prima parte (Milano 1818) il B. stesso si recò a Torino a presentarla e vi fu molto bene accolto dal principe ("Egli è un sole nascente, che spargerà col tempo gran luce in Italia": lettera del 5 aprile al Perticari, in Pelaez, p. 58) e non meno dagli studiosi torinesi, tanto che fu costretto a improvvisare una memoria, che lesse all'Accademia delle Scienze.
Il lungo viaggio nell'Italia settentrionale, durato in tutto sette mesi, fu anche memorabile per il B. per nuove esperienze nello studio diretto di antiche iscrizioni: dopo la dimora più lunga a Milano, e la scorsa a Torino, toccò più o meno brevemente ancora Milano ("beato soggiorno"), Brescia, dove studiò "alcune centinaia di bellissime lapidi", Verona, dove lo interessarono il museo epigrafico maffeiano, iscrizioni nuovamente scoperte e nuovi scavi dell'anfiteatro, poi Vicenza, Padova, Venezia, Ferrara, Bologna (vedi una lettera all'Amati, Oeuvres, VI, pp. 111s.).
Dopo alcuni mesi di raccoglimento a Savignano per la sistemazione della messe raccolta, fu ancora a Roma con il Perticari nell'inverno 1818-19, trattenendovisi fino alla primavera inoltrata anche per dar mano con alcuni amici alla fondazione del Giornale arcadico.
Il principe Pietro Odescalchi che ne figurava direttore dovette avere una veste quasi solamente formale; gli ideatori e principali operatori sembrano Perticari, L. Biondi, Borghesi, ai quali si aggiunsero poi l'Amati e il Betti. La rivista si configurava dunque come opera quasi esclusiva di un gruppo romagnolo-marchigiano, e rimase poi sempre in qualche modo l'espressione letteraria di queste due regioni. Ma ciò che più caratterizza questi inizi fu l'interessante e deciso orientamento letterario-linguistico, e probabilmente una nascosta intenzione politica in un senso di rinnovamento nazionale, che comunque, con il ritiro del B. a San Marino, la morte del Perticari nel 1822 e il minore impegno e mordente di uomini come l'Amati e il Betti, finì col non lasciare quasi tracce, o pochissime, nell'appiattimento e nel conformismo del lungo periodo successivo. Per quel che riguarda il B. e un suo amico assai stretto, l'Amati, la loro collaborazione per il settore filologico ed epigrafico fu tra le cose più apprezzabili della rivista romana (per quello numismatico il B. diede, come si vedrà, un contributo insigne di lunga durata), e certo fu qualche cosa di più e di diverso dalla consueta e tanto malfamata antiquaria dell'ambiente romano. Del B. si devono ricordare, nelle prime due annate della rivista, oltre a scritti più noti, alcuni che non furono ristampati in Oeuvres, come le rassegne degli scritti relativi al tempio di Marte a Todi (Giorn. arc., III, luglio-settembre 1819, pp. 3-20) e quella delle edizioni di Eusebio di A. Mai e G. Zohrab e di G. B. Aucher (V, gennaio-marzo 1820, pp. 79-101, 207-231, 352-359) sul valore storiografico dei nuovi testi.
Cadono in questo periodo romano i rapporti del B. col Leopardi. Sebbene non si siano mai conosciuti di persona, avevano avuto all'inizio del 1819 un cortese scambio di lettere provocato dal Giordani, vecchio amico del B., a proposito delle due famose canzoni pubblicate allora dal Leopardi. Fu certo l'apprezzamento manifestatogli dal B., e la fama, giunta anche a Recanati, dei suoi lavori sui fasti, che indusse poco dopo il Leopardi a dedicare a lui l'amplissima recensione (esclusivamente filologica, questa) che anch'egli aveva preparata Sull'Eusebio del Mai,Al Ch. Sig. Bartolomeo Borghesi (Recanati 5 maggio 1819), rimasta inedita in questa prima forma e solo ora pubblicata per intero da G. Pacella-S. Timpanaro tra gli Scritti filologici del Leopardi (Scritti inediti e rari, VIII), Firenze 1969, pp. 358-434. Il B. forse non ebbe mai notizia di questa dedica: nella redazione definitiva, stampata dal Leopardi nel 1823, tre anni dopo la pubblicazione della recensione del B., il titolo suona, anonimamente: Annotazioni sopra la Cronica d'Eusebio... a un amico suo (ibid., p. 209).
Intanto, e fin dal 1814-15, la situazione politica italiana era profondamente mutata. Il B., come i suoi amici Strocchi e Fabbri, aveva avuto qualche parte nei giorni del tentativo murattiano, che in Romagna ebbe uno dei suoi punti di forza. Ma certo nei vari trapassi, tra Regno italico e restaurazione pontificia, egli dovette fare uso di tutta la sua prudenza, se in servizio del suo paese poté seguitare ad avere cariche amministrative, sebbene non fossero ignoti i suoi precedenti e le sue idee. A Roma aveva alcuni amici fidati tra i prelati di Curia ed era benvoluto anche da alcuni cardinali e dallo stesso Pio VII. Nel 1817 ebbe l'incarico di riordinare il medagliere vaticano, nel 1819 il papa stesso lo richiedeva per il riordinamento della sua collezione privata (come anche in seguito fu consultato dalle autorità centrali). Ma in Romagna tutto questo valeva ben poco di fronte alla polizia dei cardinali legati e ai metodi e all'atmosfera pesante del sanfedismo. A Milano (dove fu ancora nella primavera 1820 per la stampa della seconda parte dei Nuovi frammenti)poteva essergli scudo fino a un certo punto l'amicizia del Monti, ma si sa anche che conobbe gli uomini del Conciliatore, ilPellico e forse il di Breme, e nei processi del 1821-22 il suo nome fu fatto più volte per le imprudenze di P. Maroncelli e le delazioni di G. Laderchi. Il Pellico lo credette carbonaro, e forse tanto lui quanto il Perticari lo furono veramente. Se il B. e il Perticari si erano procurati fin dal 3 maggio 1818 la cittadinanza nobile della Repubblica di S. Marino non era certamente per puro ornamento.
Il 14 apr. 1821 il B. scriveva da San Marino all'amico Betti in una lettera famosa (Oeuvres, VI, p.192): "Sono dieci giorni che mi trovo a S. Marino con molte delle mie medaglie e dei miei libri, e mi pare di starci sì bene, che conto di rimanervi fino almeno all'approssimare dell'inverno" (vi sarebbe rimasto trentanove anni). I motivi addotti, di salute e di quiete per i suoi studi, erano probabilmente veri, ma tra le righe si legge anche altro, e la data del trasferimento, negli stessi giorni dell'insuccesso dei moti piemontesi e alla vigilia di una catena di reazioni e di processi destinata ad allargarsi dovunque, ne dà una conferma eloquente, come d'altra parte il fatto che la dimora temporanea divenne presto definitiva.
Il trasferimento a San Marino produsse per il B. un radicale mutamento nel genere di vita e nello svolgimento e nei modi della sua stessa attività scientifica. Alla letteratura militante e alle distrazioni mondane aveva dato l'addio da tempo, ma San Marino significava anche la rinunzia a una partecipazione culturale e sociale che i suoi amici, da Faenza a Pesaro, da Milano a Roma, avevano molto apprezzato; la chiusura a ogni effettiva attività di pubblica amministrazione nel suo paese (attività per la quale il B. sembra avere avuto gusto e vocazione oltre che capacità e senso di dovere, come presto si vide a San Marino stessa); e la drastica riduzione delle possibilità che finora avevano offerto al suo lavoro i viaggi, le biblioteche, il contatto diretto con le iscrizioni. Gli restavano la sua eccezionale collezione numismatica, che anche nel periodo sammarinese poté ancora accrescere, i libri (non molti, e in gran parte rimasti a lungo a Savignano), gli scambi epistolari che presto raggiunsero una dimensione abnorme. E la vita solitaria offrì indubbiamente una contropartita alle possibilità di un grande e metodico lavoratore come egli fu sempre, anche se impegni amministrativi e politici sopraggiunsero presto a sottrargli parte del suo tempo, e turbamenti e preoccupazioni politiche interruppero non di rado la tranquillità patriarcale della sua nuova patria.
I propositi di studio dichiarati dal B. nella ettera citata al Betti erano anzitutto la stesura della terza dissertazione sui Nuovi frammenti dei fasti consolari capitolini, destinata a illustrare i franunenti minori, e in secondo luogo il riordinamento delle "lapidi ipatiche", cioè delle iscrizioni consolari che aveva cominciato a raccogliere da molti anni, base fondamentale e apparato documentario della vasta opera da tempo ideata per la ricostruzione dei fasti consolari di Roma, dalle notizie più remote fino al tardo impero (secondo l'ultimo assetto dell'opera, per oltre undici secoli di storia, dal 509 a.C. al 632 d.C.). La terza dissertazione era già scritta in parte nel '30; sospesa allora per la speranza di nuovi materiali che si attendevano dagli scavi, fu ripresa nel '39 per richiami venutigli "da alto luogo" e divisa in due parti, una delle quali quasi finita (Cavedoni, pp. 7, 13); se ne hanno notizie incerte, rimase comunque inedita. Invece i fasti, per i quali aveva già apparecchiato tre volumi di "zibaldoni consolari, incominciati poco dopo che uscii di collegio" (così in una lettera del '39, in Oeuvres, VII, p.272) costituirono per sessant'anni il centro e la meta principale di tutta la sua attività scientifica. Alla loro stesura, perfezionamento e aggiornamento continuo egli attese con tenacia inesausta nel quarantennio sammarinese, ma senza giungere mai alla pubblicazione dell'immensa opera, sebbene già compiuta, anzi da ultimo deliberatamente rinunziandovi e lasciandone la cura ai posteri; limitando cioè il suo proposito all'aggiornamento e al perfezionamento di essa fino all'ultimo giorno di vita.
L'opera avrebbe dovuto contenere l'edizione di tutti gli antichi Kalendaria, quella di tutti i fasti epigrafici comunque e dovunque conservati, a cominciare dai frammenti capitolini vecchi e nuovi, infine la serie dei fasti consolari da lui ricostruita; vale a dire, anno per anno, dopo le sincronie e l'enunciazione dei nomi dei consoli ordinari, poi anche di quelli suffecti, l'edizione integrale e critica non solo di tutte le iscrizioni con date consolari, ma di tutte quelle comunque relative a consoli e alle loro famiglie, con la bibliografia relativa ad ognuna. Questa collezione epigrafica, del cui progresso affiorano qua e là le notizie nel carteggio del B. e in alcuni suoi scritti (si parla a dati momenti di quattromila, poi di diecimila iscrizioni), dovette giungere alla fine, secondo il computo del des Vergers, a circa dodicimila iscrizioni. Come appendici dovevano seguire le Res gestae divi Augusti, l'editto di Diocleziano de pretiis, e altri monumenti epigrafici. Al di fuori dello schema rigorosissimo di questo immenso apparato, non sembra che l'opera, come il B. la lasciò, in un volume manoscritto di 1537 pagine in folio, comportasse discussioni e commenti; ma indubbiamente egli era venuto scrivendo una quantità di osservazioni e trattazioni particolari in parte rimaste inedite, in parte disseminate nel suo carteggio o inserite da lui stesso nelle varie memorie numismatiche ed epigrafiche pubblicate, a cominciare naturalmente da quelle più pertinenti, costituite dalle dissertazioni sui Nuoviframmenti (Milano 1818-1820, poi in Oeuvres, IX, pp. 1-251, 419), dal Frammento dei fasti municipali della colonia di Lucera, del 1848(Oeuvres, V, pp. 107-161), dal Frammento de' fasti capitolini,al dott. Henzen (Bull. dell'Inst. di corr. arch., 1857, pp. 78-87, omesso in Oeuvres).
Così nei lavori preparatori come nel risultato finale a cui mise capo il lavoro di sessant'anni del B. "fastografo" risplendevano le doti eccezionali dell'uomo che lo aveva concepito e realizzato. Le difficoltà da superare erano allora immense: quella di raggiungere e dominare una massa informe di materiali acriticamente accumulati in migliaia di sedi in quattro secoli di studi epigrafici; quella di evitare gli scogli e di risolvere i problemi sollevati a ogni passo dalle centinaia o forse migliaia di iscrizioni false o dubbie che infestavano più o meno le grandi raccolte epigrafiche; quella quasi insormontabile di collocare con esattezza o con approssimazione un gran numero di consoli suffecti. Occorse un insieme di qualità che ben raramente si trovarono congiunte in un uomo solo come nel B.: la pazienza e la tenacia, la dottrina e l'ampiezza di informazione prima di tutto, ma, più ancora necessarie, l'acutezza lincea, la prontezza degli accostamenti, la sicurezza che nasceva da un'esperienza unica. Il risultato fu uno dei maggiori monumenti che un uomo solo abbia prodotto nel campo delle scienze storico-filologiche. E tuttavia l'opera rimase inedita, come si vedrà, e nel corso degli studi che seguì per un secolo fu sostituita da compilazioni di diverso impianto o, per talune sue componenti, da nuove imprese collettive di altra natura.
La tranquillità della nuova vita del B. a San Marino, le occasioni dovute a nuove scoperte che gli venivano comunicate o a quesiti che gli venivano rivolti, lo misero in grado di produrre assai più che per il passato e di pubblicare frutti parziali ma sempre più maturi delle sue ricerche. Se ne avvantaggiò per primo il filone più vecchio dei suoi interessi, quello numismatico, con la serie delle Osservazioni numismatiche che diede per un ventennio al Giornale arcadico.
Riunite in decadi (più volte, quando riuscivano più lunghe, divise in due), e pertanto più spesso conosciute e citate come Decadi, furono precedute da una dedicatoria a (Pier) Vittorio Aldini, noto epigrafista e professore di numismatica a Pavia, vecchio amico del B., e all'inizio della seconda centuria da un'altra al numismatico Giorgio Federigo Nott, canonico di Winchester. Sciolte dichiaratamente da ogni impegno di organicità e di ordine, uscirono da prima con continuità negli anni 1821-25, 1827-28, poia più rari intervalli (1835, 1840), giungendo alla Decade XVII, e costituiscono nel loro insieme la più voluminosa delle opere edite (Oeuvres, I, pp. 133-516; II, pp. 1-342), e certo la maggiore affermazione della sua capacità di numismatico. Ricche di importanti risultati cronologici, prosopografici ed esegetici, specie nel campo della monetazione romana repubblicana, che fu sempre il prediletto dal B., esse toccano assai spesso anche i territori dell'epigrafia e della filologia. Celebratissime dagli specialisti del tempo nonostante la scarsa diffusione del Giornale arcadico e la rarità delle poche copie pubblicate in estratto, se ne richiedeva spesso una nuova edizione, alla quale il B. fu sempre riluttante (ma una serie di sue correzioni e aggiunte fu potuta utilizzare per la ristampa parigina).
Si deve aggiungere che le Decadi rappresentano in un certo senso, e forse proprio perché stese con tutta libertà, come per svago e riposo negli intervalli tra scritti più laboriosi, la maggiore affermazione del B. anche come prosatore. Veramente tutta l'opera sua, che nel corso di quasi settant'anni presenta una singolare coerenza stilistica, appena aggravata negli scritti più giovanili da qualche tendenza a quell'artificio che rende sgradevoli le prose di tanti classicisti suoi contemporanei, rappresenta un modello esemplare di prosa scientifica, nella gravità non affettata, nella sorvegliata semplicità della lingua, nella chiarezza e lucidità del ragionamento, nella pacatezza non priva a tratti di umorismo, nella sobrietà e saldezza dell'educazione classica. Nelle Decadi, dove occorrono di necessità frequenti descrizioni di rappresentazioni monetali, affiora qualcosa di più: l'esattezza archeologica si fa chiarezza elegante.
Gli intervalli nella pubblicazione delle Decadi e infine la loro cessazione, l'aumento progressivo, a confronto, dei lavori epigrafici, rappresentano visivamente, nella bibliografia del B., una evoluzione che necessariamente doveva avvenire, non tanto per l'affievolirsi del suo interesse per il settore numismatico, quanto per il minore apporto di novità che esso poteva ormai fornirgli, di fronte al sempre crescente aumento del materiale epigrafico offerto da viaggi, esplorazioni, rinvenimenti occasionali o scavi organizzati, in ogni parte del mondo romano. Infatti l'ultimo ventennio della vita del B. registra appena quattro nuove memorie numismatiche, due delle quali dirette a Celestino Cavedoni, l'operosissimo sacerdote ed erudito modenese che tra i dotti italiani fu uno dei suoi più attivi corrispondenti.
Un'importante opera del Cavedoni, il Ragguaglio storico archeologico de' precipui ripostigli antichi di medaglie consolari e di famiglie romane d'argento (Modena 1854), fu meritatamente e quasi naturalmente dedicata al B., non tanto perché riboccante al solito di generose comunicazioni dalle sue lettere, quanto perché il B. gli aveva fornito, dopo avere a lungo pensato a pubblicarle e illustrarle egli stesso, le descrizioni degli importantissimi ripostigli di denari repubblicani scoperti in Romagna, a Roncofreddo nel 1756 (descritto da Pietro Borghesi) e a Montecodruzzo nel 1832 (descritto da lui): un apporto decisivo per la materia dell'opera.
Ma già nei due decenni delle Decadi aveva cominciato a prevalere quantitativamente la produzione epigrafica del B., con una messe numerosissima di memorie, recensioni originali, illustrazioni di scoperte recenti variamente significative. I più di questi scritti, o almeno dei minori, erano nati come lettere private ed erano stati pubblicati in forma di articoli per iniziativa dei suoi corrispondenti, e ad essi si devono aggiungere una miriade di comunicazioni private da loro pubblicate testualmente nei loro scritti, o anche utilizzate senza menzione del suo nome.
Fu in quegli anni che il suo colossale carteggio scientifico, che poté essere definito dal de Rossi il più straordinario che la storia dell'erudizione abbia mai registrato (e con verità, non tanto per numero di lettere, quanto per densità e importanza intrinseca di contenuto), cominciò l'ascensione quantitativa che doveva giungere ad occupare progressivamente la maggior parte delle giornate laboriosissime del vecchio solitario studioso. Straordinario per il contenuto, l'epistolario borghesiano (del resto noto solo in parte dai tre volumi delle Lettres, che ne contengono solo una scelta, e delle sole lettere di carattere scientifico, e non sempre pubblicate integralmente) lo è ancora di più per la generosità spontanea e l'assoluto disinteresse con cui il B. metteva a disposizione dei suoi corrispondenti, non solo vecchi amici ma talvolta semplici ignoti, i tesori della sua dottrina edella sua capacità eccezionale di cogliere subito il centro dell'interesse, la sostanza dell'apporto scientifico di ogni piccola o grande scoperta, e anche quando le indagini e i risultati che le risposte comportavano gli richiedevano giorni e giorni di lavoro e andavano molto al di là della natura dei quesiti che gli venivano rivolti. Egli sembra essere stato del tutto indifferente a sollecitazioni di vanità o di soddisfazione personale: la sola cosa che veramente gli stesse a cuore era il progredire delle conoscenze e della ricerca scientifica come patrimonio comune.
Si deve aggiungere d'altra parte, ed è osservazione più volte fatta dai suoi contemporanei ed amici che scrissero di lui, che egli fu abbondantemente ricambiato (o almeno nella sua infinita semplicità e modestia dovette considerarsi tale), giacché, nell'isolamento della sua residenza, nella lentezza e scarsa organizzazione dell'informazione scientifica, questo immenso carteggio, se assorbiva la parte maggiore del suo tempo, era altresì il più delle volte il solo modo per lui di venire rapidamente a conoscenza, in misura tale che a noi oggi sembra miracolosa, di ogni scoperta epigrafica di qualche rilievo che si verificasse in un vastissimo raggio, in particolare quelle di nuove iscrizioni "consolari", che si sapeva quanto fossero a lui gradite e necessarie al perfezionamento dei Fasti.
Un altro aspetto rilevantissimo, e questo meno generalmente o meno esplicitamente osservato, dell'epistolario è che per questo mezzo il B., vero grandissimo maestro senza cattedra, esercitò per un quarantennio una sorta di insegnamento e di efficace formazione su due generazioni di epigrafisti e di archeologi, tanto maggiormente apprezzabili e apprezzati per la grazia signorile che talvolta faceva quasi sembrare che da tali scambi fosse più lui a imparare e profittare che non il suo corrispondente, e per la forma spontaneamente letteraria per cui le sue lettere, spesso lunghissime e non precedute da una minuta, gli uscivano dalle mani come pronte per essere stampate, ciò che di fatto molte volte avveniva. Qualità tanto più ammirevole quanto più si deve credere alla confessione fatta una volta a due amici letterati, il Roverella e il Giordani, di non badare affatto alla forma mentre scriveva, "solamente inteso alla sostanza di ciò che debbo dire" (Oeuvres, VII, p. 324; Treves, p. 862).
II tempo dato agli innumerevoli contributi epistolari non gli impedì tuttavia di scrivere e pubblicare in proprio, nel corso di questi decenni, parecchi lavori più ampi, alcuni dei quali spiccano per l'importanza storica o metodologica del tema, per la complessità o per il carattere più generale della ricerca, e rimasero a lungo esemplari tra gli studiosi.
Si segnalano sopra gli altri il Frammento di fasti sacerdotali, del 1832 (Oeuvres, III, pp. 389-460), per la storia e il funzionamento dei collegi sacerdotali e per vari punti di cronologia imperiale; la memoria del 1835 comunicata all'Accademia romana di archeologia Sull'ultima parte della serie de' censori romani (Oeuvres, IV, pp. 1-88); la Memoria sopra un'iscrizione del console L. Burbuleio Optato Ligariano, del 1838 (ibid., pp. 101-178), vera monografia storica su un cospicuo personaggio del II secolo, e famosa tra tutti i suoi scritti per le importanti precisazioni intorno alla "legge" scoperta dal Marini sull'enumerazione ascendente o discendente delle cariche del cursus honorum;la recensione Sulle iscrizioni romane del Reno del Prof. Stoiner, del 1839 (ibid., pp. 179-265), fondamentale contributo alla storia delle legioni romane nelle due Germanie; la memoria data ancora all'Accademia romana nel 1839 Intorno ad un nuovo diploma militare dell'imperatore Traiano Decio (scoperto presso Rimini: ibid., pp. 275-336). Da questi titoli e da altri che si potrebbero citare appare anche il progressivo arricchimento degli interessi storiografici che sottostanno a molte sistemazioni e ricostruzioni borghesiane, soprattutto di storia amministrativa e militare, anche se il B. non volle mai, per una radicata convinzione metodologica che sembra quasi prefigurare posizioni della ricerca erudita nell'età positivistica, cedere alle tentazioni, se pure mai ne ha avute, di un più aperto esercizio di ricostruzione storiografica, arroccandosi deliberatamente, con ascetica fedeltà, nei propositi che considerava limiti invalicabili della sua competenza e del suo compito di studioso (forse anche per una sorta di scetticismo nelle possibilità di altre forme di lavoro scientifico).
Gli ultimi trent'anni della vita del B. sono caratterizzati da un accrescimento progressivo e da una importanza preminente, per temi e aspetti nuovi, delle sue relazioni con studiosi stranieri: prima tedeschi, o almeno di area germanica, poi anche francesi, nella rete sempre più vasta dei suoi incontri personali e del suo carteggio. Certo qualche conoscenza o incontro rilevante appaiono anche prima, come quelli col Niebuhr, col Bunsen, col consigliere Koelle, tutti a Roma in qualità di diplomatici. Ma il maggior numero, a partire dal quarto decennio del secolo, è soprattutto connesso con la fondazione a Roma nel 1829 di una associazione archeologica internazionale, di carattere privato, l'Instituto di corrispondenza archeologica, che aveva adottato per le sue manifestazioni pubbliche la lingua italiana, ma nel quale fu sempre preminente la presenza di studiosi germanici, fino a che negli ultimi anni della vita del B. fu finanziato dallo Stato prussiano e più tardi passò direttamente alla Prussia. Il B. ne fu subito socio e collaboratore, e segretario per la sezione italiana. Le serie di pubblicazioni dell'Instituto, il Bullettino, gli Annali, le Memorie, divennero fin dall'origine, 1831-32, la sede ordinaria delle sue pubblicazioni (rallentandosi al contrario progressivamente la sua collaborazione al Giornale arcadico). Nacquero così i suoi carteggi con gli uomini più attivi dell'Instituto e particolarmente con quelli caratterizzati da un più o meno esclusivo interesse epigrafico: H. Abeken, E. Braun, E. Gerhard, W. Henzen, O. Jahn, O. Kellermann, R. Lepsius, Th. Mommsen. E nacquero e divennero sempre più frequenti, fino a trasformarsi in una sorta di punto obbligato e quasi di istituzione e ad acquistare nel ricordo di questi uomini e dei posteri un alone romantico, i viaggi a San Marino, con permanenze anche lunghe.
Vi salirono il Kellermann nell'inverno 1835-36, il Braun per più di quindici giorni nel '38, lo Henzen nel '44, il Mommsen nel '45 e '47, il barone d'Ailly nel '51. All'incirca nello stesso tempo del Mommsen cominciarono gli incontri sammarinesi con A. Noël des Vergers, un eclettico ma eminente studioso stabilitosi a San Lorenzo in Correggiano presso Rimini, che divenuto così vicino di casa del B. poteva vederlo più spesso e servire di tramite ad altri amici. Degli italiani, che allora viaggiavano assai meno degli stranieri, o almeno di questi studiosi che erano programmaticamente viaggiatori, a parte il savignanese F. Rocchi, altro "vicino" del B. e suo allievo e intimo amico, se ne può ricordare uno solo veramente grande, G. B. de Rossi, che vi fu nel 1853. Alcuni di questi incontri ebbero una reale importanza nella storia della scienza e rappresentarono per i loro protagonisti, specie per i più giovani, una grande avventura intellettuale ed umana; e più di una volta anche per il vecchio B., nel quale non è difficile cogliere accensioni di entusiasmo o assistere al nascere di sentimenti di vera amicizia anche sotto il riserbo e la pacatezza abituali delle sue espressioni.
Il danese Olaus Kellermann fu a Roma quasi stabilmente dall'ottobre 1831 e in corrispondenza col B. già nel '33. Datosi a studiare due importanti elenchi militari epigrafici, uno dei quali da tempo ben noto al B., ebbe da lui aiuti straordinari, che si possono solo intravvedere nella dedica "Bartholomaeo Burghesio viro doctissimo praeceptori humanissimo..." premessa alla sua più importante pubblicazione (Vigilum Romanorum latercula duo Coelimontana magnam partem militiae Romanae explicantia, Romae 1835): il B. gli aveva vietato di citare la sua collaborazione (Oeuvres, VII, p. 40), come successivamente vieterà allo Jahn di pubblicare le lunghissime lettere che la documentavano. L'opera annunziava il sorgere di una personalità di primo ordine nell'epigrafia latina, e ben presto il Kellermann allargò i suoi propositi al grande progetto, prima di un supplemento delle più importanti e attendibili collezioni anteriori, poi di un vero corpo generale di tutte le iscrizioni romane. Il B. ne fu entusiasta, gli diede aiuti e direttive, studiò con lui il piano dell'opera (certo il più importante precedente nel lungo cammino che condurrà al CorpusInscriptionum Latinarum), promise di dare egli stesso una collaborazione diretta inquadrando nell'ambito dell'opera i suoi monumenta hypatica (le iscrizioni consolari) e la sua collezione di bolli laterizi. In due viaggi in Danimarca e Germania il Kellermann cercò appoggi all'impresa, sempre affettuosamente confortato dal B., ma quando essa appariva realizzabile, il giovane animoso epigrafista morì di colera a Roma il 1º sett. 1838, con grave danno della scienza e dolore degli amici, e prima di tutti del B., che in qualche modo aveva trovato in lui una sostituzione e un conforto alla perdita del suo vecchio Amati e nel giovane studioso aveva veduto riposte le maggiori speranze per le sorti dell'epigrafia latina.
Decisiva era stata per la breve opera di Kellermann e per l'impostazione del suo lavoro futuro la disinteressata collaborazione scientifica che si era instaurata nella cornice dell'Instituto. Subito il Braun, salito a San Marino, cercò con il B. come trovare un successore al Kellermann. Sembrò per qualche tempo che vi si potesse avviare Otto Jahn, allora ancor giovane e grande e versatile personalità di erudito, archeologo e filologo, ma dopo aver dato un eccellente saggio di lavoro epigrafico anche proprio, nella pubblicazione e completamento di lavori lasciati interrotti dall'amico scomparso, lo Jahn finì col rientrare nell'alveo delle sue più vere vocazioni di archeologo e di filologo. Ma intanto l'idea di un corpo generale di tutte le iscrizioni romane si era venuta sempre più imponendo e insieme configurando come opera sistematica e collettiva, e nei tentativi e progetti che seguirono il consiglio e l'autorità del B. ebbero una parte decisiva. Fu prima la Francia, negli anni 1844-47, con una iniziativa fortemente appoggiata dal ministro Villemain e dall'editore A. Firmin Didot, con l'opera di una commissione presieduta dal Letronne, a cui prestò una collaborazione rilevante il des Vergers (che tra l'altro era genero del Firmin Didot), in particolare incaricato di trattare col Borghesi. Il B. rinnovò ai Francesi la promessa già fatta al Kellermann di dare, nel quadro dell'opera, la sua grande collezione di iscrizioni consolari e quella dei bolli figulini; e assicurò ad essa, per alcune importanti regioni dell'Italia romana, Emilia Marche Umbria, la collaborazione del Rocchi, l'amico savignanese col quale aveva più frequenti contatti e il solo che si può considerare suo diretto allievo: essa apparve subito di tale qualità che i Francesi ne vollero pubblicare un saggio come modello per i futuri collaboratori. Ma anche questa impresa era destinata ad arenarsi ben presto per sopraggiunti mutamenti politici.
Frattanto, in questi stessi anni, il lungo viaggio di studio in Italia del giovane Mommsen (1845-47), il suo incontro col B. e le iniziative scientifiche che li riunirono indissolubilmente, risultarono decisivi per il geniale e fervido studioso - di formazione giurista, divenuto filologo alla scuola del suo maestro-amico Jahn, e storico e scrittore per prepotente forza propria - nel determinare la quarta componente essenziale della sua straordinaria personalità: quella dell'epigrafista; e furono insieme le radici di quella che sarà, dopo la morte del B. l'immensa costruzione del CorpusInscriptionum Latinarum.
Quando il Mommsen scese in Italia, sapeva bene, attraverso Jahn, erede di Kellermann, chi fosse il B.; a Roma, nell'ambiente dell'Instituto, accanto a Gerhard, Braun, Henzen, si gettò a capofitto nello studio degli scritti numismatici ed epigrafici del Borghesi. Ne nacque il progetto, a cui lavorò intensamente nella primavera del '45, di una edizione, da farsi in Germania, di tutti questi scritti dispersi; ad esso il Mommsen attribuiva una grande importanza per il rinnovamento colà degli studi storico-filologici ("Io spero con questi opera di produrre una rivoluzione nella letteratura antiquaria e storica, e di far ritornare i buoni vecchi tempi, in cui si leggevano le iscrizioni e insieme i testi; se non mi sbaglio di grosso, in Germania manca solo la spinta a ricominciare di là dove si è fermato lo Scaligero. La mia venerazione verso il nostro anziano aumenta a ogni nuova pagina che leggo di lui; io mi confermo ogni giorno nei miei studi sulla sua calma e chiarezza, sulla sicurezza e facilità con cui egli governa questa massa informe e lettera a Jahn del 2 maggio in Briefwechsel, pp. 20-21). Al progetto, appoggiato dal Braun che in passato l'aveva pensato egli stesso, il Mommsen si era associato Heinrich Brunn, il futuro grande archeologo, e aveva ottenuto, con grande sua gioia, il consenso del Borghesi. Avrebbe dovuto comprendere non meno di cento fogli di stampa, distribuiti in due volumi di scritti numismatici e tre di epigrafici. Nonostante la cooperazione di Jahn nella ricerca di un editore e vari mutamenti di impostazione diretti a facilitarla (Mommsen aveva personalmente condotto avanti una versione tedesca, poi sembrò più conveniente una traduzione latina), le difficoltà editoriali non si poterono superare. Ma il Mommsen persistette nel suo disegno anche negli anni seguenti, nel 1848-49presso un editore di Jena in traduzione latina (questa volta fu il B. che si oppose), nel '52 presso uno di Zurigo nel testo originale italiano.
Nell'estate dello stesso anno 1845 il Mommsen saliva a San Marino, vi si tratteneva molti giorni ospite del B. e ne riceveva un'impronta indelebile (nel suo diario, al 14 luglio, la prima impressione del "magnifico vecchio": "come dotto mi ha colpito come nessuno finora"; e in lettera a Henzen da San Marino: "a me non è toccata da studente la fortuna di incontrare uomini che mi abbiano impressionato; qui sono stato compensato e abbondantemente"...; e quindici anni dopo, nella lettera allo Henzen dell'8 maggio 1860 per la morte del B.: "egli è stato il solo maestro che io propriamente abbia avuto, e anche una natura moralmente notevole..."). Il carteggio Mommsen-B., quantitativamente non molto esteso, è indubbiamente di alto livello scientifico, ma è evidente che gli incontri diretti a San Marino, allora e due anni dopo, dovettero contare molto di più, anche per i problemi di metodo e di impostazione del futuro Corpus. Proprio in quel momento l'Accademia delle scienze di Berlino, riagganciandosi a un'antica proposta del Niebuhr, che aveva messo capo a una prima parziale realizzazione con l'imponente Corpus Inscriptionum Graecarum di A. Boeckh, coglieva l'occasione favorevole subentrando immediatamente alla caduta del progetto francese: protagonisti delle proposte che portarono alla memorabile decisione due grandi vecchi, il giurista F. C. von Savigny e il B., e due giovani, Mommsen e Jahn. Naturalmente c'erano situazioni delicate da superare, come la precedente promessa, alla quale il B. si riteneva impegnato, di dare i suoi Fasti con le iscrizioni consolari ai francesi; e la mole dell'impresa richiedeva una lunga fase preparatoria. A scopo di sperimentazione, metodologica e pratica, Mommsen accolse il consiglio del B. di un'esplorazione sistematica delle regioni italiane che più sembravano averne bisogno, quelle del Regno di Napoli. Dopo due anni di esperienza di epigrafista militante, il Mommsen torna a San Marino nel maggio del '47, a riprendere il materiale raccolto e già inviato al B. e a discuterne con lui la successiva elaborazione. Cinque anni dopo, quando l'impresa del Corpus si era di nuovo fermata e si disperava di poterla riprendere, e Mommsen stesso l'anno prima aveva perduto la cattedra di Lipsia per ragioni politiche, egli pubblica il monumentale volume delle Inscriptiones Regni Neapolitani Latinae (Lipsiae 1852), con la celebre prefazione in forma di dedica "Bartholomaeo Borghesio magistro patrono amico", nella quale mirabili pagine autobiografiche si alternano e si confondono con la riconoscenza e ammirazione per il B. e per la migliore tradizione italiana di studi epigrafici dal Marini in poi. Più ancora importa che il Mommsen, rielaborando su un piano più vasto l'opera sua inquadrata nel Corpus, abbia voluto premettere a ognuno dei due volumi IX e X (Berlino 1883)il testo invariato di quella prefazione.
Il terzo degli uomini dell'Instituto che ebbero un posto di grande rilievo nella vita e nell'opera del B. fu lo Henzen, epigrafista puro, al quale con Mommsen e de Rossi spetterà il maggiore contributo nella preparazione delle sezioni italiane dei Corpus, instancabile scrittore di lettere e tramite quasi esclusivo, dal 1843in poi, della collaborazione del B. alle pubblicazioni dell'Instituto. Il loro carteggio, sebbene concentrato in soli diciassette anni, fu il più esteso tra quelli del B. (si contano centosettantotto lettere di Henzen e circa cento di B., delle quali solo quarantotto edite nelle Lettres). È anche degno di nota che di quasi tutte le lettere a Henzen il B. conservasse la minuta, come non sempre o raramente era solito fare. Il carteggio è di rilevante importanza scientifica, anche per la più matura esperienza del vecchio B. e gli ultimi sviluppi dei suoi interessi storici. Anche lo Henzen volle dare testimonianza solenne della sua devozione al maestro con la concisa dedica "Bartholomaeo Borghesio" dell'insigne volume III da lui aggiunto alle Inscriptiones Latinae selectae di G. G. Orelli (Zurigo 1856), che molto doveva al B. e fu un'altra tappa importante del cammino verso il Corpus.
Un'opera strettamente epigrafica, in realtà la sola edizione organica di testi epigrafici che egli abbia ideato al di fuori della grande collezione delle iscrizioni consolari, fu la collezione dei bolli laterizi, che lo interessavano molto perché per molta parte datati. Era stato preceduto da un'opera rimasta inedita del Marini, che dopo ottant'anni apparirà ancora al de Rossi tanto importante, per il commento più che per i testi stessi, da darne un'edizione integrale con la collaborazione del Dressel (1884). Dei testi del Marini, escludendone alcune categorie, il B. aveva tratto copia fino dal 1816 circa, e li aveva poi sempre integrati con nuove revisioni e scoperte (sono molto importanti a questo proposito sue lunghe lettere all'Amati e al Kellermann). L'avrebbe certamente pubblicata, come si è visto, se avessero avuto esito favorevole durante la sua vita i progetti del Kellermann e le successive speranze di realizzazione del Corpus. Rimase inedita, superata rapidamente dall'edizione di H. Dressel nel volume XV del Corpus (oggi superata anch'essa).
All'estensione degli interessi del B. vecchio oltre l'ambito consolare corrispondono tutte le vaste compilazioni da lui iniziate e fondate sulla raccolta e aggiornamento continuo e la discussione critica di tutte le fonti epigrafiche e letterarie, sulle serie dei Praefecti urbis Romae (vi si era accinto nell'estate del 1856: lettera al Cavedoni in Oeuvres, VIII, p. 545; la portò fino all'anno 254 e fu pubblicata in Oeuvres, IX, pp. 253-395), e sui Praefecti praetorio (anteriori a Costantino e poi Orientis, Myrici, Italiae,Africae, Galliarum, che occuperanno l'intero volume X delle Oeuvres, di 835 pp.). Inedite rimasero le schede dei Praefecti urbi Constantinopolitanae e quelle voluminosissime dei governatori delle province (erano quarantadue fascicoli, più due sui Proconsules Asiae e Africae) e di altre magistrature (cinque fascicoli).
Nella vasta opera del grande antiquario alcuni interessi per particolari aspetti o campi di ricerca si possono facilmente riconoscere, come quello, già accennato più sopra, della topografia antica, o quello, costantemente presente, della prosopografia. Più importante di tutti il filone filologico. Sebbene il B. non sia stato propriamente un filologo, ma ai testi si sia accostato prevalentemente per il loro contenuto di testimonianza storica, tuttavia l'educazione letteraria della sua giovinezza, il contatto diretto, fino a una certa data, con codici, l'amicizia dell'Amati, la sua propria chiarezza di visione metodica, gli avevano dato una consapevolezza dei problemi testuali quale è sempre rara tra antiquari e storici. Ciò che ne resta, per così dire, nascosto nella sua opera, è tale da dargli un posto suo tra i pochi filologi veri dell'Italia del suo tempo, dopo il Garatoni (da lui ben conosciuto, vedi Oeuvres, I, pp. 428, 430-433), e nel tempo del Leopardi e del Peyron.
Si devono ricordare anzitutto, anche se intenzionalmente limitate all'aspetto storico, le grandi recensioni al Mai: quella sull'Eusebio, già citata, purtroppo non ristampata; quelle Sul Digesto antegiustinianeo, del 1824 (Oeuvres, III, pp. 97-142), su gli Historicorum Graecorum excerpta Vaticana, del 1829 (ibid., pp. 197-259), la più breve a Classicorum auctorum, I-II, in Giornale arcadico, XLVIII(ott-dic. 1830), pp. 258-264 (non ristampata). Di carattere più personale e sempre più ricche di riferimenti e di contributi a critica testuale sono le numerose "consulte", lettere e note scritte in servizio di studiosi o editori di autori della letteratura latina.
Se ne avvantaggiarono soprattutto il testo e l'interpretazione di Tacito e di Giovenale. Spettano a Tacito la lettera al Giordani, che questi pubblicò come articolo nel 1840 (Dei tre consolati di Muciano, poiin Oeuvres, IV, pp. 343-353), e la lettera diretta al Roverella, ma ancora per il Giordani (ibid., VII, pp. 321-324; ora anche in Treves, pp. 857-862); più tardi, per sollecitazione del Mommsen, una serie sistematica di note in servizio dell'edizione di K. Nipperdey, che gli richiesero mesi di lavoro (solo le più estese pubblicate postume ibid., V, pp. 285-325). A Giovenale, l'articolo Intorno all'età di Giovenale indirizzato allo Jahn (nel Giornale arcadico del 1847, poi in Oeuvres, V, pp. 47-76), e le Annotazioni alle Satire di Giovenale scritte per lo Jahn ma non destinate alla pubblicazione (ibid., pp. 507-534; le pagine introduttive ora in Treves, pp. 863-870); si può vedere in proposito anche una lettera del 1854 al vecchio amico cesenate Z. Re, traduttore di Giovenale, in Balsimelli, II, pp. 176-178). Intorno ad altri autori è soprattutto rilevante la Dichiarazione d'una lapide gruteriana, data nel 1834 all'Accademia di Torino (rifacimento della memoria ivi letta nel 1818 (Oeuvres, III, pp. 461-516), importante per la determinazione della cronologia e identificazione della persona di Palladio Rutilio Tauro, e inoltre per una vasta trattazione dell'onomastica romana tarda. Note "consolari", tuttavia interessanti personaggi letterari, sono quelle sui consolati di Seneca (Oeuvres, IV, pp. 389-397), di Cicerone (ibid., pp. 497-503), di Pomponio Secondo (ibid., V, pp. 95-106). Nota esegetica è quella Intorno a' Lolliani ricordati da Firmico Materno (ibid., IV, pp. 517-525); note filologiche sono la lettera del 28 ott. 1833 sugli equites summarum alarum di tre passi corrotti di Igino, riassunta da G. Furlanetto in Mem. dell'Ist. Ven., I (1843), pp. 77-78, e la Restituzione d'un nome perito nel c. CXVI del l. II di Velleio Paterculo (Oeuvres, IV, pp. 453-464). Di carattere più privato, ma non minore interesse filologico, alcune altre lettere: al suo amico pesarese marchese Antaldo Antaldi, buon cultore di studi classici, al quale il B. indirizzò altri suoi scritti a stampa, nel 1816 su Stazio (Casini, pp. 22-26) e nel 1833 su Catullo (Oeuvres, VI, pp. 514-517, ora in Treves, pp. 849-853; l'Antaldi aveva lavorato per mezzo secolo a un'edizione di Catullo che non portò a termine; nel '45 il B. aveva acconsentito a dirigere una edizione che sui materiali dell'Antaldi e del savignanese Giacomo Turchi avrebbe dovuto curare il Rocchi: Casini, pp. 28-30; M. Zicari, Il "Cavrianeus" antaldino..., in Studia Oliveriana, IV-V[1956-57], pp. 145-147); le lettere del 1826-29 a G. P. Vieusseux, a G. Cioni, a G. Furlanetto, sul testo, allora scoperto, di Pelagonio (Oeuvres, VI, pp. 304-306, 342-345, 393 s.); al des Vergers (1855) su Orazio (ibid., VIII, pp. 484-486, ora in Treves, pp. 854-856).
A un settore particolare della filologia, la lessicografia latina, il B. fu costantemente sensibile, ovviamente stimolato da problemi di interpretazione di testi epigrafici. Anche questo filone ha prodotto frequenti contributi sparsi nei suoi scritti e lettere, specie in quelle al Furlanetto, continuatore della grande tradizione lessicografica del Seminario di Padova, e suo corrispondente ordinario per decenni, molto aiutato dal B. anche per le sue sillogi epigrafiche di Este e di Padova. La prima lettera che il B. gli indirizzò il 9 genn. del 1822, costrettovi "a forza" dal Monti (ibid., VI, pp. 198-204), è in certo modo programmatica per la serie di esempi e per i consigli di utilizzazione di fonti trascurate o nuove (note tironiane, edictum de pretiis). E il B. diede al Furlanetto anche una collaborazione sistematica, per i cognomina romani, al rifacimento del Forcellini.
Il trasferimento del B. a San Marino nella primavera del 1821, anche ammesso che all'inizio fosse solo prudenziale e temporaneo, poteva trasformarsi in definitivo se le circostanze private l'avessero portato a una scelta, o quelle pubbliche l'avessero consigliata o resa necessaria. Di fatto il B. vi si trovò benissimo e, persistendo le ragioni politiche e quelle private, la scelta divenne definitiva (l'uno e l'altro ordine di considerazioni è lucidamente analizzato, nella notissima lettera del 18 sett. 1822 al Fabbri, in Trovanelli, pp. CLXXXII s.).
Segni della scelta ormai fatta furono l'acquisto e l'ampliamento di una casa e la rinunzia alla cittadinanza pontificia prima della scadenza dei sei anni previsti per gli emigrati da una disposizione del trattato di Vienna (sembra che nondimeno il B. anche dopo potesse partecipare, pur tra crescenti difficoltà, al consiglio e alle magistrature di Savignano, anche se solo formalmente). Apparve subito inevitabile e naturale che nella nuova patria la sua conosciuta propensione e capacità di pubblico amministratore, la stima che lo circondava, la gratitudine per l'ospitalità, il dovere di cittadino, convogliassero al servizio della Repubblica la sua opera e il suo consiglio. Li diede per oltre trentacinque anni, in ogni sorta di incarichi occasionali e di uffici pubblici, dai più modesti ai più alti (eccettuata solo la carica di capitano reggente a lui preclusa dagli Statuti), con una tale generosità, continuità e pazienza che sembrano incredibili in un uomo tanto occupato dal carteggio e dagli studi e tanto attaccato al proprio lavoro.
Fin dal 1824 poté validamente appoggiare, con le sue conoscenze e amicizie a Roma anche presso i diplomatici stranieri, una missione del vecchio uomo di stato sammarinese Antonio Onofri. Morto l'Onofri, toccò al B. di pronunziare l'elogio del "padre della patria", pubblicato solo postumo (Orazione finora inedita detta nelle esequie solenni di Antonio Onofri rinnovate per decreto pubblico il dì XXIX maggio MDCCCXXV, Rimino 1863; ristampata per il centenario dell'Onofri: In memoria di A.O. "padre della patria", orazione..., S.Marino 1926). Il discorso, egregia testimonianza dei suoi sentimenti e anche dei suoi pensieri politici, rimane la più elevata delle sue prose non scientifiche, nel tono e nello stile dei classicisti romagnoli del tempo, ma certo non inferiore ai migliori esempi di quella letteratura. All'Onofri il B. succedette provvisoriamente nella segreteria degli Affari esteri. Nel 1828 ebbe l'incarico di una missione presso monsignor Invernizzi a Ravenna, riuscendo a evitare o almeno a rinviare la conclusione di un trattato reciproco di estradizione dei rifugiati, richiesto da Roma a condizioni che avrebbero intaccato il diritto di asilo (che sarà il tema politico ricorrente per tutta la vita del B., difeso costantemente a San Marino su una linea di delicatissimo equilibrio, anche se talvolta non senza compromessi e insuccessi, in ragione delle effettive possibilità). Il 21 luglio 1829 fu eletto all'unanimità a far parte del Consiglio generale e vi fu insediato seduta stante. L'anno seguente entrava a far parte di congregazioni di nuova istituzione, alla cui impostazione egli certamente non fu estraneo il Congresso economico e quello per gli Affari esteri; e così in seguito della Congregazione agraria, della Deputazione del teatro, del Congresso dei XII. Come membro della seconda divenne anche formalmente segretario agli Affari esteri, e tenne questo ufficio, gratuitamente come tutti gli altri, per un ventennio. Coprì successivamente e ripetutamente tutte le cariche statutarie temporanee della Repubblica: camerlengo (poi cassiere generale), depositario, cassiere dei tabacchi, revisore dei conti, prefetto del Monte di Pietà, paciere, sindacatore, fabbriciere, stradiere, elezionario (cioè membro di commissioni per l'elezione a uffici retribuiti). Fu ininterrottamente a partire dal 1832 amministratore del legato Belluzzi, fu spesso eletto in commissioni straordinarie, ed ebbe incarichi speciali come quello di curare e amministrare la ristampa delle Leges statutae Rei Publicae Sancti Marini (Forolivii 1834).
In tutte le numerose cariche finanziarie ebbe modo di mostrare la sua singolare capacità ed efficienza di accorto amministratore, e in quelle politiche, particolarmente quella di segretario agli Affari esteri, numerose occasioni di esercitare la sua sottigliezza di negoziatore e inventività diplomatica: ad esempio nella ricerca di occasioni di stabilire per la Repubblica rapporti che avrebbero potuto risultare utili in seguito (così la rappresentanza a Milano per l'incoronazione di Ferdinando I, affidata nel 1838 al suo amico Labus, che amava simili distinzioni). La sua opera ed esperienza furono in più occasioni di grande giovamento. Così, dopo la missione del 1824 dell'Onofri e la propria del 1828, nel 1830 in occasione di una controversia giurisdizionale col governo pontificio, che lasciò tracce in una pubblicazione del vecchio avvocato e antiquario Carlo Fea, non molto stimato dal B., che tuttavia mantenne sempre con lui rapporti formalmente corretti (Il diritto sovrano della Santa Sede sopra le Valli di Comacchio e sopra la Repubblica di San Marino, Roma 1834: alle pp. 89-93, una ferma lettera del B.). La rivoluzione del '31 per poco non strappò da San Marino il B., eletto deputato di Cesena; la nomina non ebbe effetto, ma in quei mesi si parlò di lui anche come ministro degli Esteri del governo provvisorio dell'Emilia. Finita l'esperienza rivoluzionaria, il B. ebbe gran parte nell'assicurare l'ospitalità della Repubblica a parecchi esuli, tra i quali furono anche, ospiti del B. nella stessa sua casa, i suoi vecchi amici don Cesare Montalti e Eduardo Fabbri. Nel '42 condusse una missione a Roma per una convenzione finanziaria, non priva di aspetti politici. Nuove difficoltà per i rifugiati si ebbero nel '43, '45, '46; in rapporto a queste ultime, per l'opposizione di frazioni reazionarie, nel marzo 1846 il B. si dimise da tutte le cariche ("Ognuno sa con quanta violenza in un pubblico scritto siano state incriminate le opinioni che ho espresso e i consigli che ho suggerito": C. Franciosi, p. 51); il Consiglio principe respinse le dimissioni e le cose si appianarono. Nel luglio-agosto '49, la ritirata di Garibaldi da Roma, con i resti dell'esercito repubblicano, mise in grande imbarazzo la Repubblica, circondata da ingenti forze austriache. Il B. non era più segretario ma era rimasto in carica per la durata della reggenza dell'amico suo Domenico M. Belzoppi. La Repubblica fece quello che poté per assicurare lo scampo di Garibaldi e dei suoi e nell'impossibile tentativo di mediazione con gli Austriaci. Il giorno dopo, il B. dovette ospitare in casa sua l'arciduca Ernesto e i suoi ufficiali, con l'incarico di placarne i sospetti (non è improbabile che nello stesso momento fosse nascosto nella casa stessa del B. il nipote conte Giacomo Manzoni, già ministro delle Finanze della Repubblica romana). La questione dei rifugiati finì col procurare nuove difficoltà nei mesi seguenti e addirittura, nel giugno del 1851, un intervento di truppe austro-pontificie nel territorio della Repubblica; il comportamento necessariamente prudente di antichi liberali come il Belzoppi e il B. fu preso a pretesto (questa volta dagli estremisti e dai rifugiati, non tutte persone raccomandabili) di una pericolosa propaganda popolare contro "i cinque B" (Belluzzi, Belzoppi, Bonelli, Borghesi, Braschi). Vi furono assassini politici, più grave di tutti quello del segretario agli Interni G. B. Bonelli (14 luglio 1853); il B., non senza coraggio, assunse allora per due mesi l'incarico degli Interni. Ancora nel '54 una minaccia di intervento pontificio-toscano diede occasione a trattative con un rappresentante della Francia, che offriva appoggio militare, declinato dalla Repubblica (l'anno seguente, per l'intervento del B., questa otteneva l'istituzione di un incaricato d'affari alla corte francese).
Assai più tranquilli, nonostante l'infelicità dei tempi, erano stati, anche per la vita privata del B., i primi decenni sammarinesi. Aveva acquistato la casa Clini presso l'antica Pieve, l'aveva ampliata con la concessione di suolo pubblico fino a farne un cospicuo edificio di quattro piani, con un grande orto annesso (ora pubblico col nome di Orti Borghesi) che prospetta sulla pianura romagnola e sul mare. Era cessata per lui l'età dei grandi viaggi di studio, ma ne faceva spesso di più brevi in Romagna, e fu ancora a Firenze nel 1823, in tutta Romagna, Bologna e Roma nel '28, e per l'ultima volta a Roma nel '42, per la missione ufficiale già ricordata, piuttosto a lungo e non senza rivedere vecchi amici, stringere nuove relazioni di studio ed esaminare per l'ultima volta iscrizioni in una nuova collezione, quella di G. P. Campana.
Vissuto sempre celibe, possessore di una fortuna forse considerevole e del famosissimo museo numismatico, buon amministratore delle cose sue, il B. dovette presto preoccuparsi della sua eredità. Nel 1832 adottò Pietro Lugaresi, figlio di sua sorella Giulia, e l'anno seguente procurò il matrimonio di Pietro, ora Borghesi, con la contessa Teresa Staccoli di Urbino. Gli sposi si stabilirono a San Marino nella grande casa del Borghesi. È all'incirca da questo tempo in poi che il B. viene comunemente chiamato conte, senza che ne risulti l'origine, anche nei titoli di alcune sue pubblicazioni, certo non curate da lui. Egli stesso non usò mai il titolo né d'altra parte risulta che lo abbia smentito, anche se nel 1834 pregò il Kellermann di toglierlo dalla sua dedica (Oeuvres, VII, p. 53). Più tardi, forse per la mancanza di figli superstiti di Pietro, egli pensò ai pronipoti, figli di Giacomo Manzoni (il famoso politico, bibliofilo e bibliografo) e di Luigia Lugaresi. Con il testamento del B. del 29 ott. 1859, che annullava i precedenti del 1818 e del 1851, l'eredità del museo, biblioteca e manoscritti avrebbe dovuto passare a Bartolomeo o, subordinatamente, a Luigi Manzoni, allora minori, se si fossero dedicati a studi numismatici; in caso diverso, gli interessi ricavati dalla vendita del museo dovevano essere destinati a borse di studio per San Marino e Savignano, i libri e manoscritti passare alla Biblioteca di Savignano. Nessuna di queste disposizioni ebbe effetto. Pietro Borghesi (morto poi nel 1871) gli succedette nel consiglio della Repubblica.
Neppure la nuova situazione determinata dall'elezione di Pio IX e dalle novità politiche italiane staccò il B. da San Marino, ma l'esperienza liberale dello Stato pontificio ebbe ripercussioni nella sua vita. L'Accademia di Savignano, che aveva vivacchiato durante la restaurazione ed ora taceva da tre lustri, fu riaperta il 3 maggio 1847 con un discorso liberale dei Rocchi, ora presidente, e una dissertazione del B., segretario perpetuo, che ritornò per questa occasione, certo per un discreto omaggio al papa, ai temi di archeologia sacra dei primi anni dell'Accademia (Sul preside della Siria al tempo della morte di N. S. Gesù Cristo, in Oeuvres, V, pp. 77-94). Nello stesso anno gli fu offerta la cattedra di archeologia all'università di Bologna, nel seguente venne nominato dal papa membro dell'Alto Consiglio, cioè senatore dello Stato romano. L'età avanzata, la fedeltà alla terra ospitale, forse anche l'innata e acquisita prudenza gli fecero rinunziare l'una cosa e l'altra; ma per la cattedra suggerì il Rocchi, che fu accettato e vi rimase anche dopo l'unità.
Negli anni seguenti si raccolse nei suoi studi e nel servizio civile della piccola patria adottiva ogni volta che questa ne ebbe bisogno, e lavorò e scrisse fino quasi alla fine, sostenuto dalla eccezionale sanità fisica che egli attribuiva alla salubrità del clima di San Marino, e dall'ammirevole vigoria e lucidità intellettuale, fino a un attacco apoplettico che lo colpì nel gennaio 1859. Poté riprendersi e ricominciò a lavorare. Sue lettere di quell'anno attestano le sue speranze e le sue preoccupazioni per l'Italia dopo Villafranca. Scrive il suo biografo sammarinese: "La sua longeva età cinque volte lo alzò alla speranza di veder liberata l'Italia; ... nel 1859 vedendola avviata pel sentiero della liberazione, fermamente sperò, e pochi mesi innanzi alla morte fu udito più volte ripetere, che tutto quel che viveva era di più, se non che gli sarebbe spiaciuto di morire allora senza veder compiuti i destini d'Italia". Morì il 16 apr. 1860. Ebbe esequie pubbliche e fu sepolto nella nuova chiesa di San Marino, vicino alla sua casa; disse l'elogio funebre il nipote Giacomo Manzoni.
Aveva avuto nella sua lunga vita molte distinzioni accademiche (delle onorificenze non occorre parlare). Sarebbe difficile dare un elenco compiuto, tanto poco egli si curò di lasciarne memoria, delle accademie a cui appartenne, a Roma, Torino, Firenze, Napoli, Palermo; e a Parigi, Vienna, Pietroburgo, Berlino, Gottinga, Monaco. Una sola di queste nomine, anche perché meno nota, deve essere ricordata qui: quella di accademico corrispondente della Crusca, che fu forse un riconoscimento anche alle sue qualità di scrittore; fu eletto il 10 luglio 1832, succedendo al vecchio numismatico B. Sestini (Arch. dell'Accademia, Diari, 1829-48, p. 119). Nessuno dei suoi titoli accademici ebbe forse ai suoi occhi, certo a quelli dei posteri, il significato delle grandi dediche dei dotti che gli furono allievi o amici: più memorabile di ogni altra quella del Mommsen.
Oeuvres complètes. L'edizione, uscita a Parigi dal 1862al 1897, rappresenta insieme l'episodio piùsingolare della fortuna postuma del B. e la base più vasta per la conoscenza della sua opera scientifica. Appena un mese dopo la morte del B. i suoi amici francesi avevano ottenuto l'appoggio dell'imperatore Napoleone III all'impresa ed E. Desjardins era stato inviato in Italia per prepararla. Un decreto dell'8 agosto 1860 stabiliva che l'edizione si sarebbe fatta a spese della lista civile dell'imperatore e nominava una Commissione, formata da Léon Renier, G. B. de Rossi, A. Noel des Vergers, E. Desjardins segretario, con facoltà di aggregarsi dei corrispondenti (furono C. Cavedoni, G. Henzen, G. Minervini, Th. Mommsen, F. Ritschl, F. Rocchi, poi anche F. Hübner). In forza di una convenzione del 24 dic. 1861 con G. Manzoni, esecutore testamentario del B., la Commissione ebbe in cessione temporanea i manoscritti delle opere inedite. Alla raccolta dei materiali cooperarono soprattutto i più vicini alle fonti di informazione (des Vergers e Rocchi) e l'attivissimo segretario; alla preparazione del piano soprattutto il des Vergers e il Mommsen; all'esecuzione soprattutto il Renier, a cui si dovette, per il primo e più fattivo periodo, il coordinamento delle note di aggiornamento, opera di tutti i membri e corrispondenti della Commissione. Forse non a caso il disegno delle prime due serie ripeté il vecchio progetto del Mommsen. Della magnifica edizione in 4º, uscirono rapidamente due tomi di Oeuvres numismatiques (Oeuvres complètes, I-II, Paris, Impr. impériale, 1862. 1864, con indici alla fine), tre tomi di Oeuvres épigraphiques (III-V, 1864, 1865, 1869; alla fine aggiunte e correzioni ai tomi I-V e indici), tre tomi di Lettres (VI, 1868; VII-VIII, Impr. Nationale, 1872 con un indice dei corrispondenti; indici analitici, a cura di R. Cagnat, nel tomo IX, 3, 1893, pp. 397-417). Il tomo VII era uscito in seconda edizione, perché la prima era stata distrutta nell'incendio della biblioteca del Louvre del maggio 1871, e frattanto l'edizione era passata sotto gli auspici del ministro dell'Istruzione pubblica della Repubblica francese e affidata alle cure della Académie des inscriptions et belles-lettres. Più tardi uscirono il tomo IX, 1 (1879) con i Nuovi frammenti dei fasti consolari capitolini, che secondo il piano primitivo dovevano servire di complemento al volume in folio dei Fasti consulares, mai pubblicato; il tomo IX, 2 (1884), con i Praefecti urbis Romae, opera incompiuta, integrata a cura di W. H. Waddington e di altri; e il tomo X (1897, in due parti) con Les préfets du prétoire, integrati da E. Cuq, W. H. Waddington, A. Héron de Villefosse. A parte furono stampati, ma non pubblicati, i Fasti consulares, di pp. 119 in 8º, senza data né avvertenza alcuna, col nudo elenco dei consoli (un esemplare nella Bibl. Apost. Vaticana, Misc. De Rossi, XII 5).
Le Oeuvres complètes rappresentano senza dubbio, oltre che un insigne omaggio alla memoria del B., una monumentale realizzazione scientifica egregiamente condotta. Solo attraverso quella edizione e alle note di coordinamento, aggiornamento e integrazione di cui fu corredata, l'opera del B., dispersa in sedi innumerevoli e male accessibile o addirittura inedita, potè essere largamente utilizzata per parecchi decenni e valutata nella sua portata storica di gigantesco precorrimento di quel moto profondamente innovatore che la scienza dell'antichità segnò nella seconda metà del sec. XIX. Ma purtroppo l'indugio a pubblicare i Fasti consulares, annunziati già in corso di stampa nel 1862, poi rimandati a dopo le prime tre sezioni, e in seguito la scomparsa dei primi collaboratori e il progressivo esaurimento della spinta iniziale, finirono col lasciare inedita proprio l'opera maggiore e compiuta del B. e alcune delle più estese compilazioni da lui iniziate nella vecchiaia. Non si può fare addebito alla Commissione di ciò che appare una sensibile lacuna, la deliberata limitazione a ciò che allora presentava un valore scientifico attuale, onde l'esclusione di tutti gli scritti letterari e anche di alcuni scritti filologici (e anche numismatici ed epigrafici) che non si inquadravano nel piano previsto o che furono considerati di scarsa importanza; la riduzione fu ancora più sensibile per le lettere.
Non è stata fatta finora la storia di quest'impresa editoriale, della quale rimane una documentazione imponente e il materiale, importantissimo soprattutto per ciò che non fu realizzato, nei quaranta volumi di manoscritti borghesiani che nel 1917 l'ultimo membro della Commissione, A. Héron de Villefosse, depositò alla Bibliothèque de l'Institut (mss. 3421-3460: Cat. gén. des mss. des bibl. publ. de France. Paris. Bibl. de l'Institut, a cura di M. Bouteron-J. Tremblot, Paris 1928, p. 495; gli ultimi due contengono la Correspondence del Desjardins); nelle carte del des Verges (Rimini, Bibl. Gambalunghiana), del Rocchi (Savignano di Romagna, Bibl. dell'Accademia), del de Rossi (Bibl. Apost. Vat., Carteggio de Rossi, nei codici Vat. lat. 14238-14295, con indici nei codici 14296-14298). Quello che se ne sa finora è da cercare nelle varie relazioni di E. Desjardins: Publication des Oeuvres de B. B., Paris [1860] (con il Rapport preliminare all'imperatore e il primo Rapport al ministro); Publication des Oeuvres complètes..., 1860 (con la Liste bibliogr. et par ordre de dates des ouvrages imprimés de B. B.); Publication..., 1861 (con la 2ª ediz. della Liste bibl.); Publication..., 1861 (con il Deuxième rapport..., seguito da una prima lista di lettere del B.); Publication...,Troisième rapport..., 1864 (seguito da due elenchi di lettere e dalla 3ª ediz. ampliata della Liste bibl.). Specialmente gli annessi al Troisième rapport hanno tuttora una grande importanza per la bibliografia del Borghesi. Altre indicazioni in Treves, pp. 844 s.
Opere inedite e scritti sparsi. Delle principali opere inedite si è detto nel corso della biografia. Più minute notizie sul loro contenuto e sui manoscritti in Desjardins, Troisième rapport, pp. 32 s., 35-37, 100-102; de la Blanchère, pp. 55 s. L'enorme volume in folio dei Fasti consulares, di 1537 pp., i tre zibaldoni preparatori pure autografi, diciassette volumi di note illustrative e indici (in copia) e altri due volumi di schede relative ai Fasti (originali e copie) sono nei manoscritti 3421-3445 della Bibl. de l'Institut. Una copia dei Fasti fatta per L. Renier è nella Bibl. Mazarine, mss. 4489-4494 (Cat. gén... Paris. Bibl. Mazarine, a cura di A. Molinier, IV, Paris 1892, pp. 2 s.) Altri volumi della serie dell'Institut riguardano le opere pubblicate e le lettere edite e inedite; sembra invece che vi manchino le altre opere di cui era prevista la pubblicazione (governatori delle province, proconsoli di Asia e Africa, magistrati vari; più un indice di personaggi dell'ordine senatorio).
Un catalogo delle numerosissime dissertazioni lette all'Accademia di Savignano tra il 1801 e il 1812 e di pochi altri scritti inediti in Desjardins, pp. 97-100 e 79; un altro in Gasperoni, B. B. minore, pp. 199 s.; notizie in F. Rocchi, Alcuni scritti,passim. Delle molte poesie giovanili (1787-1818), inedite o stampate in fogli volanti o in raccolte, notizie bibliografiche in Desjardins, pp. 69-72, 81, 97; e più ricche e precise, non tuttavia complete, in F. Rocchi, pp. 111-116; sette sonetti, non particolarmente significativi, in Gasperoni, Un grande maestro, pp. 237-239, e vedi anche 97, 234-236. Delle numerose iscrizioni latine del B. poche furono edite in fogli volanti o in raccolte, alcune nel Giorn. arcadico, XXVI (aprile-giugno 1825), p. 249; XLI (gennaio-marzo 1829), pp. 402-404 (in un articolo di G. I. Montanari).
Per gli scritti del B. editi lui vivente sono tuttora fondamentali Desjardins, Notice hist. et bibl. sur B. B., in Rev. archéol., n.s., I (1860), I, pp. 319-324, 405-410, e la 3ª edizione della Liste bibliogr., pp. 67-97, sebbene non tutta di prima mano e non priva di inesattezze (alcune rilevate in L. Tonini, Sulla pubblicazione delle Opere complete di B. B…, Rimini 1865). La Liste serve anche da indice per ritrovare i singoli scritti nelle Oeuvres, ma solo fino al tomo IV (allora in corso di stampa), p. 168; oltre questo limite fornisce solo indicazioni generiche e non sempre valide della sezione a cui gli scritti erano destinati ("Num., Epigr., Epist., Intr."; di fatto non tutte le lettere edite sparsamente ritrovarono il loro posto nei tre tomi delle Lettres, e l'Intr., in cui dovevano essere ripubblicati o menzionati gli scritti letterari e alcuni dei minori, non fu mai pubblicata).
Al di fuori delle Oeuvres complètes nessuno degli scritti scientifici del B. fu ripubblicato, eccetto i Nuovi frammenti, che avevano avuto una ristampa, non autorizzata dal B., in Dissertazioni dell'Acc. Rom. di Archeol., I, 1 (1821), pp. 179-296; 2 (1823), pp. 371-576; ma né qui né in Oeuvres, IX, è riprodotta la dedicatoria a Carlo Alberto di Savoia Carignano, che si può leggere solo nella parte 1 dell'edizione originale, Milano 1818 (poi, con frontespizio mutato, 1820), pp. V-VII. Solo recentemente P. Treves ha dato una nuova edizione accuratamente commentata di quattro lettere già edite in Oeuvres, raccogliendole sotto il titolo di Contributi epigrafici alla storia della letteratura latina, nell'antologia Lo studio dell'antichità classica nell'Ottocento, Milano-Napoli 1962, pp. 849-870.
Gli scritti sparsi e per qualche ragione rilevanti, di filologia italiana, di epigrafia letteraria, di storia medioevale, le recensioni archeologiche e filologiche, la versione da Stazio, tutti rimasti di proposito esclusi dalle Oeuvres complètes, sono stati indicati sopra nel corso della biografia; ma anche alcune altre lettere e scritti minori registrati dal Desjardins e non facili da indicare non hanno trovato posto, per ragioni varie, nelle Oeuvres.
Fonti e Bibl.: Fonte primaria della biografia e dell'attività letteraria, politica e scientifica del B. è il suo epistolario, che copre settantacinque anni della sua vita, dal 1786 al 1860; ma le 421lettere comprese in Oeuvres, VI-VIII(e che cominciano solo dal 1816) e le altre che avevano preso forma di pubblicazione già lui vivo e sono sparse in Oeuvres, I-V, sono ben lontane dal costituire un epistolario, anche per il modo di pubblicazione, i tagli operati senza avvertire, la mancanza di un indice dei nomi moderni. I depositi più considerevoli di lettere del B. e di altri a lui, in originale o in copia, sono costituiti dai mss. 3451-3458della Bibl. de l'Institut, che sembrano corrispondere al materiale del fondamentale elenco, aggiornato al 1864, in Desjardins, pp. 47-61, per un totale di 1182 lettere, da integrare con la lista delle lettere non ritrovate o non ancora acquisite, pp. 63-66;dall'archivio di F. e G. Rocchi (Savignano, Bibl. dell'Accademia, Manoscritti Rocchi; materiali borghesiani di ogni genere nei cartoni A. I, B. IV-VI, X, I., L. I-VII, N., Q.: F. Leonetti, La bibl. della Rubiconia Acc..., in Rubiconia Accademia dei Filopatridi, II [1961], pp. 18-23);dalle lettere della collezione romagnola di Carlo Piancastelli, legata alla Bibl. Comunale di Forlì (Carte Romagna, 2 buste Borghesi B., con circa 435 lettere del B., molte lettere al B., e carte varie mss. e stampate; altre carte in Carte Romagna, b. 16, fasc. Borghesi B.; altre lettere al B. nelle buste personali di 25 personaggi romagnoli); da quanto resta del carteggio del B. nell'archivio dei conti Manzoni-Borghesi (Lugo); da vari mss. della Bibl. di Savignano (A. Adversi, Catalogo dei manoscritti 77-284…, in Rubiconia Accademia dei Filopatridi, VI [1965], pp. 104, 116, indici); dalle carte des Vergers della Bibl. Gambalunghiana di Rimini. Naturalmente sono numerosissime le lettere del B. sparse nei carteggi, conservati in varie sedi, dei suoi amici (i nuclei più rilevanti sono nei carteggi Betti, Labus, Furlanetto, Cavedoni, Henzen, e le lettere a G. Amati a Savignano; quelle al Nardi, al Perticari, a M. Gregorini, a C. Filoni, nella Coll. Piancastelli). Un elenco di lettere inedite in varie sedi ha dato G. Gasperoni, B. B. minore, pp. 202-206). Un prezioso elenco di lettere al B. e di minute del B. è nel Catalogo degli autografi Manzoni-B. appartenuti al fuconte G. Manzoni, Roma 1894 (vendita G. Sangiorgi; nn. 631-731: Carteggio scientifico di B. B. Appunti di B. B., ma anche nella prima parte del catalogo circa 40numeri comprendono lettere al B. e minute sue); poco si sa sulla sorte di questo carteggio, solo in parte acquistato dal Piancastelli, in parte, come le lettere del Mommsen, rimasto in casa Manzoni-Borghesi.
Oltre alle lettere edite in Oeuvres, un gran numero di lettere famigliari del B. sono disperse in innumerevoli pubblicazioni che non possono essere indicate qui e che richiedono un elenco bibliografico apposito. Si citano qui alcuni gruppi più consistenti o importanti: T. Casini, Lettere inedite di illustri italiani ad A. Antaldi, Firenze 1892, pp. 22-30; M. Pelaez, Notizia degli studi di Giulio Perticari sul "Dittamondo", in Atti Acc. lucchese, XXIX (1898), pp. 315-333 (al Perticari); P. Mastri, Di B. B. (Curiosità letterarie e lettere inedite), Savignano di Romagna 1906; F. Grossi Gondi, Di alcunelettere inedite di B. B., in Bull. della Comm. archeol. com. di Roma, XLIV (1916), pp. 95-140 (a P. Tessieri e G. Marchi); Epistolario di Vincenzo Monti, a cura di A. Bertoldi, IV-VI, Firenze 1929-31, (Indice, VI, p. 481; contiene tutte le lettere del Monti al B., non tutte quelle del B.); F. Balsimelli, Bricciche borghesiane, II, in Libertas perpetua (S.Marino), IV (1935-36), 1, pp. 148-179 (l'estratto ha varianti e il titolo Lettere inedite di B. B.);A. Mambelli, Lettere di B. B., in Rubiconia Accademia dei Filopatridi, II (1961), pp. 77-82 (a L. V. Paulucci); A. M. Baronio, Alcune lettere di B. B. a C. Spreti,a L.Frati,a F. Rocchi, in Studi romagnoli, IX (1958), pp. 91-105. Poche pubblicazioni di lettere sparse sono indicate dal Gasperoni, B. B. minore, pp. 201 s.; molte altre lettere sono in parecchi lavori indicati più sotto. Per una iniziativa in corso, di una pubblicazione organica dell'epistolario borghesiano, vedi Atti del terzo congr. int. di epigrafia greca e latina (1957), Roma 1959, p. XLIX; Baronio, p. 98; Gasperoni, Un grande maestro..., pp. 269, 271. Delle lettere dirette al B. solo pochi gruppi sono stati pubblicati: i più importanti sono quelli dell'Epistolario del Monti, e le lettere del Mommsen in E. Costa, Teodoro Mommsen, Bologna 1905, pp. 93-122 (15 lettere, in parte per estratti).
Il primo cenno biografico del B. è quello dell'amico suo L. Nardi, Dei compiti...e dell'antico Compito savignanese in Romagna, Pesaro 1827, p. 152. È ben nota la breve lettera autobiografica del B. a C. E. Muzzarelli (1832), importante proprio per la sua estrema sobrietà (edita da D. Diamilla Müller, Biografie autografe ed inedite di illustri italiani diquesto secolo, Torino 1853, pp. 68 s.). Un'altra volta, rispondendo al Desjardins, il B. diede notizie sui suoi titoli e lavori letterari (lettera inedita, in Catalogo..., n. 673).
Un'ampia biografia del B. sarebbe dovuta uscire in un volume introduttivo alle Oeuvres complétes a cura di A. Noël des Vergers: per la sua amicizia di molti anni col B. e col Rocchi, la dimora in Romagna, i materiali raccolti dalla Commissione ed esclusi dalla pubblicazione, le qualità di scrittore, sarebbe riuscita opera di grande rilievo. Quando fu interrotta dalla morte (1867), l'inizio della stesura (82 pp.) e una serie preziosa di materiali documentari, dei quali rimane l'elenco, vennero restituiti al Desjardins che aveva accettato di subentrare nell'incarico, ma poi rinunziò. Non si hanno notizie sicure della sorte di quei mss.; è possibile che siano periti nell'incendio del 1871. La perdita è in parte colmata dagli originali o copie rimaste altrove, dalla circostanza che al Rocchi era stato dato l'incarico di trattare a parte degli studi giovanili del B., dal pregio di testimonianza personale che hanno le prime commemorazioni e biografie, e da uno scritto dello stesso des Vergers, che più di ogni altro contiene apporti al ritratto umano del B.
Manca una vera bibliografia di ciò che allora e poi si è pubblicato intorno al B., ma per il periodo più antico può supplire C. Padiglione, Diz. bibliogr. e istorico della Repubblica di S. Marino, Napoli 1872 (Indice, p. 476). Una bibliografia non estesa, ma critica e ragionata e, per alcuni aspetti, anche più minuta di quella che segue, in P. Treves, Lostudio dell'antichità classica nell'Ottocento, pp. 829-847 (nota introduttiva a una scelta di scritti filologici del B.), che si cita qui anche come l'unico tentativo moderno di ripensamento critico della figura e opera del Borghesi.
G. B. de Rossi, Delle lodi di B. B.,discorso recitato all'insigne e pont. Acc. rom. di San Luca, Roma 1860 (anche in Giornale Arcadico, n.s., XX [1860], pp. 122-138; poi in altra forma col titolo Degli studi di B. B., in Arch. stor. ital., n.s., XII [1860], 2, pp. 94-109: una seconda parte, qui annunziata, doveva essere dedicata all'esame scientifico più analitico degli studi del B.); C. Cavedoni, Cenni autentici intorno alla vita e agli studi del conte B. B., in Opuscoli di Modena, IX (1860), pp. 3-26 (con molti passi di lettere); A. Noël des Vergers, Essai sur Marc-Aurèle d'après les monuments épigraphiques,précédé d'une Notice sur le comte B. B., Paris 1860, pp. I-XXXII; F. Rocchi, Degli studi diplomatici di B. B. Discorso, in Atti e mem. della Deput. di storia patria per le province di Romagna, I (1862), pp. XV-XXVIII; Id., Notizie aneddote della prima età di B. B. Aggiunte e note al Discorso…, ibid., pp. 57-96 (le note dovevano essere 91 ma la stampa fu interrotta nel corso della lunga nota 28; qui si cita la ristampa dei due scritti in F. Rocchi, Alcuni scritti, a cura di G. Gasperoni, Imola 1910, pp. 85-99, 101-170, dove le note continuano fino alla 40; in questo volume vedi anche pp. 12, 61 s., 68-70, 72, 191-205); [M. Fattori], in M. Delfico, Mem. stor. della Rep. di S. Marino, Napoli 1865, III, pp. XLIV-LV (cenni biografici, spesso attribuiti a Domenico Fattori, ma in realtà opera di Marino: sono un adattamento del discorso, letto il 1º apr. 1861, B. B. creatore della scienza epigrafica e la sua opera di diplomazia,di civil reggimento e di economia nella Rep. di S. Marino, pubblicato postumo da O. Fattori in Libertas perpetua, I[1933], pp. 20-32); G. Rocchi, Elogio di Pietro e di B. B. letto in Savignano..., Bologna 1874 (ora in Scritti vari, Bologna 1928, pp. 18-35; qui vedi anche pp. 36-40, 42-45, 66, 71-77, 282, 329); Per B. B. Pubblicazione del comitato promotore delle onoranze e del monumento a B. B. in S. Marino, Firenze 1905 (qui specialmente i discorsi di F. Barnabei, pp. 13-47, pubblicato anche, col titolo B. B. in Nuova Antologia, CCII, luglio-agosto 1905, pp. 238-257; di G. Rocchi, pp. 49-54; di O. Fattori, pp. 71-95); G. Cardinali, B. B., in Encicl. ital., VII, 1932, p. 470.
Sui primi studi, oltre l'importante lavoro del Rocchi, S. Muratori, Minuzie borghesiane, in La Romagna, VIII (1911), pp. 359-367.
Per il B. nella cultura savignanese e l'Accademia da lui fondata il grosso volume di G. Gasperoni, Un grande maestro di antichità classiche. B. B. nel centenario della morte, Città di Castello 1961, costituisce una specie di summa dei suoi precedenti lavori (non tutti indicati nella nota a pp. 9 s.); ma è purtroppo sprovvisto di indicazioni sufficienti per il molto materiale nuovo e anche inedito che contiene. Dei lavori precedenti, si devono indicare almeno i seguenti: L'Accademia dei Filopatridi di Savignano di Romagna, Bologna 1898 (poi rielaborato in Saggio di studi storici su la Romagna, Imola 1902, pp. 127-145 e XLI-LIII); Scuole,biblioteche e accademie a Savignano di Romagna, in La Romagna, VI (1909), pp. 481-505, 582-597 (poi in Studi e ricerche, Roma-Milano 1910, pp. 205-268); Per Francesco Rocchi e Francesco Vendemini, in La Romagna, VIII (1911), pp. 1-16, 368-388; La vita e gli studi di G. Amati in alcune lettere inedite di B. B. (al Betti e al Rocchi), ibid., XI (1914), pp. 34-40, 143-152; B. B. minore (con appendice di lettere inedite),ibid., pp. 437-443 (non continuato, ma ripreso con lo stesso titolo in Atti e mem. della Deput. di storia patria per l'Emilia e la Romagna, I[1935-36], pp. 131-206); Nel solco delle grandi mem., Milano 1955, pp. 117-130, 234-256.
Sulle poesie giovanili, F. Rocchi; G. Rocchi, p. 31; G. Mazzoni, L'inno "A Venere" di B. B. e un episodio di Nonno da Panopoli, in Museum, XI (1927), pp. 3-14; sugli Inni, G. Albini, Giulio Perticari. Discorso…, Savignano 1923, pp. 15-28. Su alcune iscrizioni, S. Muratori, Bricciche borghesiane, in Museum, I (1917), pp. 105-109; A. Scarpellini, Un'epigrafe di B. B. per G. Perticari, in Convivium, n.s., V (1963), pp. 619 s.; Id., Uomini e fatti di Romagna nelle epigrafi dettate da B. B., in Studi romagnoli, XIV (1963), pp. 415-427 (con saggio della raccolta in prepar.).
Sulla vita politica in Romagna i dati fondamentali in E. Fabbri, Sei anni e due mesi della mia vita,Mem. e doc. ined., a cura di N. Trovanelli, Roma 1915(Indice, p.519); A. Pierantoni, I carbonari dello Stato Pontificio ricercati dalle inquisizioni austriache..., Roma 1910, I, pp. 36, 127 8.; II, p. 49; e inoltre A. Campana, B. B. deputato di Cesena nella rivoluzione del 1831, Cesena 1927; P. Treves, L'idea di Roma e la cultura ital. del sec. XIX, Milano-Napoli 1962, passim.
Sui rapporti col Monti, l'Epistolario;G. Rocchi, p. 31; A. Bertoldi, V.Monti e il principe di Carignano, in Nuova Antologia, CCCXII(marzo-aprile 1924), pp. 40-43; V. Cian, V. Monti…, in Giorn. stor. d. lett. ital., CXIV(1939), pp. 158, 163-166; col Leopardi: S. Timpanaro, La filologia di G. Leopardi, Firenze 1955, pp. 122 s. (e vedi Indice, p. 268); Id., Due note leopardiane, 2, in Giorn. stor. della lett. ital., CXXXVIII (1961), pp. 104 s.; Id. e G. Pacella, Le tre redazioni delle "Annotazioni sopra la Cronica d'Eusebio" di G. Leopardi,ibid., CXLI (1964), pp. 39-40, 46; col Mai e il Detti: G. Gervasoni, Studi e ricerche sui filologi e la filologia classica fra il '700 e l'800in Italia, Bergamo 1929, pp. 57, 145-148, 159, 181, 184, 190 s., 251-253 (per il B. vedi dello stesso Linee di storia della filologia classica in Italia, parte 1, Firenze 1929, passim).
Sul B. numismatico: G. Labus, in B. Borghesi, Della gente Arria romana..., Milano1817, pp. V-XVI (anche in Oeuvres, I, pp. 41-46); S. Le Grelle, in C. Serafini, Le monete e le bolle plumbee pont. del medagliere Vaticano, I, Milano 1910, pp. LIX, LXI-LXIII; F. Panvini Rosati, Nel centenario della morte di B. B., in Rubiconia Accademia dei Filopatridi, I (1960), pp. 3-7; Id., Commemoraz. di B. B.,ibid., II (1961), pp. 5-13.
Sul B. epigrafista, tra gli scritti dei primi biografi, vedi specialmente quelli del de Rossi e del des Vergers; poi, con particolare riguardo ai progetti di un Corpus e alla parte del B.: R. de la Blanchère, Histoire de l'épigraphie romaine depuis les origines jusqu'à la publ. du "Corpus", Paris 1887, pp. 40-63; R. Mowat, Rapport... sur les papiers et documents épigraphiques reunis par feu Léon Renier, in Bull. archéol, 1888, pp. 280-295; J. P. Waltzing, Le récueil général des inscriptions latines (Corpus inscr. lat.) et l'épigraphie latine depuis 50 ans, Louvain 1892; H. Leclercq, Inscriptions (Histoire des recueils d'), in Dict. d'arch. chrét. et de lit., VII, 1, Paris 1926, coll. 962-976; I. Calabi Limentani, Epigrafia latina, Milano-Varese 1968, p. 74 e Indice, p.514. Sui Fasti consulares:A. Degrassi, in Inscriptiones Italiae, XIII, 1, Roma 1947, pp. XVIII s.
Sui rapporti del B. con l'Instituto di corrispondenza archeologica e gli studiosi germanici, O. Jahn, Specimen epigraphicum in memoriamO.Kellermanni, Kiel 1841, pp. XVIII-XXVIII; A. Michaelis, Storia dell'Instituto archeologico germanico 1829-1877, Roma 1879, passim;L. Wickertj, Mommsen und B., in Concordia decennalis... Festschrift der Univ. Köln zum 10 jährigen Bestehen des... Petrarcahaus, Köln 1941, pp. 261-282; Id., Theodor Mommsen. Eine Biographie, I-III, Frankfurt am Main 1962-69 (vedi gli Indici);Th. Mommsen-O. Jahn, Briefwechsel 1842-1868, a cura di L. Wickert, Frankfurt am Main 1962 (Indice, p. 372); Treves, pp. 837-839, 846 s.
Sul B. nella vita amministrativa e politica sammarinese, oltre la biografia e il discorso di M. Fattori, vedi P. Franciosi, Il B. e il Perticari cittadini patrizi della Rep. di San Marino, in La Romagna, I (1904), pp. 27-33; P. Franciosi, B. B. nella vita pubblica sammarinese. Spigolature d'archivio, Rimini 1904; O. Fattori, discorso citato, in Per B. B. (specie la tavola delle magistrature a pp. 92-94); F. Balsimelli, Bricciche borghesiane. La legazione della Rep. di San Marino per l'incoronazione di Ferdinando I d'Austria (1838), in Libertas perpetua, III (1934-35), pp. 133-142; P. Rossini, Un secolo di vita sammarinese (1748-1848), San Marino 1938, passim; R. Bacchelli, Nel fiume della storia, Milano 1959, pp. 296, 302 s., 305 s.; A. Garosci, San Marino. Mito e storiografia, Milano 1967 (Indice, p. 390); C. Franciosi, San Marino "ospite suolo", San Marino 1968, pp. 34-37, 39, 41-45, 47 s., 50 s., 55, 72 s., 80.
Sul museo archeologico del B. a Savignano si hanno solo notizie disorganiche in L. Nardi, pp. 94-100. Sulla raccolta numismatica mancano studi; materiali importanti sono: l'elenco, compilato dallo stesso B., delle monete consolari mancanti alla collezione, edito dal Labus, pp. VIII-XII (anche in Oeuvres, I, pp. 47-50); moltissimi riferimenti sparsi negli scritti (non solo numismatici) e nelle lettere del B., e i cataloghi della vendita, che non si sa quanto rispecchino la reale consistenza: 1º-4º catalogo del museo B. B., Roma 1879-1881 (impresa di vendite R. Dura, a. II, n. 6; III, n. 6; IV, n. 4, 10); solo le Monete romane consolari ed imperiali del 3º catalogo furono vendute in blocco, ma poi disperse in una successiva vendita: Catalogo del museo B. B.,Monete romane consolari ed imperiali, a cura di G. Sangiorgi, con prefazione di F. Gnecchi, Firenze 1889. Sulla biblioteca del B., preziosa specialmente per libri annotati da lui (alcuni anche dal Marini) si hanno solo notizie sparse; sembra passata per intero in quella di G. Manzoni e quindi dispersa; vedi E. Monaci nel Catalogue de la bibl. de feu M. le comte J. Manzoni (I-IV, Città di Castello 1892-94, vendite Sangiorgi), I, pp. IX, XI, XII, XIII.
Per i titoli accademici vedi G. Rocchi, p. 31; Gasperoni, Per F. Rocchi..., p. 370 (elenco del 1846).