CINCANI, Bartolomeo (Bartolomeo Montagna)
Figlio di Antonio "Cinchani" da Orzinuovi (Brescia), nacque poco prima del 1450 (L. Puppi, 1968, p. 20, ma v. Gilbert, 1967, p. 185). Che fosse nativo di Vicenza rimane da accertare; certo è ch'egli vi abitava fin da ragazzo col padre e i. fratelli, a partire almeno dal 1459 (Zorzi, 1916, pp. 101 s.). Mancando documentazioni sulla nascita, la data è approssimativamente dedotta dal fatto che nel 1467 egli non era ancora maggiorenne, mentre lo era certamente nel 1474, anno in cui è definito "pictore" (Zorzi, 1913 e 1916).
Nel 1469 è registrata la sua presenza a Venezia, forse per impararvi il mestiere o per perfopzionarlo; del 1476 e del 1481 sono le prime commissioni di cui abbiamo notizia, ma. per opere che non ci sono pervenute (Zorzi, 1916, pp. 103, 162-164; Mantese, 1964). Nel successivo 1482 è testimoniato il prestigio assunto ormai dal C. presso la Serenissima, dato che per la Scuola Grande di S. Marco gli furono commissionati due "teleri" con la illustrazione di due episodi della Genesi, distrutti nell'incendio del 1485 (Paoletti, 1894, pp. 11 s.; 1929, p. 132).
Fu certamente in conseguenza di questi soggiorni veneziani che si andò formando e consolidando il linguaggio figurativo dei C., quale si manifesta fin dalle prime opere giunte a noi: mezze figure di Madonna col Bambino e pale con Madonna in trono fra santi, nelle quali si sono indicate le evidenti ascendenze del Giambellino e di Antonello da Messina, ed insieme con esse altre componenti: quella mantegnesca, forse tramite i veronesi Morone e Bosignori; mentre quella di Alvise Vivarini, un tempo ritenuta fondamentale e quasi esclusiva, risulta oggi più limitata, e quella carpaccesca, indubitabile, è avvertibile in una fase successiva e va forse intesa più nel senso di dare e avere. Tutti questi elementi furono, comunque, dal C. assimilati e fusi in un linguaggio che si fece via via sempre più personale; e le opere che ne sortirono ebbero tale originale potenza da farlo emergere come una delle figure più valide della pittura veneta del secondo Quattrocento, subito dopo quelle, certamente più prestigiose e determinanti, del Giambellino e del Carpaccio. La volumetricità delle figure e degli oggetti in primo piano, rigorosamente modellati secondo un severo e solenne senso del ritmo in una luce calma e diffusa che si distende fino al lontano orizzonte, viene esaltata da un colore intenso che si coagula nella luce e che tocca ogni oggetto che in quello spazio è collocato, secondo una esigenza tutta veneta; senza tuttavia giungere mai alle soluzioni pretonali di un Giambellino e di un Carpaccio, nelle quali sono contenute le premesse della pittura tonale di Giorgione. Il C. rimane al di qua di quelle premesse, ma. riesce quasi sempre a creare, coi suo personale linguaggio, delle opere valide; e tocca, talora vertici che la moderna critica non esita a definire veri e propri capolavori, come nella Madonna fra due santi della collezione Caregiani a Venezia (ora Cini), che il Coletti, senza ombra di retorica, dichiara essere senz'altro "uno dei più alti capolavori del tempo" (1953).
La Madonna in trono fra i ss. Nicola e Lucia (ora nel Museo di Filadelfia, J. G. Johnson coll.), la Madonna fra i ss. Sebastiano e Rocco (ora a Bergamo, Accademia Carrara, firmata), la Madonna fra le ss. Monica e Maria Maddalena e la Madonna fra i ss. Onofrio e Giovanni Battista (entrambe ora conservate al Museo civico di Vicenza), le quali tutte sono generalmente ascritte alla fase giovanile, sono raffigurate all'aperto, quali senza e quali con pochissimi elementi architettonici, poggianti su piedistalli naturali di aspra roccia, quasi ad esprimere, con orgoglioso puntiglio, una vantata origine agreste. Ma subito dopo, a cominciare dalla complessa pala del Museo civico di Vicenza con la Madonna in trono col Bambino fra quattro santi e tre angeli musicanti, che viene a conclusione della fase giovanile e ad inizio di quella della maturità, verso il 1490 o poco oltre, inizia una serie di dipinti in cui la composizione si inquadra in una grandiosa incorniciatura architettonica, simbolo e incamazione del rigoroso codice prospettico cui il pittore si sottopone e sottopone qualunque elemento della realtà visibile. Il C. mostra di aver acquisito piena coscienza della raggiunta maturazione umanistica e ne fa, si direbbe, ostentata professione di fede, con una evidenza che non ha riscontro in nessun altro maestro veneto coevo.
Seguono opere in cui la prevalenza ora della cornice architettonica ora del motivo paesistico si alternano, come nelle pale di S. Giovanni Ilarione e della certosa di Pavia (del 1490: vedi Arch. stor. lombardo, VI [1879], p. 136), nel trittico col Noli me tangere di Berlino Dahlem, nella pala di Cartigliano, nella tavola col S. Gerolamo, di Ottawa (Nat. Gall. of Canada: un tempo ritenuta del Carpaccio), fino a culminare nella superba pala della Pinacoteca di Brera, datata 1499, nella quale l'elemento architettonico, pur prevalendo solennemente su quello figurativo, ne valorizza ed esalta i potenti ritmi volumetrici. È questa l'opera che segna il punto più alto della parabola ascendente della pittura del Cincani.
Una serie di dipinti successivi, datati o databili, lo mostrano sempre attivo ad un livello elevato e non privodi variazioni e novità: la Pietà di Monte Berico, del 1500, e la Natività della parrocchiale di Orgiano (Vicenza), recante la stessa data (Puppi, 1962, p. 115), l'affresco con la Natività del duomo di Vicenza, distrutto nel 1944, "ardito, tentativo d'ambientazione" (Arslan, 1956, p. 35), databile anch'esso verso il 1500 (Borenius, 1912, p. 50), "o poco dopo" (Puppi, 1962, p. 160). E di questo stesso momento è ritenuta la bella tavola della Pinacoteca di Brera con S. Gerolamo, entro una vasta e variata apertura paesistica ingioiellata di motivi architettonici. Lo stesso soggetto sarà ripetuto, con sostanziali varianti, nella ben più tarda tavola della Carrara di Bergamo, in una soluzione pittorica da cui traspare l'ambizione di emulare l'ultimo Giorgione.
Ora si intensifica l'attività di frescante del C., ed in concomitanza con essa (e forse anche in conseguenza), si manifestano invenzioni nuove, un più spregiudicato modo di comporre con la rottura delle simmetrie ed una forte attenuazione delle compatte volumetrie, e con un accrescimento del numero delle figure, più mosse, reaIistiche, pittoriche, secondo le nuove esigenze del gusto. Ciò si realizza già negli anni 1504-1505 nella serie di affreschi della cappella di S. Biagio, nella chiesa veronese dei ss. Nazaro e Celso, illustranti, fra l'altro, quattro episodi della vita del santo, di cui quello del Martirio è un deciso ricordo, forse deliberato omaggio, del Martirio di s. Sebastiano che Antonello da Messina dipinseper una chiesa veneziana nel 1475- In stretta relazione, iconografica e cronologica, con l'affresco veronese è il dipinto con il S. Pietro (Venezia, Gall. dell'Accademia, già Padova, coll. Papafava).
A Padova, subito dopo il ciclo veronese, il C. è presente, ancora come frescante, nel 1506 per eseguirvi i cento ritratti di Vescovi nella sala grande del vescovado (Sambin, 1962, pp. 104-108). Ed è forse di questo momento felice anche la ariosa, ardita Crocifissione, pure a fresco, del refettorio vecchio del convento benedettino di Praglia.
Del 1507 sono la pala della Accad. di Venezia, già nella chiesa veronese di S. Sebastiano, ed il Cristo benedicente di Columbus, Ohio (Gallery of Fine Arts); e di quel momento probabilmente sono anche il drammatico Ecce Homo del Louvre ed il Cristo portacroce del Museo civico di Vicenza, a cui si è aggiunto recentemente il Cristo alla colonna dei Musei di Berlino Dahlem (Oertel, 1977).
Nel 1509 è attestata la presenza del C. a Vicenza (Zorzi, 1916, p. 98), ma nel 1512 è di nuovo a Padova per affrescarvi, nella Scuola del Santo, la Ricognizione del corpo del santo (Cocco, 1914, pp. 6 s.), opera eccezionale nell'arco dell'attività dei Montagna: per la grande quantità di figure assiepate e per la chiarità e morbidezza del colore con lieve chiaroscuro, dovute l'una all'influsso, certo mediato, del Raffaello della Messa di Bolsena (Morassi, 1956, p. 30) e della Cacciata di Eliodoro (Grossato, 1966, p. 36), le altre a quello del giovane Tiziano, ch'era stato attivo un anno prima nella stessa Scuola.
Di un momento immediatamente successivo si può ritenere la solenne pala della chiesa di S. Maria in Vanzo, sempre a Padova, che segna un ritorno a posizioni che sembravano superate dopo l'affresco della Ricognizione (Puppi, 1962, , pp. 67 s.), ma che non è priva di aspetti interessanti, quale la ambientazione architettonica. sempre aperta sul paesaggio, ma con strutture orizzontali e semplificate, già sperimentate in alcune Madonne e poi ripetute nella pala di Lonigo (l'opera, conservata un tempo a Berlino, risulta ora dispersa).
Si giunge così alla fase estrema dell'attività del C., piuttosto stanca, come dimostrano, fra l'altro, la pala della chiesa di Sarmego e quella del duomo di Vicenza, nelle quali si intravvede ormai la collaborazione del figlio Benedetto (Puppi, 1958, p. 58), e le Madonne di Detroit, del Correr di Venezia, della Vaticana: tutte opere nelle quali alla ripetizione di strutture e moduli consueti si associa un infiacchimento del colore, mentre l'incupimento fumoso delle ombre ha perduto la vigorosa funzione struttiva.
Gli ultimi documenti (del 1517, '20, '21, '23, Puppi, 1962, p. 78; Zorzi, 1916, pp. 112, 168-73) ciindicano il C. a. Vicenza, ancora impegnato nella sua attività, ma già testante nel 1521. Il C. morì a Vicenza l'11 ott. 1523.
Dei figli del C. e di Paola Crescenzio, di Valdagno, i furono pittori, molto probabilmente collaboratori del padre, oltre a Benedetto, il primogenito Filippo, che da un documento del 6 ott. 1498, in cui il padre lo nomina a Vicenza suo procuratore (Zorzi, 1916, p. 109), si deduce debba essere nato prima del 1478, e Paolo, anche lui nominato procuratore del padre in documenti del 17 giugno 1505 e del 23 nov. 1507 (Zorzi, 1916, p. 110). Entrambi, non figurando nel testamento del C., redatto il 5 ott. 1521, si arguisce fossero già morti a quella data. Non abbiamo nessuna notizia circa la loro precisa attività e le loro opere.
Fonti e Bibl.: P. Paoletti, Racc. di docc. ined. ..., I, Padova 1894, ad Ind.;P. N.Ferri, Idisegni e le stampe della Bibl. Marucelliana..., in Boll. d'arte, V(1911), pp. 287-240; T. Borenius, Ipittori di Vicenza, Vicenza 1912, s. v.; G. G. Zorzi, Ilvero cognome del Montagna, in Giorn. di Vicenza, 17 ag. 1913; E. Cocco, L'opera di B. Montagna nella "Scuola del Santo" a Padova, in Nuovo Arch. veneto, n.s., XXVIII (1914), pp. 6 s.; G. G. Zorzi, Contrib. alla storia dell'arte vicentina dei secc. XV e XVI, Venezia 1916, ad Ind.;P. Paoletti, La Scuola Grande di S. Marco, Venezia 1929, ad Indicem;L. Coletti, La pitturaveneta del '400, Novara 1953, p. LXXIV; Inv. degli oggetti d'arte d'Italia, W. Arslan, Vicenza. Le chiese, Roma 1956, ad Indicem;A. Morassi, Tiziano. Gli affreschi alla Scuola del Santo, Milano 1956, p. 30; L. Puppi, Appunti su Benedetto Montagna pittore, in Arte veneta, XII(1958), pp. 53-62 passim;Id., B. Montagna, Venezia 1962; A. M. Romanini, Una Madonna di B. Montagna, in Commentari, XIII(1962), pp. 42-47; P. Sambin, Nuovi documenti per la... pittura in Padova dal XIV al XVI sec., I, in Bollettino del Museo civico di Padova, LI (1962), 1, pp. 104 108; N. Gabrielli, Gall. Sabauda. Maestri ital., Torino 1971, p. 177, fig. 64 (Cristo benedicente, firmato e datato 1502); L. Puppi, Qualche novità montagnesca, in Emporium, LXX (1964), 833, pp. 195-204; G. Mantese, Notizie intorno a tre opere d'arte perdute, 1) B. Montagna e la pala d'altare nella capp. di S. Giustina in cattedrale, in Studi in on. di A. Bardella, Vicenza 1964, pp. 235-254; F. Barbieri, Nuovi app. sull'attiv. del Montagna..., in Maestri e opere d'arte del Quattrocento, Vicenza 1965, p. 240; L. Grossato, Affreschi del Cinquecento in Padova, Milano 1966, ad Indicem;L. Puppi, Album vicentino..., in Arte veneta, XX (1966), pp. 236-240; C. Gilbert. recens., a L. Puppi, 1962, in Art Bulletin, XLIX (1967), pp. 184-188; L. Puppi, Postilla..., in Arte veneta, XXII(1968), p. 219; C. H. Clough, The painter and the hermit: a Montagna fresco, in Apollo, XCIII(1971), 108, pp. 99 ss.; B. F. Fredericksen-F. Zeri, Census of Pre-Nineteenth Cent. Ital. paintings..., Cambridge, Mass., 1972, p. 143; L. Puppi, Un'integrazione al catalogo e al regesto di B. Montagna, in Antichità viva, XIV(1975), 3, pp. 23-29; C. Wright, Oldmaster paintings in Britain, London 1976, p. 140; R. Oertel, Christus an der Geisselsäule von B. Montagna..., in Festschrift für Otto v. Simson, Frankfurt am M.-Berlin-Wien 1977, pp. 209-219; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XXV, pp. 74-76, sub voce Montagna Bartolomeo (con bibl.); Encicl. Ital., XXIII, p. 712, sub voce Montagna Bartolomeo.