CAPPELLO, Bartolomeo
Figlio di Girolamo di Andrea e di Maria di Domenico Pisani, nacque il 24 agosto del 1519. Apparteneva al ramo originario, detto di S. Maria Materdomini, della nobile famiglia veneziana, ed era destinato, per stato sociale e tradizioni familiari, alla vita politica.
Girolamo, discendente in linea diretta dal famoso Vettore Cappello, più volte valoroso capitano generale da marcontro il Turco, e, per parte di madre, dal doge Marco Barbarigo, entrò in Pregadi, fu podestà a Bergamo ed inoltre sensibile uomo di lettere; la madre era figlia di quel Domenico che fu ambasciatore della Serenissima in Portogallo ed in Spagna e presso Giulio II. Dei numerosi fratelli, Alvise, il solo sicuramente ancora in vita nel 1550, data della morte del padre, fu senatore ed anche consigliere del regno di Cipro.
Nulla si conosce finora dell'infanzia e dell'adolescenza del C. se si eccettua la notizia (data però da Aldo Manuzio il Giovane nell'encomiastica biografia del primo granduca di Toscana) dell'amicizia che egli, già nel 1527, avrebbe stretto con Cosimo de' Medici in occasione del soggiorno di questo nel palazzo di S. Maria Materdomini, quando, esule da Firenze divenuta ostile alla sua famiglia, fu costretto a cercar rifugio a Venezia. Anche riguardo alla sua formazione il silenzio delle fonti è pressoché totale: l'unica notizia reperita è quella della sua permanenza a Bergamo tra il novembre del 1537 ed il marzo del 1539, probabilmente per apprendere direttamente dal padre, cui era stato affidato il reggimento della città, i primi rudimenti dell'arte di governo, secondo una consuetudine molto diffusa in quel tempo tra i giovani delle più cospicue famiglie veneziane.
Sicuramente documentabile è invece l'attività politica del C., che ebbe inizio presumibilmente nel 1548 con l'elezione, successivamente rifiutata, ad officiale della Dogana da mar; lenta e graduale, ma costante, l'ascesa verso le cariche più prestigiose: membro dei Quaranta l'anno successivo e nel 1552, fu uditor vecchio nel 1555, provveditor sopra Dazi, nel 1562, provveditor alla Sanità nel 1567, officiale alle Ragion Nuove l'anno dopo. Nel 1573 venne eletto in Pregadi. Ma il coronamento della sua carriera politica si ebbe due anni dopo: il 19 giugno 1575 egli fu eletto podestà e capitano a Treviso. Prese possesso del reggimento nel settembre successivo, sostituendo Bartolomeo Lippomano, e lo tenne fino al gennaio 1577, quando gli subentrò Giovanni Michiel.
Dai provvedimenti che adottò nei sedici mesi trascorsi in Terraferma emergono abbastanza chiaramente le caratteristiche della sua azione politica, difficili da rintracciare invece fino a questo momento, data la collegialità delle magistrature ricoperte. Dalle lettere inviate ai capi del Consiglio di dieci, come anche dalla relazione che egli, tornato a Venezia, lesse in Collegio il 12 marzo 1577, la sua attività di governo appare equilibrata ed effettivamente rivolta agli interessi delle popolazioni amministrate, pur senza mai trascurare le esigenze prioritarie della Dominante.
L'emergenza più grave che egli dovette affrontare durante la sua podesteria fu la famosa "Peste del Redentore" che, scoppiata nel Trentino nell'estate del 1575, si propagò ben presto per tutto lo Stato veneziano. Egli riuscì ad evitare la diffusione del contagio in Treviso imponendo rigide "contumatie delle persone" e severi controlli sulle "fedi di sanità" ed ordinando l'applicazione di rigorose misure igieniche all'interno della città. Si preoccupò inoltre di assicurare l'afflusso costante di vettovaglie alla Serenissima, colpita, oltre che dal morbo, anche dalla carestia, mediante la creazione di "mercati fuori delle porte ad un luoco destinato acciò quei che volevano comprar da vivere per Venetia potessero havere queste cose senza entrare in Treviso". D'ordinaria amministrazione gli altri provvedimenti adottati, diretti alla riorganizzazione delle milizie e al riatto delle fortificazioni, ad una più rigorosa tutela del bosco del Montello che costituiva una preziosa fonte di legname per l'Arsenale, alla pacificazione delle fazioni interne ed alla riduzione del prezzo della farina.
Strettamente connesse con l'attività politica del C., ed anzi, in un certo senso, tali da determinarla, le vicende della sua vita privata. Egli aveva sposato in prime nozze Pellegrina di Filippo Morosini; dal matrimonio, celebrato nel 1544, erano nati, presumibilmente nel 1546, Bianca e, il 13 ag. 1547, Vettore. Furono però le nuove nozze contratte nel 1559 con Lucrezia di Gerolamo Grimani, a sua volta vedova di Andrea Contarini, che accrebbero l'originario prestigio sociale del Cappello. Il legame stretto con il casato dei Grimani, in quegli anni molto influente (Lucrezia era nipote di quell'Antonio che era stato doge dal 1521 al 1523 e sorella di Giovanni, patriarca d'Aquileia), lo pose infatti in posizione di rilievo nell'ambito del patriziato veneziano, facilitandone il cursus honorum. E proprio la consapevolezza di questa sua condizione el'orgoglio di casta ferito traspaiono forse, più che non l'affetto di padre, dalla denuncia presentata il 9 dic. 1563 al Consiglio di dieci contro Pietro di Zenobio Bonaventuri: in essa egli chiedeva il bando per il giovane che aveva indotto Bianca a fuggire a Firenze, e, per la figlia, che fosse "reposta in un monasterio de questa cità"; e ancora, poco tempo dopo, aggiungeva alla taglia posta sui fuggiaschi dagli Avogadori una propria somma.
Alla sua prestigiosa posizione sociale faceva riscontro un patrimonio che l'inventario dei beni, redatto in occasione dello estimo del 1566, mostra composto tra l'altro da livelli di qualche consistenza, da un podere nel Padovano, da un altro "de campi tresento e lavoratori nº 3" a Cassola nel Bassanese, da alcune case date in affitto e da un palazzo a Murano nellecui stanze, sfarzosamente addobbate per l'occasione, nel luglio del 1574 fu ricevuto ed ospitato al suo arrivo a Venezia Enrico III che, reduce dalla Polonia, ritornava in Francia per cingerne la corona.
All'apice della carriera politica, forse intuendo (come abbastanza attendibilmente argomenta il Molin nel suo Compendio) "la gran riuscita doveva aspettar di questa gran donna sua figlia", il C. volle riconciliarsi ufficialmente con Bianca che, grazie all'amore dimostratole dal primogenito, di Cosimo I, Francesco de' Medici, già da qualche tempo era assurta a una posizione di preminenza alla corte fiorentina. E i frutti non tardarono: nel 1578 egli andò ad abitare in quella sontuosa dimora dei Trevisan sul rio di palazzo che proprio la figlia, l'anno prima, aveva acquistato e donato alla famiglia. Ivi, nel giugno dell'anno successivo, ricevette il solenne omaggio dell'ambasciatore straordinario fiorentino che Francesco, ormai granduca, aveva inviato alla Repubblica per annunciare il suo matrimonio con Bianca, e, pochi giorni dopo, il 17 dello stesso mese, proprio in vista di quelle nozze che venivano a dar lustro al patriziato veneziano aprendo nel contempo nuove prospettive politiche alla Serenissima, egli fu insignito, assieme al figlio, della più alta onorificenza della Dominante, il cavalierato di Stola d'oro. Grandissimi furono anche gli onori che gli vennero tributati qualche mese più tardi a Firenze, dove egli si recò per assistere alle nozze e all'incoronazione della figlia.
Negli anni immediatamente successivi il C. condusse una vita di relazioni piuttosto intensa: della sua casa, che aveva ormai le esigenze di una piccola corte, erano infatti spesso ospiti principi ed ambasciatori. Le sue fortune politiche, al contrario, stranamente declinarono: non fu più ammesso in Senato né risultò più eletto ad alcuna magistratura, sembrando ai più, come ancora testimonia il Molin, che "il commercio della casa con quel principe fosse per causa disonesta e turpe e, sebbene di gran utile e forse ad altri d'honore, con tutto ciò non conveniente alla grandezza dell'animo d'un generoso nobil Venetiano che à il suo fine sol nella vera gloria".
Morì nel dicembre 1594, dopo aver visto la prematura scomparsa della figlia e il conseguente declino del proprio prestigio; fu sepolto nella chiesa di S. Elena, dove si trovava la tomba di famiglia.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Miscell. codici, I, Storia veneta, 18: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, p. 269; Ibid., Avogaria de Comun,Nascite,Libro d'oro, reg. 51/I, c. 73v; reg. 52/II, c. 392v; Ibid., Contratti nozze, reg. 148/9, c. 222r; Ibid., Cronaca matrimoni, reg. 106/1, c. 38r; Ibid., Necrologi dei nobili, b.159; Ibid., Arch. notarile,Testamenti,Notaio Calegarini, b. 302, n. 138; Notaio Bianco, b. 128 III, cc. 176v-180v; Ibid., Segretario alle voci,Elezioni Maggior Consiglio, reg. 2, cc. 70v-71r; reg. 3, cc. 24v-25r, 32v-33r; reg. 4, cc. 16v-17r, 29v-30r; reg. 5, cc. 126v-127r; Ibid., Segret. alle voci,Misti, reg. 11, cc. 10v, 22v; reg. 12, cc. 31r, 33r; Ibid., Capi del Cons. dei Dieci,Lett. di rettori e di altre cariche, b. 136, cc. 33-46; Ibid., Collegio,Relaz. b. 48; Ibid., Dieci Savi alle Decime, filza 136, condiz. 102; Ibid., Cerim., reg. I, c. 43v; reg. II, cc. 20v, 58-59r; Venezia, Bibl. naz. Marc., mss. It., cl. VII, 15 (= 8304), 17 (= 8306): G. A. Cappellari-Vivaro, Il Campid. veneto, I, cc.228v-229r, 235r; III, cc. 218r, 225v; Ibid., mss. It., cl. VII, 198 (= 8383): Registro dei reggimenti..., c. 75v; Ibid., mss. It., cl. VII, 553 (= 8812): F. Molin, Compendio delle cose... che successero dal mese di aprile 1558… sino all'anno 1598, pp. 56, 101 ss.; Ibid., mss. It., cl. VII, 1529 (= 7637): Codice miscellaneo, a c. 83 della Vita di Bianca Cappello copia della querela presentata dal C.al Consiglio dei dieci il 9 dic. 1563; Venezia, Civico MuseoCorrer, cod. Cicogna 2889 (= 3781): G. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Cons., I, c. 126; Ibid., mss. P. D. C. 604/7 e 14-15; 670/90; 770/5; Marsilio della Croce, L'historia della pubblica et famosa entrata in Vinegia del Serenissimo Henrico III…, Vinegia 1574, pp. 4-6; Relazione del nobile B. C. ritornato di podestà e capitano di Treviso…, a cura di C. Pasini, Treviso 1859; A. Manuzio, Vita di Cosimo de' Medici..., Bologna 1586, p. 36; G. Zabarella, Il Pileo..., Padova 1670, pp. 24, 40; A. Morosini, Historia veneta…, Venezia 1719, XII, p. 661; E. A. Cicogna, Delle Inscriz. venez., II, Venezia 1827, pp. 201 ss.; F. Mutinelli, Annali urbani di Venezia dall'anno 810al 12 maggio 1797, Venezia 1841, pp. 419 ss., 456 s., 499 ss.; B. Canal, Il palazzo di Bianca Cappello e la sede vescov. in Murano, in Nuovo Arch. veneto, n s., VII (1907), 1, pp. 89 ss.; G.Damerini, La Ca' grande dei Cappello e dei Malipiero di S. Samuele,ora Barnabò, Venezia 1962, pp. 25 s.