CONCINI, Bartolomeo
Nacque a Terranuova Bracciolini, nel Valdarno aretino, nel 1507, da Giovan Battista di Matteo.
Figlio di un semplice contadino e nipote (ma la notizia non è certa) di un soldato di ventura, fu uno dei primi uomini politici al servizio di Cosimo I a provenire da quell'ambiente forense, che, in seguito, soprattutto alla fine del sec. XVI, avrebbe fornito numerosi influenti funzionari ai vertici della burocrazia fiorentina. Sotto il principato di Cosimo I il C. fu "quello che più di ogni altro giunse a possedere la confidenza e le segrete intenzioni" del duca (R. Galluzzi, p. 361). Di umili origini, riuscì in un tempo relativamente breve ad entrare nelle grazie del duca, a raggiungere un grado di potenza difficilmente eguagliabile nella Firenze della seconda metà del Cinquecento, ad accumulare una notevole fortuna e ad affermarsi nei gradi più elevati della gerarchia sociale fiorentina. I suoi discendenti, fino all'estinzione della famiglia nel 1632, avrebbero proseguito la sua attività politica e diplomatica al servizio della corte granducale, si sarebbero legati alle maggiori famiglie cittadine, ed avrebbero ancora occupato per lungo tempo importanti cariche politiche e diplomatiche.
La carriera del C. iniziò a Firenze, intorno al 1540, nello stesso periodo in cui Cosimo assumeva la guida del recente principato. Esercitò per qualche tempo la professione di notaio. Come tale fu raccomandato a Francesco Vettori da Filippo Strozzi. L'attività notarile del C. fu tuttavia di breve durata. Ben presto, infatti, passò al servizio di Iacopo (V) Appiani, signore di Piombino.
Fra i meriti che il C. si riconosce in alcune sue memorie sui Servizi trattati per la casa Medici, redatte negli ultimi anni di vita, vi è quello di avere procurato "che il Signore di Piombino non si facesse franzese" (Arch. di Stato di Firenze, Carte Strozziane, s. 3, 168, c. 319r).
Èprobabile che si trovasse ancora al servizio dell'Appiani quando svolse la sua prima missione diplomatica presso la corte imperiale nel 1545. È certo tuttavia che proprio intorno al 1545 il C. passò al servizio del duca Cosimo.
Il Galluzzi sostiene che il C. "poté col favore di Lucrezia dei Medici ava del Duca introdursi nel suo diretto servizio" (R. Galluzzi, p. 362). Non è possibile verificare tale notizia. In questo periodo il C. comincia tuttavia ad apparire sempre più spesso in ambascerie svolte per il duca e ad essere nominato come segretario di Cosimo.
La prima missione eseguita per il duca si verificò fra il 1547 e il 1549, quando da Cosimo fu inviato come ambasciatore a Bruxelles, presso Carlo V, per giustificare il comportamento del duca "intorno agli affari politici d'Italia, essendo stato accusato d'aver egli promossi con intrighi, e occulti maneggi i passati torbidi di Siena, ad oggetto d'estendere il suo dominio". In tale occasione il C. dimostrò che Cosimo "aveva sempre agito con la più retta intenzione, e che i suoi maneggi erano stati sempre diretti alla gloria di esso Augusto, e a conservare preponderante la sua potenza in Italia" (L. Cantini, p. 207).
In seguito alla congiura, promossa da Nicola Orsini conte di Pitigliano finanziato dalla Francia, che portò all'espulsione da Siena della guarnigione spagnola comandata da don Diego Hurtado de Mendoza (luglio 1552), il C. fu nuovamente inviato dal duca, insieme a Pier Filippo Pandolfini, presso Carlo V.
In tale occasione il C. si ascrive il merito di aver fatto ricredere l'imperatore circa il comportamento di Cosimo: "Sgannai in Tiunvilla l'imperatore Carlo della sinistra opinione, che haveva, che il signor Duca all'hora havesse voluto soccorrer Siena nella scacciata di don Diego, e resi capace Sua Maestà che la colpa fu tutta di Don Diego" (Arch. di Stato di Firenze, Carte Strozziane, c. 319r).
La costante presenza in questi anni presso Cosimo e l'impegno nelle missioni a Carlo V fanno del C. uno dei personaggi alla guida della politica estera toscana e il tramite naturale delle relazioni che s'intrecciano, intorno alla metà del secolo, sul problema di Siena. In occasione della conquista della Repubblica da parte di Cosimo la funzione del C. non fu certo quella di un semplice esecutore di ordini.
L'opera del C. fu senz'altro importante nel convincere Carlo V alla guerra contro la Repubblica, nei contatti avuti nel 1553. Scrive infatti nelle note autobiografiche di aver trattato "in Bruxelles con l'imperatore Carlo l'impresa della guerra di Siena" (ibid.). Il C. fu inoltre costantemente presente a fianco del Marchese di Marignano nelle varie fasi della guerra "nella quale fui mandato appresso al Marchese e fui cagione che Sua Eccellenza non lo rimosse da quel carico di generalato, che certo era la rovina di quell'impresa" (ibid.). Durante la guerra il suo compito principale fu quello di tenere informato il duca, come quest'ultimo gli ricordava in una lettera del 1554: "scrivete minutamente tutto quello che succede" (L. Cantini, p. 538). In alcuni casi, come l'occupazione di Lucignano e di Monteriggioni, prese parte attivamente alle trattative per la resa. Il C. non si limitò tuttavia al solo compito di informatore del duca. I contemporanei sapevano bene che "servendosi il prencipe di quest'uomo quasi in tutte le cose, è nato che molti di quei consegli, che apportarono a Cosmo laude d'accorto e di magnanimo, sono stati attribuiti all'ingegno di costui" (Relazioni degli ambasciatori veneti p. 220). Sembra che anche l'idea dell'annessione di Siena al ducato sia da attribuire, in parte, al Concini. Egli stesso infatti confessa (se dobbiamo credere alle sue memorie): "Animai la Duchessa per più di sei mesi continui al procurare con l'Imperatore che il signor Duca si facesse padrone dello stato di Siena, sì come fece, su l'occasione che Sua Maestà s'era piegata a darlo alla casa Caraffa" (Arch. di Stato di Firenze, Carte Strozziane, c.319r).
Fra il 1556 e il 1557, quando la guerra di Siena poteva dirsi ormai conclusa, il C. fu al centro di una vicenda che mette in luce la tensione esistente, in questo periodo, nelle relazioni fra il ducato e lo Stato della Chiesa. Inviato a Napoli nel novembre 1556 per trattare i problemi relativi alla riammissione in Toscana dei fuorusciti fiorentini e per discutere col duca d'Alba la guerra che aveva mosso contro lo Stato pontificio, fece naufragio nel viaggio di ritorno alla volta della Toscana e fu catturato per ordine di papa Paolo IV Carafa, ostile ai Medici.
Sottoposto alla tortura per indurlo a confessare le trame che si pensava il duca stesse ordendo ai danni dello Stato della Chiesa, fu in seguito liberato per l'intervento di Giovan Battista Ricasoli, inviato da Cosimo I a Roma: "né col tormento mi ridissi mai per non scoprire il segreto del Padrone, talché non potendo ritrar da me altra cosa mi liberorno" (ibid., c. 319v).
Negli anni seguenti, il C. appare in maniera sempre più chiara come il personaggio più influente presso la corte medicea e l'uomo di fiducia di Cosimo, soprattutto per quanto riguarda i problemi, di politica estera. Anche il Galluzzi riconosce come "sebbene il Torello ritenesse tuttavia il grado di primo segretario del Duca, nondimeno il Concino ebbe la principale direzione delle corrispondenze con le corti oltramontane" (R. Galluzzi, p. 362). Il giudizio del Galluzzi deve essere molto probabilmente esteso in quanto il C. appare impegnato contemporaneamente nel tentativo di mantenere buoni rapporti con le corti straniere (in particolare Spagna e Impero) e in quello di restaurare relazioni amichevoli con lo Stato della Chiesa e di rafforzare i vincoli con altre corti italiane.
Ad un miglioramento delle relazioni con lo Stato pontificio il C. contribuì direttamente in quanto fu presente a Roma nel1559 a dirigere gli intrighi del conclave cheportò all'elezione di Pio IV, con il qualefu possibile a Cosimo allacciare rapportidiplomatici e che non si dimostrò ingratonei confronti del duca.
Durante il pontificato di Pio IV, il C. fu inviato a Roma numerose volte. In occasione di tali missioni trattò con il papa la concessione del cappello cardinalizio ai figli di Cosimo (Giovanni, a cui fu concesso nel 1560, e Ferdinando, che lo ebbe nel 1563) e ad Agnolo Niccolini, che fu nominato cardinale nel 1561. Non è escluso che il C. cominciasse a discutere proprio in questi anni con Pio IV i problemi relativi alla concessione a Cosimo I del titolo di granduca ed è certo che contribuì ad ottenere l'assenso del papa alla creazione dell'Ordine dei cavalieri di S. Stefano, desiderata dal duca.
Il C. fu il rappresentante ufficiale di Cosimo nei contatti che condussero, nel 1560, al matrimonio fra Lucrezia de' Medici, figlia del duca, e Alfonso II d'Este, duca di Ferrara, e che contribuirono a un temporaneo miglioramento delle relazioni fra i due Stati.
Nel 1565 il C. fu nuovamente inviato presso la corte imperiale, a Vienna, questa volta al seguito del figlio del duca, Francesco, per prender parte alle trattative in vista del matrimonio di quest'ultimo con Giovanna d'Asburgo. In tale occasione, confessa lo stesso C., "mossi a sua Maestà Cesarea la pratica del titolo, il quale piacque alla Maestà sua, se bene dipoi n'habbia mostrato sdegno" (Arch. di Stato di Firenze, Carte Strozziane, c. 320r).
Il problema della concessione del titolo di granduca a Cosimo, che era già stato in parte discusso con Pio IV, rappresentò, nella seconda metà del decennio, uno dei maggiori impegni del Concini. Anche la missione a Roma nel 1566, dopo la morte del pontefice, avvenuta il 9 dic. 1565, fu in gran parte motivata dalla necessità di ottenere dal conclave un eletto che non sdegnasse quei rapporti amichevoli che si erano venuti allacciando fra la Toscana e la S. Sede nel periodo di Pio IV. In particolare si temeva, da parte del duca, che l'elezione di cardinali apertamente avversi alla Toscana, come il Farnese, l'Este, e il Morone, potesse seriamente compromettere le relazioni diplomatiche ristabilite fra i due Stati anche grazie all'opera del Concini. Quest'ultimo fu quindi tempestivamente inviato a Roma per favorire, se possibile, uno dei cardinali toscani e per ostacolare almeno il successo degli avversari del duca. Il C. ricorda come "appena tornato da Vienna", dopo la morte di Pio IV, "fui mandato subito a quella sede vacante per ovviare, si come s'ovviò, che Farnese né Morone succedessero nel Pontificato, al quale fu creato per Divina Provvidenza veramente Pio quinto" (ibid.). Con il nuovo papa, Antonio Ghislieri, poterono continuare sia le trattative per il titolo di granduca sia i cordiali rapporti instaurati già con il predecessore. La concessione del titolo a Cosimo fu in gran parte un successo personale del Concini. Fu infatti proprio il segretario del duca a trattare col papa: "Con Pio quinto trattai il titolo, e dipoi la coronazione col mezzo, ed opera di M. Noferi Camoiano, non sendo mai passata ad altri notizia, che di noi due, e di loro altezze" (ibid.).
Al tempo della cerimonia, tenuta a Firenze il 13 dic. 1569, durante la quale fu letta la bolla pontificia con cui si concedeva a Cosimo il titolo di granduca, il C. appariva ormai come uno "de' primi" (B. Cellini, II, p. 257). La sua potenza politica, soprattutto dopo le trattative che avevano portato alla concessione a Cosimo del titolo granducale, era certamente superiore a quella di altri influenti personaggi al servizio della corte medicea. Ognuno riconosceva in Firenze la "grandissima autorità e di valore e di fede" del C. presso Cosimo, "per la vivacità del suo ingegno e per la lunga pratica delle cose di Stato, nelle quali si può dire omai consumato" (Relazioni degli ambasciatori veneti, p. 220). Nel 1570 il C. venne addirittura affiancato dal granduca al Torelli come suo primo segretario, carica che conservò fino alla morte. Un altro importante riconoscimento ufficiale fu tributato al C. nel 1572 quando venne esentato da ogni gabella per i meriti guadagnati presso la corte medicea.
Il C. appariva inoltre come uno degli uomini più ricchi di tutta la città, essendo proprietario di "96 poderi in Valdarno tutti comperi da lui dall'anno 1560 in qua che vagliono più di scudi 160.000". Chi conosceva le sue umili origini non poteva non spiegare la formazione del vasto patrimonio fondiario del C. se non con "la rapacità et avaritia et corruptela di questo huomo", "il quale dall'anno 1560 sino al 1576 hebbe in tutto lo stato grandissima autorità" (G. De' Ricci, Cronaca, p. 239). A questi stessi anni risale il tentativo compiuto dal C., certamente in accordo con l'ambiente della corte, di nobilitare la sua famiglia, di cui tutti a Firenze conoscevano le origini contadine. Da questo periodo gli antenati del C. cominciano ad essere ricollegati all'antica famiglia ghibellina dei conti della Penna, banditi da Firenze nel 1303 e ritiratisi a Terranuova. Sempre più spesso nei documenti ufficiali il C. viene definito come patrizio fiorentino "de Nobilibus de Talla, ex comitibus Penne" (Firenze, Bibl. nazionale, Manoscritti, II, 6, c. 96). Questa ricostruzione falsa delle origini familiari appare infine legittimata dallo storico di corte Scipione Ammirato, che l'accoglie nella sua opera sulle famiglie nobili fiorentine. In essa, cercando di rendere più probante la genealogia della casa Concini, finisce per rivelarne le basi del tutto inconsistenti, come quando dice di aver "io veduto e letto epistole latine non punto degne da essere disprezzate" (S. Ammirato, p. 147) opera del padre del C., che era stato contadino in Valdarno.
Una delle ultime importanti missioni diplomatiche del C. si verificò nel 1572 quando, dopo la morte di Pio V, fu inviato, insieme a Belisario Vinta, a Roma, al conclave, "per ovviare a subietti diffidenti, e favorire l'esaltazione del Cardinale Buoncompagno, il quale fu creato pontefice hoggi Gregorio XIII" (Archivio di Stato di Firenze, Carte Strozziane, c. 320r).
Si è talora affermato che il C., nei suoi ultimi anni di vita, cadde in disgrazia presso il successore di Cosimo, Francesco, asceso al trono nel 1574. Sulla scorta delle informazioni fornite dal C. stesso e dai contemporanei è possibile affermare che, almeno fino al 1576, il primo segretario di Cosimo continuò a mantenere tutta la sua potenza, e che solo da tale data cominciò a verificarsi una sua progressiva esclusione dagli affari di Stato.
Il C. termina i suoi ricordi ascrivendo a suo merito il fatto di aver potuto mantenere immutato il suo potere sotto Cosimo e sotto Francesco: "E quel che è più difficile, che per grazia di Dio ho retto col padre, e col figliuolo, accetto all'uno e all'altro, cosa che suole di rado intervenire, e quelle difficultà che in quel tempo io habbia superate, l'una e l'altra altezza lo sa" (ibid.). Anche l'ambasciatore veneto Andrea Gussoni affermava nel 1576, a proposito del C., che "si può dire con verità che non solo questo prencipe non faccia alcuna cosa senza sua saputa, ma neanco ne determini alcuna diversa dalla sua opinione; in modo che sopra le spalle sue riposa, si può dire, tutto il peso e la soma di quello stato" (Relazioni degli ambasciatori veneti, p. 220).
Dopo il 1576, forse anche per l'età avanzata, l'influenza del C. a corte comincia a declinare, mentre il suo posto viene occupato dal genero Antonio Serguidi, suo "allievo nelli primi anni" (ibid., p. 268). A Firenze c'era addirittura chi affermava che la "legge dei presenti", approvata nel 1576, e con la quale si proibiva ai ministri granducali di accettare doni, fosse voluta proprio per moderare la potenza economica del C., che aveva costruito la sua fortuna al servizio di Cosimo. L'approvazione di tale legge avrebbe rappresentato, secondo alcuni, la prova più evidente del declino dell'autorità del Concini. La sua attività politica presso la corte di Francesco fu tuttavia proseguita dall'unico figlio maschio, Giovan Battista, avuto dalla moglie Margherita Bartoli.
Il C. morì a Firenze il 18 genn. 1578.
Il giudizio dei contemporanei sul C. non fu sempre positivo. Molti, come il De' Ricci, gli rimproveravano i mezzi disonesti con cui aveva raccolto uno dei maggiori patrimoni della città. Gran parte della popolazione fiorentina condivideva tale giudizio. Pochi giorni dopo i funerali del C. fu trovato, nei pressi della sua tomba, nella chiesa della Nunziata, un cartello con alcuni versi che esprimevano la valutazione popolare: "Qui giace lo spietato empio Concino / che gli altri sconciando acconciò se stesso / la fraude con l'avarizia hebbe appresso / vendé le grazie però fu divino" (in G. De' Ricci, Cronaca, p. 240). Concorde fu invece il giudizio dei contemporanei sull'abilità politica del C. "ministro fedelissimo e di grande intelligenza", come si esprime G. B. Adriani (Istoria de' suoi tempi, Firenze 1583, p. 1278). Un'enfasi particolare, nel riconoscere i meriti del C., fu posta da Scipione Ammirato che, seguendo la valutazione corrente nell'ambiente della corte medicea, lo descrisse "per isperienza delle cose del mondo per uno dei più singolari et valenti ministri, che già qualche secolo innanzi havesse havuto l'Italia" (p. 147).
Il C. fu raffigurato accanto a Chiappino Vitelli dal Vasari in un affresco in Palazzo Vecchio. Tale ritratto servì poi da modello ad Alessandro Bronzino.
Fonti e Bibl.: Sull'attività polit. e diplom. del C. sono fondamentali le numerose lettere conservate presso l'Arch. di Stato di Firenze. Sulla loro collocaz. si veda Arch. Mediceo del Principato. Inventario sommario, Roma 1951, ad Indicem; Ibid., Carte Strozziane, s. 1, XXII, c, 7, 8, 16; o, 55; XXXII, a, 2; c, 62; g, 64, 65, 67; XXXIII, a, cc. 1 ss.; XXXV; XXXIX; XCVII, d, 16; h; CVI, e, 23; CCXXX, e, 78, 79; CCLVI, b, d; CCLXXIX, a, 51; CCCI, c; CCCLIX, e, 5; serie 3, LXXXII, cc. 303-304; CXV, cc. 95-96; CXLIII, cc. 93-110; CXLVIII, c. 30; CLXVIII, cc. 319-320 (Servizi trattati per la casa Medici da B. C. il vecchio, memorie autobiogr. con alcune imprecisioni); Ibid., Miscell. Medicea, 22, n. 15; Ibid., Indice della Segreteria vecchia, VI, c. 94; Firenze, Bibl. nazionale, Manoscritti, II, 6, cc. 95-97; Nuntiaturberichte aus Deutschland, II, 1560-1572, Wien 1897, ad Ind.; Relaz. degli ambasc. veneti al Senato, a cura di A. Segarizzi, Bari 1916, III, 1, pp. 220, 229, 268 s.; B. Cellini, La vita, Torino 1926, II, p. 257; G. De' Ricci, Cronaca (1532-1606), a cura di G. Sapori, Milano-Napoli 1972, pp. 224, 239 s.; S. Ammirato, Delle fam. Nobili fiorentine, Firenze 1615, pp. 138-150; V. Siri, Mem. recondite, Paris 1677, IV, pp. 58 s.; R. Galluzzi, Istoria del granducato di Toscana sotto il governo della casa Medici, Firenze 1781, II, pp. 361 s.; L. Cantini, Vita di Cosimo de' Medici primo granduca di Toscana, Firenze 1805, passim; E. Repetti, Diz. geografico, fisico, stor. della Toscana, IV, Firenze 1833 pp. 96 s.; F. Inghirami, Storia della Toscana, Fiesole 1843, pp. 479 s.; A. Ademollo, Marietta de' Ricci, ovvero Firenze al tempo dell'assedio, a cura di L. Passerini, Firenze 1845, II, p. 467; D. Tiribilli-Giuliani, Sommario stor. delle famiglie celebri toscane. Firenze 1855, I, sub voce Concini; A. v. Reumont, Geschichte Toskana's seit dem Ende des florentin. Freistaats, Gotha 1876, I, pp. 105, 190, 194, 206, 230, 240, 308, 325; C. Booth, Cosimo I Duke of Florence, Cambridge 1921, pp. 139, 145 ss., 153, 193, 200, 215, 239, 261; L. von Pastor, Storia dei papi, VII, Roma 1928, pp. 18, 51; M. Paiter, Toscani alla corte di Maria dei Medici regina di Francia, in Arch. stor. ital., s. 8, III (1940), pp. 84 ss.; M. Del Piazzo, Gli ambasciatori toscani del Principato (1537-1737), Roma 1953, pp. 9 ss., 13, 45, 60, 76 s., 79, 106, 137; R. Cantagalli, La guerra di Siena (1552-1559), Siena 1962, ad Ind.; F.Diaz, Il Granducato di Toscana. I Medici, Torino 1976, ad Ind.; P. Litta, Le famiglie celebri italiane. s. v. Concini, tav. I.