CAMERARIO, Bartolomeo
Nato a Benevento nel 1497 da una facoltosa famiglia e sposato con Giovanna de Bella, compì gli studi universitari a Napoli, dove si addottorò inutroque iure. Ottenuta la cattedra di diritto feudale nello Studio napoletano, come diretto successore del suo maestro Antonio Capece passato in Sicilia nel marzo 1518, vi insegnò probabilmente fino al 1540 (la documentazione residua è però relativa solo agli anni 1524-26 e 1529-32 e fissa uno stipendio che sale progressivamente da 30 a 100 ducati).
Oltre all'insegnamento universitario il C. si dedicò anche all'attività forense e alla vita politica, raggiungendo le più alte magistrature nel campo della pubblica amministrazione. Chiamato alla presidenza della Camera della sommaria nel 1529, fu poi nominato nel 1536 conservatore generale del Real Patrimonio in Italia e, nel 1541, luogotenente della Regia Camera con uno stipendio annuo di 1.000 ducati. Nelle sue funzioni di revisore dei conti finanziari, che lo posero spesso in gravi contrasti con il ceto politico locale, egli rivelò una notevole capacità di gestione amministrativa della cosa pubblica e rese importanti servizi allo Stato. La professione avvocatizia e quella di funzionario governativo non gli inipedirono tuttavia di continuare gli studi giuridici (in cui aveva dato buona prova già nel 1521 pubblicando la sua prima opera di esegesi legale intorno all'aeque si agat delle istituzioni giustinianee) occupandosi della correzione dei commentari di Andrea d'Isernia alle costituzioni feudali, in vista di una loro edizione critica, e scrivendo una serie di repetitiones, di responsa e di consilia sempre nel campo del diritto feudale. Partecipava inoltre contemporaneamente anche all'attività culturale del circolo umanistico napoletano che gravitava intorno ad Alfonso Capece. Ed è proprio subito dopo la repressione governativa di questo gruppo di intellettuali (1540-42) che scoppiarono, come episodio non marginale delle contraddizioni interne alla classe dirigente napoletana, i primi violenti contrasti col viceré Pietro di Toledo. Le accuse reciproche vertevano inizialmente solo sulla questione dell'obbligo della residenza e della conseguente disfunzione burocratica, ma rimandavano in prospettiva a quella degli interessi privati esercitati in atti pubblici. In particolare, al C. veniva mosso l'addebito di non curare personalmente (contro una recente disposizione imperiale) la sua mansione nella capitale per i troppo lunghi soggiorni nei propri fondi di Somma, che aveva aggiunto a quelli familiari di Pietralcina e Piesco; al Toledo si rimproverava di trascurare il suo ufficio a causa della continua permanenza negli "ozi" di Pozzuoli. In conclusione, "ambidue restorno con occulto odio e pessima volontà fra loro".
Il primo atto del contrasto si risolse a favore del viceré. Il C. infatti venne sospeso dalla carica di luogotenente generale della Sommaria (1543)e fu istituito un processo fiscale nei suoi confronti affidato all'avvocato Antonio Barattuccio. Il C. allora, al fine di chiarire tutta la questione parlando personalmente con l'imperatore, cui aveva reso così vasti servizi con il recupero all'erario di ampie somme stornate dai bilanci dello Stato in sede locale, partì prontamente per la Germania e nella tarda primavera del 1544a Spira ottenne di poter attendere il processo extra carceres, di conservare la carica da cui era stato sospeso, di far cambiare i giudici stabiliti dal Toledo (in particolare il Barattuccio) perché considerati a lui pregiudizialmente ostili. La cosa sembrava dunque, per l'intervento dell'imperatore, sistemarsi in senso favorevole al Camerario. Ma, ritornato egli a Napoli per riprendere possesso del suo ufficio, seguire da vicino il procedimento di accertamento fiscale e organizzare la sua difesa, fu così violentemente contrastato nell'ambiente degli alti funzionari del Regno e il numero dei capi d'accusa aumentò di tanto durante il dibattimento che ritenne opportuno assentarsi cautelativamente dalla città. Dopo essere stato ospite per qualche tempo di Camillo Colonna a Roma, soggiornò dapprima a Linz (6agosto-15 nov. 1546)e successivamente a Passau (18 nov. 1546-apr. 1547), dove il 14marzo 1547fu raggiunto dalla notizia della condanna inflittagli dal tribunale napoletano: perdita dell'ufficio di luogotenente della Camera della sommaria, esclusione perpetua dalle funzioni pubbliche, deportazione, restituzione di tutto il denaro indebitamente estorto. Non essendosi presentato, dopo sessanta giorni, così come prescriveva la sentenza, fu dichiarato ribelle allo Stato e condannato a morte in contumacia; successivamente si procedette alla confisca dei suoi beni valutati intorno a 40.000ducati (1552). Inviati allora una serie di memoriali in sua difesa a Carlo V, senza però mai ottenere alcuna risposta, comprese alla fine l'inutilità dei suoi sforzi di reintegrazione e di riabilitazione: abbandonato il territorio imperiale, si rifugiò in Francia (1547)entrando subito in contatto coi numerosi circoli antispagnoli degli esuli napoletani e forse ottenne a corte anche una carica retribuita di consigliere di Stato.
È in questo periodo che il C., libero dagli impegni universitari e amministrativi, riprendendo probabilmente precedenti studi religiosi, passa dagli interessi giuridici a quelli teologici, che resteranno costanti anche negli anni successivi e gli procureranno un certa notorietà specialmente negli ambienti francesi.
Nel 1556pubblica dei dialoghi di polemica antiprotestante sulla negazione della predestinazione degli eletti (dedicati alla sorella di Enrico II, Margherita di Valois); sul rapporto tra la grazia divina e il libero arbitrio (offerti al cardinale Carlo di Guisa); sulla efficacia delle opere nella giustificazione dell'uomo (consacrati a Diana di Valentinois).
Questi lavori, che sono condotti con una buona conoscenza delle fonti scritturali e patristiche (in particolare si appoggiano su s. Agostino) oltre che degli scritti di Lutero e di Calvino, presentano nel loro aspetto controversistico una struttura unica: la discussione tra il "catholicus" e il "protestans" impersonificati spesso dallo stesso C. e da Calvino. È degno di nota il fatto che nei De praedestinatione dialogi tres viene utilizzato in chiave cattolica l'episodio di Francesco Spiera (pp. 238-261)e si realizza una singolare convergenza tra il C. e Calvino nel rigetto della dottrina dei "visionario" benedettino Giorgio Situlo, considerata del tutto estranea sia alla teologia cattolica sia a quella riformata (pp. 285-292).
Si può inoltre supporre che alcuni suoi libri rimasti manoscritti e i cui titoli sono stati tramandati dagli eruditi napoletani - sulla base di citazioni interne alle opere dello stesso C. - siano da collocarsi in questo periodo francese della sua vita: due dialoghi sulla vera Chiesa (De praedestinatione, pp. 182, 225);due libri sulla giustificazione (ibid., pp. 147, 156, 199). Dopo la realizzazione di questo piano d'intervento apologetico del cattolicesimo il C. decise di trasferirsi da Parigi a Roma, ponendosi sotto la protezione (antispagnola) di Paolo IV che, in considerazione delle sue specifiche competenze, dopo averlo nominato commissario generale dell'esercito per la guerra contro la Spagna, gli affidò, insieme con la carica di prefetto, la gestione dell'amministrazione annonaria dello Stato della Chiesa.
A Roma tuttavia continuò anche ad occuparsi di controversia religiosa e pubblicò, subito dopo il suo arrivo, una dissertazione sul purgatorio e una explicatio del salmo 118 (1557). Nello stesso tempo, contrariamente a quanto aveva fatto durante il periodo francese, allargò i suoi interessi alla linguistica col Dialogus... rhetor e riprese gli studi giuridici stampando un commentario alla legge imperiale federiciana sull'alienazione dei feudi dedicato al pontefice cui, nella prefazione datata 31 maggio 1558, annunciava la preparazione di altri sette volumi di diritto feudale. Ma, improvvisamente, il 15 luglio dello stesso anno, fu arrestato insieme al suo conterraneo e vecchio amico Niccolò Franco (una relazione, probabilmente anticarafiana, su cui però non è stato possibile ancora fare piena luce) e fu gettato in carcere, dove restò due anni, sotto l'accusa di malversazione. Venne liberato nel 1560 per intervento dei suoi protettori, i Colonna. Il C. morì, nell'esilio romano, il 21 dic. 1564 e fu sepolto nella chiesa dei SS. Apostoli dei minori conventuali (cappella Colonna).
Alcune sue opere di diritto feudale furono ristampate anche dopo la sua morte (particolare fortuna ebbe la Repetitio della legge sull'alienazione dei feudi); alcune furono pubblicate per la prima volta a cura di vari giuristi (tra queste ultime la più importante è quella che porta il titolo di Repetitiones feudales, edita a Napoli nel 1645 da Marcantonio De Marinis e preceduta da un profilo biografico scritto da O. Bilotta); altre, infine, andarono perdute (per esempio le addizioni a Bartolo di Sassoferrato).
Opere: Repetitio ad capitulum "aeque". Napoli 1521; In causa matrimoniali consilium, in F. Zabarella, Consilia, Lugduni 1552, pp. 112v-120v, e Venetiis 1581, pp. 194-202; De praedestinatione dialogi tres, Parisiis 1556; De gratia et libero arbitrio cum Ioanne Calvino disputatio, Parisiis 1556; De ieiunio, oratione et eleemosyna dialogi quatuor, Lutetiae 1556; In psalmum CXVIII explicatio, Romae 1557; Dialogus cui nomen inscriptum est rhetor, Romae 1557; De purgatorio igne dialogi duo, Romae 1557; Repetitio ad capitulum imperialem de prohibita feudorum alienatione per Federicum, Romae 1558; Basileae 1565; Francofurti 1600; Neapoli 1645; Consilium in materia feudali, in G. A. Cannetius, Enarrationes perspicuae, Venetiis 1576; Repetitio capituli primi "an agnatus" in usibus feudorum, in G. T. Minadoi, De successione... commentaria, Venetiis 1576; Repetitio capituli primi de successione feudi, in N. Pellicia, Commentaria ad consuetudines Aversanas, Venetiis 1605; Responsum, in G. B. Bilotta, Decisiones causarum civitatis Beneventi, Neapoli 1645; Repetitiones feudales, Neapoli 1645.
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