BARTOLOMEO di Tommè, detto Pizzino
Figlio di Tommaso di ser Giannino, non se ne conoscono con esattezza le date di nascita e di morte, ma, dalle notizie della sua lunga attività di orafo si può ritenere che sia nato a Siena nei primi decenni del sec. XIV e che sia morto dopo il 1404. Di lui ci parla per ben tre volte, e con entusiasmo, Bindino da Travale, nelle sue Cronache (a cura di V. Lusini, Siena 1900, pp. 176, 186) che arrivano fino al 1415, come del "miglior orafo che mai fusse di sì ricco lavoro...".
Purtroppo, come rileva il Machetti, l'editore delle cronache, forse non conoscendo il nome di Pizzino da altri documenti, ritenne che si trattasse di uno sbaglio dell'autore, e lo corresse senz'altro in "Pacino", con riferimento ad un artista del Duecento la cui fama, a suo giudizio, doveva essere ancora vivissima nel Quattrocento. Tale errore è poi passato nell'opera del Venturi che riferisce al suddetto Pacino tutte le notizie relative a Pizzino.
La vita di B. subì le conseguenze di quella grave crisi economica che colpì tutte le città italiane alla fine del secolo XIV: l'artista non poté varcare i limiti della sua città natale e sviluppare in pieno il suo talento; tuttavia le poche cose che di lui ci restano ne fanno ampia testimonianza.
Non restano documenti a confermare la tradizione che B. sia stato tra i collaboratori di Ugolino di Vieri nel reliquiario del Corporale a Orvieto (13371338), il più bel lavoro del periodo; gli si potrebbero attribuire (Toesca) le statuette della base e del coronamento.
Tra il 1375 e il 1377, forse per mancanza di lavori d'oreficeria, e in collaborazione con Matteo di Ambrogio e poi con Mariano di Agnolo Romanelli, dovette adattarsi a fare delle statue in marmo per la cappella del palazzo pubblico che si apre sulla piazza del Campo a Siena; dai conti dell'Opera del duomo sappiamo che nel 1380 gli furono saldati 50 fiorini per la statua di S. Giovanni Battista. Le statue della cappella dovevano essere dodici, ma forse ne furono compiute solo otto, di cui sei tuttora esistenti. Di queste sono attribuibili alla opera di B. in collaborazione con Mariano d'Agnolo quelle di S, Pietro, di S. Giovanni,di S. Iacopo Maggiore e di S. Iacopo Minore.Esse denotano lo sforzo dell'artista nel trattare una materia, come il marmo, così diversa da quella dell'abituale lavoro. Tuttavia dobbiamo dìre, con il Machetti, che questo cambiamento forzato, sia pur temporaneo, ebbe i suoi lati positivi perché contribuì non poco a creare una vera corrente di orafi scultori che si affermò poi nella prima metà del sec. XV, soprattutto tra gli artisti che lavorarono per il battistero di Siena.
Frattanto B. dovette partecipare attivamente alla vita pubblica, taùto che nel 1376 entrò a far parte del Gran Consiglio del Terzo di Città.
Nel 1381, unitamente a Nello di Giovanni orafo, fu chiamato a fare per il duomo quattro statue d'argento (poi disperse) raffiguranti i patroni di Siena: S. Ansano, S. Crescenzio, S. Savino e S. Vittorio;queste figure dovevano avere in mano un cofanetto destinato ad accogliere le rispettive reliquie e sul basamento doveva essere rappresentata a smalti colorati la storia del santo.
Nel 1404, sempre per l'Opera del duomo, eseguì un nimbo di rame dorato per la statua di S. Pietro della cappella del Campo; ed è questa l'ultima data certa della sua attività e della sua vita.
Bibl.: G. Milanesi, Documenti per la storia dell'arte senese,Siena 1854, pp. 277, 279, 289; Id., Sulla storia dell'arte toscana. Scritti vari,Siena 1873, pp. 35,65; F. Donatì, Arte antica senesel Siena 1904, p. 348; A. Lisini, Notizie di orafi e di oggetti di oreficeria senese,Siena 1905, p. i s;A. Venturi, Storia dell'arte italiana, VI, Milano 1908, p. 14; 1. Machetti, Orafi senesi,Siena 1925, DJ). 26, 30, 34, 42, 43, 50;S. J. A. Churchill C. G. E. Bunt, The goldsmiths of Italy,London 1926, p. 50;P. Toesca, Il Trecento,Torino 1951,pp. 303, 897 n. 122; U. Thierne-F. Becker, Künstler-Lexikon, II, p.578.