CANALE, Bartolomeo
Nacque a Milano il 10 dic. 1605, e fu battezzato con il nome di Antonio. La sua famiglia era dedita al commercio, ma il giovane fu avviato agli studi nel collegio dei gesuiti di S. Maria di Brera dove ricevette la sua prima educazione culturale e religiosa. Nel 1626 entrò come novizio nella Congregazione dei barnabiti, e l'anno seguente professò i voti. Dopo aver completato la sua preparazione nel campo degli studi di filosofia (perché, a causa della malferma e incerta salute non poté intraprendere quelli di teologia), fu ordinato sacerdote nel 1631 e subito destinato come confessore ed economo nella chiesa di S. Maria del Carrobiolo a Monza.
La sua prima permanenza in questa città fu interrotta soltanto nel 1659 quando il C. intraprese un lunghissimo pellegrinaggio a piedi; visitò luoghi celebri e famosi come le abbazie di Vallombrosa, di Camaldoli, di Subiaco, di Montecassino, e chiese e cattedrali delle città di Assisi, di Loreto, di Roma, di Genova, di Firenze e di Napoli. Al termine di questo viaggio, fu destinato dai suoi superiori nel collegio di Montù Beccaria, come maestro spirituale e guida dei giovani novizi che ivi seguivano gli studi filosofici. In questo nuovo incarico rimase cinque anni fino a quando cioè, nel 1661 fu di nuovo inviato a Monza come superiore dei novizi.
Intanto il C. si era sempre più distinto tra i suoi confratelli, e nei compiti specifici che gli venivano affidati, come un religioso esemplare. Ma la sua intensa vita spirituale, le pratiche penitenziali a cui di buon grado si sottoponeva, le virtù moralì di cui quotidianamente faceva mostra con l'assoluta austerità dei suoi costumi, il suo carattere docile e naturalmente portato all'obbedienza, il suo ideale di vita contemplativa che lo spingeva a trascorrere tutte le ore libere nella sua cella a pregare, avevano ben presto creato una vera e propria leggenda intorno a questo personaggio che sembrava già investito di un alone di santità. Lo si credeva già oggetto, fin da vivo, di una speciale assistenza da parte di Dio. che si sarebbe manifestata in varie occasioni con prodigi e interventi miracolosi.
Gli episodi di prodigi e di miracoli che vennero riferiti intorno al C. sono numerosissimi, ma questi, al di fuori della sua cerchia di confratelli e del luogo in cui viveva, divenne improvvisamente noto anche per il suo Diario spirituale, overo Meditationi per tutti i giorni dell'anno, diviso in tre parti (Milano 1670) la cui materia derivò direttamente dalla lunga esperienza trascorsa come guida dei novizi e degli studenti.
Prendendo spunto da s. Paolo, egli vuole infatti che i giovani destinati al sacerdozio, o in generale i lettori, si spoglino dell'uomo vecchio, l'Adamo terrestre, e si rivestano di quello nuovo, l'Adamo celeste, che è poi Gesù, e si avviino sicuri alla propria perfezione e salvezza. Ma egli non intende affatto proporre una riforma dei costumi quanto indicare ai lettori i dati elementari, e tuttavia fondamentali della dottrina tradizionale per farne oggetto di quotidiane meditazioni. I punti di riferimento, ricalcati sui vari periodi dell'anno liturgico, sono di carattere storico e sono per lo più tratti dai racconti evangelici - si comincia infatti dall'episodio dell'annuncio della concezione verginale di Maria e si continua con le vicende relative alla nascita di Gesù a Betlemme, alla sua circoncisione, agli eventi leggendari della sua giovinezza, alla sua predicazione e ai suoi miracoli - e su di essi si svolgono serie di considerazioni. Nella seconda parte dell'opera si continua ancora con diretti riferimenti al racconto evangelico: vengono infatti passati in rassegna gli episodi relativi al tradimento di Gìuda, al processo di Gesù, alla sua passione, morte e resurrezione.
A questi eventi si riallacciano poi alcuni momenti principali che riguardano il diffondersi della prima propaganda cristiana, quale viene riferita dagli Atti degli Apostoli, e il formarsi della primitiva comunità di Gerusalemme attraverso gli episodi, tra l'altro, del centurione, di Anania e di Saffira, della morte per lapidazione del diacono Stefano.
Su tutta questa tematica se ne innesta poi un'altra di carattere mistico che, in realtà, appare come una vera e propria sovrapposizione: egli intraprende infatti a trattare argomenti che riguardano il mondo, le ricchezze, gli onori, i piaceri, le gioie che hanno il potere di conquistare gli uomini e di renderli così schiavi dei vizi e delle cattive inclinazioni dei loro animi. In netta contrapposizione, il C. può invece esaltare lo stato di vita religioso che, imponendo a quanti l'hanno abbracciato l'obbligo di fuggire ogni sorta di peccato mortale e veniale - e a questo punto viene anche spiegato il significato dei voti che si pronunciano, di castità, di povertà, di ubbidienza - conduce ogni religioso sul sicuro cammino della salvezza.
Una comprensione del pensiero ascefico del C. si può comunque pienamente dedurre soltanto da un'altra sua opera, pubblicata potuma, Laverità scoperta alcristiano intorno alle cose presenti (Milano 1694), nella quale viene ripresa la tematica relativa al mondo e ai suoi beni ingannevoli che appaiono come i mezzi maggiori con cui il demonio si viene impadronendo della volontà degli uommi conducendoli alla inesorabile perdizione. Da qui tutta una serie di insegnamenti, attraverso i quali si viene configurando una dottrina mistica, i cui caratteri sono del resto già codificati nella tradizione, e che appare perciò chiaramente scolastica e strumentale per i fini immediati che il C. si ripromette di raggiungere (l'edificazione religiosa e la formazione spirituale dei suoi discepoli). Essa è essenzialmente basata sul disprezzo delle ricchezze, degli onori, dei piaceri anche semplici ed elementari come il ballo, il canto, il giuoco; in altri termini, sul disprezzo di tutto ciò che provenga dalla società civile e da passioni e desideri umani. Ad ammaestramento finale, il C. si dilunga poi a parlare della morte dei giusti e dei peccatori e del diverso destino delle anime in relazione alle tendenze che si sono seguite nella vita: il Purgatorio, il Limbo, l'Inferno, il giudizio universale rappresentano così nella sua esposizione il momento finale di tutta la storia umana.
Le non comuni doti di educatore e di guida spirituale valsero al C., nel 1668, un nuovo incarico, quello di confessore nel convento delle angeliche di S. Paolo a Milano, quando vi esisteva una difficile situazione a causa di un preoccupante rilassamento nella disciplina delle monache e delle giovani, tutte di illustri e nobili famiglie milanesi, che vi erano rinchiuse. L'opera del C. si rivelò ancora una volta feconda di risultati e la situazione era del tutto sanata quando ritornò nel suo collegio di Monza con il vecchio incarico di superiore dei novizi. In questa città morì il 27 genn. 1681 e fu sepolto nella chiesa di S. Maria del Carrobiolo.
Fonti e Bibl.: F. Argelati, Bibl. script. Mediol., I, 2, Mediolani 1745, coll. 266 ss.; D. M. Griffini, Della vita di monsignor Gio. Maria Percoto, Udine 1781, pp. 23, 30; E. M. Gallizia, Vita del ven. B. C., Milano 1883; O. M. Premoli, Vita del ven. B. C., barnabita, Milano 1908; Id., In margine alla biografia del ven. B. C., in Arch. stor. lomb., XLV (1918), pp. 137 ss.; Id., Storia dei Barnabiti nel Seicento, Roma 1922, pp. 321-323, 355-358; G. Boffito, Bibl. barnabitica, I, Firenze 1933, pp. 400-406; Enc. Catt., III, col.504; Bibliotheca Sanctorum, III, coll. 731 ss.