BARTOLOMEO da Petroio, detto Brandano
Nacque da una famiglia di contadini a Petroio, nel dominio di Siena, presumibilmente nel 1488; il padre aveva nome Savino, la madre Meia, diminutivo di Bartolomea, e Bartolomeo fu chiamato egli stesso al battesimo.
È incerto se il cognome Carosi o Garosi, con il quale furono conosciuti i suoi discendenti, tra i quali il pittore Ansehno, nipote di B., fosse già in uso al tempo di questo. Il soprannome di Brandano, con il quale fu noto durante la predicazione e che rimase nella tradizione orale e scritta, ha incerto significato: forse derivò dai brandelli di cui andava vestito, oppure si riferiva alla sua notevole robustezza.
Contadino, ammogliato e con figli, si era trasferito dal paese nativo a quello vicino di Monte a Follonica (Montefollonico). Le prime notizie databili su di lui derivano da una autobiografia, dettata sul finire della vita ad un seguace, l'agostiniano Giovanni Battista "ex Fonte Blando", relativa agli anni dal 1526 al 1535 p. appunto nella quaresima del 1526 che fissava la sua conversione, occasionata dall'ascolto di una predica del minore osservante Serafino da Pistoia, da una vita di "grandissimo bestemmiatore, disubidiente alli divini precetti, grandissimo giocatore, pieno d'ogni vizio e finalmente disprezzatore del mio dolce Giesù" (cfr. G. Tognetti, p. 29), ad una missione di predicazione per "riprendere e chiamare a penitenzia el misero et ostinato peccatore annunciandoli grandissima pestilentia e fame " (ibid.,p. 30, n. 51). Seguirono le solite manifestazioni dell'investitura celeste, le visioni di Cristo, della Madonna, dei santi, non senza qualche contributo infemale, e finalmente la concessione, su richiesta del penitente ed annunziate da "uno intrinzico dolore", delle "sante stimmite" (ibid.,p. 31).
B. iniziò la propria predicazione nello stesso Monte a FoUonica, continuandola nei paesi vicini: il suo passaggio èricordato per questo periodo a Celle, a San Casciano, a Radicofani, dove i suoi apocalittici annunzi di sciagure furono salutati da solenni bastonature o da clamorose beffe, non tali tuttavia da scoraggiare il nuovo profeta dall'intrapresa missione; sin dal principio, del resto, egli trovò folle disposte a commuoversi alle sue allucinate invettive, ad ascoltare le sue drastiche esortazioni, a riscontrare nella drammatica realtà dei tempi le sue doti profetiche. Queste contrastanti accoglienze gli furono riservate con puntuale alternativa in tutto il corso della sua predicazione itinerante, durata circa un decennio, il periodo cioè ricordato nell'autobiografia. Da questa e da altre fonti contemporanee il passaggio di B. èricordato a Roma, a Narni e a Siena nel 1527; ad Orvieto e forse a Camerino nell'anno successivo; a Volterra nel 1529, ancora in Toscana nel 1530; nel 1531 a Barlettapnello stesso anno o nel successivo ad Atri; a Bologna e a Modena nel 1532; e negli stessi anni, ripetutamente, a Loreto in pellegrinaggio a quel santuario, e in Spagna, a quello di Santiago de Compostela: qui fu presuinibilmente nel 1530, nel quale anno lo si ricordava a Madrid; nell'anno successivo, quando era segnalato a Saragozza; nel 1532, allorché passava per Bologna e Modena guidando al santuario gallego una nutrita turba di ptllegrini, oltre che in un periodo diverso della sua vita, nel 1539- E a quanto pare predicò anche in Germania, "più con la croce che con la voce", peraltro, come ricorda nell'autobiografia, e dove avrebbe anche polemizzato con molti luterani" (ibid.,pp. 30, 34).
Una tradizione plurisecolare di predicatori irregolari ed iretterati, attraverso i quali si esprimevano le sofferenze inguaribili delle plebi e la loro rivolta contro le forme ufficiali, colte e sistematizzanti, dèlla vita religiosa, consegnava a B. una tematica quasi obbligata di esortazioni penitenziali, di drammatici richiami alla passione di Cristo, di annunzi di imminenti sciagure, di invettive contro i ricchi e contro i preti, corrotti, avidi, dimentichi della loro missione, di ostilità verso l'irrigidimento dottrinale del cattolicismo: "Non voglio disputare né insegnare dottrina - scriveva nell'autobiografia - ma io voglio insegnare come si debba tornare a penitenzia" (ibid., p. 35). E così pure sembra tradizionale e generico, non riducibile cioè a precise istanze di riforma cattolica, né tanto meno a motivi ereticali, l'appeuo ad una "rinnovazione della Chiesa" che fu uno dei motivi ricorrenti nella predicazione di Bartolomeo. Ma quella tradizione si determina poi, nel tardo riecheggiamento del profeta senese, in una più- precisa presenza di temi proposti dalla tragica realtà dell'Italia e dell'europa sconvolte dal conflitto franco-imperiale; anzi la psicologia religiosa di B., della quale non senza ragione è stato scritto che "per taluni aspetti più che cristiana è giudaica" (P. Misciattelli, p. 252),sembra fortemente condizionata dalle tormentate vicende politiche senesi degli anni della sua predicazione. Così la sua netta e persistente avversione al papa Clemente VII, contro il quale scagliò l'ormai abituale invettiva di anticristo, ebbe probabilmente all'origine l'unanime risentimento dei Senesi per l'aggressione medicea alla città, compiuta nel 1526con il trasparente appoggio del pontefice.
Erano proprio gli attacchi a Clemente, scagliati da B. a Roma nel 1527, nell'immediata vigilia del Sacco, che egli anticipò nelle sue allucinate visioni profetiche, a guadagnare al predicatore senese una larga notorietà. Forse è da respingere l'identificazione conb., proposta da un anonimo spagnolo contemporaneo, di un "romito" che aveva minacciato ai Romani imminenti sciagure nello scorcio del 1526. Ma era certamente lui il "loco, desnudo en cueros, solamente cubiertas sus verguenzas", di cui parla lo stesso testimone, che nel giorno di giovedì santo del 1527, mentre Clemente VII benediceva in S. Pietro l'a folla, già sbigottita per numerosi recenti prodigi annunzianti sventura (un fulmine era caduto sopra il Vaticano e un altro aveva tolto la corona di capo alla statua della Madonna, nella chiesa di S. Maria in Traspontina; nella cappella Sistina era caduta una pisside; nel palazzo della Cancelleria aveva partorito una vacca, ecc.), "se subió sobre un San Pablo de piedra que está en las gradas de la Iglesia e alzó los ojos al Papa é dijole: Il Sodomita bastardo, por tus pecados será Roma destruida; confiesate y conviértete, y sino me quisieres creer, de hoy en quince dias lo verás"" (Memorias, p.141). L'incomodo personaggio fu subito catturato dalla guardia svizzera ed imprigionato, mentre le sue parole produce,vano la più grande impressione nella folla presente. Poco dopo, tuttavia, e a quanto pare per ordine dello stesso Clemente VII, B. fu liberato. Ma evidentemente non appagato, la successiva sera di Pasqua guidava da Campo de' Fiori a Castel Sant'Angelo una torma di penitenti ai quali rivolgeva le solite infiammate allocuzioni: di nuovo imprigionato, fu liberato a quanto pare durante il sacco dai lanzichenecchi i quali sembravano avere uno straordinario rispetto per simili stravaganti personaggi. Nacque forse in questi giorni tra la plebe romana la leggenda di un primo miracolo del pellegrino senese, il quale, gettato nel Tevere dalle guardie pontificie, ne sarebbe prodigiosamente scampato.
Secondo una testimonianza raccolta dal Pastor, non sicuramente riferibile a lui, peraltro, B. nel marzo del 1528 avrebbe perseguitato Clemente VII anche ad Orvieto, dove i resti della corte pontificia avevano trovato rifugio durante l'occupazione di Roma da parte dell'esercito imperiale: qui il predicatore senese avrebbe annunciato nuove grandissime sciagure per la cristianità, sino a quando il Turco - e la cosa era persino datata al 1530 - si sarebbe impadronito del papa, dell'imperatore e del re di Francia e si sarebbe convertito al cristianesimo, provocando il rinnovamento della Chiesa. Erano toni e temi che interpretavano largamente i timori, le confuse aspettazioni, l'aspirazione ad un indefinito ma totale rinnovamento, che le mille calamità di quegli anni terribili, la guerra, la carestia, la peste, la stessa caduta di Roma, ritenuta imprendibile per un mito plurisecolare, nelle mani dei luterani, alimentavano nelle folle indifese. Questo spiega come la predicazione di B., la sua esortazione ad una imprecisata "nuova riforma", che era confusamente morale, religiosa e politica insieme, suscitassero spesso consensi larghissin-ii, e non soltanto tra la plebe più diseredata. Percorrendo l'Italia e l'Europa, araldo del saccheggio, della peste, della fame o loro apocalittico interprete, non di rado avviava clamorose espiazioni, pubbliche pacificazioni di ragguardevoli famiglie e personaggi, esplosioni incontenibili di religiosità popolare: così a Narni, così a Siena, così a Barletta. E altrettanto spesso la sua polemica contro i ricchi ed i preti si sostanziava di gesti clamorosi di rivolta e di minaccia: come a Saragozza, nel 1531, quando invocò il sacco di "tutta la robba de' religiosi e de' ricchi" (cfr. Tognetti, p. 35), costringendo i preti a rifiutarsi di uscire di casa, celebrare la messa, finché egli avesse continuato ad imperversare nefia città; così a Bologna, l'anno successivo, quando contro il clero che predicava collette per l'istituzione dei Monti di pietà, una istituzione da lui odiatissima, trasformò la raccolta in una elernosina per i poveri della città. Si capisce che tali atteggiamenti lo dovevano consegnare assai spesso nelle mani dei bargelli e degli inquisitori; ma questi stessi non dovevano sfuggire al fascino superstizioso dell'irriducibile personaggio, se B., pur sottoposto in molte occasioni alla tortura, o più semplicemente ma non men.9 energicamente ai trattamenti allora in uso per curare la pazzia, riuscì a trarsene sempre in salvo.Nell'ultimo ventennio della sua vita B. visse pressocché stabilmente a Siena, rinunziando alla predicazione itinerante, salvo in occasione di peuegrinaggi, come quello ricordato a Santiago de Compostela nel 1539: un caso probabilmente unico, questo, tra personaggi del genere, perennemente spinti di paese in paese dal carattere stesso della loro predicazione irregolare. Ma B. godeva della tolleranza e anzi della protezione della Signoria senese; importanti personaggi cittadini, come il magistrato e diplomatico Agostino Bardi, lo volevano padrino al battesimo dei loro figli; i Dieci conservatori di libertà, il 23 genn. 1547, gli fecero dono di dieci fiorini "pro elemosina et amore Dei" (cfr. Ls., p. 196); gli fu perfino concesso ufficialmente di predicare nel duomo. Del resto B. aveva forse in qualche modo regolarizzato la propria posizione religiosa, entrando a far parte della Compagnia di S. Antonio Abate, che faceva capo agli eremitani agostiniani della Congregazione di Lecceto. A Siena egli si prodigava nell'opera di assistenza degli ammalati dell'ospedale di Santa Maria della Scala e nell'educazione religiosa dei fanciulli; ma non interruppe la sua attività di predicatore, anche se territorialmente la limitò quasi del tutto alla città e al dominio di Siena; né rinunziò ai modi tipici della sua personalità, facendosi capo e protettore dei mendicanti della città, elemosinando per loro e talvolta anche spingendoli a qualche tumulto. Ma non dovette mai venirgli meno, forse anche a cagione della sua larga popolarità, la benevolenza e la protezione delle autorità cittadine, fin quando, almeno, non vi furono indotte dagli occupanti spagnoli.
In B., infatti, si espresse esplicitamente, nelle forme dell'invettiva e della profezia che gli erano proprie, il generale risentimento della città verso il rappresentante imperiale don Diego Hurtado de Mendoza e verso la guarnigione spagnola, imposta a Siena nel 1547-16 probabilmente da collegarsi con qualche sua imprudente manifestazione antispagnola il provvedimento preso dai Dieci conservatori di libertà il 9 marzo del 1548, del resto assai lieve: "Bartolomeus alias Brandano captivus eximatur et sit relegatus pro trimestre extra civitatem Sen [sic] seorsum pro tria miliaria" (cfr. F. Bandini Piccolomini, p. 59).In effetti l'esilio di B. non durò che undici giorni. Ma fu soprattutto nel 1551, nel clima di aumentata ostilità agli Spagnoli da parte della cittadinanza, colpita nelle sue tradizioni di autonomia e nella sua stessa economia dalla costruzione della cittadella voluta dal Mendoza, che B. esplose in manifestazioni violente contro gli occupanti, aggiungendo alle solite invettive anche l'aggressione a sassate di un soldato spagnolo, da lui scambiato per lo stesso Mendoza: come dichiarò agli Spagnoli che lo arrestarono e lo sottoposero alla tortura, ritenendo che l'attentato fosse stato ispirato da qualche personaggio politico cittadino, voleva uccidere don Diego "perché non voglio facci la Cittadella alli miei cittadini, che non la meritano" (Successo delle rivoluzioni della città di Siena..., p. 39). Il Mendoza si mostrò abbastanza tollerante con il singolare personaggio: lo fece bandire da Siena e relegare a Piombino, dove tuttavia di lì a poco B. fu liberato sotto la minaccia di morte se mai rimettesse piede nella sua città. Ma naturahnente, quando l'anno successivo i Senesi guidati da Enea Piccolomini e da Amerigo Amerighi scacciarono da Siena gli Spagnoli, B. vi fece ritomo, contribuendo per quanto poteva alla disperata resistenza della città contro Gian Giacomo de' Medici e Cosimo I con le sue allocuzioni e profezie di cui la tradizione ci ha conservato un abbondante florilegio: "Annunziava la conversione del Turco e de' Giudei vicina. Annunziava la venuta d'un Pastore Santo. Annunziava la riforma della Chiesa quale Cristo promesse a santa Caterina. Lui predisse che ha da venire presto una peste in Italia, e che il Turco ha da pigliare tutta l'Italia, e che piglierà Venezia, e pochi cristiani rimarranno e pochi preti e frati, anzi scapperanno, che Firenze ha da andare in fuoco e Roma ha da esser destrutta e Lucca, e che Siena, e per fame e per guerra, e, finite le sue tribulazioni, Siena sarà la pace d'Italia e molto luminosa dal suo bel parlare" (cfr. Tognetti, pp. 43 s.). Di questo stesso periodo, dopo il ritorno a Siena in seguito all'espulsione degli Spagnoli, è un gruppo di lettere dettate da B.: al prete Tommaso da Montalcino, esortando i Senesi alla penitenza; al cardinale Mignanelli, legato pontificio a Siena nell'estate del 1552, con la predizione che "il Turco con tutti gl'infedeli distruggeranno la Cristianità in sangue, in fuoco, e come rimasero pochi delli Giudei per aver crocefisso Gesù Cristo, così rimarranno pochi Cristiani per insegnar la fede agl'infedeli" (cfr. Tognetti, p. 43); due lettere a Piero Strozzi, esortandolo alla difesa di Siena ed a reprimere la bestemmia tra i soldati; una ai Senesi, con raccomandazioni alla penitenza; infine una a Giulio III, presumibilmente del 1554, in cui sono largamente ripresi alcuni dei temi principali della sua predicazione. B. ricorda al papa "quanto sete obbligato vegliare et star desto acciò le pecorelle non vadino in perdizione per vostra negligentia... A voi s'apparterrebbe d'essare tutta la carità, e fra l'Imperatore ed il re di Francia mettare la santa pace". Il patriottismo municipale di B. si rivela in tutta evidenza nel monito che egli rivolge a Giulio III, il cui nipote Ascanio della Comia aveva corso l'anno precedente il contado di Siena: "io vi avviso Santo Padre, anzi Pastore, che voi non pigliate impresa contro la città vecchia di Siena, che è città dell'alta Reina che l'ha guardata e guarderà, e chi contra ci verrà malcontento se ne partirà". E finalmente, in minaccioso crescendo: "Tremate, tremate come fa il vecchio nell'acqua, che voi non abbiate qualche fiacca maggiore che non ebbe papa Clemente: da levante e da ponente verrà tanta gente, e da mezzogiomo, che ognuno tornerà alla gran madre antica chi in questo mondo s'intrica; a stringarsi conviene pelarsi; e non rimarrà capello nel capo della giustizia staccato, poi che la misericordia da ognuno è dimenticata. Guai al papa, guai ai Cardinali, guai ai vivi che mangiano il pan del Dolore, temete, tremate, tremate, fate questa pacesanta fra l'Imperatore e il Re di Francia" (cfr. Misciattelli, pp. 272 ss.).
B. morì a Siena il 24 maggio del 1554. Secondo il Misciattelli nel 1612 l'arciscovo di Siena Camillo Borghese pubblicò un editto in cui si esortavano i Senesi, presso i quali era rimasta ampia memoria di lui, a venerarlo come beato. Gerolamo Gigli pubblicò su B. il poemetto Il Pazzo di Cristo ovvero il Brandano da Siena vaticinante ..., Siena [1720].
Fonti e Bibl.: Successo delle rivoluzioni della città di Siena d'imperiale franzese e di franzese imperiale scritto da Alessandro di Girolamo Sozzini gentiluomo sanese, a cura di G. Milanesi, in Arch. stor. ital.,II (1842), pp. 38 s.; L. Guicciardini, Il Sacco di Roma, in Il Sacco di Roma, narrazioni di contemporanei, a cura di C. Milanesi, Firenze 1867, pp. 177 S.; Memorias para la historia del asalto y saqueo de Roma en 1527 Por el eiército imperial, a cura di A. Rodriguez Villa, Madrid 1875, p. 141; G. Pareili, Seconda calamità volterrana,a cura di M. Tabarrini, in Arch. stor. ital., Appendice, III (1846), p. 36; T. de' Bianchi detto de' Lancellotti, Cronaca modenese, III, Parma 1875, pp. 437 s.; C. Turi, Vita di Bartolomeo Carosi detto Brandano, s. I.né d.; Arsenio dell'Ascensione, Vita dell'ammirabile servo di Dio padre Fr. Giovanni di S. Guglielmo, Fermo 1629, p. 115; Academiae Intronatorum Fasti Senenses, s. I. né d., p. 123; A. Lanucci, Sacra Ilicetana Sylva, Siena 1653, p. 123; G. Gigli, Diario sanese, I, Lucca 1723, pp. 17 s., 21, 156; G. A. Pecci, Vita di B. da Petroio chiamato dal volgo Brandano, ovvero Notizie istoriche raccolte e ripurgate de' fatti apocrifl e favolosi del medesimo, Siena 1746; Id., Notizie storico-critiche sulla vita e azioni di B. da Petrojo chiamato Brandano, Lucca 1763; A. Zeno, Lettere, II, Venezia 1785, pp. 53 s., 63 s., 78; Ls. [A. Lisini], Brandano, in Miscell. stor. senese, III (1895), p. 196; F. Bandini Piccolomini, Notizie sulla vita di Braizdano, ibid., V (1898), pp. 595 s.; E. Donadoni, Di uno sconosciuto poema eretico della seconda metà del Cinquecento di autore lucchese, in Studi di letteratura ital., II (1900), pp. 128-131; F. Gregorovius, Storia della città di Roma nel medioevo, IV, Roma-Torino 1902, pp. 712, 720; T. Favelli, Girolamo Gigli senese nella vita e nelle opere, Rocca San Casciano 1907, pp. 168-170; P. Misciattelli, Mistici senesi, Siena 1914, pp. 252 ss.; E. Rodocanachi, La première Renaissance. Rome au temps de Yules II et de Léon X, Paris 1912, p. 344; L. von Pastor, Storia dei papi, IV 2, Roma 1912, pp. 247 s., 272, 314; M. Baáistini, Brandano a Volterra, in Bullett. senese di storia Patria, XXVI (1919), pp. 246 s.; Eduardus Alerconiensis, De primordis Fratrum Minorum Capuccinorum, Roma 1921, p. 53; P. Pecchiai, Roma nel Cinquecento, Bologna 1948, pp. 424, 489; G. Tognetti, Su! "romito" e Profeta Brandano da Petroio, in Riv. stor. ital.,LXXII (1960), pp. 20-44; R. Cantagalli, La guerra di Siena, Siena 1962, pp. 8, 52.