Della Scala, Bartolomeo
Scala Primogenito di Alberto, che lo ebbe associato, in " privata correggenza ", con titolo e autorità di capitano del comune e del popolo, gli successe nella signoria di Verona dal settembre 1301 fino alla morte (7 marzo 1304). Alla sua saggia guida il testamento paterno affidava il minor fratello Cangrande e lo stesso Alboino (" gubernet et regat prout de ipso confidimus et speramus "). Ebbe fama di principe magnifico (praticò la liberalità, scrive l'Ottimo, secondo l'insegnamento del De Beneficiis senechiano) e resse la signoria ormai consolidata con moderazione ed equilibrio.
Sposò nel 1291 Costanza, figlia di Corrado d'Antiochia e pronipote di Federico Il; per cui è notizia attendibile che l'insegna con l'aquila al quarto piolo fosse caratteristica della sua armatura personale (Chiose Cassinesi: " qui solus de illa domo portat in scuto aquilam super scalam "): come attesterebbe il cosiddetto sarcofago di B. e come conferma un'epigrafe illustrativa che si legge sull'arca del nipote di lui, Giovanni (1359). Rimasto vedovo nel 1302, passò l'anno dopo a seconde nozze con Agnese, figlia di Vitaliano del Dente, il ricchissimo padovano che D. assegnò in anticipo al cerchio degli usurai (If XVII 68-69), e nipote di Albertino Mussato. Non tenero verso gli Scaligeri, il Mussato registrò con cura nel libro XII del De Gestis Italicorum la vicenda penosa di lei, ritiratasi a Padova dopo la morte del marito e invano chiedente a Cangrande giustizia contro Marsilio da Carrara, che l'aveva spogliata dei suoi beni.
Si discute ancor oggi, data l'incerta cronologia delle vicende di D. nei primi anni d'esilio, se l'onore dell'identificazione col gran Lombardo, elogiato come primo refugio e ospite cortese del poeta in Pd XVII 70-78, spetta a Bartolomeo, come i più inclinano a credere, o ad Alboino, che tenne la signoria dopo di lui sino al 29 novembre 1311 e dal 1308 in legittima correggenza col minore Cangrande. La seconda ipotesi, affacciata tardivamente dal Vellutello e sostenuta dal Venturi dal Tiraboschi dal Pella, fu rincalzata con molta erudizione da Isidoro Del Lungo, accolta dal Torraca e dal Cosmo e da ultimo difesa da M. Apollonio: non certo immemore del sarcastico giudizio espresso dal poeta in Cv IV XVI 6 sulla nobiltà di Alboino, messa a paragone con quella di Guido da Castello (il semplice Lombardo di Pg 126), ma convinto che il divario tra quel giudizio e l'elogio paradisiaco sia unicamente dovuto a un riverbero della luce di Cangrande sulla grigia mediocrità del suo predecessore.
Il riferimento a Bartolomeo ricorre, invece, senza alternative o dubbiezze nel complesso dei chiosatori antichi; e si avvale, in primo luogo, della testimonianza ineccepibile di Pietro che dové conoscere meglio di ogni altro " quando e presso chi il padre aveva ottenuto la prima ospitalità sulla via dell'esilio ". Egli scrive, nella prima redazione del suo commento: " Dicendo quod ibit ad illos de la Scala de Verona, dominante tunc domino Bartholomaeo de dicta domo, portante aquilam super scalam in armatura "; e, a distanza di anni, nella terza e ultima: " in dicto suo exilio primo applicabit Veronae ad dominum Bartholomaeum de la Scala tunc ibi dominatorem ". Coi commentatori antichi si schierarono e si schierano quasi tutti i moderni, alcuni con un minimo margine di riserve prudenziali (Mattalia: " Affermazioni troppo categoriche son vietate "; così anche il Porena, nella nota in calce a Pg XVI); i più, tra gli altri lo Zingarelli e il Parodi, ritenendo impensabile dopo il giudizio sarcastico del Convivio, lo squisito elogio dei maggiori per un cavaliere, che il poeta tesserebbe di Alboino nei tre versi del Paradiso. Ultimo il Petrocchi ha ripreso in esame tutta la questione, e disegnato uno scorcio biografico di D. nel Veneto che rende plausibile la chiosa di Pietro, e conforta ulteriormente l'esclusione di Alboino. Egli ritiene che la prima andata del poeta a Verona sia da porre tra il maggio e il giugno 1303, a spedizione mugellana infaustamente conclusa: in veste non di ambasciatore dei Bianchi e ghibellini, secondo la notizia " fortemente inficiata " del Biondo, ma di esule " solitario, senza mezzi e senza protezione d'alcun altro "; e ne spiega la supposta partenza a fine marzo 1304 non tanto, o non solo, con la sgradita successione di Alboino a Bartolomeo, quanto con il sopraggiungere di un annunzio sconvolgente: la missione di pace in Firenze, affidata da Benedetto XI al cardinale da Prato.
Il v. 76 (Con lui vedrai colui...) allusivo, per gli alboinisti, alla consociazione, anacronistica o meno, di Alboino e Cangrande nel governo, risulta, per gli altri, d'immediata evidenza se riferito alla compresenza, in famiglia e nella corte, del piccolo Cangrande col maggior fratello suo tutore, insieme col quale il padre l'aveva armato cavaliere all'età di tre anni, nella fastosissima ‛ curia ' del 1294 (Alboino fu armato cavaliere quattr'anni dopo).
Circa l'indicazione araldica del v. 72 (che 'n su la scala porta il santo uccello), essa è in ogni caso anticipazione e riflesso del ghibellinismo, sopra tutti, di Cangrande, e del vicariato imperiale ottenuto nel marzo 1311, ma può benissimo valere come riferimento personale a Bartolomeo dopo le nozze con Costanza d'Antiochia, in rapporto cronologico puntuale con l'anno della visione. Si ricordi la postilla del Cassinese; né si dimentichi che Cangrande sposò, nel 1308, un'altra pronipote di Federico II, sorella di Costanza.
Bibl. - A. Scolari, Verona e gli Scaligeri nella vita di D., in D. e Verona, Verona 1965, XII-XIII; e ancora le opere di A. Fajani, E. Raimondi, e in particolare di G. Petrocchi, citate sotto la voce Della S., Alberto. Inoltre: I. Del Lungo, La profezia dell'esilio, in " Nuova Antol. " CXVII (1907) 399-417; ID., Il canto XVII del Parad., Firenze 1911; U. Cosmo, Vita di D., Bari 19492, e Guida a D., nuova ediz., Firenze 1962; A.Belloni, L'usuriere Vitaliano, in " Giorn. stor. " XLIV (1904) 392; ID., D. e Albertino Mussato, ibid. LXVII (1916) 209 ss.; Zingarelli, Dante 188, 199, 200; E. Parodi, rec. a I. Del Lungo, in " Bull. " XXIV (1917) 51; G. Billanovich, Tra D. e il Petrarca, in " Italia Medioev. e Uman. " VIII (1965) 9.