CASALIS, Bartolomeo
Nacque a Carmagnola (Torino) il 9 nov. 1825 da Francesco e da Giacomina Pola. Universitario a Torino, ed amico di C. Nigra, D. Berti, G. B. Bottero e molti altri, prese parte alle agitazioni e alle dimostrazioni studentesche culminate nel mutamento politico del '48. Scoppiata la guerra d'indipendenza, fece propaganda per l'arruolamento degli studenti nell'esercito regolare; formata la compagnia volontari, "fu, col Nigra e col poeta D. Carbone, caporale di questa compagnia, e combatté a Peschiera ed a Rivoli" (Rosi). Finita la guerra si laureò in legge, e si dedicò all'esercizio della pratica forense. Il 18 febbr. 1858 fu eletto deputato del collegio di Caselle (elezioni suppletive). Nel 1860 intraprese la carriera statale nell'amministrazione attiva; dal 10 marzo al 10 agosto di quell'anno esercitò durante la dittatura Farini in Emilia le funzioni di consigliere di prima classe presso l'intendenza generale di Parma, e in quello stesso periodo resse anche, per una quarantina di giorni, l'intendenza di Valditaro.
Quando il Depretis, prodittatore in Sicilia, richiese la collaborazione di elementi non isolani nel disbrigo delle innumerevoli pratiche d'ufficio, il C. ottenne (11 agosto) le dimissioni pro forma e raggiunse l'amico. Il Cavour gli affidò l'incarico riservato di indurre il Depretis ad affrettare l'annessione dell'isola, e cioè di proseguire la missione che era fallita poco prima al comune amico Bottero. A Palermo il C. (che il 27 agosto era incaricato dal Depretis di recarsi a Torino per richiedere fondi, carabinieri e armi, e per esporre le "gravi condizioni del paese") fu presto in dissapori con A. Bargoni, il noto giornalista e futuro ministro, chiamato anch'egli a coadiuvare il Depretis (in una lettera del 20 settembre al Depretis, rimpiazzato dal Mordini, Bargoni criticò poi la confidenza accordata a uomini divenuti "organo della politica del conte di Cavour": Maraldi, pp. 570-71). Inviato da Napoli, dove aveva seguito Depretis, a Palermo, nella seconda metà di settembre, per ritirare le carte della prodittatura Depretis, avrebbe disturbato "la tranquillità" esagerando, secondo il Mordini (lett. al Bertani, 25 settembre del 1860), le perdite di Caiazzo e preannunciando l'arrivo di "una squadra sarda con reggimenti"; fu quindi fatto arrestare e poi affidato alla custodia del console sardo, intervenuto in suo favore, fino alla partenza del primo vapore.
Destinato dal Cavour al servizio dello Stato nelle province napoletane, il 18 ott. 1860 fu incaricato dal Farini, allora presso Vittorio Emanuele II a Pescara, di accertare, precedendo il Quartier generale del re, "i reali sentimenti della popolazione e la situazione politica e militare.
Partì da Pescara il 19, e si diresse verso Napoli passando per Ortona, Lanciano, Vasto, Termoli, Serino e Campobasso. Nel corso del viaggio maturò la convinzione che se l'armata sarda "tardava ancora qualche giorno ad entrare nel Napoletano" o se "Garibaldi avesse toccato una sconfitta, la reazione negli Abruzzi sarebbe stata generale" (lett. del 24 ottobre 1860). Giunto a Napoli il 23, trovò la città immersa in "una quiete profonda" e solo ansiosa di avere presto il nuovo re e un governo regolare.
Dopo il successo della missione, il 30 novembre fu incaricato dal Farini di recarsi in Cervinara e in altri comuni della provincia di Avellino, dove era segnalato un attruppamento di quattrocento reazionari, per ristabilire prontamente ed energicamente l'ordine, l'osservanza delle leggi e il rispetto della proprietà. Portato a termine l'incarico, rientrò a Napoli verso la metà di dicembre. Intanto era stato nominato "consigliere di governo" ed era stato collocato temporaneamente a disposizione del ministero dell'Interno in modo da poter rimanere a Napoli pronto a rendere servizi all'ufficio di luogotenenza. Come scriveva al Bottero (lett. del 17 dic. 1860), il governo stava pensando di dividere il Regno in quattro aree e di incaricare lui, il Bottero e i deputati Comero e Malmuzi di effettuarvi, in qualità di commissari straordinari con pieni poteri (si vedano i giudizi su questi "emissari cavouriani", in Passerin d'Entrèves, p. 205), accurate ispezioni sulle condizioni politiche, economiche e sociali.
Al C. toccarono le province degli Abruzzi Citeriore e Ulteriore (lett. del Farini, dicembre 1860 e 3 genn. 1861). Si trovava ancora a Chieti quando una lettera di C. Nigra, segretario generale di Stato (22 genn. 1861), lo invitò a rientrare subito a Napoli. Qui il C., sfibrato dalle "straordinarie fatiche" sostenute per il pubblico servizio, precipitò in una "malattia gravissima che per lunghi giorni diede luogo a temere della sua esistenza" (lett. del Nigra al ministro degli Interni, 14 apr. 1861). Ottenne quindi un congedo di tre mesi al termine del quale sarebbe dovuto restare a disposizione del ministero.
Il 13 giugno 1861, prima dello spirare del congedo, era nominato intendente del circondario di Pontremoli, rientrando così nell'amministrazione ordinaria. Il 17 nov. 1861 fu trasferito a Cesena, e il 17 ag. 1862 ad Asti, dove esercitò le funzioni di sottoprefetto fino al settembre 1867, quando, per sottrarlo alle tentazioni della "troppa vicinanza del suo paese", fu sbalzato in una sede lontana che, dopo che ebbe scartata Cosenza, fu Catania.
Nel frattempo non aveva cessato di occuparsi di politica, come dimostra la sua corrispondenza col Bottero e gli altri collaboratori della Gazzetta del Popolo di Torino (vedi, per esempio, la lett. del 2 genn. 1862 al Bottero nella quale difende Depretis, attacca i garibaldini, e invoca la dispensa dal servizio di una dozzina di prefetti).
Durante il 1865 (e anche oltre) nel quadro delle tensioni provocate dal trasferimento della capitale a Firenze, e della presunta involuzione municipalistica della Gazzetta del Popolo, fece un po' da mediatore ai contrasti insorti tra il direttore del quotidiano ed i suoi principali collaboratori, particolarmente C. Pisani, che allo stesso C. sembrava incline a fare il "direttore" più che il "collaboratore" (vedi sue lett. del 19 febbraio, 6 marzo e 1° maggio 1865, e del 30 luglio e 15 ag. 1866).
Collaboratore egli stesso della Gazzetta del Popolo, vi pubblicò in quegli anni alcune "lettere" sull'amministrazione delle prefetture e sottoprefetture e sui consigli provinciali, giudicate dall'amico giornalista Melino un po' ridondanti e prolisse e non molto vive nella sostanza e nella forma (vedi lett. del Melino, 4 febbr. 1866 e 22 genn. 1867).
Nominato il 21 nov. 1867 sottoprefetto reggente la prefettura di Catania, il 2 dicembre diramava un indirizzo programmatico del quale veniva rilevata una certa infelicità nello stile e nel lessico. Contrariato per non essere stato avvisato "per tempo dal governo" dell'arrivo in Catania del duca d'Aosta, indirizzò al ministro dell'Interno dapprima vibrate proteste e in seguito, dopo che questi lo ebbe ammonito ad essere "più misurato nelle sue comunicazioni col Ministro", la richiesta di essere sostituito nella carica da uno che "meritasse meglio la confidenza del Governo" (telegrammi del 27 e 28 febbr. 1868). Accettate le dimissioni il 5 aprile, e revocata l'8 apr. 1868 la sua nomina (con decreto del 22 marzo) a sottoprefetto del circondario di Treviglio, implicante a suo giudizio "degradazione e biasimo", rimase per quasi due anni privo di incarichi. Il 28 febbr. 1870 fu finalmente nominato reggente della prefettura di Catanzaro. Nel capoluogo calabro, dove il 15 aprile si presentò con un indirizzo inflorato di singolari ridondanze, fu subito sul piede di guerra: contro la "cattiva tenuta della contabilità" della prefettura, contro la piaga del brigantaggio, contro la corruzione degli organi locali sottoposti al suo controllo, contro le supposte mene repubblicane del Partito d'azione.
Queste ultime furono causa, nell'estate del 1870, di spiacevoli contrasti tra il C. e il generale Sacchi, comandante la divisione territoriale. Dopo i rovesci di Napoleone III che rendevano concreta la prospettiva di transizione ad un regime repubblicano in Francia e non soltanto in Francia, il C. si era convinto che il tentato sbarco di Mazzini in Palermo, l'insurrezione di maggio e il tentato sbarco dei suoi capi sulle coste del circondario di Nicastro, "le congreghe di tutti i repubblicani amici del Menotti nella città" fossero anelli di una stessa catena preludenti ad una "più vasta insurrezione contro il Governo del Re" le cui fila si riannodavano nelle mani di Menotti Garibaldi, residente in Catanzaro (lettere al ministero degli Interni, 15 e 16 ag. 1870). Il Sacchi invece, sollecitato dal C. a predisporre eccezionali misure di sorveglianza, riteneva non essere il caso. Donde l'insorgere di un dissidio che il C. (lett. al ministero degli Interni, 16 agosto) ritenne sanabile soltanto o con la sua rimozione o con la rimozione del generale.Incurante di popolarità e fermo nella tutela della legge e dei principî monarchici, come non aveva esitato a decretare lo scioglimento del contratto dell'impresa "Fazzari" per un traforo e a sorvegliame rigorosamente le operazioni di liquidazione (nell'impresa avevano parte i figli di Garibaldi e parecchi cittadini facoltosi di Catanzaro), così non si peritò di sfidare il locale municipio bloccandone le irregolari concessioni di terreni comunali e la arbitraria calmierazione di prodotti di consumo. Le persone lese nei loro interessi fomentarono un attrito che sfociò in una guerra ad oltranza; le cose furono spinte a tal punto che fu necessario far ricorso ad una misura estrema: lo scioglimento del Consiglio comunale (29 sett. 1870).
In un clima di crescente tensione si susseguirono provocazioni e dimostrazioni di ostilità da una parte e dall'altra. Il Consiglio di amministrazione del liceo ed il Consiglio scolastico, e anche quello della Congregazione di carità si dimisero per protesta contro l'atto del C.; il Consiglio provinciale, per ripicca (seduta del 10 ottobre), votò la soppressione nel bilancio di un fondo per il mantenimento delle squadriglie destinate alla repressione del brigantaggio nella provincia. Intanto la diatriba rimbalzava sui giornali. La Nazione di Firenze (18 ottobre), dando una versione dei fatti sfavorevole al C., ne chiedeva la rimozione. In una lettera al Bottero del 28 ott. (da Carmagnola, dove fruiva di un congedo intervenuto opportunamente a calmare un po' gli animi), il C. accreditava il sospetto che a monte dell'animosità della Nazione ci fossero gli intrighi di quel Fazzari che a Firenze inseguiva "altri pingui guadagni".
Sostanzialmente favorevole al C. risultò invece il rapporto sollecitato dal ministero degli Interni alla Procura del re presso la Corte di appello delle Calabrie. Vi si affermava che il C. era "piuttosto stimato" nella provincia e andava sostenuto" pel vero benessere di quella amministrazione comunale e per mantenere il principio di autorità". Pur persuaso che il C. non avesse dimostrato molto tatto, il ministero fece propria la tesi del procuratore e mantenne il prefetto al suo posto. Il Lanza mandò anzi al C. la decorazione di ufficiale della Corona (lett. del C. al Bottero, 22 genn. 1871, in cui si denuncia il rubare "a man salva" che si faceva nella provincia da tutti "poveri e ricchi, plebei e nobili, non esclusi gli uomini politici che fanno della Deputazione un mercimonio"). Restavano tuttavia discutibili varie iniziative del C. (Arch. centr. dello Stato, Ministero degli Interni, C. B., Prefetto di Catanzaro, estratto dal registro per gli appunti di lode e biasimo dei Prefetti e Sottoprefetti, p. 37). Il 30 nov. 1870chiese il rimborso di L. 1.481,75 spese senza autorizzazione in occasione dei festeggiamenti in Catanzaro del plebiscito romano, ma incontrò il rifiuto del ministro.
Tornata ormai la città tranquilla, espresse il desiderio di avvicinarsi un poco alla numerosa famiglia. Con decreto del 21 dicembre fu nominato prefetto di Avellino, che raggiunse il 2 febbr. 1872. Riuscì a guadagnarsi la benevolenza della popolazione avellinese (vedi sul n. 27 del Calabro, 16 apr. 1873, la notizia delle entusiastiche accoglienze riservategli al rientro da una licenza), ma ebbe altri attriti (Carte Crispi, fasc. 76) con il presidente del Consiglio provinciale (che tuttavia gli espresse l'apprezzamento per l'annientamento della banda Gagliardi) e con la Deputaz. provinciale. L'intransigente tutela degli interessi dello Stato lo spinse, alla fine di aprile 1873 (vedi il n. 12, 8 maggio 1873, del giornale locale La Cronaca)a contrastare l'attività della Commissione di sorveglianza per la vendita dei beni dell'asse ecclesiastico. E il suo operato fu dichiarato dal ministero delle Finanze, che il ministero degli Interni aveva interessato al caso, "pienamente giustificato dal lato della legalità, equità e convenienza per l'erario".
Nei primi mesi del 1874 dovette affiontare il caso Florestano Galasso, direttore provvisorio della scuola tecnica. Dopo aver trasmesso informazioni "sfavorevolissime" sul suo conto al ministero della Pubblica Istruzione, che gliele aveva richieste, ebbe poi varie motivate esitazioni nell'istruire l'ordinatogli processo amministrativo presso il Consiglio scolastico. Le giustificazioni forse non persuasero il ministero degli Interni che, ai primi di marzo, deliberò il trasferimento del C. a Macerata, trasferimento considerato dall'interessato, benché il ministero lo escludesse, un "atto di sfiducia". Nella nuova sede, raggiunta il 3 aprile, svolse come di consueto intensa opera per preparare le elezioni per la XII legislatura secondo "gli intendimenti del ministro".
Da Macerata guardava anche alla situazione politica generale e al Piemonte. Difendendo il Lanza, a suo giudizio "indispensabile all'equilibrio politico", esortava l'amico Bottero (25 settembre e 14 Ottobre) a non favorire, combattendolo e compromettendone la rielezione in un collegio di Torino o del Piemonte, il gioco reazionario della Consorteria. Proprio per questa stima ed amicizia, ai primi del 1875, il Depretis. lo incaricò di recapitare al Lanza talune avances per la formazione di un nuovo partito politico che aggregasse parte della Destra e parte della Sinistra tagliando fuori le estreme (Carocci, p. 64).
Caduta la Destra e formatosi il ministero Depretis del 25 marzo 1816, il nuovo ministro degli Interni Nicotera decise quel vastissimo movimento di prefetti che il Crispi aveva invocato nell'opuscolo I doveri del ministero del 25marzo, ed auspicato anche in un appunto anonimo rocci, p. 70). Benché il Correnti ritenesse il C. non idoneo a reggere una prefettura "ove ci fosse importanza di amministrazione e necessità di prudenza" (Carocci, p. 73), il 19 apr. 1876 il C. fu nominato prefetto di Genova, dove si insediò il 2 maggio.
A capo di questa provincia "ricca ogni giorno di accidenti più o meno gravi" (lett. al ministero degli Interni, 10 dic. 1876), restò quattro anni, sforzandosi di ispirarsi agli intendimenti governativi esposti dal Depretis alle Camere il 28 marzo ed ai doveri dei prefetti definiti dalla circolare ministeriale del 4 apr. 1876. Si prodigò soprattutto per contenere l'influenza dei clericali e dei consorti.
In coincidenza con la crisi del primo governo Depretis e la formazione del secondo (26 dic. 1877) il C. difese calorosamente in una lettera sarcastica al Bottero firmata "NN" (27 dicembre) il Nicotera, il Mancini e quel "cannibale di un Depretis", responsabili di "birbonate" varie e pronti a macchinarne altre, come la riduzione del macinato, il trasferimento ai privati dell'esercizio delle ferrovie, la nuova legge elettorale, un Senato parzialmente elettivo (alla difesa del secondo ministero dedicò anche le due lettere al Bottero del 5 e del 25 febbr. 1878).
Depretis cadde il 24 marzo, sostituito dal Cairoli. Gli approcci del primo al secondo avvennero proprio tramite il C. (Carocci, p. 2231, che in una lettera al Bottero da Roma (4 dic. 1879) delineava il progetto di "programma parlamentare" del terzo ministero Cairoli in carica da dieci giorni e con il Depretis titolare del portafoglio degli Interni. A Roma toccava con mano (lett. al Cerri, 22 dicembre) "l'inerzia fatale della sinistra" perpetuatrice del "vecchio sistema dei consorti e dei conservatori" di legittimare il "non fare" e il "non sfare". Nella stessa lettera, nella quale spezzava ancora una lancia a favore del Depretis ("colle sue lentezze, indecisioni e difetti, è ancora sempre il più sicuro elemento liberale"), dava per sicuro il suo trasferimento nella capitale e per assai probabile la sua destinazione alla prefettura.
Conosciutasi a Genova la notizia, si allarmò il debole partito liberale progressista che "malgrado le immense difficoltà" era impegnato, proprio con l'appoggio del C., a riordinare le fila ed a recuperare influenza a spese del "potentissimo" partito clerico-consorte. Secondo il C. però (lett. del 31 dic.) non era difficile trovare un altro prefetto liberale per Genova, e comunque non era "tanto questione di liberalismi nei Prefetti, quanto l'eguale difetto nei ministeri" il cui personale se ne infischiava dei prefetti, lasciandoli dormire e permettendo alla consorteria di avere "il suo pieno corso".
Il trasferimento a Roma, già apparso scontato tanto che il C. aveva preparato i bauli (lettera al Cerri, 17 gennaio 1880), incontrò invece grossi ostacoli e sfumò. "La caterva burocratica di tutti i ministeri, ed anche i politici che hanno paura della loro ombra", temendo da lui "un'azione più decisa in Roma", si erano messi a fare "un gran baccano". Resosi conto che anche il Depretis, "un po' scosso", nicchiava, il C. l'informò allora che "poco gli importava di andare a Roma... ma che a Genova dopo tutto il chiasso che se ne era fatto e dopo quattro anni di faticose lotte, non voleva più stare assolutamente".
Il 15 febbr. 1880 fu nominato prefetto di Torino, e si dispose ad andarvi "col proposito" di "fare della Prefettura il centro di tutte le forze vive del Governo attuale". Lo stesso giorno (forse in compenso alla rinuncia alla prefettura di Roma) venne nominato senatore. Ebbe così modo di tornare spesso a Roma e di ragguagliare con informate corrispondenze lo amico Cerri (o direttamente il Bottero) sull'attività non solo del Senato (e della Camera) ma anche del governo.
Si vedano per esempio la lettera del 13 dic. 1881 sui "margravi" e sui "cacciatori di crisi" del Senato, e sulla debolezza cronica del governo mai sicuro di avere una maggioranza, e la lettera del 18 seguente sull'"indecenza" degli alti funzionari dello Stato e della Corte che, a scrutinio segreto, votavano contro il governo e sulle disastrose condizioni generali della Sinistra senza maggioranza al Senato e che contava, del pari, l'esistenza di tanti nemici in ogni ministero e nelle stesse province.Dall'autunno del 1880 il C. aveva iniziato ad occuparsi di un affare che lo avrebbe trascinato in una spiacevole polemica con il prefetto di Firenze C. Corte, e coinvolto anche nel famoso processo a carico di Eugenio Strigelli, confidente di polizia non del tutto onesto, e di alcuni falsificatori di titoli di rendita pubblica e di biglietti di banca di vari Stati.
Posto a contatto con il C., lo Strigelli nel dicembre 1880aveva propiziato l'arresto a Milano di due falsari e messo sulle tracce di altri (cioè dei coniugi Wilkes e Colbert), sfuggiti a Torino all'arresto partendo per Firenze. All'arresto e al sequestro dei bagagli fu quindi interessato il prefetto Corte, il quale per ottenere rivelazioni essenziali Per identificare i capi dell'associazione delittuosa, promise sul suo onore impunità e libertà ai coniugi Wilkes che trattenne a Firenze. Il C. aveva però sin dal 29 dic. denunciato gli arresti di Milano e di Firenze, sicché l'autorità giudiziaria chiese la traduzione per il processo anche dei coniugi Wilkes. Con la mediazione del ministero degli Interni si stava cercando una via d'uscita, quando la pubblicazione sui giornali torinesi delle rivelazioni del Wilkes, trasmesse in via riservata al C. dal Corte, irritò questo a tal punto da fargli decidere l'immediata scarcerazione dei coniugi Wilkes. Il deterioramento dei rapporti tra i due prefetti raggiunse il culmine quando, nel corso del processo celebrato a carico dei falsari e dello Strigelli, i giornali pubblicarono alcune lettere scambiate tra il Corte e il C. e soprattutto quando, cominciate le arringhe, un avvocato della difesa rese pubblico uno scritto di un imputato morto in carcere nel quale si accennava alla cauzione che sarebbe stata versata per la liberazione della compagna del Wilkes dal di lei presunto ricchissimo padre. Atrocemente ferito dall'insinuazione, di cui attribuì la paternità al C., e contrariato dalle deposizioni di questo al processo (di cui i giornali avevano dato resoconti non molto precisi), il Corte espresse, su La Nazione di Firenze (12 e 15 febbr. 1881) il proprio sdegno per le insinuazioni e la volontà di essere sottoposto a procedimento penale. Il ministro degli Interni Depretis, che si affannava a soffocare la polemica pubblica di due prefetti, deplorò l'iniziativa del Corte (che rassegnò le dimissioni) ed anche la risposta pubblicata dal Casalis. I due prefetti, messi a disposizione, invocarono una commissione di inchiesta, che concluse i lavori il 16 maggio 1884 riconoscendo la sostanziale correttezza del comportamento del C., mentre, pur prendendo atto della buona fede del Corte, ne deplorò "l'infrazione della disciplina" e "lo scandalo che ne venne al pubblico" per la polemica sui giornali.Il 6 marzo del 1884 la Gazzetta piemontese aveva dichiarato di considerare il C. (collocato a disposizione due giorni prima) "interamente rientrato nel diritto privato" e aveva elencato una serie di motivi che reclamavano "il cambiamento del capo della Provincia". Risultatagli favorevole l'inchiesta, il 29 giugno 1884 il C. fu invece confermato prefetto di Torino, mentre il Corte, dopo aver respinto i risultati dell'inchiesta, rassegnava le dimissioni anche da senatore continuando (lett. del C. al Bottero, 28 maggio e 3 luglio) a complottare con gli avversari politici del Casalis.
Il C. considerò la riconferma "come una riparazione e nulla più", ma la sospensione servì a renderlo più prudente e meno impetuoso. In occasione dei disordini universitari del 10-12 apr. 1885 dimostrò perfino "longanimità e pazienza". Fattosi però "gran chiasso presso tutte le università", il Depretis ritenne opportuna una inchiesta. Quella giudiziaria trovò "corretta l'azione della forza, e faziosa la condotta degli studenti e Professori"; quella amministrativa, dal Depretis sottovalutata, e gestita dal ministro della Pubblica Istruzione M. Coppino, portò a uno scontro tra chi voleva la testa del C. e chi lo difendeva "con uguale furore". La conseguenza fu il desiderato esonero (decreto del 29 ott. 1885) dalla prefettura torinese, il collocamento a disposizione del ministero, e la contemporanea chiamata in missione a Roma per dirigere i servizi di Pubblica, Sicurezza. Dalla capitale il C. riprese ad inviare al Cerri accurate corrispondenze sulla situazione parlamentare e governativa (vedi le lettere del 29 gennaio, 13 e 22 febbraio, e 7 marzo 1886 sulle congiure ordite ai danni del "vecchio leone" e sulle manovre - cui partecipava anch'egli - per fargli assorbire il "farmaco nicoterino").
Morto il Depretis il 22 luglio 1887, il C. rimase privo del suo maggior sostegno politico. Già a disposizione dal 16 aprile, il 10 ott. 1888 fu collocato in aspettativa "per ragioni di servizio", il 23 nov. 1889 fu posto in disponibilità, e infine il 7 maggio 1891 a riposo su domanda. Oltre alla gestione delle sue aziende agricole, gli rimase soltanto l'attività di senatore e quella di informatore politico della Gazzetta del Popolo, con la quale rimase in rapporti anche dopo la morte dell'amico Bottero.
Nel febbraio 1893 fu tra coloro che incitarono il Brin a defezionare dal primo ministero Giolitti ritenuto disonesto; ai primi di aprile 1894 presiedette a Carmagnola un meeting di oppositori alle spese militari programmate dal terzo ministero Crispi; nel luglio del 1897, formatosi il terzo ministero Di Rudini, fu tra quelli i quali auspicavano nuove elezioni. Il 24 marzo 1897, a Parlamento chiuso per le elezioni, in un colloquio tra il Rudini e il Farini il C. fu tra i proposti a collaborare con il presidente del Senato, bisognoso di un giureconsulto per le funzioni giudiziarie e di un letterato per dettare indirizzi. Nel marzo 1897 salutò con favore, attribuendone il merito al Brin, il presunto mutamento della politica estera governativa per l'Africa (Farini, II, p. 1161) e il 25 nov. 1897 prese posizione contro il decentramento, che volevano "gli avvocati e gli affaristi delle opere pie e delle aziende provinciali", da lui considerato un "parlamentarismo allargato alle 69 provincie", "proficuo agli intriganti" (lett. al Cerri).
Il C. morì a Torino il 13 maggio 1903.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. dello Stato, Carte Crispi, fasc. 76: Prefetti del Regno (1887); Ibid., Carte Depretis, passim;Ibid., Ministero Interni, fasc. personale B. Casalis - Fuori Servizio, versamento 1915; Roma, Museo centrale del Risorgimento, Lettere di Casalis a D. Farini e a P. S. Mancini e viceversa, buste 306 n. 50, 330 n. 1, 338 n. 58, 373 n. 14, 646 n. 30, 648 n. 24, 744 n. 4; Torino, Museo stor. del Risorg., Arch. Stor. Gazzetta del Popolo, particolarmente fasc. Bottero giornalista - Corrispondenza con B. Cerri, B. Casalis ed altri; Ibid., Fondo Casalis 1870-1903; Ibid., Arch. Nigra, 69/14 e Archivio Museo, 27/57. Oltre alla Commemorazione in Senato e ai "ricordi" dopo la morte in Conferenze carmagnolesi (Carmagnola), n. 1, 1903 e in La Stampa e La Gazz. del Popolo del 14 maggio 1914, vedi Relazione della Commissione d'inchiesta sulla condotta dei prefetti onorevoli Corte e C., in Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, 5 luglio 1884, pp. 3073-3081; C. Corte, Risposte ed osservazioni alla relazione della Commiss. d'Inchiesta sulla condotta dei prefetti C. e Corte, Torino 1884; Le carte di Giovanni Lanza, V, Torino 1937, pp. 137, 154, 158 s., 171, 239, 249; IX, ibid. 1940, p. 266; Carteggi di C. Cavour, V, La liberaz. del Mezzogiorno e la formaz. del Regno d'Italia, Bologna 1954, pp. 343 s.; Il nostro Prefetto, in Gazz. piemontese, 6 marzo 1884; E. Lineo, Ricordo, Roma 1898, p. 42; D. Farini, Diario di fine secolo, a cura di E. Morelli, Roma 1961-62, ad Indicem del II vol.; E. Angonova, Ricordo dell'inaugurazione della lapide in memoria di B. C. e di S. Vola (20 settembre 1908), Carmagnola 1908; A. Arzano, Il dissidio fra Garibaldi e Depretis sull'anness. della Sicilia (settembre 1860), Città di Castello 1913, pp. 12, 27, 46, 56, 57; C. Maraldi, La rivoluzione siciliana e l'opera politico-amministr. di Agostino Depretis, in Rass. stor. del Risorg., XIX (1932), pp. 434-574 passim;G. P. Carocci, Agostino Depretis e la Politica interna ital. dal 1876 al 1887, Torino 1956, ad Indicem;E. Passerin d'Entrèves, L'ultima battaglia polit. di Cavour, Torino 1956, ad Indicem; M. Missori, Governi, alte cariche dello Stato e prefetti del Regno d'Italia, Roma 1973, ad Indicem; M. Rosi, Diz. del Risorg. nazionale, ad vocem; T. Sarti, Il Parlam. subalpino e nazionale, Torino 1890, ad vocem.