CASALI, Bartolomeo
Figlio primogenito di Ranieri di Guglielmino e di una figlia di Corraduccio di Petroio, doveva essere già maggiorenne o prossimo alla maggior età nel 1332 perché i congiurati di quell'anno, guidati da suo zio Uguccio, avevano deliberato di sopprimerlo insieme con il padre.
Nel 1335 partecipò alle operazioni perugino-cortonesi contro i Tarlati occupando nell'ottobre Foiano, Gargonza, Rondine. Ma a parte quel felice episodio militare, visse per il resto nell'ombra del padre, cui successe nella signoria di Cortona nel 1351.
Uno dei suoi primi atti di governo fu il richiamo in patria dei congiurati del 1332, esuli da un ventennio; nello stesso tempo abbandonò l'alleanza perugina per darsi a quella viscontea. La sua politica è stata perciò interpretata come una sorta di "rovesciamento delle alleanze" rispetto alla linea paterna. In particolare la clemenza per i congiurati, che erano stati appoggiati da Pier Saccone Tarlati, sarebbe stata un atto d'amicizia nei confronti dei Pietramaleschi. Ma in realtà non vi fu alcuna sterzata: il richiamo dei congiurati del 1332 rientrava infatti nel programma di pacificazione interna e in quello di amicizia con i Tarlati già condotti entrambi da Ranieri; e anche l'abbandono dell'alleanza perugina per quella milanese era stato lungamente preparato dal padre.
Le intenzioni del C. sul piano della politica estera non trapelarono immediatamente. I rapporti con Perugia, all'inizio, permasero cordiali: appena assunto il govemo il C. nominò, d'accordo con il fratello lacopo, un procuratore per stabilire i confini tra la cortonese Valdipierle e i territori di Perugia e di Città di Castello. Ma ben. presto i molti amici e collegati dei Casali ch'erano ormai parte attiva nello schieramento visconteo dov ettero convincerlo a un passo al quale già il padre era stato tentato, tanto più che in tal senso doveva giocare la tradizione familiare ghibellina dei Casali. Mentre i Fiorentini erano occupati nell'estate del 1351 in Mugello contro Giovanni da Oleggio che assediava Scarperia, e i Tarlati, gli Ubertini, i Pazzi di Valdarno correvano il Casentino e l'Aretino, il C. si accordò con la famiglia aretina dei Brandaglia per occupare di sorpresa la città d'Arezzo. Anche milizie dei di Vico e di Nolfo di Montefeltro partecipavano all'operazione, che si qualificava pertanto come una mossa perfettamente in armonia con la strategia viscontea in Toscana. Ma la congiura in Arezzo fu scoperta e il colpo di mano sventato mentre nel frattempo (ottobre 1351) Giovanni da Oleggio abbandonava l'assedio di Scarperia. Sotto la minaccia di un'irata controffensiva perugino-fiorentina, il C. si strinse ancor più agli alleati dei Visconti: uno strumento notarile del 4 genn. 1352 perfezionava l'intesa tra i Casali e i Tarlati costituendo l'arcivescovo Giovanni arbitro delle ultime pendenze.
In fondo peraltro, fino ad allora, il C. non aveva fatto niente che tendesse direttamente a spezzare l'alleanza con Perugia, anche se in pratica già i fatti d'Arezzo l'avevano incrinata. I Perugini ebbero dunque buon gioco a fingersi traditi quando, nel febbraio 1352, il C. assalì di sorpresa il territorio perugino alla testa di milizie fornitegli dagli Ubaldini, dai Tarlati, dai Montefeltro e altri. La risposta fu pronta: tra aprile e maggio il Cortonese fu messo a sacco dai Perugini. L'occupazione del castello di Bettona, salutata come un grande successo, rischiò di mutarsi in fatale trappola: chiuso nelle mura, il C. si salvò solo fuggendo travestito, mentre i Perugini, affiancati da forze senesi e fiorentine, rientravano in Bettona il 19 agosto. Altrettanto deludente risultava l'assedio a Montecchio Vespone, giacché il Tarlati incitava occultamente i difensori a resistere non intendendo lasciare al C. una tale preda. Il fronte visconteo era quindi percorso da sotterranee invidie, da vecchie inimicizie mai veramente superate.
D'altra parte ormai la guerra fra il Visconti e i Comuni toscani si andava esaurendo. Il pontefice stesso incitava alla pace, mentre d'altra parte si profilava il rischio d'un intervento politico di Carlo IV re di Boemia. Tutti i belligeranti si orientarono concordemente verso le trattative parziali, in vista di una generale cessazione del conflitto. Anche il C. cercò di accordarsi coni Perugini, con la mediazione di Francesco Gambacorta e di Firenze. I cronisti perugini ci hanno tramandato con evidente soddisfazione l'immagine del C., venuto in Perugia il 25 febbr. 1353 più come supplice che come controparte, e disposto ad offrire il pallio omis annuale a S. Ercolano in segno di sottomissione. I capitoli della pace generale di Sarzana d'un mese dopo confermavano i patti stabiliti con Perugia: il C., con i fratelli Iacopo e Lipparello, era tenuto a non avvicinarsi alla città d'Arezzo a meno di due miglia; a permettere il rimpatrio e la riassunzione dei beni a tutti gli esuli cortonesi dell'ultimo biennio, eccetto alcuni casi particolari; su una questione specifica - quella del castello di Alammi - l'arbitrato fu lasciato a Firenze.
All'indomani della pace di Sarzana il C. sarebbe tornato volentieri all'ordinaria amministrazione, com'è dimostrato dal fatto che immediatamente nell'aprile si dette alla revisione delle gabelle. Ciò non era d'altro canto facile. Il Cortonese era mmacciato dal passaggio delle compagnie di ventura, che la fine della guerra - aveva lasciato disoccupate; e anche in città i vecchi e nuovi avversari, resi più arditi dalla sua poco brillante figura nella guerra del 1351-53, dovevano aver rialzato la testa. Il suo correre incontro all'imperatore, che nel marzo del 1355 gli confermò il titolo di vicario imperiale, deve essere stato in gran parte un gesto dettato dalla necessità di rafforzare il più possibile, dal punto di vista della legittimità formale, una posizione signorile che egli avvertiva come poco salda. Con i Tarlati e i conti di Santafiora il C. sostenne la politica imperiale anche in Siena.
Datano da allora i sempre più stretti rapporti del C. con questo Comune. Le mire perugine su Montepulciano avevano creato un clima di tensione tra Siena e Perugia ed era naturale che entrambe le città cercassero di ottenere l'appoggio di Cortona, indispensabile in quella evenienza se non altro per motivi territoriali. Data la soggezione a Perugia stabilita dai patti del 1353, e il rancore che il C. covava contro quella città, si comprende che egli si spostasse verso Siena alla ricerca di un nuovo, meno odioso protettore. Da parte loro i Senesi vedevano nella loro influenza su Cortona un, antidoto all'influenza perugina su Montepulciano. Fu così che, nel 1357, il C. si diede a Siena: egli fu fatto cittadino senese, ottenendo dal Comune una guarnigione di fanti e di cavalieri. Di quest'ultima misura v'era fondato motivo: nella notte fra il 10 e l'11 dicembre, i Perugini tentarono, certo con l'aiuto di qualcuno all'interno, un colpo di mano su Cortona, fallito il quale posero l'assedio alla città. Invano Firenze tentò la mediazione. L'atto ufficiale di alleanza tra Senesi e Cortonesi veniva stipulato l'8 genn. 1358, e in seguito ad esso Siena scese direttamente in guerra, sotto il capitanato generale di Nolfo d'Urbino.
Fu certo con l'incoraggiamento di Perugia che Iacopo, fratello del C., cercò nel febbraio di impadronirsi del cassero di Cortona e di rovesciare la signoria del fratello. Lo stratagemma architettato da Iacopo non funzionò solo perché il custode del cassero aveva l'ordine di non consegnare la fortificazione a nessuno dei due fratelli se non con il consenso esplicito dell'altro. Questo particolare ci illumina su due fatti: primo, che la signoria casaliana era fin lì a carattere più familiare che personale; secondo, che tra i due fratelli non correva già da tempo buon sangue. Non è neppur escluso che fossero partigiani di Iacopo quelli che avevano favorito l'assalto perugino del dicembre 1357. I fatti del febbraio 1358 al momento parvero risolversi amichevolmente, ma in seguito Iacopo, temendo le vendette del fratello, si rifugiò in Siena. Anche il fratellastro Lipparello entrò, nel medesimo anno, in conflitto con il C.: evidentemente, nonostante fosse celebrato per la sua mitezza, il C. non permetteva ai familiari di fargli ombra nella signoria.
Dopo una prima fase piuttosto felice, le operazioni militari presero una piega alquanto sfavorevole per Senesi e Cortonesi, tanto che Firenze - occupata a fungere da mediatrice e confortata da ampia fiducia da parte senese - cominciò a ventilare che, se i Perugini avessero accettato di sgombrare il contado senese che ormai occupavano, Montepulciano avrebbe potuto esser loro concessa senza ulteriori contese, e il C. scacciato da Cortona. Il C. comprese bene che, se le sorti della guerra non si fossero risolIevate, Siena avrebbe finito con il far pagare a lui l'intero prezzo del comune insuccesso. Mediocre comandante militare, era un discreto politico, e fece un corretto esame della situazione arguendo che gli occorreva subito: primo, ristabilire il proprio prestigio con qualche vittoria militare; secondo, proporsi come protagonista a sua volta delle trattative di pace e successivamente approfittare del terreno riguadagnato per negoziare da posizioni di forza con i Senesi, che nonostante tutto rimanevano il suo unico sostegno. Difatti conseguì, con una rapida puntata, una brillante vittoria a Montecchio Vespone; poi aprì con la mediazione di Giovanni da Varano delle trattative di pace con Perugia, per valorizzare le quali si dava contemporaneamente a scorrerie contro le forze perugine; infine, pur mantenendo con ostentata lealtà i suoi impegni con i Senesi, cominciò ad instillar loro sottilmente il dubbio che la loro alleanza non gli fosse così indispensabile come credevano. Difatti scelse un podestà fiorentino e ritirò l'offerta che aveva fatto a Siena di fondare una terra nuova sulle colline prossime alla Valdichiana.
Il logoramento delle parti, con il pericolo di un rinnovarsi dell'ingerenza milanese - che i Fiorentini intendevano in ogni modo scongiurare -, fece sì che nell'ottobre 1358 si giungesse alla pace. Siena, per quanto militarmente non avesse avuto la meglio, fu diplomaticamente favorita: Montepulciano era tenuta a riconoscere la signoria di Siena, e - per quanto si ribadisse una certa qual soggezione di Cortona a Perugia - i Senesi ricevettero il diritto d'ingerirsi anche su ciò sotto forma arbitrale. Conseguenza logica di questi patti risultò il fatto che il C., pur non rompendo né con i Perugini né con i Fiorentini, entrò sempre più nell'orbita di Siena alla quale, nel febbraio del 1360, finì con l'accomandarsi per 35 anni. Nella lega quadriennale stipulata a Staggia tra Firenze e Siena il 9 marzo 1360, il C. figura infatti quale accomandato di Siena.
Dopo tale data, poche notizie ci restano di lui; sappiamo che nell'aprile del 1362 trattava come intermediario la condotta di alcuni mercenari ungheresi al soldo della Chiesa, e in quello stesso mese emanava alcuni provvedimenti in favore dei contadini impoveriti dalla guerra; ricomparsa la peste - causa i molti passaggi di venturieri, e del resto endemica in area chianina -, il C. ne morì il 12 luglio 1363, a Cortona o nella rocca di Pierle. Aveva fatto testamento il 21 giugno antecedente.
Il C. si era sposato due volte. Da Bartolomea di Francesco di Tano degli Ubaldini (sposata per volontà paterna, e di cui non abbiamo notizie che ce la mostrino vivente dopo il 1349) aveva avuto Francesco, che gli successe, e Antonia; di un altro figlio ch nome Antonio, scomparso in giovane età, si hanno solo insicuri indizi. Alcuni genealogisti vogliono fare figlia di Bartolomeo e di Bartolomea anche Giovanna che nel 1376 sposò Francesco Baldacchini, ma su ciò i pareri sono discordi. Dalla seconda moglie, Beatrice di Francesco Castracani, nacquero Uguccio Urbano e Ranieri. Ebbe inoltre un figlio naturale, Stefano detto Spica. Con Beatrice Castracani il C. si dimostrò sempre singolarmente condiscendente, e su suo intervento ne beneficò a più riprese i familiari. Nel 1361 costituì per esempio la dote a Isabetta, sorella di Beatrice, sposa di Azzo di Francesco degli Ubertini di Arezzo. Ancora, accettò che un fratello di Beatrice, Niccolò, figurasse tra gli stipendiari del Comune di Cortona pagati da Siena.
Fonti e Bibl.: Città di Castello, Archivio comunale, Laudum Branchaleonis 1354, cc. 115; Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico. Riformagioni, 1360, 6 marzo; Ibid., Signori, carteggi. Missive I cancelleria, XII, cc. 13r-19r, 39r, 44r, 101v; Ibid., Signori, carteggi. Responsive originali, filza V, n. 74; Ibid., Protocolli dei Capitoli, XIII, cc. 94-128; XIV, C. 130; Archivio di Stato di Siena, Concistoro. Deliberazioni, nn. 1, c. 37; 12, cc. 95, 105; 17, cc. 2, 3, 16; 18, cc. 81, 105; 19, c. 81; 20, c. 81; Ibid., Lettere al Concistoro, busta 1774, nn. 11, 17, 18, 29, 31, 32, 43, 44; Cortona, Biblioteca comunale, Pergamene dell'Accad. Etrusca, 1352, 9 ottobre; Ibid., ms. 124 (cod. misc. non ordinato): Registro vecchio del Comune di Cortona;Ibid., cod. cart. 415: Imbreviaturae autographae s. Rainaldi Toti nempe filii Christophori notarii Cortonensis, I, cc. 31, 53r, 59r, 60r-63r, 71r-72r, 73v, 81; II, cc. 1v-2r, 9v, 14r, 15r, 24r-26r, 69r, 70, 72r-73v; Ibid., cod. cart. 439: Notti coritane, VII, pp. 133 ss., 144; Ibid., cod. cart. 532: A. Sernini, Compendio delle cose di Cortona, pp. 7, 45, 49; Ibid., cod. cart. 540 (misc. non ordinata): F. Alticozzi, Storia della fam. Casali;Ibid., cod. cart. 550 (ms. misc. senza titolo), c. 3r; Firenze, Bibl. Marucelliana, ms. c. 380, II: F. Angellieri-Alticozzi, I sette principi, o signori della città di Cortona della famiglia de' Casali dall'anno MCCCXXV fino all'anno MCCCCIX. Dissertazione istorica, cc. 51r, 54v; M. Villani, Cronica, a cura di F. Gherardi Dragomanni, Firenze 1845, I, 2, capp. XXXVI s.; I, 3, capp. II, XVII, XXV, LII; I, 4, cap. LXXXIX; I, 5, cap. XXVII; Cronaca della città di Perugia nota col nome di "Diario del Graziani", a cura di A. Fabretti, in Arch. stor. ital., t. XVI (1850), 1, pp. 157 s., 167, 184-86; Cron. cortonesi di Boncitolo e d'altri cronisti, a cura di G. Mancini, Cortona 1896, pp. 49 s.; Donato di Neri-Neri di Donato, Cron. senese, in Rer. It. Script., 2 ed., XV, 6, a cura di A. Lisini-F. Iacometti, pp. 586-90; S. Ammirato, Istorie fiorentine, I, Firenze 1937, pp. 552 s., 600; E. Gamurrini, Istoria geneal. delle famiglie nobili toscane, et umbre, Firenze 1668-1679, I, p. 104; IV, p. 279; Documenti per la storia della città di Arezzo nel Medio Evo, a cura di U. Pasqui, III, Firenze 1937, n. 829, p. 154; D. M. Manni, Osservazioni istor. sopra i sigilli antichi de' secoli bassi, XXIV, Firenze 1775, pp. 108-10, 115; P. Uccelli, Storia di Cortona, Arezzo 1835, pp. 39-49; L. Bonazzi, Storia di Perugia dalle origini al 1860, I, Perugia 1875, pp. 436 ss.; G. Ghizzi, Storia della terra di Castiglion Fiorentino, I, Arezzo 1883, p. 51; G. Mancini, Cortona nel Medio Evo, Firenze 1897, pp. 137, 153, 180, 183, 194-212; G. Degli Azzi Vitelleschi, Le relazioni tra la Repubblica di Firenze e l'Umbria nel sec. XIV secondo i documenti del R. Archivio di Stato di Firenze, II, Dai registri, Perugia 1909, n. 381, pp. 99 ss.; G. Franceschini, Saggi di storia montefeltresca e urbinate, Selci Umbro 1957, pp. 30, 52; B. Frescucci, Il castello di Pierle, Cortona 1968, p. 32; N. Meoni, Visite pastorali a Cortona nel Trecento, in Arch. stor. ital., CXXIX (1971), p. 198; F. Cardini, Una signoria cittadina "minore" in Toscana: i Casali di Cortona, in Arch. stor. ital., CXXXI (1973), pp. 241-55; P. Litta, Le famiglie celebri ital., sub voce Casali di Cortona, tav. II.