CAPASSO, Bartolomeo
Nacque a Napoli il 22 febbr. 1815 da Francesco e da Marianna Patricelli. Rimasto orfano di padre in tenera età, entrò nel seminario, di Napoli dal quale passò a quello di Sorrento quando la madre vi si trasferì dopo essersi risposata. Terminati gli studi tra i 16 e i 17 anni, compì un lungo viaggio in Italia e rientrò quindi a Sorrento ove iniziò a dedicarsi con impegno alla ricerca erudita.
La formazione culturale del giovane C. appare, dunque, avvenire senza la guida di un maestro, e dovette realizzarsi sia in un approfondimento dell'erudizione classica ricevuta in seminario sia in un sempre crescente interesse verso la tradizione culturale napoletana e in particolare verso quella storiografica. I suoi studi e le sue ricerche sembrano sin da questi anni incentrarsi sulla storia - specialmente medievale - del Regno.
Tali suoi interessi lo portarono naturalmente a contatto con il gruppo che faceva capo a Carlo Troya e a partecipare alla nascita della Società storica che il medesimo Troya fondò nel 1844 a Napoli, dove il C. si era trasferito da qualche anno.
La collaborazione alla Società (durata fino al 1848) non ampliò, comunque, la sfera di interessi del C. che nel 1846 pubblicava a Napoli la Topografia storico-archeologica della penisola sorrentina,e raccolta di antiche iscrizioni edite ed inedite appartenenti alla medesima.
Le terre napoletane, le vicende di quella monarchia continuarono ad essere l'unico oggetto della sua ricerca, così che il suo impegno nella ricostruzione della storia nazionale appare concentrarsi ed esaurirsi in quella della nazione napoletana. Tale suo atteggiamento culturale corrisponde, d'altro canto, alla sua posizione politica. Il C. appare poco partecipe delle idee liberali e nazionali diffuse nei ceti intellettuali napoletani; e se la frequentazione dei circoli liberali della capitale lo portarono a dedicare un qualche interesse agli avvenimenti contemporanei, certamente non sposò le aspirazioni di quelli e non ne condivise le motivazioni ideali e l'impegno nella lotta. Tanto che alla caduta del regime costituzionale nel Regno si affrettò a distruggere gli scritti liberali che era andato raccogliendo, temendo di restare coinvolto nella repressione autoritaria.
Il campo della sua ricerca continuò ad essere, quindi, negli anni successivi sempre incentrato nella storia napoletana. E alla tradizione culturale della sua patria egli continuò a collegarsi nel portare avanti i suoi studi. Le memorie storiche della Chiesa sorrentina (Napoli 1854) e Sull'antico sito di Napoli e Palepoli. Dubbii e congetture (Napoli 1855) confermano la persistente adesione - già palese nel primo lavoro del C. - alla tradizione sia storiografica sia filologica napoletana, quella tradizione che trovava le sue basi nella ricca fioritura della seconda metà del secolo precedente, ma che in seguito non aveva saputo aprirsi ai contributi che i più recenti sviluppi della cultura europea, e specialmente quella tedesca, avevano dato e nel campo della ricerca storica e nel campo della ricostruzione critica delle fonti. I lavori del C. appaiono ancora pienamente inseriti nel solco della ormai più arretrata cultura napoletana, chiusi ai nuovi apporti della dottrina, privi della vivacità che questa aveva infuso altrove negli studi.
Tale arretratezza riscontrabile nelle sue ricerche appare chiaramente dipendere dalla situazione generale della cultura napoletani di quegli anni. Lo stesso C. ne offre una testimonianza nell'introduzione alla sua Cronaca napoletana di Ubaldo, edita dal Patilli nel 1751,ora stampata nuovamente e dimostrata una impostura del secolo scorso (Napoli 1855).
Il C. vi dichiara che da poco tempo era riuscito a prendere visione del Chronicon ducum et principum Beneventi,Salerni,Capuae et Ducum Neapolis che il Pertz aveva pubblicato nel 1838 nel V vol. dei Monumenta Germaniae Historica,Scriptores, e di aver pensato in un primo momento a ristampare a Napoli tale edizione. La lezione del Pertz e della scuola filologica tedesca dell'inizio del secolo non era dunque ancora stata recepita in alcun modo dagli storici e filologi napoletani Né il C. ad essa si mostra particolarmente sensibile: il suo intento di diffondere l'edizione del Chronicon appare derivare non già dalla volontà di sostenere i nuovi criteri della filologia germanica, bensì dall'altra, ben più semplice, di far conoscere una delle più importanti fonti della storia napoletana. Egli stesso appare poi ben lontano dal seguire la lezione pertziana nell'edizione critica della Cronaca di Ubaldo.
Sembra, comunque, potersi dire che a partire da questi anni il C. cominciò a recepire in modo sempre più consistente i contributi della scuola filologica tedesca della prima metà del secolo. Il che peraltro non implicò mai un rifiuto della tradizione napoletana: la linea comune che appare legare i numerosi studi del C. sia nel campo della ricerca storica sia in quello dell'edizione critica delle fonti sembra infatti consistere - come già in precedenza - nella volontà di esaltare, o comunque sottolineare, insieme il ruolo svolto dal Regno - o più in generale dalla nazione napoletana - nelle vicende italiane ed europee e la validità della cultura napoletana dei secoli trascorsi.Entrambe queste tematiche si trovano espresse nell'opuscolo Le leggi promulgate dai re normanni nell'Italia meridionale,raccolte ed illustrate con documenti e memorie del tempo e col confronto del diritto romano e canonico e dei codici barbari, pubblicato a Napoli nel 1862. Negli anni immediatamente precedenti il C. era andato raccogliendo un vastissimo materiale documentario relativo al periodo normanno del Regno, e nel 1862 egli intese esporre il piano di lavoro che si proponeva di realizzare: nell'indicare le linee di progetto sottolineò sia il valore storico della legislazione normanna - che dopo lo studio del Merkel del 1856 era stata chiaramente individuata nell'ambito delle costituzioni federiciane -, sia anche l'importanza dei precedenti lavori che nel Regno erano stati compiuti sull'argomento. Una tradizione di ricerca che risaliva agli studi della fine del secolo precedente - dei quali peraltro non si nascondevano le lacune - e che aveva trovato il suo momento felice dopo il decennio francese.
Il programma presentato nel 1862 non fu mai portato a termine dal C., ma egli ebbe modo di fornire vari saggi delle sue vaste ricerche. Anzi le età normanna e sveva del Regno costituirono da allora il campo principale dell'indagine storica del Capasso. Nel 1867 pubblicò negli Atti dell'Accademia Pontaniana, (IX, pp. 211-244), La Novella di Ruggiero re di Sicilia e di Puglia, promulgata in greco nel 1150, per la prima volta edita dai codici delle biblioteche di S. Marco in Venezia e Vaticana in Roma con la traduzione latina. Nel 1868 apparve sullo stesso periodico (IX, pp. 379-502) la memoria Sulla storia esterna delle costituzioni del regno di Sicilia promulgate da Federico II, dove il C., cogliendo l'occasione della edizione delle Constitutiones fatta dall'Huillard-Bréholles nell'Historia diplomatica Friderici II, ebbe modo di ricostruire l'elaborazione dottrinale che di queste leggi era stata fatta dai giuristi meridionali da Guglielmo, ad Andrea da Barletta, Andrea d'Isernia e Matteo D'Afflitto. Nello stesso 1868 il C. pubblicò negli Atti dell'Accademia di archeologia,lettere e belle arti (IV, pp. 293-371) la memoria Sul catalogo dei feudi e dei feudatarii delle provincie napoletane sotto la dominazione normanna, un documento di capitale importanza non solo per la ricostruzione del sistema feudale ed amministrativo della monarchia normanna, ma anche per la ricostruzione della topografia e toponomastica della regione.
Egli offrì innanzitutto una collazione del testo a stampa, conosciuto nella edizione del Borrello (1653)e del Fimiani, con la trascrizione del documento rinvenuta nei Registri angioini dell'Archivio di Napoli. Esaminò poi il documento da un punto di vista paleografico e diplomatico, giungendo, contro la tesi che lo metteva in rapporto con una crociata del 1186, a riconoscerne la natura di complesso di quaderni di defetari, o registri del servizio militare dovuto dai feudatari al re, e a datarlo tra il 1154 e il 1168.
Abbandonato dopo il 1868 questo filone di studi, il C. vi ritornò in seguito, ma solo episodicamente: nel 1884 pubblicò Il Pactum giurato del duca Sergio ai Napolitani,1030?, in Arch. stor. per le prov. napol. (IX, pp. 319-331, 530-562, 710-742), e la lettera-premessa, dal titolo Sull'uso del diritto romano e longobardo nelle provincie napoletane sotto l'impero delle leggi di Federico II, al libro di F. Brandileone, Il diritto romano nelle leggi normanne e sveve del Regno di Sicilia (Roma 1884, pp. XI-XXXVI).
Gli studi di storia giuridica compiuti dal C. per i periodi normanno e svevo del Regno sono di grande interesse non solo per quanto attestano della sua opera di editore di fonti - opera certamente ora più raffinata che in passato, - ma anche per quello che hanno rappresentato nell'ambito della storiografia sul Regno. Sotto quest'ultimo profilo si deve ricordare, infatti, che il C. in tutti i suoi lavori esalta la "modernità" sia delle leggi, sia dell'organizzazione statuale normanna e sveva; nel senso cioè che le somiglianze riscontrate tra le prime e la legislazione imperiale romana e le istituzioni caratterizzanti la seconda e volte al consolidamento dello Stato unitario, stanno per il C. a dimostrare che il Regno nei secc. XII e XIII impedì ai feudi di svolgere un ruolo disgregatore, mediante una decisa limitazione dei loro privilegi, percorrendo strade che le altre monarchie europee seguiranno solo nella età moderna. Il C. certamente ereditava tale interpretazione dalla storiografia precedente ma ad essa dette una formulazione più precisa e un più autorevole avallo, tanto da influenzare non poca letteratura successiva.
Accanto a questi studi il C. portò avanti, e in modo preminente, il suo lavoro di raccolta e di edizione di fonti napoletane. Nel 1871, inserendosi nel dibattito erudito apertosi sull'autenticità dei Diurnali di Matteo da Giovinazzo, ne sostenne decisamente la falsità in una memoria apparsa negli Atti dell'Accademia di archeologia,lettere e belle arti. Pochi anni dopo dava alle stampe un'opera di notevole impegno, l'Historia diplomatica Regni Siciliae inde ab anno 1250 usque ad annum 1266, ove venivano raccolte fonti fino ad allora inedite accanto ad altre già note ma sottoposte a nuova lezione critica. A questa seguì la sua più importante opera, Monumenta ad Neapolitani ducatus historiam pertinentia, editi in due volumi, il secondo dei quali in due tomi, rispettivamente nel 1881, 1885 e 1895.
I Monumenta raccolgono un vastissimo numero di documenti, molti dei quali inediti: l'edizione di questi e il regesto di quelli già noti è poi arricchita da dissertazioni sugli aspetti della vita politica, spirituale, sociale ed economica del ducato napoletano il cui significato e la cui validità sono tuttora riconosciuti. Con l'Historia diplomatica e i Monumenta il C.offre un ulteriore saggio delle sue notevoli capacità di ricercatore di documenti e nello stesso tempo mostra una più raffinata sensibilità nell'edizione critica degli stessi. Gli insegnamenti della scuola filologica tedesca della prima metà del secolo erano ormai stati recepiti in Italia: i lavori del C. sono tra i migliori esempi del rinnovato indirizzo della filologia italiana.
I contatti personali del C. con gli studiosi germanici si erano fatti in questi anni più frequenti ed avevano contribuito a diffondere la sua fama di studioso di problemi napoletani in tutta Europa. Membro di varie accademie italiane e straniere, nel 1885 fu nominato professore honoris causa dall'università di Heidelberg.
L'approfondimento dell'insegnamento filologico germanico non implicò mai, peraltro, quello dei nuovi sviluppi che la scuola tedesca stava compiendo nella seconda metà del secolo; né fu mai disgiunto nel C. dal legame con la tradizione erudita napoletana. Nel 1885, per esempio, pubblicò il lavoro Gli Archivi e gli studi paleografici e diplomatici nelle province napoletane fino al 1881, nel quale esalta il valore degli studi eruditi napoletani della seconda metà del '700 e difende la validità delle edizioni delle fonti edite nel Regno in quel periodo. Nessun cenno fa ad una revisione critica del metodo allora seguito alla luce di quelli più recenti. E d'altra parte, non sempre il suo giudizio sulle fonti appare filologicamente valido. È il caso dei Diurnali di Matteo da Giovinazzo nella cui valutazione il C. appare mosso da una preconcetta volontà di dichiararne la falsità (sulla questione tornò, sempre per sostenere la falsità dell'opera, nel 1895 con un'altra memoria negli Atti dell'Accad. di archeol., lettere e belle arti).
Nel 1876 il C. fu tra i fondatori, insieme con V. De Blasiis, C. Minieri Riccio e S. Volpicella, dell'Archivio storico per le provincie napoletane, organo della Società napoletana di storia patria, che diventò per decenni il sicuro punto di riferimento in Europa per ogni problema storiografico relativo al Mezzogiorno. Il C., che fu prima vicepresidente della Società, poi dal 1883 fino alla morte, presidente, ispirò la tematica e la prospettiva metodologica del periodico. Già nel primo numero egli pubblicò una insuperata rassegna su Le Fonti della storia delle province napolitane dal 568 al1500 [1876], pp. 1-32, 181-210, 379-393, 581-618; II [1877], pp. 3-48). All'Archivio riservò quasi tutte le sue predilette ricerche di argomento archeologico e topografico volte a ricostruire la storia della città di Napoli, delle sue vie, dei suoi monumenti. Molti di questi lavori, quelli dedicati alla Napoli greca e romana, quelli sul dialetto napoletano, sono oggi superati, perché sono mutate le tecniche di indagine e le prospettive metodologiche. Ma quelli di argomento medievale come la Piantadella citta di Napoli nel secolo XI (ibid., XVI [1891], pp. 832-862; XVII [1892], pp. 422-484, 679-726, 851-881; XVIII [1893], pp. 104-125, 316-363), rimangono fondamentali, perché basati sulla sicura testimonianza dello spoglio di migliaia di documenti d'archivio.
Fin dall'aprile 1872 si era interessato alla classificazione del materiale conservato nell'Archivio municipale di Napoli (sezione antica, dal 1387 al 1806), e, un anno dopo, ebbe l'incarico di dirigere quel lavoro: i risultati apparvero in un Catalogo ragionato (pubbl. 1876 e 1899).
Il 13 luglio 1882 fu affidata al C. anche la sopraintendenza dell'Archivio di Stato di Napoli. Il lavoro di catalogazione dell'immenso materiale documentario soltanto dal 1874 aveva avuto inizio con metodo critico, a opera del Minieri Riccio. Il C. si dedicò in un primo momento a riordinare i documenti della cancelleria angioina, che erano stati rilegati in registri con criterio non sempre esattamente cronologico e corretto. L'opera di rettifica portò alla pubblicazione di un importante Inventario cronologico-sistematico dei Registri Angioini conservati nell'Archivio di Stato di Napoli, Napoli 1894. Fu, inoltre, il C. a dare l'avvio all'ordinamento dell'archivio farnesiano, che si trovava nel più completo disordine, fin da quando era stato trasferito a Napoli, durante i primi anni del regno di Carlo di Borbone. Ma il lavoro certamente più ostico fu dare la collocazione del materiale recente, che il C. distinse in una serie di archivi e di sezioni speciali. Una opera, in definitiva, che determinò la fisionomia dell'Archivio, e che egli riassunse in una Relazione al ministro dell'Interno, pubblicata a Napoli nel 1899.
Il C. morì a Napoli il 3 marzo 1900. Nel 1905 fu pubblicata a Napoli, a cura della Società napoletana di storia patria, la sua ultima opera, Napoli greco-romana esposta nella topografia e nella vita.
Fonti e Bibl.: Necrol. di E. Mele, B. C., in Corr. d'Italia (Roma), 28 marzo 1900, e G. Del Giudice, Commemor. di B. C. presidente della Società napol. di storia patria letta nella sede sociale il dì 7 apr. 1900, Napoli 1900; le carte del C., conservate nella Bibl. della Soc. napoletana di storia patria, andarono in parte distrutte nel 1943, quando la sede della Società fu bombardata. Cfr. inoltre F. Torraca, Profili napoletani, in Saggi e rassegne, Livorno 1885, pp. 189-198; F. D'Ovidio, B. C. e una sua recente pubblicazione, in Il Mattino. supplem., 16 giugno 1895; C. Summonte, Discorso pronunz. il 14 maggio nella sala della Società di storia patria, Napoli 1899 (in occasione del conferimento da parte del Comune di Napoli della medaglia d'oro al C.); S. Di Giacomo, B. C., in Napoli nobilissima, IX(1900), 3, pp. 33 s.; M. Schipa, Il C. e la storia medievale dell'Italia meridionale,ibid., pp. 34-38; L. De La Ville sur Yllon, Il C. e la storia della città di Napoli,ibid., pp. 38-40; N. F. Faraglia, Il C. archivista,ibid., pp. 40-42; B. Croce, Il C. e la storia regionale,ibid., pp. 42 s.; G. Ceci, Bibliogr. degli scritti di B. C. preceduta da cenni biografici,ibid., pp. 44-48; G.Cassandro, B. C., in Rivista di studi crociani, XI (1974), pp. 171-178; Enc. Ital., VIII, ad vocem.