CAMPI, Bartolomeo
Secondo la tradizione nacque a Pesaro da Bernardino, orefice. Nel 1545 era membro del Consiglio comunale di Pesaro (Pesaro, Bibl. Oliveriana, Memorie di Pesaro, n. 389, vol. XII, fasc. XXIX, c. 375), carica riservata ai nobili. Le lodi che i contemporanei tributarono a questo orefice, armaiuolo, architetto e ingegnere militare attivo nel sec. XVI in Italia e all'estero, provano che egli fu certamente un personaggio di grande rilievo anche se ha destato scarso interesse negli studiosi.
Nel 1545 il C., pur giovanissimo, era già famoso, e si trovava a Venezia, come conferma una lettera che Pietro Aretino scrisse da Venezia nel marzo di quell'anno all'Egnazio in cui il C. viene definito giovane, non meno buono che miracoloso. Imperoché niuno, per divino che abbia lo intelletto, "per lodarlo mai tanto che più d'esser lodato non sia il merito di lui", e come dimostrazione di tanta bravura parla, oltre che di una bellissima armatura, di un meraviglioso pomo di spada, lavoro nel quale così morbidamente e con tanta leggerezza è stato trattato il metallo da sembrare "creta o cera". Questo lavoro, per Guidobaldo da Montefeltro, aveva ispirato una "bella stanza" allo stesso Egnazio. Che il C. poi fosse allora giovanissimo è confermato dalla stessa lettera ("però ch'egli che spunta pur mo' la barba al mento").
Datata "Pisauri anno 1546" e firmata "Bartolomeus Campi aurifex totius operis artifex..." è l'armatura di Carlo V conservata nell'Armeria reale di Madrid, una delle opere più famose del Campi.
L'armatura "all'antica", tecnicamente elaborata, è esempio tipico della finissima decorazione in oro del gusto dell'epoca con elementi mitologici, tratti dal mondo animale e vegetale, dove il monogramma con due G intrecciate sul dorso e le foglie di quercia alludono al committente, Guidobaldo II Della Rovere, marito di Vittoria Farnese, che la mandò in dono all'imperatore.
A Firenze (Museo del Bargello) è conservata un'armatura di Cosimo I simile a quella di Madrid e firmata anziché per esteso con la sola sigla "BCF". In entrambe le armature affiorano le spiccate caratteristiche dell'arte dei Negroli ed è giustificata l'ipotesi del Gelli (1903) che un Negroli o qualche armaiuolo del gruppo avesse preparato i pezzi delle armature e che il C. fosse soltanto l'ageminatore. Anche la firma latina che completa la firma sull'armatura di Madrid asserendo che il lavoro è stato eseguito in soli due mesi può confermare la tesi che il C. fosse solo un decoratore: si designa, infatti, anche come "aurifex". Secondo il Boccia la dichiarazione "totius operis artifex", che è ripetuta nell'armatura del Bargello, sarebbe stata posta dal C. per liberare il Negroli da una responsabilità nei confronti di Cosimo de' Medici che non avrebbe gradito un'armatura simile a quella fatta per Guidobaldo Della Rovere con il quale non era in buoni rapporti.
Certamente l'opera del C. non si è limitata alla decorazione di armi, ma si è estesa ad altri settori dell'oreficeria. B. Baldi, nella prefazione alla sua traduzione Di Herone Alessandrino de gli Automati (Venetia 1601, pp. 12v-13r), tra i creatori moderni di macchine cita solo il C. ricordando una tartaruga d'argento che camminava muovendosi tutta e giunta in mezzo alla tavola si apriva e "somministrava li steccadenti"; il C. avrebbe pure inventato una macchina per sollevare dal fondo del mare un galeone veneziano, impresa che non riuscì: aveva comunque creato una macchina "atta per sua natura ad alza peso maggiore".
Non sappiamo in che cosa consistesse il dono che la città di Pesaro gli aveva commissionato nel 1549 probabilmente per il piccolo Francesco Maria figlio di Guidobaldo Della Rovere e Vittoria Farnese, in occasione delle nozze dei quali il C. aveva curato, due anni prima, la decorazione di tutte le feste. Nel Victoria ed Albert Museum di Londra è conservato un paio di staffe, capolavoro di agemina, attribuito al C., perché la decorazione fa supporre che esse si accompagnassero alla famosa armatura di Madrid.
L'amore per l'antichità classica che traspare dalla decorazione dell'armatura di Carlo V si ritrova anche nelle due monete da quattro scudi, una d'oro e l'altra d'argento, con al diritto la testa nuda di Guidobaldo barbuto e il monogramma "B.C." e al rovescio la scritta "In mem. aete... erit iustu": entro una cornice intrecciata e sagomata a foggia di scudo c'è l'albero di rovere sormontato dalla corona (Corpus nummorum italicorum, XXIV, 4, Roma 1932, p. 520). Queste monete confermano i documenti del 1567 (Pesaro, Bibl. Oliveriana, Memorie di Pesaro, n. 389, vol. XII, fasc. XXIX, c. 375) dai quali risulta che B. Mancini prese in affitto dal C., del quale fa le lodi, la zecca di Pesaro.
L'Armand esamina due medaglie con il monogramma "BC": secondo il Morsolin si tratta di una medaglia con due rovesci; infatti il diritto reca il busto di Guidobaldo, a testa nuda e barbuto; nel retro, in entrambe compare la pianta di una città fortificata ma le scritte sono diverse: in una "Aqui. favo. aust. eur. reaedificator Senogallie"; nell'altra, "Genera. exerci. sanc. ro. ecclesi. cui. nova. surgit Senogal".
Questa medaglia può essere assunta a rappresentazione emblematica del passaggio dell'attività del C. dalle arti dei metalli, legate anch'esse per la maggior parte alle attività belliche, a quelle della architettura e della ingegneria militare. La regione marchigiana e la stessa sua città di Pesaro erano state ed erano centri fiorenti e vitali di studi e di attività di ingegneria militare. Secondo la tradizione, tra il 1554 e il 1557 il C. lavorò come ingegnere militare a Siena e a Venezia, ma la sua presenza a Venezia è sinora documentata solo negli anni 1545, 1546, 1552, dalle lettere dell'Aretino.
Certo il C. era giunto a livelli di notevole preparazione e bravura se fu al servizio del re di Francia e del duca d'Alba. Che egli fosse in Francia già alla fine del quinto decennio del secolo non è provato da documenti, ma solo dalla lettera al duca d'Alba di suo figlio Scipione, che il 1º febbraio del 1573 dice essere loro andati in Francia "venticinque anni inanzi" (Documentos... de la casa Alba, p. 397). Il C. nel 1558 era con Filippo Strozzi all'assedio di Guines e Calais quando un anonimo, che lo ospitava nella sua tenda, scrive che "co'l suo divino ingegno ha fatto un ponte" e che F. Strozzi ha detto, "presenti molti cavalieri, che con l'ingegno di M. Bartolomeo trovarà rimedio a tante acque e che lo tiene per lo primo huomo del mondo, risoluto, e da far facende, com'è in vero" (Delle lettere di principi..., III, Venetia 1581, pp. 187v, 188V). Il 28 ag. 1560 il C. a Venezia passa ad Almerico di Battista Almerici da Pesaro la procura, che aveva dato a suo fratello Antonio, "intorno a qualunque negotio", anche per quanto riguardava la zecca di quella città (Pesaro, Biblioteca Oliveriana, Cod. Oliv. 376, t. IX, c. 112r, trascritto da G. B. Almerici nel Cod. Oliv. 455, t. I, cc. 504 s.).
Secondo R. Tortora (Historia di Francia..., Venetia 1619, I, p. 95), è sempre per merito del C. che nell'ottobre 1562 Antonio di Borbone re di Navarra espugnò Rouen; e il C. non solo aveva inventato macchine e "nuovi strumenti bellici" ma creato anche un letto in velluto rosso "tutto guarnito d'oro", "ammirato per l'artificio grande" perché il re ferito gravemente potesse essere portato in trionfo per la città. Lo stesso storico (p. 128) racconta che l'anno seguente il duca di Guisa confidava di espugnare Orléans perché il C. aveva escogitato di proteggere le artiglierie con sacchetti pieni di terra.
Scipione, figlio del C., nella lettera già citata del 1573 al duca d'Alba, dice che il padre era passato al servizio del re di Spagna sia per "il contento di levarci d'un paese di tant'heresie com'era Francia" sia per il piacere di essere al servizio di un generale così importante (Documentos..., p. 397). Dalla corrispondenza del duca d'Alba (Epistolario, II, p. 153) l'assunzione risulterebbe avvenuta il 30 genn. 1569, ma probabilmente già nell'anno precedente il C. iniziò a lavorare alla cittadella di Anversa.
Questa cittadella era già avanti nella costruzione su progetto di F. Paciotto, che partì di là nel 1568. Le importanti innovazioni apportate dal C. sono descritte in un manoscritto anonimo (forse del 1580) conservato in due copie nella Bibl. Apost. Vat. (Urbinate latino 1113, ff. 455 ss.; Ottoboniano 3135, ff. 318 ss.): Riformatione della cittadella di Anversa per il cap. B. C. Questo manoscritto era accompagnato da un disegno che non è stato reperito; il C. stesso scrive da Groninga il 30 ott. 1569 in una lettera in italiano spagnoleggiante al duca d'Alba, dando notizie dei lavori (Documentos..., pp. 393 s.): la cittadella, una delle più importanti dei Paesi Bassi, fu distrutta nel 1874 (L. Voet, La citadelle d'Anvers, in Plan et relief des villes belges, Bruxelles 1965, pp. 335-337).
Dall'epistolario del duca d'Alba è documentata la grande considerazione in cui era tenuto il C. che morì nell'assedio di Haarlem tra l'8 gennaio e l'11 febbr. 1573, giorno in cui il duca scrivendo al re dice che era la più grande perdita che avesse avuto la Spagna essendo il C. "uno de los mas raros hombres en su arte" di quanti egli avesse mai conosciuto (Documentos..., pp. 397-399).
Come risulta dal relativo verbale, il 13 marzo 1573 il C. veniva già sostituito nel Consiglio della città di Pesaro (Pesaro, Arch. stor. del Comune, Consigli dell'anno 1569-1580, c. 107r). La data di morte del C. è spesso confusa con quella del figlio Scipione, anch'egli architetto militare, che - come è stato già detto - aveva seguito il padre in Francia e in Fiandra, e nel 1576 era a Malta (B. dal Pozzo, Historia della sacra religione militare..., I, Verona 1703, p. 119). Morì nel 1596. Nel Cod. Oliv. 937 (t. II, c. 76v) è riportata la suddivisione della sostanza del C., che aveva lasciato erede suo figlio Scipione, nel caso quest'ultimo fosse morto senza eredi. Sinora né il testamento del C. né quello di Scipione sono stati rinvenuti.
Fonti e Bibl.: Les archives générales de Simancas et l'histoire de la Belgique, I, Bruxelles 1964, ad Indicem; P. Aretino, Lettere sull'arte, commentate da F. Pertile, a cura di E. Camesasca, I, Milano 1957, pp. 231 s.; II, ibid. 1957, pp. 55-57, 400; III, 2, ibid. 1960, pp. 309 s.; Duquese de Benwick y de Alba, Documentos escogidos del archivo de la casa de Alba, Madrid 1891, ad Indicem; F. Alvarez de Toledo duque de Alba, Epistolario, Madrid 1952, ad Indicem; G. Colucci, Delle Antichità picene, XII, Fermo 1791, pp. XXXVI s.; Pesaro, Bibl. Oliveriana, A. Antaldi, Notizie di alcuni architetti, pittori e scultori di Urbino, Pesaro e luoghi circonvicini... (1805), ms., ad vocem;A. Angelucci, Docc. ined. per la storia delle armi da fuoco ital., Torino 1869, pp. 330-333, 447-454; C. Quarenghi, Tecno-cronografia delle armi da fuoco, Napoli 1880, p. 243; C. Promis, Biografie degli ingegneri militari italiani, Torino pp. 592-605; A. Armand, Les médailleurs italiens, II, Paris 1883, p. 186; III, ibid. 1883, p. 182; A. Angelucci, L'arte nelle armi, Roma 1886, pp. 18-22; Id., Catalogo della Armeria Reale, Torino 1890, p. 119; B. Morsolin, G. Capobianco, in Arte e storia, n.s., I (1890), p. 109; L. Celli, Le fortificaz. militari di Urbino, Pesaro..., in Nuova riv. misena, VIII (1895), p. 154; V. De Valencia, Catálogo Histórico descriptivo de la Real Armeria, Madrid 1898, pp. 64-68, tav. XI; J. Gelli, in Emporium, XV (1902), p. 138; J. Gelli-G. Moretti, Gli armaroli milan., Milano 1903, pp. 75 s., tavv. XLVI s.; A. Lensi, Il Museo Stibbert, Catalogo delle sale d'armi europee, Firenze 1917, p. 187; Id., Mostra delle armi antiche in Palazzo Vecchio, Firenze 1938, pp. 27 s., 96, tav. XXVI; J. F. Hayward, European armour in the Victoria and Albert Museum, London 1951, pp. 19 s., 41; Id., The Sigman Shield, in The Journal of the Arms and Armour Society, II (1956), 2, p. 42; B. Thomas-O. Gamber, L'arte milanese dell'armatura, in Storia di Milano, XI, Milano 1958, pp. 705, 764 (con ulteriore bibliografia); J. Mann, European arms and armour of the Wallace Collection, London 1962, I, pp. 157, 173; C. O. von Kienbusch, Collection of armour and arms, Princeton 1963, p. 121, tav. LXXXIV; V. Norman, Armes et armures, Paris 1964, pp. 72 s.; L. G. Boccia-E. T. Coelho, L'arte dell'armatura in Italia, Milano 1967, pp. 275 s., 541; F. Rossi, Armature da parata, Milano 1971, tav. X; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, pp. 467 s.