CENCI, Bartolomeo
Di famiglia patrizia perugina, nacque in data non precisabile, ma compresa entro il primo quarto del sec. XVIII, da Pier Girolamo e dalla lucchese Maria Ortensia Gabrielli. Non si conosce la data della morte. In possesso di una buona cultura letteraria, lasciò testimonianza della propria vena poetica in una scarna raccolta di rime improntate al gusto "notturno" dell'Arcadia fimebre (Sonetti in Morte di Benvenutosuo figlio, Foligno 1793), ma ebbe il merito, storicamente più rilevante, di ricercare le memorie poetiche della propria famiglia e di trascrivere le testimonianze di quanti, fra giuristi e uomini di lettere, l'avevano illustrata nel campo della poesia.
Nacque così la silloge Rime di Bartolomeo Cenci perugino e di altri suoi discendinti, con le vite di ciascuno, Perugia 1780, che è una memoria antiquaria ristretta all'ambito familiare, un monumento tipico dell'erudizione dell'epoca ravvivata dal senso molto vivo cheebbe l'autore dei valori letterari che contribuirono nei secoli alla distinzione della propria famiglia nella vita della città. Lo stesso tributo poetico del C., che si inserisce al termine di tradizione illustre, vuole concludere, negli intendimenti dell'autore, un ciclo ben definibile di civile decoro più che imporsi in forma autonoma per il pregio dell'invenzione.
Il primo scrittore di cui il C. si occupa, e quello che dà il titolo all'intera raccolta di versi, è il perugino Bartolomeo Cenci, omonimo del C., figlio di Antonio e di Marsilia Perinelli, vissuto nella prima metà del sec. XVI e morto nell'agosto del 1560, dopo aver sposato una Girolama Vannoli dalla quale ebbe due figlie, Francesca e Foresta. Fu autore di rime, trascritte nell'antologia del C., che si iscrivono nell'ambito di un gusto petrarchistico già incline alla spiritualità della Controriforma. Forse non direttamente influenzati dalla riforma bembiana, questi versi risentono tuttavia delle esperienze degli epigoni del Bembo (soprattutto di Della Casa) nell'uniformare il dettato a un criterio di solenne meditazione sulla sorte umana, nella scelta dei temi morali, nella prevalenza delle rime di pentimento e di preparazione cristiana alla morte. Si tratta, nel complesso, di una poesia di scuola, che testimonia dell'egemonia petrarchistica anche in un ambiente, come quello perugino, che ben presto si distacca dalla costante lirica del secolo per approdare a forme più originali e caratteristiche.
Non a caso un altro cinquecentista rappresentato nella silloge del C., Lodovico Cenci, presenta una Lezione in cui si espone un sonetto del Coppetta, che è forse il maggior lirico perugino del Cinquecento, e le sue rime presentano in effetti una maggiore disponibilità verso esiti autobiografici eironici, una più sensibile versatilità espressiva. Ma Lodovico era soprattutto un uomo di legge e la biografia redatta dal C. ce lo presenta dedito alle controversie giuridiche e all'insegnamento del diritto, per cui la poesia forse non rappresentò che un nobile divago da attività pubbliche remunerate e impegnative, un'esercitazione, quand'anche prolungata, che egli svolse nell'ambito dell'Accademia degli Insensati. Nato intorno alla metà del sec. XVI da Francesco e da Faustina Randoli, fu soprattutto noto come autore del De censibus tractatus (Venezia 1621), di orazioni commemorative e di lezioni tenute nel pubblico Studio cittadino, lasciate manoscritte, e disperse. Nel 1592 sposò una Girolama Venturini dalla quale ebbe numerosi figli (uno di essi, Bernardino, si dedicò come il padre all'attività giuridica e forense); morì vecchissimo nel 1637 e dopo solenni esequie fu sepolto nella chiesa cittadina dei conventuali di S. Francesco.
Poco più che nomi sono quelli, registrati nell'antologia del C., di Filippo e di Bernardino Cenci, due letterati del Seicento, il cui manipolo, troppo esiguo di rime non permette di identificarne la fisionomia, mentre più distinta appare la personalità di Pier Girolamo, figlio di Bernardino e padre del redattore della memoria domestica, il quale, nato a Perugia nel 1699, si laureò in diritto nel 1716 svolgendo poi una proficua attività di giurista in patria e fuori.
Per questo personaggio ovviamente le notizie riportate dal C. si fanno più numerose e attendibili. Sappiamo che ottenne un seggio fra i giureconsulti collegiati di Perugia, svolgendo contemporaneamente la propria attività a Macerata e a Lucca, ove sposò Maria Ortensia Gabrielli. Dopo un soggiorno nel ducato di Massa. fece ritorno nel 1740 a Perugia, ove si dedicò all'insegnamento pubblico e alla professione legale. Fu membro dell'Accademia degli Insensati e autore di cantate per musica, di discorsi sacri ed accademici, di una commedia, La Vendemmia, che forse non fu mai recitata, e di un considerevole numero di rime di cui il figlio ci dà due saggi. Il C. menziona anche una raccolta di Decisiones, le Academicae legales exercitationes, oltre ad alcuni trattati (De Mulierum dotibus servandis e De bonis pupillorum servandis)e alla Descrizione storica di quanto occorse in Perugia nella Sede vacante dell'anno 1758.
Senza evadere dai limiti della memoria familiare, con una certa ristrettezza degli orizzonti di cultura che l'ambiente cittadino inevitabilmente comportava dopo oltre due secoli di storia provinciale, la silloge del C. offre un quadro abbastanza fedele delle attività pubbliche e delle ambizioni, delle esigenze e degli ozi che un ceto intellettuale tipico, noti soltanto nella città umbra, manifesta in una serie pressoché ininterrotta di epoche situabili tra Controriforma e Arcadia.
Perciò questo scritto ha un suo valore documentarlo, a prescindere dal pregio delle singole personalità e dalla fisionomia originale che seppero imprimere all'opera loro.
Bibl.: L'unico repertorio che menzioni l'opera del C. è quello di G. B. Vermiglioli, Biografia degli scrittori perugini e notizie delle opere loro, I, 2, Perugia 1829, pp. 318 ss. Per Lodovico: cfr. G. Guidiccioni-F. Coppetta Beccuti, Rime, a cura di E. Chiorboli, Bari 1912, p. 332. Cfr. inoltre G. Natali, Il Settecento, Milano s.d., ad Indicem.