DOLCINI, Bartolomeo
Nacque a Bologna da famiglia appartenente alla nobiltà e venne battezzato il 26 dic. 1568.
Della sua formazione e cultura non si conosce nulla. Uniche date certe sono il 1590, secondo l'Alidosi anno del suo dottorato, e il 27 giugno 1600, inizio del canonicato nella chiesa metropolitana di S. Pietro. Certamente dovette coltivare interessi storico-eruditi sfociati, peraltro, in un'unica opera a stampa, il De vario Bononiae statu ab ea condita usque ad annum 1625, la cui prima edizione esce nel '26.
Il volume si colloca sulla scia dei lavori di C. Sigonio, cui viene accomunato già nei repertori tardo seicenteschi e in tutta la letteratura successiva. Nei Marmora Felsinea di C. C. Malvasia (1690) si accenna addirittura al D. come a "poco meno che copista del Sigonio", figura del tutto trascurabile e di secondo piano se non si fosse consci "della continua conferenza di que' suoi scritti con Monsig. Arcivescovo Agucchi, Prelato di somma e squisita erudizione". Anche nella stima degli studiosi successivi la sua figura assume spessore e vive solo di luce riflessa rispetto alla ben più incisiva presenza di G. B. Agucchi. È proprio la discussione - di cui è rimasta traccia epistolare - intercorsa tra i due a proposito dell'operetta del D. sulle origini di Bologna che ci fa supporre l'esistenza di contatti reciproci piuttosto frequenti anche se poco testimoniati. Di tale probabile consuetudine epistolare è testimonianza solo una missiva inviata dall'Agucchi, allora a Roma, al D. in Bologna, datata 15 luglio 1609, in cui il prelato riferisce di avere assistito alla morte del celebre pittore Annibale Carracci e prega il suo corrispondente di informare il cugino di quello, Lodovico, in quegli anni attivo a Piacenza. Del resto tra Agucchi e il D. ci doveva essere un lontano legame di parentela: il Montefani Caprara, in un manoscritto conservato alla Biblioteca universitaria di Bologna, ricorda, infatti, che Dolcino Dolcini, nipote del D. per parte di fratello, lo era anche, per via femminile, dell'Agucchi (come si legge in una lettera familiare di quest'ultimo, datata 31 dic. 1615). Sarà proprio Dolcino, alla morte di entrambi i parenti, ad assumersi la cura della revisione e pubblicazione dell'opera del D. con l'aggiunta delle integrazioni e correzioni dell'Agucchi: il tutto andò alle stampe nella terza edizione del 1638.
Il canonico bolognese aveva steso una prima volta il suo lavoro pubblicandolo nel 1626: in esso si ritrovano le origini troiane della città emiliana, l'influenza etrusca e tutta una serie di altri elementi secondo una scansione ripresa da un repertorio tradizionale che si rifaceva ad Annio da Viterbo e che aveva avuto il suo più recente portavoce in Carlo Sigonio. Nel 1628 Agucchi anticipa critiche alla stesura dell'amico e corrispondente: esse si concretizzeranno nella stesura di una "lettera responsiva" titolata "L'Antica Fondatione e dominio della città di Bologna", fatta pervenire nel 1631, troppo tardi, cioè, perché fosse inserita nella seconda edizione del De vario Bononiae statu, uscita appunto quell'anno. L'Agucchi stesso non manca di suggerire la cosa in una missiva inviata il 16 dic. 1631 da Venezia, avanzando l'ipotesi che "se questa [lettera] si stampasse nel fine dell'Istoria di Vs. convenendo all'Istorico anzi il narrare, che il provare, sarebbe una prova, et un fondamento sicuro di quanto ella avesse narrato". Purtroppo l'arcivescovo Agucchi muore subito dopo, il 1º genn. 1632, e la sua corrispondenza giacerà a lungo inevasa. Il D. preferisce, a quel punto, dare la sua opera alle stampe aggiungendo, rispetto all'edizione del '26, una prefazione indirizzata ai senatori bolognesi e la lettera precedente dell'Agucchi datata 17maggio 1628. Nel settembre del 1634 muore a Venezia, cinquantaseienne, anche il D.: sarà il nipote Dolcino a mettere accanto e giustapporre in ordine logico i pezzi di questa sorta di puzzle editoriale facendo uscire la terza, ultima e completa edizione dell'opera dello zio paterno, nel 1638.
I parametri temporali e i connotati biografici del D. sono tutti compresi nell'arco di questi pochi dati: figura indubbiamente minore nel panorama erudito della Bologna seicentesca. Il suo lavoro, poco più che un repertorio cronologico - come del resto quello di P. Vizzani (1596-1602) e di G. Bombaci (1635) -, è attento ad allinearsi con prudenza su una linea storiografica gradita al Reggimento e a venire incontro alle esigenze del pubblico evitando di toccare temi controversi e potenzialmente pericolosi della storia bolognese come era accaduto nella osteggiatissima - eppure tanto più valida - opera dell'agostiniano Cherubino Ghirardacci.
Fonti e Bibl.: Bologna, Bibl. univers., Ms. 1973, miscell., fasc. 14-15; Ibid., L. M. Montefani Caprara, Famiglie nobili, t. 30, c. 22r; Montefani Caprara, Bibliografia bolognese, b. 55 ("Scrittori di cose bolognesi"), fasc. 2, cc. 1-13; Ibid., Bibl. com. dell'Archiginnasio, Ms. B 699: B. Carrati, Alberi geneal. delle famiglie di Bologna, c. 80; Ibid., Ibid., Ms. 858: B. Carrati, Cittadini maschi di famiglie bolognesi battezzati in S. Pietro come risultano dai libri dell'Archivio battesimale, dal 1459 al 1809, p. 215; Ibid., Ibid., Ms. B 153: Lettere di diversi e notizie su argom. riguardanti le belle arti, lettera n. 15; G. N. Pasquali Alidosi, Li canonici della Chiesa di Bologna col tempo dell'ingresso, morte, renontie, e successori loro dall'anno 1014 fino al 1616, Bologna 1616, p. 43; Id., Li dottori bolognesi di legge canonica e civile, Bologna 1620, p. 234; Id., Dichiaratione e correttione al Libro delli Dottori bolognesi, Bologna 1623, p. 18; A. Masini, Bologna perlustrata, Bologna 1666, II, 3, p. 12; P. A. Orlandi, Notizie degli scritt. di Bologna, Bologna 1714, p. 68; C. Frati, Opere della bibliogr. bolognese, Bologna 1888, I, col. 405; G. Fasoli, La storia delle storie di Bologna, in Atti e mem. per la Deputaz. di st. patria d. provv. di Romagna, VI (1965-69), p. 82.