CODELUPI, Bartolomeo
Nato probabilmente nella seconda metà del sec. XIV a Verona, vi esercitò il notariato. Il suo nome figura nei Libri dell'Estimo del Comune sotto le date 1409 e 1418, ma è già assente dal registro del 1425; ciò può fare supporre che egli sia morto tra il secondo e il terzo decennio del sec. XV. Non possediamo altre notizie relative al C. né alla sua famiglia. Sotto il suo nome è stato trasmesso dal cod. Rossiano 729 della Biblioteca Vaticana un ritmo latino che, tramandato senza alcuna indicazione da altri codici (Venezia, Bibl. Marciana, Marc. It. 66; Verona, Bibl. comunale, cod. 1393) viene qui preceduto dalla seguente rubrica: Sequentia rusticorum undique degentium edita per Bartholomeum notarium de Codelupis de Sancto Sirio Verone.
La sequenza fu rinvenuta da L. Suttina, che la pubblicò, accompagnandola con una breve presentazione, in Studi medievali (1928). Egli ritenne che il C. fosse stato soltanto il compilatore e il possessore del manoscritto, risalente secondo i caratteri della scrittura alla prima metà del sec. XV. M. Pelaez nel '35 considerò invece il C. autore del ritmo, la cui composizione dovrebbe essere posta tra la fine del sec. XIV e gli inizi del XV. Ma la congettura, per la scarsità dei riscontri, non appare definitivamente convincente. L'analisi testuale tuttavia conferma l'attendibilità della lezione del cod. Rossiano nel confronto con gli esemplari che già si conoscevano. La redazione del testo che esso ci offre è certamente più antica di quella del cod. 1393 della Biblioteca comunale di Verona (fine secolo XV) e soprattutto delle due redazioni del cod. Marciano It. 66 del XVI secolo, che, prive dell'indicazione dell'autore e del possessore, erano da tempo note agli studiosi. In particolare F. Novati aveva scoperto e pubblicato (1883) il ritmo (nella duplice redazione marciana) con il titolo De natura rusticorum ed aveva intuito l'opportunità di retrodatare la composizione rispetto al periodo di stesura del codice, in considerazione del fatto che nel secolo XV non si scriveva quasi più in latino con forme ritmiche. Il raffronto con le versioni rossiana e veronese permette di stabilire che l'amanuense del cod. Marciano conosceva ormai imperfettamente il testo, trascritto con molte lacune e con frequenti inversioni dell'ordine dei versi o addirittura con varianti testuali che alterano profondamente il significato di non pochi passi. Inoltre lo spostamento dell'ordine delle strofe (riscontrabile anche tra le due più antiche e migliori versioni V e R) rende precario il ripristino del testo che il cod. Rossiano riproduce comunque in maniera preferibile.
La mancanza di notizie dirette sull'ambiente di composizione del ritmo lascia ampio margine alle congetture; ma se appare problematica la definizione delle sue ascendenze, non è difficile determinarne la collocazione all'interno di un genere letterario che fu a lungo diffuso. La sequenza è infatti un esempio di quella polemica anticontadina nota come "satira contro il villano", che percorre tutto il Medioevo europeo e riprende con particolare accanimento nell'età rinascimentale. Il componimento tuttavia appare estraneo sia all'area della cultura umanistica, che dopo il Petrarca del De remediis svolgerà attraverso questo motivo (a partire dai Rusticalia del Vegio) come una sorta di controcanto all'imperante gusto bucolico, sia al filone popolareggiante, che con valenze differenti sarà presente in molti scrittori del Cinquecento. L'autore della sequenza è invece ancora legato ad un gusto tipicamente medievale, che si avverte, oltre che nell'uso del ritmo latino, nel generale tono moraleggiante particolarmente esplicito nei versi conclusivi che hanno la perentorietà della chiusa di un sermone: "Boni semper diligendi, / mali vero sunt spernendi, / iusti semper reverendi / pravi vero compellendi / infernali populo" (vv. 106-110). Il componimento, in forma di vituperium, è diviso in ventidue strofe (ventuno nel cod. veronese), ognuna delle quali comprende cinque versi che si succedono con regolare cadenza (ottonari monorimati i primi quattro, seguiti da un settenario sdrucciolo). La discreta abilità di verseggiare e la persistenza dell'uso del latino connotano l'appartenenza dell'autore alle classi colte o comunque egemoni. Il Merlini, che conosceva il testo del Novati, nel suo fondamentale Saggio (pp. 39 s.) attribuiva la sequenza ad un ecclesiastico; e questa ipotesi, avvalorata dalle continue accuse di empietà e dall'augurio di infernali punizioni ("quisquis horum condemnatur / ut in igne comburatur", vv. 83 s.), trova conforto nell'epilogo riportato dal cod. Rossiano, concepito come la conclusione di una liturgia: "Per omnia secula seculorum. Amen. Vos cum prole pia maledicat Virgo Maria". L'autore sembra a tratti officiare un rito di scongiuro, di cui si sente ministro autorizzato ("Maledicti sint agrestes / quibus mala sint et pestes", vv. 71 s.); anche la rassegna delle colpe del villano è concepita come la ricerca delle prove giudiziarie per poter anticipare il verdetto di condanna divina: "Semper ibi [nell'inferno] sint manentes / et in igne sevientes, / ubi prave latent gentes / congementes atque flentes / non de iustis predico" (vv. 101-05).
Il ritmo ha un tono costantemente serio e teso ed esprime senza equivoci un punto di vista padronale; manca perciò in esso qualsiasi rappresentazione in positivo delle qualità del villano, ritratto con l'acre antipatia del proprietario diffidente. È soprattutto assente il tono ammiccante e non privo di una volontà di denuncia propria degli archetipi novellistici del genere (l'epopea degli animali del Renart e i fabliaux), nonché l'accento canagliesco che si può riscontrare nel "detto" in volgare di Matazone da Caligano, portavoce dei rancori delle plebi cittadine. Nella Sequentia rusticorum l'autore esamina con freddo odio i vizi (ecclesiasticamente "peccati") dei villani secondo i topoi del repertorio anticontadino: dall'ostinazione ("Qui rogati non rogantur, / sed ut lapis indurantur, vv. 21 s.), alla falsità ("Rusticani sunt fallaces, / sunt immundi, sunt mendaces", vv. 56 s.; "Hi non curant de doctrina, / corpus tegunt pelle agnina, / cum introrsum sit lupina", vv. 51-3), alla ghiottoneria ("Cibis tument ut buffones", v. 36), al tradimento ("Quisquis horum alter Iudas", v. 46). Ma se non nuova, certamente assai più che altrove insistita è la denuncia della rapacità dei villani ("Hoc est singulare munus, / quod de mille non sit unus / qui de furtis sit ieiunus", vv. 41-43), un motivo questo che adombra il tradizionale conflitto citta-campagna, ma con un sapore di contemporaneità comprovato dall'interessante lezione del cod. Marciano ("civitatumque raptores", v. 63) che riassume le ragioni di tanta ostilità. In questa e in altre allusioni ("nocte vadunt ut bubones / et furantes ut predones", vv. 37 s.; "vagabundi sunt ut avis, / sine nauta, velut navis / in profundo pelagi", vv. 13-5) è forse possibile scorgere non la ripresa indistinta di un modulo letterario, ma un'eco delle paure signorili davanti al fenomeno della guerriglia contadina, che allora interessava soprattutto l'area franco-tedesca. Questo dato potrebbe rafforzare l'ipotesi del Suttina di un'origine oltremontana del canto e di una sua diffusione nel Veneto per opera di studenti stranieri dell'Ateneo padovano, in quanto esso rispondeva a un genere di invettiva circolante da tempo fuori dell'Italia (come per esempio i Versus de Unibove i quali presentano con questa sequenza anche qualche affinità di tipo metrico). Ma neppure i riscontri con opere delle aree di possibile origine (veneta e francese) valgono a dissipare i dubbi. Così la strofa 7 ("Rusticani sunt ungentes / si qui sint illos pungentes, / versa vice sunt pungentes / si qui sint illos ungentes / prostemantur rustici", vv. 26-30) appare ricalcata sul proverbio latino "Ungentem pungit, pungentem rusticus ungit"; ma contemporaneamente il detto è presente sia nella tradizione popolare veneta ("El vilan onze chi lo ponze, e ponze chi lo onze": cfr. C. Pasqualigo, Raccolta di proverbi veneti, Treviso 1882, p. 335), sia, come ha notato il Novati, nell'opera di Rabelais: "Oignez villain, il vous poindra, Poignez villain, il vous oindra" (Gargantua, cap. XXXII). Una corrispondenza questa che conferma la latitudine geografica di certi motivi e rende difficile l'accertamento della paternità di questo testo o la possibilità di isolarne la matrice storico-culturale di provenienza.
Fonti e Bibl.: Carmina Medii Aevi, a cura di F. Novati, Firenze 1883, pp. 25-38; G. Biadego, Catal. descrittivo dei manoscritti della Biblioteca comunale di Verona, Verona 1892, p. 37; D. Merlini, Saggio di ricerche sulla satira contro il villano, Torino 1894, pp. 2, 39 s., 47; V. Cian, La satira, Milano 1924, I, p. 54; L. Suttina, "Infelices rustici", in Studi medievali, n. s., I (1928), pp. 165-72; M. Pelaez, Un nuovo ritmo latino sui mesi ed altri carmi latini medievali,ibid., n. s., VIII (1935), pp. 56 s.