BARTOLOMEO da Vicenza
Di questo vescovo vicentino, celebre predicatore e teologo, sono scarse le notizie biografiche. Nato a Vicenza verosimilmente l'8 sett. 1200, non sembra appartenesse, come vuole una tradizione storiografica, alla famiglia "de Bregantiis" designandosi egli sempre come "Bartholomacus Vicentimis". Incerta è la data del suo ingresso nell'Ordine dei predicatori, che dovette avvenire con tutta probabilità a Padova; inesistenti altresì precise notizie sugli studi da lui compiuti. Nel 1231 compare quale arbitro in una controversia tra Genova e Alessandria per il possesso di Capriata un "frater Bartholomaeus Vicentinus", nel quale il Káppeli (p. 276, n- 5) pensa di poter ravvisare B.: il 27 febbr. 1232, dinanzi al generale dell'Ordine, Giordano di Sassonia, "Bartholomaeus Vicentinus" si accusava di negligenza ai danni dell'Ordine, nella condotta della questione. là interessante notare che nel capitolo generale dell'Ordine del 1234 si stabiliva (il caso di Bartolomeo Vicentino poteva essere stato un episodio di particolare rilievo): "Ne fratres commissiones, causarum arbitria sive iudicia recipiant" (ibid .). Ancora un "frater Bartholomaeus de Vincentia", giusta la testimonianza di Salimbene de Adam, nel 1232 era membro del convento domenicano di Parma. E a Parma, secondo le notizie che ci dà lo stesso Salimbene, B. fondava nel 1233 la Milizia di Gesù Cristo, ordine militare che ricevette l'approvazione pontificia con la bolla Egrediens (22 dic. 1234) di Gregorio IX e che fu oggetto di una serie di altri provvedimenti papali tra il 18 e il 24 maggio 1235.
L'ordine militare - ché di tale si tratta, e non di una confratemita, come hanno mostrato gli studi di G. G. Meersseman (Etudes sur les annes confréries dominicaines, in Arch. fratrum Praed., XXIII[19531, pp. 275 ss. e specialmente pp. 295-303) - aveva una regola precisa, che lo sottoponeva all'ordinario diocesano e alla Santa Sede, la cui approvazione era necessaria perché il maestro generale Oell'Ordine, eletto dai cavalieri della milizia, potesse esercitare le proprie funzioni. Compito precipuo della milizia era la lotta contro gli eretici: "fidem catholicam fratres defendent contra omnem sectani haereticae pravitatis, haereticos omnes, scilicet catharos, pauperes de Lugduno, arnaldistas, speronistas et alios quocunique nomine censeantur, viriliter impugnando" (cfr. G. G. Meersseman, pp. 298 S.). Inoltre la milizia doveva difendere "libertatem Ecclesiae" nell'ambito della vita politica cittadina. In tal senso la Milizia di Gesù Cristo - nome che era in uso da tempo, in Francia, e che stava ad indicare un ordine militare costituito da nobili - operava nella vita comunale in un momento assai deficato (lotte tra Santa Sede e Federico II) impedendo una convergenza degli interessi della classe nobiliare, posta in difficoltà nella vita politica cittadina, e di quelli dei sostenitori di Federico II, patarini, catari, eretici effettivi e tacciati d'eresia per ragioni politiche. La motivazione tutta particolare del sorgere della milizia a Parma appare tanto più evidente, ove si pensi che tra i decreti del IV Lateranense si faceva divieto di stabilire qualsiasi nuova regola monastica: i cavalieri della fede di Gesù Cristo, in Linguadoca, avevano dovuto assumere la regola dei Templari.
Così, sotto un nome che aveva una tradizione nelle organizzazioni ecclesiastiche del tempo, si configurava un ordine militare sostanzialmente nuovo: non ci sono più cavalieri continenti e cavalieri ammogliati, come nell'Ordine di S. Giacomo, non c'è voto di povertà, non c'è vita in comune, le riunioni sono mensili, esiste un capitale della milizia, esistono redditi protetti dalla Santa Sede, come avviene per i beni ecclesiastici. La milizia si differenziava dai fratelli della penitenza, perché, mentre questi ultimi ripudiavano l'uso delle armi, i cavalieri di Gesù Cristo dovevano servirsene per la difesa della Chiesa. Le osservanze monastiche consistevano in una serie di astinenze da praticarsi in determinati giorni settimanali e nella pratica della comunione tre volte all'anno. Delle fortune dell'Ordine siamo scarsamente informati; Salimbene afferma che "perseveraverunt autem illi et duraverunt usque ad multos annos et postea defecerunt, quia principium eorum et fìnem vidi". E aggiunge "pauci eorum ordinem sunt ingressi e il quale Ordine è - come ha mostrato il Meersseman (p. 303) - quello della Beata Vergine. Poiché Salimbene precisa che l'Ordine fu fondato nel 1261, si può ritenere che la milizia di Geàù Cristo avesse cessato d'esistere poco prima.
In data 9 febbr. 1252 Innocenzo IV comunicava al clero di Limassol, nell'isola di Cipro, di aver stabilito che B. divenisse vescovo della diocesi cipriota rimasta tanto, tempo senza presule: solo da questa lettera apprendiamo che egli era stato "cappellanus" e "penitentiarius", nonché "regens in curia nostra in theologica facultate". Da Cipro B. si recò a trovare il re di Francia Luigi IX e sua moglie, nel corso del loro soggiorno in Terra Santa a Giaffa (1252-1253) e ad Acri (1254). Ritornato in Italia nella seconda metà del 1254, fu nominato vescovo della sua città natale, Vicenza, verso la fine dell'anno successivo, ma poté entrare in possesso della sua diocesi soltanto dopo la morte di Ezzelino da Romano (1259). Di ritorno da un'ambasceria in Inghilterra, in compagnia del re Enrico si era recato nel dicembre 1259 a Parigi per ricevervi dal re Luigi IX le reliquie della Croce e della Corona di spine. Con queste fece ritorno in patria, venendo accolto trionfalmente a Vicenza agli inizi del 1260. Nello stesso anno iniziò la costruzione della chiesa e dei convento di S. Corona per l'Ordine dei predicatori. Forse per il definitivo esaurirsi dell'attività della Milizia di Cristo - ma non si può andare al di là di un'ipotesi - scrisse a Clemente IV per rinunziare al vescovato di Vicenza: ma il pontefice nel 1266 (la mfflzia, come si è visto, finì di esistere intorno al 1261), ringraziando per l'invio di un libro (i sermoni sulla Vergine e in festis, come si vedrà appresso), invitava B. a continuare nella sua opera di presule, ricordandogli la parabola del seminatore che non può prevedere il frutto che dall'opera sua può nascere. Tenne una vibrata predica nel 1267 in occasione del capitolo generale dell'Ordine, per la traslazione della spoglia di s. Domenico a Bologna. Tra gli ultimi documenti che possediamo si trova il suo testamento redatto il 23 sett. 1270 con un codicillo del 16 ottobre e due disposizioni per l'erezione della chiesa dei domenicani di S. Corona. La sua venerazione come beato venne approvata l'11 sett. 1793 da Pio VI.
Opere. A prescindere da una serie di trattati ora perduti, ma di cui sappiamo essere stato B. autore, per una dichiarazione esplicita del frate vicentino nel suo De venatione divini amoris, per ricordo nelle prediche o per menzione in un inventario dei libri di B. del 1261 (cfr. Káppeli, pp. 292-295), di B. possediamo una Expositio Cantici Canticorum,dedicata a Luigi IX di Francia; un trattato De venatione divini amoris, il cui titolo parrebbe recare un evidente richiamo alla trattatistica profana sull'arte della caccia -, e una reminiscenza ovidiana dei Medicamina faciei -, opera di mistica e di ispirazione neoplatonica (un grande rilievo vien dato alle opere e al pensiero dello pseudo-Dionigi), dedicata a Ugo di St. Cher; una serie di Sermones (de beata Virgine; in festis - Iesu Christi: entrambe le serie dedicate a Clemente IV; de epistolis et evangeliis dominicalibus post Trinitatem; in sacran: coronam). Il Liber tertius de informatione regiae prolis ad Margaritam illustrem reginam Francorum,non va attribuito a B., come voleva W. Berges (Die Fiirstenspiegel des hohen und spáten Mittelalters, Leipzig 1938, pp. 313 ss.), ma a Vincenzo di Beauvais, come ha mostrato il Káppeli (p. 301).
La linea dei pensiero teologico di B. è essenzialmente collegata con l'opera di Riccardo di San Vittore e con quella di s. Bonaventura; l'originalità è limitata, come è stato fatto notare, anche nella descrizione dei gradi mistici ("thearchica operatio"), che sono elencati nel Tractatus de animi deificatione preposto all'expositio Cantici Canticorum: la chiusa del trattato mostra uno stretto parallelismo con il De septem gradibus contemplationis di Tomaso "Gallus".
Bibl.:Oltre al lavoro del Meersseman, citato nel corso della voce, e agli articoli dell'encicl. Cattolica, II, col.931, del Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., sub voce, e della Bibliotheca Sanctorum, 11,1962, indicazioni di fonti (Salimbene de Adani) e di bibliografia settecentesca si trovano nell'esauriente articolo di T. Káppeli, Der Literariiche NachIass des sel. Bartholomdus von Vicenza O. P.(t 1270), in Mélanges Auguste Pelzer, Louvain 1947., pp. 275-301.